La rintracciabilità degli alimenti sfida l’e-commerce. Il parere legale

L’attuale struttura della filiera alimentare è spesso estremamente complessa e caratterizzata da un forte distanziamento tra produzione e consumo, con una sempre più rilevante componente di manipolazione, lavorazione, confezionamento e conservazione degli alimenti.

Trasparenza informativa e tracciabilità sono indispensabili per garantire alimenti sani e sicuri, in ogni fase della catena alimentare, a maggior ragione dell’attuale contesto di crisi di fiducia da parte dei consumatori, che richiedono maggiore controllo, trasparenza e sicurezza del cibo.

Ecco allora emergere due concetti di estrema rilevanza, tra loro strettamente connessi: tracciabilità e rintracciabilità, in merito ai abbiamo chiesto all’avvocato Simona Cardillo dello studio Lexant un approfondimento.

“La tracciabilità – spiega Cardillo – è la capacità di tenere traccia dei vari passaggi subiti da un prodotto alimentare all’interno della filiera, a partire dalla produzione, sino alla distribuzione. La rintracciabilità, secondo la definizione del reg. CE 178/2002, è “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”.

Si tratta di due concetti tra loro speculari: rintracciabilità vuol dire poter effettuare il percorso a ritroso e risalire all’origine di un prodotto utilizzando le informazioni che si erano registrate con la tracciabilità”.

La rintracciabilità ha dunque come obiettivo finale quello di consentire al produttore e agli organi di controllo di gestire e controllare eventuali situazioni di rischio per la salute, attraverso la piena conoscenza di tutte le fasi della catena alimentare, sino alla tavola del consumatore, compresa la fase della vendita al dettaglio (alimentari, salumerie, etc..), della somministrazione (ristoranti, rosticcerie, pub, etc..), dell’home delivery.

Fatte queste premesse, quali saranno responsabilità e obblighi dell’OSA (Operatore del Settore Alimentare)?

L’OSA in qualsiasi fase esso operi, potrà esser chiamato dagli enti preposti a documentare e “rintracciare” ciascun fornitore ed il lotto di provenienza dello specifico alimento oggetto di controllo. Sarà dunque utile che preveda un adeguato sistema di controllo, mediante

  • l’adozione di un registro nel quale annoterà l’elenco dettagliato di tutti i fornitori ed i riferimenti circa il ricevimento, la conservazione e la trasformazione degli alimenti;
  • la definizione di buone pratiche di lavorazione degli alimenti, che prevedano anche cicli accurati di pulizia e manutenzione dei locali e delle attrezzature;
  • la programmazione di una idonea formazione al personale;
  • la creazione di procedure, preferibilmente scritte, di verifica dell’integrità degli imballaggi ricevuti, della data di scadenza, della certificazione sulla temperatura di trasporto e della corretta etichettatura specifica del prodotto, laddove prevista.
  • la previsione, infine, di procedure di intervento che prevedano la segnalazione al fornitore della eventuale criticità riscontrata, con richiesta di ritiro della merce non conforme e la separazione del prodotto contestato da quelli idonei al consumo.

In che modo l’operatore garantirà la rintracciabilità?

In primis, acquistando le materie prime alimentari solo da fornitori dei quali avrà avuto cura di verificare che rispondano ai requisiti imposti dalle norme HACCP e rispettino, a loro volta, i principi di rintracciabilità; dovrà poi conservarele etichette dei prodotti freschi acquistati e archiviare la DDT o fattura accompagnatoria di acquisto del prodotto e documenti contrattuali.

Per quanto tempo si dovranno conservare le informazioni utili alla rintracciabilità?

  • 3 mesi in caso di prodotti freschi (es. panetteria, ortofrutticoli, ecc)
  • 6 mesi dalla data di conservazione del prodotto deperibile, per i prodotti “da consumarsi entro il…”
  • 12 mesi successivi alla data di conservazione consigliata, per i prodotti “da consumarsi preferibilmente entro il…”
  • 2 anni per i prodotti per i quali non è prevista dalle norme vigenti l’indicazione del termine minimo di conservazione, né altra data.

Concludendo – riassume Cardillo – l’OSA, con la predisposizione di adeguate procedure di scelta dei fornitori, di gestione, controllo e intervento, con la tenuta meticolosa del registro sopra descritto e con una adeguata archiviazione dei documenti, potrà dimostrare di aver soddisfatto l’obbligo di sicurezza e di rintracciabilità degli alimenti, andando esente da pensanti sanzioni e dalle, ancora più temute, conseguenze reputazionali e di immagine di un eventuale accertamento d’infrazione.

Food e-Commerce e Food Delivery

Il Rapporto Coop 2020, e già quello 2018, attestano consumi sempre più digitali con forte crescita dell’e-commerce, del meal delivery, dell’e-food / e-grocery / click&collect.

La crescente diffusione dell’e-commerce anche nel mondo del Food, impone nuove sfide nella gestione dei servizi logistici che dovranno essere studiati ad hoc a seconda della tipologia di alimento o di bevanda e del canale distributivo (ad esempio garantendo l’opportuna conservazione dei prodotti freschi e freddi, rispettando le temperature della cold chain) e per la necessità di garantire trasparenza di informazioni sul prodotto.

Si tratta, nel caso del contratto di acquisto attraverso e-commerce, di un contratto di compravendita a distanza, nel quale l’obbligazione contrattuale viene formalmente conclusa attraverso internet, e la consegna del prodotto avviene poi fisicamente in un momento successivo.

Quale normativa regola il settore?

Nello specifico, il settore Food trova regolamentazione nel Reg.1169/2011[1], che stabilisce, in tema di trasparenza informativa che, per l’alimento venduto tramite una “comunicazione a distanza”, le informazioni obbligatorie presenti sull’etichetta debbano essere rese disponibili al consumatore per tempo utile, ossia prima che la vendita sia conclusa e si perfezioni. Non solo, le stesse informazioni devono essere visibili anche su qualsiasi materiale che sia collegato alla vendita a distanza, supportandola.

In materia di trasparenza informativa, nel contesto della vendita a distanza di alimenti, la normativa europea distingue tra la vendita di “prodotti preimballati” e quella dei “prodotti non preimballati”, ovvero i c.d. “sfusi”.

Se la vendita a distanza concerne alimenti imballati, tutte le indicazioni obbligatorie devono essere trasmesse al consumatore prima della conclusione dell’acquisto del prodotto.

Quali informazioni devono essere trasmesse al consumatore?

Egli, nello specifico, dovrà essere messo nella condizione di apprendere consapevolmente, prima dell’acquisto:

  • denominazione dell’alimento;
  • elenco degli ingredienti;
  • allergeni;
  • quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
  • quantità netta;
  • condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;
  • nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile che commercializza il prodotto;
  • Paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto ai sensi dell’art. 26;
  • istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
  • per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;
  • dichiarazione nutrizionale.

Invece, la data di scadenza, o il termine minimo di conservazione (T.M.C.) ed il numero di lotto vanno comunicati al momento della consegna e, perciò, contestualmente alla fornitura dell’alimento e non prima dell’acquisto.

E con gli alimenti sfusi?

In questo caso il regolamento lascia ai singoli Stati la scelta su come disciplinare la vendita con tecniche di comunicazione a distanza, affinché lo Stato possa decidere quali indicazioni o meno debbano essere trasmesse; con un’unica eccezione in ordine agli allergeni che devono essere sempre indicati.

Nel Food Delivery, che può realizzarsi secondo modalità differenti (mediante utilizzo di piattaforme terze o con rete di consegna diretta), il trasporto è regolamentato da una norma decisamente datata, la direttiva 327/80, che indica i requisiti di riferimento per dell’idoneità igienico-sanitaria dei mezzi di trasporto di sostanze alimentari in generale. Si tratta di una norma generica a proposito dell’obbligo di igiene che deve accompagnare l’alimento, e della temperatura delle sostanze alimentari durante il questa fase.

La rintracciabilità vale anche per il food delivery?

Certo: per quanto attiene poi nello specifico la rintracciabilità, non sono certamente esclusi dall’obbligo le fasi del food delivery. Ristoratore, somministratore, rivenditore, così come la società di delivery (se terza rispetto ai primi), dovranno allora adottare adeguati sistemi di controllo anche in relazione a tale fase, monitorando il rispetto delle linee guida di sicurezza alimentare definite dal Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e tracciando l’alimento sino alla tavola del consumatore.

Fino ad ora abbiamo parlato di alimenti, ma esisto delle regole anche per i materiali che vengono in contatto con essi?

Naturalmente. Nel caso dei MOCA, ovvero tutti quegli oggetti che durante la filiera entrano in contatto con gli alimenti (packaging, utensili, posate, tappi…) sino alla fase di consegna al consumatore, va tenuto conto della loro interazione con al natura dell’alimento. Non tutti i packaging, per esempio, sono adatti a contenere cibi grassi, o acidi, o umidi: reagiranno in maniera diversa in funzione della loro composizione. Stesso discorso nei confronti della luce, e della temperatura: non tutti i MOCA sono adatti ad entrare in contatto con alimenti a temperature di refrigerazione oppure a temperature elevate.

Sarà quindi dovere del professionista, sul quale incombe la relativa responsabilità, accertarsi che l’oggetto acquistato sia idoneo all’uso alimentare e di verificarne le caratteristiche di utilizzo. La fornitura delle indicazioni di accompagnamento al MOCA è invece responsabilità del produttore dello stesso, all’atto della loro commercializzazione, mediante etichetta o altro mezzo di comunicazione. Tra le informazioni obbligatorie rientrano la denominazione “per alimenti” o altra menzione specifica, le indicazioni di utilizzo e i contatti del produttore.

[1] La vendita a distanza è disciplinata dal Reg. 1169/2011, all’art. 14, prevalendo sulle disposizioni generali previste dalla Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (c.d. direttiva consumatori), recepita in Italia con D.Lgs. 21/2014.

Avv. Simona Cardillo Senior Associate

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