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Sugar e Plastic tax, Governo intenzionato al rinvio

Si profila un rinvio a gennaio 2027 per Sugar e Plastic tax. La notizia è arrivata a valle del Consiglio dei Ministri, durante il quale è stato presentato il Documento Programmatico di Bilancio.
L’annuncio è stato accolto con soddisfazione da Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese che producono e vendono bevande analcoliche in Italia: “Siamo grati al Governo che si è impegnato nel posticipo di un anno di Sugar tax e Plastic tax, una doppia tassazione che colpiva in stereo il comparto delle bevande analcoliche – sottolinea Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe –. Questo risultato è frutto di un ascolto attento delle esigenze di un settore che contribuisce alla crescita del Paese e alla valorizzazione del Made in Italy. Questo ulteriore tempo guadagnato permettere un dialogo che auspichiamo ci porti, in 12 mesi, alla definitiva cancellazione di imposte che ormai ogni governo ha posticipato e, per la Sugar tax in particolare, riconoscendone l’inefficacia dal punto di vista della salute oltre all’inutilità sotto l’aspetto economico”.

All’Onu ribadita la differenza tra consumo e abuso di alcol

Non c’è il voto unanime ma, vista l’ampia convergenza della maggioranza dei Paesi, per l’adozione dovrebbe essere solo questione di settimane. Unione Italiana Vini (Uiv) esprime soddisfazione per una Dichiarazione Politica sulle Malattie Non Trasmissibili (NCDs) – discussa nell’ambito dell’incontro di Alto Livello svoltosi alle Nazioni Unite – che torna a ribadire la distinzione tra consumo moderato e abuso di alcol. Il documento presentato, quadro di riferimento politico globale sulle malattie non trasmissibili, secondo l’associazione può rappresentare una svolta. Solo l’opposizione generale degli Stati Uniti sull’intero impianto procedurale della dichiarazione – e in particolare sull’Oms –, ha compromesso l’adozione unanime. Il voto è perciò rimandato alle prossime settimane, quando sarà a maggioranza.
C’è fiducia per una decisione che porterebbe a un risultato positivo per il nostro settore – afferma Lamberto Frescobaldi, Presidente Uiv –. Dopo anni di attacchi frontali al vino a livello internazionale ed europeo, finalmente si torna a distinguere tra consumo e abuso di alcol. La moderazione è un tratto distintivo e irrinunciabile tipico del vino, che da sempre promuove e supporta una cultura del bere consapevole. Confidiamo che l’adozione sia solo rimandata”.

LA PREVENZIONE COINVOLGE TUTTI
Tra gli interventi più rilevanti per il settore vitivinicolo inseriti nel testo, oltre al ricorso all’espressione “uso dannoso di alcol” (“harmful use of alcohol”) che esclude una generalizzazione sul consumo, viene rimarcato l’approccio “whole of society” che valorizza il contributo di tutti gli attori pubblici e privati nella prevenzione delle NCDs, inclusa l’attività che può svolgere il settore, mediante i programmi come Wine in Moderation.
Unione italiana vini ha fatto parte della delegazione del Ministero degli Esteri durante la due giorni di lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ha seguito da vicino – anche assieme al Ceev – l’intero iter negoziale, che ha visto l’associazione lavorare in stretta ed efficace collaborazione con il Governo italiano e in particolare con il Ministero degli Affari Esteri e la Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, contribuendo a portare la voce del vino in questo complesso negoziato.

Cia delusa dalla nuova Pac: “Risorse tagliate del 22%”

Almeno 31 miliardi di euro: è questa la cifra che spetterà all’Italia nell’ambito della Politica agricola comune 2028-2034. Quarto beneficiario della Pac, il nostro Paese è preceduto da Francia (50,9 miliardi), Spagna (37,2 miliardi) e Germania (33,1 miliardi). L’annuncio è arrivato dalla Commissione europea, ma è stato accolto con delusione da Cia-Agricoltori Italiani, che quantifica in circa 9 miliardi di euro la perdita rispetto al valore attuale. “Un taglio del 22% delle risorse della Pac è inaccettabile – afferma senza mezzi termini Cristiano Fini, Presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani – e rischia di mettere in ginocchio l’agricoltura italiana, che ha invece bisogno di una politica agricola adeguata a garantire sicurezza alimentare e vitalità nelle aree rurali. La scelta di forte ridimensionamento da parte della Commissione Ue andrà, infatti, a colpire il nostro settore in un periodo storico cruciale per l’impatto del climate change, delle turbolenze geopolitiche e della guerra commerciale in atto con gli Usa. Invece di una riduzione, avremmo avuto bisogno di risorse ancora maggiori”.
Cia esprime preoccupazione rilevando che la Pac di ieri valeva 378 miliardi, mentre quella futura potrà contare su circa 294 miliardi, nonostante l’aumento del bilancio Ue da 1.210 a quasi 2.000 miliardi. Il peso della politica agricola comune scenderà, dunque, dal 31% al 15% delle risorse complessive, perdendo – secondo la Confederazione – ogni ambizione in termini sia politici che finanziari.
Continueremo a dare battaglia – conclude Fini – con l’auspicio che il Consiglio dei ministri europei e l’Europarlamento, che si è già recentemente espresso per un bilancio più ampio e autonomo per la Pac, si associno al nostro dissenso. L’obiettivo è quello di far cambiare totalmente rotta alla Commissione, che finisce in questo modo di frammentare e indebolire una delle politiche fondanti dell’Ue”.

Unionbirrai: un emendamento contro i vincoli produttivi

Adeguare il quadro normativo nazionale alla realtà moderna del settore brassicolo. Viene descritto così da Unionbirrai, l’associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti italiani, l’obiettivo dell’emendamento al Ddl Imprese presentato dal senatore Luca De Carlo, presidente della Commissione Industria e Agricoltura del Senato. Il testo propone la modifica dell’articolo 7 della legge 16 agosto 1962, n. 1354 e, soprattutto, l’abrogazione definitiva del DPR 1498/1970, accogliendo le istanze portate avanti da anni dall’associazione.
L’emendamento, attualmente all’esame del Senato, stabilisce che: “L’anidride carbonica nella birra deve avere un contenuto non inferiore a gr 0,2 per ml 100 e un contenuto non superiore a gr 1 per ml 100. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1970, n. 1498 è abrogato”. Una modifica che risponde alle richieste avanzate da Unionbirrai per rimuovere limiti – definiti anacronistici dall’associazione – imposti da una norma concepita oltre 50 anni fa e che sarebbe superata dalle pratiche e dagli standard produttivi odierni. Il DPR 1498/1970 introduceva infatti parametri rigidi su acidità, anidride carbonica, limpidità, tenore alcolico e ceneri, che secondo Unionbirrai sono del tutto incompatibili con gli stili brassicoli moderni, con le lavorazioni artigianali e con la normativa europea in materia di sicurezza alimentare.
Siamo molto soddisfatti – dichiara Vittorio Ferraris, Direttore Generale di Unionbirrai (nella foto in alto) – per la presentazione di un emendamento che recepisce finalmente le nostre proposte in modo chiaro e netto. Da troppo tempo chiediamo di superare un decreto vetusto, che penalizza in particolare i piccoli birrifici italiani e favorisce i produttori esteri non soggetti alle stesse limitazioni. È una norma che frena innovazione, qualità e libertà produttiva: tutte caratteristiche che rendono unica la birra artigianale italiana”.
Unionbirrai sostiene di aver già raccolto, nel corso delle interlocuzioni informali con i dicasteri competenti, pareri favorevoli alla revisione del DPR che riconoscevano l’obsolescenza e l’incompatibilità della norma con la legislazione europea, in particolare con il Regolamento CE 852/2004, che fonda la sicurezza alimentare sul sistema HACCP, demandando ai produttori la responsabilità di valutare e controllare i propri processi.
“Ora è il momento di unire le forze – prosegue Ferraris –. Rivolgiamo un appello a tutte le associazioni del settore brassicolo, ai birrifici, agli operatori della filiera, alle reti d’impresa: sosteniamo insieme questo emendamento. Non è solo una battaglia normativa, ma un atto di giustizia per centinaia di produttori che con passione portano avanti un’eccellenza italiana. È l’occasione per costruire un comparto più competitivo, innovativo e libero”.

L’UE approva un claim salutistico per il kiwi verde

Il kiwi verde è diventato il primo frutto fresco in assoluto a ricevere un’indicazione sulla salute autorizzata dalla Commissione Europea, segnando una svolta per Zespri, azienda neozelandese leader nella produzione e commercializzazione mondiale di kiwi. La Commissione Europea ha ufficialmente approvato il claim sulla salute secondo cui “Il consumo di kiwi verdi contribuisce alle normali funzioni intestinali grazie a un aumento della frequenza di evacuazione”, sulla base di un consumo giornaliero di due kiwi verdi freschi (Actinidia deliciosa var. Hayward) che forniscono almeno 200 g di polpa. L’autorizzazione rientra tra le sole tre dichiarazioni sulla salute approvate dalla Commissione Europea negli ultimi cinque anni, a seguito di un rigoroso processo di valutazione in cui meno di 1 richiesta su 8 ottiene l’approvazione.
Questo traguardo non è solo una prima volta per Zespri – afferma Jason Te Brake, Ceo di Zespri – ma per l’intero settore dei prodotti freschi. Il riconoscimento da parte della Commissione Europea sul ruolo del kiwi verde per la salute dell’apparato digerente riflette uno dei modi in cui aiutiamo le persone a prosperare attraverso la bontà dei kiwi. L’approvazione non solo convalida il programma di salute e innovazione di Zespri, ma offre anche un valore tangibile al settore e riflette il duro lavoro dei nostri coltivatori di kiwi verdi per produrre frutti nutrienti e dal gusto eccezionale”.

UN PERCORSO LUNGO OLTRE 15 ANNI
Zespri ha finanziato integralmente il processo di richiesta e la maggior parte delle ricerche chiave presentate a supporto scientifico, dedicando oltre 15 anni a documentare i benefici del kiwi verde. L’approvazione arriva a seguito della presentazione, nel 2018, di un dossier scientifico completo che includeva 18 studi di intervento sull’uomo, sei dei quali sono stati infine considerati una solida base per dimostrare l’effetto del kiwi verde sulla funzionalità intestinale. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha espresso un parere scientifico positivo nel 2021, che si è ora concretizzato nell’autorizzazione formale da parte della Commissione.
L’azienda sottolinea come questo risultato dimostri il valore fondamentale degli investimenti nella scienza della salute e della nutrizione, sia per rafforzare la fiducia nella categoria dei prodotti freschi, sia per stimolare un’ulteriore crescita e domanda di kiwi verdi. Nel 2024/25, Zespri – che è al 100% di proprietà di attuali ed ex produttori di kiwi e conta un team globale di più di 900 persone – ha fornito un totale di 220,9 milioni di vassoi (più di 795.000 tonnellate di Zespri Green, Zespri RubyRed e Zespri SunGoldTM Kiwifruit) a più di 50 mercati e raggiunto un fatturato globale di 5,14 miliardi di dollari neozelandesi, pari a circa 2,60 miliardi di euro.

Si rafforza la prevenzione per i prodotti da latte crudo

Il Ministero della Salute, su iniziativa del Sottosegretario Marcello Gemmato (nella foto in alto), ha trasmesso a Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano e alle principali Associazioni di categoria il documento tecnico: “Linee guida per il controllo di Escherichia coli produttori di Shiga-tossine (STEC) nel latte non pastorizzato e nei prodotti derivati”, frutto del lavoro del Tavolo tecnico istituito presso il Ministero. “Queste Linee Guida – spiega Gemmato – sono uno strumento tecnico-scientifico fondamentale per rafforzare la prevenzione delle infezioni da STEC. Offriamo al territorio un documento aggiornato, condiviso e operativo, con l’obiettivo di proteggere soprattutto i soggetti più fragili: bambini, anziani e persone immunocompromesse”.

Nei mesi scorsi, in accordo con il Ministro Lollobrigida, è stato avviato un Tavolo tecnico composto da esperti del Ministero della Salute e del MASAF, dell’Istituto Superiore di Sanità, degli Istituti Zooprofilattici e delle associazioni di categoria per definire misure di mitigazione più stringenti, volte a garantire la sicurezza alimentare e ridurre il rischio di gravi infezioni da Escherichia coli associate al consumo di latte crudo e derivati. “In estate – continua il Sottosegretario – il rischio microbiologico può aumentare, anche per la maggiore produzione di formaggi a latte crudo in contesti montani. Per questo il Governo ha ritenuto urgente intervenire in parallelo al percorso parlamentare di modifica della normativa nazionale”.
Le infezioni da STEC possono manifestarsi in modo variabile: da forme lievi o asintomatiche fino a diarrea emorragica e sindrome emolitico-uremica (SEU), principale causa di insufficienza renale acuta nei bambini. Il documento fornisce indicazioni pratiche sia per gli operatori della filiera alimentare, utili in fase di autocontrollo, sia per le ASL impegnate nella vigilanza e nei controlli ufficiali, al fine di garantire una gestione più efficace del rischio STEC.

L’Irlanda rinvia al 2028 le etichette sanitarie sugli alcolici

L’Irlanda ci ha ripensato. Non definitivamente, ma lasciando un margine di tempo più ampio – fino al 2028 – prima introdurre le etichette sanitarie obbligatorie sulle bevande alcoliche. Il regolamento avrebbe dovuto essere applicato a partire da maggio 2026. Secondo notizie di stampa, a suggerire il rinvio sarebbe stato il già complicato scenario degli scambi commerciali internazionali e il timore di potenziali impatti sull’export irlandese.
La notizia è stata accolta positivamente in Italia. Nell’esprimere l’auspicio che si possa arrivare alla cancellazione definitiva della norma, Coldiretti ricorda come l’iniziativa del Governo irlandese era stata di fatto avallata dall’Unione Europea, nonostante i pareri contrari di Italia, Francia e Spagna e altri sei Stati Ue, che consideravano la misura una barriera al mercato interno. Coldiretti sottolinea, inoltre, di aver denunciato a più riprese come la proposta irlandese finisca per assimilare in maniera del tutto scorretta l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici a quello moderato e consapevole di prodotti di qualità a più bassa gradazione, come il vino.
Il rischio paventato da Coldiretti non riguarda ovviamente il mercato irlandese in sé – che nel 2024 ha importato vino tricolore per soli 59 milioni di euro – ma che le etichette di Dublino, le cosiddette “warning labels”, aprano le porte in Europa e nel mondo a campagne di demonizzazione che colpirebbero una filiera che in Italia vale 14,5 miliardi di euro, dal campo alla tavola, e garantisce 1,3 milioni di posti di lavoro.

Sulla stessa lunghezza d’onda Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione italiana vini: “La decisione del Governo irlandese di rinviare al 2028 l’entrata in vigore del regolamento sull’etichettatura degli alcolici rappresenta un punto di svolta positivo per le imprese del vino italiane ed europee. È necessario infatti preservare l’integrità del mercato unico europeo, al riparo dalle singole iniziative degli Stati membri in materia di etichettatura. Una fuga in avanti come nel caso irlandese avrebbe come unica conseguenza quella di complicare l’attività delle imprese e al tempo stesso aumentare i costi di adattamento alle regole dei singoli 27 Paesi”.
Secondo Uiv, l’impostazione del regolamento di Dublino risulta particolarmente preoccupante per il comparto vinicolo europeo in quanto non tiene conto della distinzione tra consumo e abuso e si pone in contrapposizione con la risoluzione BECA (Beating cancer) del Parlamento europeo del 2022. La proroga al 2028 delle etichette sanitarie consentirà di lavorare a soluzioni armonizzate e, al tempo stesso, di informare il consumatore in maniera intelligente sul consumo moderato di vino, come peraltro già indicato dai deputati europei.
Uiv condivide infine quanto affermato dalla presidente del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), Marzia Varvaglione, secondo cui gli obiettivi di salute pubblica debbano essere perseguiti in modo giuridicamente solido e coordinato, e non attraverso una frammentazione che genera confusione per i consumatori.

Dealcolati, Uiv plaude al decreto-legge fiscale: “Sbloccato lo stallo normativo”

L’approvazione del decreto-legge fiscale del 12 giugno ha sbloccato lo stallo sui vini dealcolati, che rischiava di protrarsi sino al 2026. Ora i ministeri dell’Economia e dell’Agricoltura potranno lavorare già da subito al decreto interministeriale che definirà le condizioni e le autorizzazioni fiscali relative alla produzione di dealcolati anche in Italia. Nell’apprezzare quanto stabilito, Uiv auspica una pronta risposta da parte dei due dicasteri preposti al fine di rendere attuativo un decreto che il settore attende da tempo”. Lo ha detto Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione italiana vini (Uiv), nel commentare lo schema di Dl fiscale del 12 giugno che ha anticipato il termine entro il quale deve essere adottato il decreto interministeriale Masaf e Mef.

Quello fiscale rimane infatti l’ultimo nodo da sciogliere per consentire alle imprese italiane di dealcolare in Italia. Alla fine di marzo il decreto-legge n.43 ha infatti modificato il Testo Unico delle Accise inserendo l’articolo 33-ter per disciplinare il processo di dealcolazione in ambito fiscale, rinviando a un decreto interministeriale dei ministeri dell’Economia e dell’Agricoltura la definizione delle condizioni relative all’assetto del deposito fiscale e le modalità semplificate di accertamento e di contabilizzazione dell’accisa per questi prodotti. L’entrata in vigore tardiva della norma – fissata al 1° gennaio 2026 – ha spinto Uiv a sollecitare negli scorsi mesi un intervento transitorio per colmare il vuoto normativo e non ritardare ulteriormente la produzione.

Secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, quello dei vini No-low è un mercato che in Italia vale oggi solo 3,3 milioni di euro, ma dovrebbe raggiungere i 15 milioni nei prossimi quattro anni. Sul fronte globale, la stima del mercato attuale è fissata a 2,4 miliardi di dollari, con prospettive di crescita fino a 3,3 miliardi di dollari entro il 2028.

In vigore il sigillo di garanzia sul tonno rosso

Foto: Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste

È entrato in vigore il 12 maggio l’obbligo di apporre un sigillo di garanzia su ogni esemplare di tonno rosso che arriverà nei porti siciliani o per il tonno pescato da palangari. Dal 26 maggio l’obbligo sarà esteso a tutti i porti italiani e per tutta la pesca professionale. Al momento dello sbarco e della convalida del documento elettronico di cattura (eBCD), il sigillo con ben visibile l’origine e altre informazioni verrà apposto per facilitare il tracciamento del pesce in tutte le fasi della commercializzazione, sia quando è presentato intero che eviscerato. “Con questa misura – spiega Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste – compiamo un ulteriore passo avanti nella lotta alla pesca illegale e nella tutela della filiera ittica virtuosa. Il sigillo permetterà di identificare ogni esemplare e assicurare che giungano sulle tavole degli italiani prodotti sicuri, certificati e garantiti”.

I sigilli – predisposti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – saranno distribuiti a tutte le Autorità Marittime coinvolte. L’obbligo si applica inizialmente agli sbarchi effettuati da unità autorizzate alla pesca con palangari e successivamente per tutte le catture di tonno. “Sostenere la pesca significa difendere il lavoro di chi, come i nostri pescatori, rispetta le regole e garantisce ai cittadini un prodotto di eccellenza. Con il sigillo di garanzia – conclude Lollobrigida – rafforziamo la credibilità del nostro sistema e valorizziamo una risorsa strategica per l’economia italiana”.

Positivo il commento di Coldiretti Pesca, che ha definito la misura “Un passo avanti verso la trasparenza rispetto a una situazione del settore ittico che, a causa di un’indicazione dell’origine obbligatoria ma poco chiara, rende oggi difficile distinguere sui banchi dei supermercati e delle pescherie il pesce nazionale da quello straniero. Senza dimenticare il pesce servito ai ristoranti, dove non c’è alcuna etichetta. Ma l’obbligo del sigillo contribuirà a ridurre soprattutto l’illegalità – conclude Coldiretti Pesca – tutelando il lavoro della flotta nazionale”.

Ortofrutta, primati produttivi a rischio per la stretta sui principi attivi

Una grave incertezza incombe sul futuro del comparto ortofrutta: la riduzione del numero dei principi attivi utilizzabili per la difesa delle colture, senza che vengano messe a disposizione dei produttori nuove alternative valide. Ne è convinto Raffaele Drei, Presidente di Fedagripesca Confcooperative (nella foto in alto), a cui aderiscono oltre 450 cooperative ortofrutticole con 45.000 soci e un fatturato di 7,7 miliardi di euro. “La Commissione europea – ha spiegato Drei a margine dell’inaugurazione della fiera internazionale Macfrut – ha ridotto progressivamente negli ultimi anni il numero dei principi attivi autorizzati: un percorso orientato ad innalzare livelli qualitativi e di sicurezza alimentare che non si può non condividere. A condizione però che ciò non provochi come conseguenza la perdita di buona parte della produzione nazionale, a tutto vantaggio di competitor che non rispettano gli stessi standard qualitativi. Nonostante la sua forte vocazione produttiva, il nostro Paese ha progressivamente perso la leadership in alcune colture strategiche. Basti pensare che dal 2014 ad oggi sono andate perdute oltre il 45% delle superfici coltivate a pere in Emilia-Romagna e gli ettari di pesche e nettarine si sono dimezzati nell’ultimo decennio”.

Nell’ambito dell’ortofrutta, per ogni principio attivo eliminato, in mancanza di alternative efficaci si rischia di perdere intere colture. È per questo che, ha aggiunto Drei, “come Confcooperative abbiamo richiesto in questi mesi una moratoria quinquennale sui principi attivi oggi in uso. Ma se con il Ministero dell’Agricoltura stiamo registrando una totale condivisione sulla questione, sentiamo ora l’urgenza di appellarci ad un più ampio coinvolgimento di altre istituzioni, a partire da quelle che hanno la competenza in materia, sia a livello nazionale che comunitario. Il nostro auspicio è che tutte le istituzioni coinvolte assumano l’impegno di analizzare le problematiche connesse alla revoca delle autorizzazioni dei principi attraverso una valutazione di impatto complessiva più ampia rispetto alla mera analisi della molecola”. Secondo Drei, ad esempio, nelle valutazioni non si tiene spesso sufficientemente conto di altri aspetti e ricadute. Gli attuali mezzi di distribuzione e le macchine agricole utilizzate nell’ortofrutta sono ad esempio tecnologicamente più avanzate rispetto a 20 anni fa, con una conseguente riduzione significativa dei rischi ambientali e della salute umana.

C’è poi il tema del freno alla ricerca. “Se vogliamo trovare altre molecole meno pericolose – ha argomentato Drei – è fondamentale che la ricerca abbia tempi più veloci e percorsi burocratici più snelli. A tal proposito, ci aspettiamo misure concrete già nell’ambito del cosiddetto ‘Pacchetto per la semplificazione’ presentato dal Commissario Hansen. Le aziende che producono i principi attivi riescono in paesi come il Brasile ad ottenere nel giro di soli due anni l’autorizzazione alla produzione. Mentre in Europa occorrono all’incirca dieci anni per riuscire ad avere l’autorizzazione ad una nuova molecola, con il rischio che le disposizioni normative possano nel frattempo anche subire modifiche”.

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