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Veuve Clicquot, il marchio arancione non è un segno distintivo

Lo scorso 6 marzo il Tribunale europeo si è schierato con Lidl nel ricorso presentato per annullare la registrazione del marchio “orange” di Veuve Clicquot che, per la maison, costituirebbe invece il segno distintivo agli occhi dei consumatori di tutti i Paesi dell’UE.

Il nodo della contesa risiede nel marchio di colore arancione, adoperato dalla catena di supermercati tedesca come etichetta per le bottiglie di spumante in vendita all’interno dei propri store.

“Quello del marchio “orange” di Veuve Clicquot non è l’unico caso in cui è evidente come l’ottenimento e il mantenimento della registrazione di un marchio in UE basata sul significato secondario acquisito dal segno sia un processo arduo” commentano Francesca La Rocca Sena ed Elisabetta Berti Arnoaldi, partners dello studio legale Sena & Partner.

È frequente infatti che, come nel caso di Veuve Clicquot, un segno risulti dotato di capacità distintiva in un Paese ma non in un altro, oppure lo sia a livello nazionale ma non europeo. A tal proposito possiamo ricordare il caso del marchio costituito dalla forma di ‘coniglietto’ di un prodotto di cioccolato della Lindt, dichiarato nullo a livello europeo in quanto reputato privo di carattere distintivo ma ritenuto invece valido dal Tribunale Federale Svizzero che ha vietato la produzione e la distribuzione dei ‘coniglietti di cioccolato’ della catena di supermercati tedesca Lidl, ritenendoli interferenti con il marchio di Lindt, anche in ragione della somiglianza dei prodotti”.

L’AGCM mette al bando la Hot Chip Challenge

Stop alla commercializzazione e pubblicizzazione della Hot Chip Challenge: a deciderlo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dopo aver concluso il procedimento avviato nei confronti della società Dave’s S.r.l. a cui è stato chiesto di rimuovere l’articolo anche dai propri listini di vendita.

La società distribuiva “Hot Chip Challenge”, uno snack a base di patate con ingredienti che lo rendono particolarmente piccante, incitando soprattutto i giovani, a mo’ di challenge per l’appunto, a consumarlo senza bere e resistere così alla sua elevata piccantezza.

L’Autorità ha ritenuto che gli impegni presentati dalla società siano idonei a far cessare i profili di illegittimità della pratica commerciale contestati nella comunicazione di avvio dell’istruttoria ovvero l’induzione a una sfida rivolta, perlopiù, a consumatori adolescenti (diffusa anche attraverso i social media) e la non adeguata rappresentazione delle informazioni sui rischi per la salute connessi all’uso del prodotto. Inoltre l’Antitrust contestava la mancanza di informazioni rilevanti su un prodotto alimentare che poteva mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, specie se bambini o adolescenti.

Con questa decisione l’Autorità è intervenuta con successo per tutelare i consumatori più giovani e più influenzabili da messaggi che li inducono a mangiare prodotti anche pericolosi, facendo leva sulla loro propensione ad accogliere le sfide lanciate sui social media.

Antitrust: sanzione da 1,4 milioni di euro a Chiara Ferragni e Balocco

Si prospetta un Natale amaro per l’influencer Chiara Ferragni e l’azienda dolciaria Balocco, accusati dall’Antitrust di aver fatto credere ai consumatori di contribuire a una donazione benefica comprando il Pandoro Pink Christmas del 2022. È emerso invece che la donazione, pari a 50 mila euro, a favore dell’Ospedale Regina Margherita di Torino per acquistare un nuovo macchinario destinato alle cure terapeutiche dei bambini affetti da osteosarcoma e sarcoma di Ewing, era già stata effettuata dalla sola Balocco ma mesi prima dell’avvio dell’iniziativa.

L’Antitrust contesta di aver attuato dunque una pratica commerciale scorretta per tre diverse condotte: aver diffuso, attraverso il comunicato stampa di presentazione dell’iniziativa in circolazione dall’inizio di novembre 2022, che le vendite del Pandoro Pink Christmas (sugli scaffali a oltre 9 euro rispetto ai circa 3,70 euro del pandoro non griffato) sarebbero servite a finanziare un percorso di ricerca solidale quando in realtà la Balocco aveva già fatto donazione a maggio dello stesso anno; aver diffuso, tramite la confezione, informazioni che avvaloravano la circostanza non veritiera di una raccolta solidale; aver pubblicato post sui canali social della Ferragni in cui si lasciava intendere che l’acquisto del Pandoro Pink Christmas avrebbe voluto dire contribuire alla donazione.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato quindi le società Fenice S.r.l. e TBS Crew S.r.l., che gestiscono i marchi e i diritti di Chiara Ferragni, rispettivamente per 400 mila euro e 675 mila euro, e Balocco S.p.A. Industria Dolciaria per 420 mila euro. Le società Fenice e TBS Crew hanno incassato oltre 1 milione di euro a titolo di corrispettivo per la licenza dei marchi della signora Ferragni e per la realizzazione dei contenuti pubblicitari senza versare nulla all’ospedale Regina Margherita di Torino.

L’Autorità ha ritenuto inoltre che il costo del Pandoro Pink Christmas, in vendita a un prezzo pari a circa due volte e mezzo quello del Pandoro classico Balocco, abbia contribuito a indurre in errore i consumatori rafforzando la loro percezione di partecipare a un’iniziativa solidale. Secondo l’Antitrust questa pratica avrebbe limitato considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori facendo leva sulla loro sensibilità verso iniziative benefiche, in particolare quelle in aiuto di bambini affetti da gravi malattie. Un pandoro troppo caro allora sia per i consumatori, sia per la Ferragni e Balocco.

In tribunale per il “barocco”: Essse Caffè vince contro Quarta Caffè

È definitiva la sentenza del Tribunale di Bologna: Essse Caffè non ha posto in essere alcuna violazione dei diritti di Quarta Caffè. Il contenzioso era stato promosso nel 2019 da parte di Essse Caffè nei confronti della torrefazione leccese al fine di fare accertare che l’utilizzo, da parte di Essse Caffè, del segno “Barocco” per distinguere, all’interno della propria selezione, un gusto di capsule monodose non costituisse violazione del marchio complesso di Quarta Caffè contenente il segno “barocco” insieme ad altri elementi figurativi, utilizzato da Quarta Caffè per miscele di caffè in grani o macinate.

Il Tribunale di Bologna, Sezione Specializzata in Materia di Impresa, con sentenza n. 1978/2023 pubblicata in data 6 ottobre 2023 (notificata e non impugnata e quindi passata in giudicato) ha rigettato le domande di violazione di marchio e concorrenza sleale proposte in via riconvenzionale da Quarta Caffè ed ha accertato che l’utilizzo, da parte di Essse Caffè, del segno Barocco non costituisce violazione del marchio complesso di Quarta Caffè, né atto di concorrenza sleale, né violazione di altri diritti di Quarta Caffè, condannando quest’ultima alla rifusione, a favore di Essse Caffè, delle spese di lite nella misura liquidata.

Packaging monouso IV Gamma, filiera a rischio per voto UE

Nonostante gli incoraggianti segnali di apertura dimostrati dalla Commissione Agricoltura a luglio, la Commissione Ambiente dell’Europarlamento ha approvato la proposta di regolamento sulla riduzione dei rifiuti da imballaggio vietando, di fatto, l’utilizzo di confezioni monouso per frutta e verdura dal peso inferiore ad 1 kg. Questo voto sta facendo discutere e preoccupa il mondo produttivo dell’agroalimentare e, in particolare, le aziende della filiera di IV Gamma. Il Gruppo IV Gamma di Unione Italiana Food infatti sottolinea come questa proposta potrebbe avere un impatto fortemente negativo su un settore della IV gamma, che nel 2022 in Italia ha registrato un valore complessivo di 982 milioni di euro e dà lavoro a circa 30.000 persone, raggiungendo regolarmente ben 20 milioni di famiglie italiane.

I dati dimostrano il successo di una categoria di prodotti che risponde alle moderne esigenze nutrizionali, facilitando il consumo di frutta e verdura fresca e mettendola facilmente a disposizione dei consumatori e che, pertanto, andrebbe tutelata per la sua importanza nella promozione di abitudini alimentari salutari. Unione Italiana Food ha ripetutamente richiesto, a vari livelli, la modifica della proposta di regolamento, poiché ritiene che essa, chiedendo alle realtà produttive della IV Gamma di rinunciare agli imballaggi monouso dei propri prodotti, non tenga adeguatamente conto delle loro caratteristiche e necessità.

È fondamentale sottolineare che l’imballaggio, per la IV Gamma, svolge un ruolo fondamentale garantendo la sicurezza igienico-sanitaria e la qualità organolettica degli alimenti, preservandone i valori nutrizionali e prolungandone la conservazione e la shelf-life. Inoltre, le confezioni agevolano le operazioni di trasporto, garantendo l’integrità dei prodotti e consentendo una corretta comunicazione verso i consumatori. Infine, gli imballaggi contribuiscono a ridurre gli sprechi alimentari e a garantire un significativo risparmio di risorse, contribuendo anche a mitigare le emissioni di Co2 correlate.

Pur condividendo lo spirito e l’intento iniziale della proposta, Unione Italiana Food ricorda come, di fatto, non sia ancora stato ancora individuato un materiale che possa rappresentare una valida alternativa alla plastica per le confezioni di IV Gamma, né in termini di garanzia igieniche, né, tantomeno, in termini economici. Il settore ha investito e investe costantemente nella ricerca delle migliori soluzioni che consentano un effettivo riciclo dell’imballo. Già oggi la maggior parte delle confezioni di IV Gamma sono riciclabili e alcune realizzate con plastica riciclata. La decisione di vietare gli imballaggi monouso in plastica in modo indiscriminato, senza evidenze scientifiche, si tradurrebbe in gravi ripercussioni per tutta la filiera fino comportando da ultimo ulteriori costi per il consumatore in una situazione economica già difficile per le famiglie.

Proprio in considerazione di questi aspetti, l’invito del Gruppo IV Gamma di Unione Italia Food è quello di promuovere un confronto allargato ai diversi settori coinvolti nella decisione, per ottenere un cambio di posizione sul regolamento in vista della prossima votazione plenaria dell’Europarlamento sulla proposta prevista per metà novembre.

Ritirata dal commercio l’imitazione della cioccolata Pepitas Pernigotti

Pernigotti e Walcor hanno vinto un contenzioso legale per un’imitazione delle confezioni delle barre di cioccolato “Pepitas”. Il Tribunale di Roma ha infatti accolto le domande d’urgenza promosse dalle due società, recentemente acquisite da JP Morgan, contro un noto operatore italiano del settore dell’industria dolciaria accusato di aver prodotto e messo in commercio confezioni di barre di cioccolato con nocciole intere (rispettivamente di cioccolato fondente e di gianduia al latte) con una veste grafica confondibile con quella dei prodotti originali a marchio “Pepitas Pernigotti”.

Per questo motivo, con provvedimento in via cautelare, il giudice Laura Centofanti ha inibito all’operatore in questione l’uso delle confezioni dei prodotti dolciari oggetto di contestazione e di confezioni similari. Inoltre è stato ordinato il ritiro dal commercio dei prodotti recanti tale confezionamento e del relativo materiale promozionale. Per ogni prodotto eventualmente commercializzato, in violazione del provvedimento inibitorio, l’ordinanza impone anche una penale.

Pur in assenza di una contestuale contraffazione del marchio, il Tribunale di Roma ha ritenuto integrata la condotta anticoncorrenziale rispetto ai prodotti a marchio “Pepitas Pernigotti”. Il packaging del concorrente, secondo quanto concluso dal giudice Centofanti, presentava infatti caratteri di evidente similitudine e con caratteristiche del tutto analoghe, tali da far ritenere che costituisse un’imitazione servile e potesse creare confusione tra i rispettivi prodotti delle parti. Il provvedimento non è stato oggetto di reclamo nei termini di legge da parte dell’operatore coinvolto.

“Siamo naturalmente molto soddisfatti dall’esito di questo procedimento, che ha posto un freno alla condotta anticoncorrenziale perpetrata ai danni di Walcor e Pernigotti”, commenta Luigi Leonetti, direttore commerciale di Pernigotti e Walcor. “Anche per il futuro, la nostra strategia sarà di tutelare e difendere in ogni sede, sempre e ovunque, i nostri brand e asset commerciali, con tolleranza zero rispetto ad ogni tentativo di emulazione o plagio in Italia e all’estero”.

Scontro in tribunale tra Acqua Eva e Sant’Anna per diffamazione aggravata

Il caso è scoppiato pubblicamente pochi giorni fa e riguarda due realtà aziendali del cuneese, Acqua Sant’Anna di Vinadio, colosso dal volume d’affari pari a 320 milioni di euro, e Acqua Eva di Paesana, con 36 milioni di fatturato annui.

Come riportato dettagliatamente in un articolo a firma Matteo Borgetto apparso su La Stampa del 12 marzo, la vicenda comincia circa cinque anni fa, ad aprile 2018, quando sul sito www.mercatoalimentare.net, portale che si occupava di cibo e bevande ormai non più online, apparve un articolo in cui si avanzava l’ipotesi della presunta appartenenza del brand Acqua Eva alla nota catena di origine tedesca Lidl operante nel ramo Gdo. Bastarono poche settimane per far giungere la notizia ai clienti di Acqua Eva, azienda che in quel momento stava conoscendo una sensibile crescita in primis per un accordo stretto con Coop.

Pare sia stato proprio il responsabile di Coop Italia tra i primi a chiedere ragguagli al legale rappresentante di Acqua Eva, subissato presto di richieste da numerose altre catene di supermercati comprensibilmente stizzite: ogni ordine, se la notizia riportata da Mercato Alimentare fosse stata vera e acclarata, avrebbe alimentato gli introiti di un concorrente.

Nell’arco di breve tempo Acqua Eva vede azzerati gli ordini e assiste, senza poter fare granché, alla rottura di tanti rapporti commerciali intrapresi nei mesi precedenti, su tutti quello con la Red Circle Investments di Renzo Rosso, patron della Diesel, celebre brand di abbigliamento, intenzionato a fare ingresso nel comparto del beverage proprio in società con l’azienda di Paesana.

A quel punto Acqua Eva passa al contrattacco e partono le indagini che coinvolgono polizia postale, carabinieri e finanza. Il sito incriminato risulta essere intestato a una signora defunta nel 2011 ma ulteriori accertamenti portano a uno dei suoi nipoti, un giovane di Moncalieri ex studente alla Facoltà di Economia che collaborava con alcuni blog e aveva varato il portale Mercato Alimentare utilizzando una carta di credito di una banca del Lussemburgo a lui stesso intestata, e che percepiva un reddito da Mia Beverage, una controllata di Acqua Sant’Anna. Nell’arco di pochi mesi, dopo querela, l’articolo finisce offline e poi viene oscurato anche il sito stesso.

L’inchiesta va avanti: secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti, furono i vertici di Acqua Sant’Anna a fornire al giovane il testo della falsa inchiesta da pubblicare sul sito col preciso obiettivo di screditare Acqua Eva e ridurre il suo potenziale sul mercato per poi acquisirla a un prezzo assai ridotto rispetto a quello del valore di mercato. Un vero e proprio piano studiato nei minimi dettagli che verrà discusso e affrontato in un’aula di Tribunale, a Cuneo, il prossimo 22 settembre.

In relazione a questo caso, pochi giorni fa l’Ufficio Stampa Acqua Eva ha diffuso la seguente nota:

“Con riferimento alle recenti notizie di stampa, si conferma che avanti al Tribunale di Cuneo pende procedimento penale nei confronti del legale rappresentante e del direttore commerciale di Acqua Sant’Anna S.p.a., nonché di un ex dipendente della società Mia Beverage S.r.l., per i reati di turbata libertà dell’industria e del commercio e di diffamazione aggravata in danno di Fonti Alta Valle Po S.p.a.

In particolare, si contesta agli imputati di avere impiegato mezzi fraudolenti – l’attivazione, con lo specifico ed esclusivo scopo di screditare Acqua Eva, del sito web mercatoalimentare.net con dominio intestato a soggetto defunto e pagato con carta di credito estera – per diffondere sul mercato false informazioni in merito alla partecipazione azionaria di Fonti Alta Valle Po S.p.a., idonee a comprometterne i rapporti con la Grande Distribuzione Organizzata.

A fronte di tali sconcertanti fatti, la Società e i Soci si sono costituiti parte civile nel processo in corso al Tribunale di Cuneo – con l’assistenza degli avvocati Nicola Menardo e Federico Canazza – ed hanno ottenuto la citazione delle società Acqua Sant’Anna S.p.a. e Mia Beverage S.r.l. quali responsabili civili per i gravissimi danni derivanti dalle condotte contestate agli imputati.”

Prodotti biologici fake, FederBio applaude all’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere

Da sempre al fianco delle forze dell’ordine per combattere le truffe nel biologico, FederBio ringrazia la Procura di Santa Maria Capua Vetere, gli investigatori della Guardia di Finanza e dell’ICQRF del MASAF per la recente operazione che ha consentito di scoprire una rilevante frode nella commercializzazione di prodotti falsamente dichiarati biologici. L’indagine comprende note aziende, al momento sono sette le persone indagate, per cui sono scattate le misure cautelari. Otto le realtà coinvolte con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al falso ideologico e alla frode aggravata.

La più importante organizzazione del biologico italiano sottolinea che, se confermata, l’inchiesta può consentire di fare pulizia in comparti agroalimentari tipici del Made in Italy come le conserve a base di pomodoro e le mandorle.

Da anni FederBio è parte attiva nel segnalare alle autorità competenti situazioni a rischio frode, in particolare in alcuni comparti e territori critici come quelli che sono stati oggetto delle indagini da parte della Procura di Santa Maria Capua Vetere. La Federazione propone soluzioni concrete per migliorare il sistema dei controlli che integrano le moderne tecnologie digitali per garantire un monitoraggio, preciso e in tempo reale, delle tecniche di produzione e una vera tracciabilità anche nel caso di filiere complesse.

“In questa delicata situazione congiunturale, in cui anche il mercato dei prodotti biologici risente delle difficoltà delle famiglie italiane è ancora più importante garantire la massima trasparenza e rassicurare i consumatori sul rigore con cui vengono scoperti e perseguiti coloro che frodano – sottolinea Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio -. Episodi come questi nel casertano costituiscono un grave danno di concorrenza sleale per tutti i produttori biologici onesti, pregiudicando anche i cittadini che scelgono un’alimentazione sostenibile a base di prodotti bio. Recentemente abbiamo sollecitato il Governo affinché dia attuazione alla delega sulla riforma del sistema di certificazione dei prodotti biologici, e questa indagine dimostra come non ci sia più tempo da perdere”.

Farina di grillo negli alimenti, gli scettici dovranno ricredersi

Come annunciato pochi giorni fa, l’Unione Europea ha dato il via libera all’uso della polvere sgrassata di acheta domesticus (il comune grillo) che potrà essere utilizzata nei prodotti alimentari e arriverà sugli scaffali dei nostri supermercati.

Cinque anni fa solo in pochi si sarebbero immaginati che questo potesse succedere per davvero: come confermava una ricerca BVA Doxa per Rentokil, azienda specializzata nel monitoraggio e controllo degli infestanti, quasi il 60% degli italiani pensava che gli insetti non sarebbero mai stati accettati come alimenti in Italia.

Il novel food, che porta sulle nostre tavole nuovi alimenti tra cui insetti e aracnidi come cavallette, grilli, coleotteri, bruchi e scorpioni, era visto come un’ipotesi non percorribile sulle nostre tavole e il pensiero di trovare su uno scaffale o nel banco frigo un prodotto a base di insetti suscitava una reazione di disgusto nel 63% degli intervistati. Percentuale in linea anche nel caso dei ristoranti: trovare un piatto nel menù a base d’insetti non sarebbe stato gradito al 60% dei rispondenti.

La tanto discussa sicurezza alimentare era un elemento che già preoccupava gli italiani cinque anni fa. Il 73% degli italiani infatti pensava che la produzione degli stessi richiederebbe maggiori attenzioni in termini di sicurezza alimentare e pratiche igieniche, e il 55% era molto preoccupato dal punto di vista sanitario per le pratiche che possano essere utilizzate o meno nella lavorazione degli insetti ad uso alimentare.

Quello che era considerato il cibo del futuro è ormai diventato realtà e la rivoluzione nel piatto ha decisamente avuto una spinta importante. Sarà il tempo a dire se gli italiani si ricrederanno e come risponderanno a questi nuovi trend alimentari.

Ci sta diventa Società Benefit. Obiettivo 2022? BCorp con Lexant e Nativa

Ci Sta, pizzeria 100% italiana nata dall’idea del manager italiano Nico Grammauta, protagonista nel settore del food retail, promette una rapida espansione in Italia con un approccio etico e sostenibile.

Guidata in questo percorso dall’avv. Simona Cardillo di Lexant, con il supporto dello studio notaio Pantè, la società titolare del brand Ci sta ha scelto di trasformarsi in Società Benefit, modificando il proprio statuto ed assumendo formalmente l’impegno a creare valore non solo per gli azionisti, ma per tutti tutti i propri stakeholders, comunicando con trasparenza e responsabilità l’impegno assunto secondo la normativa introdotta con legge 208/2015 (Legge di stabilità 2016). Inoltre ha  ottenuto la certificazione da parte di B Lab, l’ente internazionale di certificazione che valuta i criteri prestabiliti di selezione.

Quanto ai prossimi obiettivi, la società ha le idee chiare: supportata da Lexant e da Nativa, punta a diventare BCorp entro il 2022.

Tutto questo si traduce in un impegno con e per il futuro: il manifesto di Ci Sta oggi vede definite le parole e gli obiettivi che rappresenteranno l’insegna nei prossimi mesi: riduzione dell’impatto ambientale  (attraverso la massimizzazione dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili o a basso impatto rispetto alle alternative di mercato), contrasto allo spreco di cibo, valorizzazione delle eccellenze agro-gastronomiche italiane e valorizzazione del territorio, supporto a organizzazioni impegnate in attività di beneficenza a favore della comunità, e in particolare di categorie di persone in difficoltà o svantaggiate, promozione del talento individuale come fondamento di una cultura che incoraggia il lavoro di squadra. In poche parole: ambiente, territorio, filiera, persone, comunità, prodotto.

“In qualità di Società Benefit Ci Sta intende perseguire una o più finalità di beneficio comune e operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Il nostro sogno, al quale lavoriamo con dedizione, è raggiungere la certificazione di B Corp nel corso del 2022”- conclude Nico Grammauta.

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