Come annunciato pochi giorni fa, l’Unione Europea ha dato il via libera all’uso della polvere sgrassata di acheta domesticus (il comune grillo) che potrà essere utilizzata nei prodotti alimentari e arriverà sugli scaffali dei nostri supermercati.
Cinque anni fa solo in pochi si sarebbero immaginati che questo potesse succedere per davvero: come confermava una ricerca BVA Doxa per Rentokil, azienda specializzata nel monitoraggio e controllo degli infestanti, quasi il 60% degli italiani pensava che gli insetti non sarebbero mai stati accettati come alimenti in Italia.
Il novel food, che porta sulle nostre tavole nuovi alimenti tra cui insetti e aracnidi come cavallette, grilli, coleotteri, bruchi e scorpioni, era visto come un’ipotesi non percorribile sulle nostre tavole e il pensiero di trovare su uno scaffale o nel banco frigo un prodotto a base di insetti suscitava una reazione di disgusto nel 63% degli intervistati. Percentuale in linea anche nel caso dei ristoranti: trovare un piatto nel menù a base d’insetti non sarebbe stato gradito al 60% dei rispondenti.
La tanto discussa sicurezza alimentare era un elemento che già preoccupava gli italiani cinque anni fa. Il 73% degli italiani infatti pensava che la produzione degli stessi richiederebbe maggiori attenzioni in termini di sicurezza alimentare e pratiche igieniche, e il 55% era molto preoccupato dal punto di vista sanitario per le pratiche che possano essere utilizzate o meno nella lavorazione degli insetti ad uso alimentare.
Quello che era considerato il cibo del futuro è ormai diventato realtà e la rivoluzione nel piatto ha decisamente avuto una spinta importante. Sarà il tempo a dire se gli italiani si ricrederanno e come risponderanno a questi nuovi trend alimentari.
Ci Sta, pizzeria 100% italiana nata dall’idea del manager italiano Nico Grammauta, protagonista nel settore del food retail, promette una rapida espansione in Italia con un approccio etico e sostenibile.
Guidata in questo percorso dall’avv. Simona Cardillo di Lexant, con il supporto dello studio notaio Pantè, la società titolare del brand Ci sta ha scelto di trasformarsi in Società Benefit, modificando il proprio statuto ed assumendo formalmente l’impegno a creare valore non solo per gli azionisti, ma per tutti tutti i propri stakeholders, comunicando con trasparenza e responsabilità l’impegno assunto secondo la normativa introdotta con legge 208/2015 (Legge di stabilità 2016). Inoltre ha ottenuto la certificazione da parte di B Lab, l’ente internazionale di certificazione che valuta i criteri prestabiliti di selezione.
Quanto ai prossimi obiettivi, la società ha le idee chiare: supportata da Lexant e da Nativa, punta a diventare BCorp entro il 2022.
Tutto questo si traduce in un impegno con e per il futuro: il manifesto di Ci Sta oggi vede definite le parole e gli obiettivi che rappresenteranno l’insegna nei prossimi mesi: riduzione dell’impatto ambientale (attraverso la massimizzazione dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili o a basso impatto rispetto alle alternative di mercato), contrasto allo spreco di cibo, valorizzazione delle eccellenze agro-gastronomicheitaliane e valorizzazione del territorio, supporto a organizzazioni impegnate in attività di beneficenza a favore della comunità, e in particolare di categorie di persone in difficoltà o svantaggiate, promozione del talento individuale come fondamento di una cultura che incoraggia il lavoro di squadra. In poche parole: ambiente, territorio, filiera, persone, comunità, prodotto.
“In qualità di Società Benefit Ci Sta intende perseguire una o più finalità di beneficio comune e operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Il nostro sogno, al quale lavoriamo con dedizione, è raggiungere la certificazione di B Corp nel corso del 2022”- conclude Nico Grammauta.
“Sostenibilità riflesso di un modello imprenditoriale di successo”: un’opportunità per l’impresa turistica che fa bene al mondo: questo il tema del ciclo di incontri organizzato dall’avv. Simona Cardillo di Lexant, con la partecipazione di Nativa, White & Partners, The Oceancy.
Nel corso dei due appuntamenti (previsti il 20/05/2021 e il 27/05/2021, dalle 17.00 alle 19.00) verrà inquadrato il fenomeno della sostenibilità nel mondo del turismo, un settore in cui la valorizzazione di temi ambientale, sociale e culturale rappresenta lo strumento per offrire un prodotto turistico capace di rispondere alle istanze del mercato.
Verrà illustrato quale sia il percorso verso la trasformazione in Società Benefit e la certificazione BCorp e, grazie al prezioso contributo di autorevoli relatori, così aprirà un confronto su quali possano essere le forme di creazione di valore volte alla tutela di oceani e ambiente, ma anche alla valorizzazione della comunità, della cultura e delle tradizioni.
Cosa sono Società Benefit e BCorp, in cosa consiste il beneficio comune, quali sono gli oneri e quali i vantaggi concreti, in termini reputazionali ma anche economici, che ne derivano?
In un mercato in cui tutti gli stakeholders sono sempre più interessati e condizionati nelle proprie scelte dall’espressione di valori di sostenibilità, sicurezza, etica e trasparenza, lo strumento della Società Benefit e della Certificazione BCorp suscita grande interesse.
L’argomento sarà oggetto della Tavola Rotonda Virtuale organizzata da Lexant il prossimo 18 novembre (dalle 17 alle 18), nella quale interverranno l’Avv. Simona Cardillo (Senior Associate Lexant), il Dott. Francesco Dori (Partner Studio Alfuor) e il Dott. Fabrizio Fujani (TUV Rheinald). Evento moderato dalla Dott.ssa Federica Silvestri (Business coach).
La partecipazione all’evento è gratuita, ad invito.
Per informazioni: info@cseventi.com
+39 3470043601
Segreteria organizzativa Dott.ssa Nicoletta Oberto
Club Lexant by Academy ASK
L’ultimo DPCM del 24 ottobre 2020 (pubblicato in Gazzetta ufficiale il 25 ottobre) ha stabilito la chiusura al pubblico, dalle ore 18.00, dei servizi di ristorazione (bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, ecc), consentendo a tali soggetti, oltre tale orario, la possibilità a svolgere ristorazione con consegna a domicilio e con asporto, a condizione è che l’esercente operi tali attività “nel rispetto delle norme igienico-sanitarie”.
Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Ce lo spiega l’avvocato Simona Cardillo dello Studio Lexant.
“Per chiarire meglio l’argomento – dice Cardillo – vale la pena di soffermarsi su quali siano le norme igienico-sanitarie e le buone prassi da rispettare, prendendo in considerazione i protocolli pubblicati dal Ministero della Salute ed altri Enti con lo scopo di fornire istruzioni utili a ridurre il rischio di trasmissione del virus tra dipendenti, fornitori, addetti alle consegne e consumatori, considerando anche stoviglie e contenitori”.
Cominciamo dai LOCALI: quali le regole?
Qui devono essere sempre garantite le distanze di sicurezza tra i dipendenti distanziando le postazioni di lavoro, modificando i turni per ridurre il numero di persone presenti contemporaneamente negli ambienti dove si prepara il cibo al fine di ridurre al minimo gli eventuali contatti lungo la linea di produzione. Gli utensili e le superfici della cucina devono essere igienizzati con frequenza straordinaria.
E i per i LAVORATORI, quali accorgimenti?
Essi devono essere sensibilizzati sulla necessità di adottare misure igieniche più stringenti e devono essere formati sulle nuove procedure (non toccare il volto, lavare le mani più spesso del solito, ecc). Per garantire la sicurezza dei dipendenti, soprattutto laddove non sia possibile garantire il distanziamento, i datori di lavoro devono fornire appositi dispositivi di protezione, quali mascherine, camici monouso, sovra-scarpe e prodotti igienizzanti, assicurandosi del loro efficace utilizzo. Il datore di lavoro deve avvertire il proprio personale affinché, in presenza di sintomi simili all’influenza, resti a casa e immediatamente sospenda l’attività lavorativa.
Laddove possibile ed utile, ad esempio in ragione del numero elevato di dipendenti, il datore di lavoro dovrebbe identificare una persona preposta a fornire ogni opportuno chiarimento al personale in merito alle procedure adottate.
Per informazioni di carattere scientifico-sanitario sarà opportuna la collaborazione di un medico competente (il Garante per la PRIVACY ha chiarito che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa. Tuttavia, il Garante ha ricordato però che resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.)
Come regolarsi durante laPREPARAZIONE DEL CIBO?
Come sempre, deve essere mantenuta una rigida separazione tra gli alimenti crudi e cotti, e tra utensili usati per gli uni o gli altri, per evitare contaminazioni. Il Sars-Cov-2, come gli altri coronavirus, è sensibile alle alte temperature, quindi un’accurata cottura degli alimenti (almeno 70°C al cuore del prodotto) ne assicura la distruzione. Se però non viene rispettata la separazione tra crudo e cotto, il cibo bonificato dalla cottura può essere ricontaminato.
Quali le regole per i FORNITORI?
i locali devono limitare il più possibile l’accesso a persone esterne e il contatto tre queste e i dipendenti, ad esempio prevedendo fasce orarie in cui possono essere eseguite le consegne delle materie prime, evitando, quando possibile, la discesa degli autisti dai furgoni e trasmettendo la documentazione di trasporto via e-mail.
E veniamo al DELIVERY: come va gestito?
Nella gestione dell’attività di DELIVERY, deve essere mantenuta una separazione dei locali di preparazione del cibo da quelli destinati al ritiro da parte dei fattorini, e devono essere utilizzati zaini o contenitori termici per rispettare la temperatura di conservazione in sicurezza del cibo. Gli alimenti da consegnare devono essere confezionati in contenitori adeguati, con un’etichetta con la descrizione del prodotto, il destinatario e i riferimenti del locale. Non si deve infatti dimenticare il divere di rispetto dei requisiti di rintracciabilità dell’alimento sino alla tavola del consumatore.
Il trasporto dovrà avvenire nel rispetto di legame caldo e legame freddo dell’alimento, attraverso utilizzo di contenitori alimentari isotermici che conservano i prodotti alimentari ad una temperatura adeguata e dovrà essere offerto verificando:
che i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori utilizzati per il trasporto di alimenti siano sempre puliti ed a tenuta per prevenire eventuali contaminazioni da prodotti danneggiati
che i contenitori siano frequentemente sottoposti a manutenzione e lavaggio per evitare eventuali rischi di contaminazione
che i contenitori isotermici siano integri (assenza di buchi, crepe, ecc) ed ermetici (perfetta chiusura)
che il trasporto sia fattibile in termini di distanze da percorrere.
Per quanto attiene poi al caso specifico del DELIVERY ATTRAVERSO RIDERS, il ristoratore deve accertarsi che il personale che effettua il trasporto abbia tutte le competenze per svolgere in sicurezza l’attività e che il trasporto degli alimenti e la consegna di questi al domicilio del cliente avvenga nel rispetto delle regole indicate in generale per il servizio di Delivery di cui al punto precedente.
Ultima fase: la CONSEGNA AL DOMICILIO, come gestirla?
Deve essere sempre effettuata in sicurezza, mantenendo sempre la distanza di almeno un metro e chiedendo al consumatore, al momento dell’ordine, di ricevere il fattorino indossando una mascherina, nel caso di pagamento alla consegna. Se possibile, preferire il pagamento on-line così potendo prevedere che la consegna venga effettuata lasciando il cibo davanti alla porta del destinatario, che uscirà a ritirarlo solo quando il fattorino si sarà allontanato.
Avv. Simona Cardillo Senior Associate
Via Pietro Cossa n. 2 – 20122 Milano (MI)
Mail: simona.cardillo@lexant.it
Skype: Cardillo Studio Lexant
www.lexant.it
L’attuale struttura della filiera alimentare è spesso estremamente complessa e caratterizzata da un forte distanziamento tra produzione e consumo, con una sempre più rilevante componente di manipolazione, lavorazione, confezionamento e conservazione degli alimenti.
Trasparenza informativa e tracciabilità sono indispensabili per garantire alimenti sani e sicuri, in ogni fase della catena alimentare, a maggior ragione dell’attuale contesto di crisi di fiducia da parte dei consumatori, che richiedono maggiore controllo, trasparenza e sicurezza del cibo.
Ecco allora emergere due concetti di estrema rilevanza, tra loro strettamente connessi: tracciabilità e rintracciabilità, in merito ai abbiamo chiesto all’avvocato Simona Cardillo dello studio Lexant un approfondimento.
“La tracciabilità – spiega Cardillo – è la capacità di tenere traccia dei vari passaggi subiti da un prodotto alimentare all’interno della filiera, a partire dalla produzione, sino alla distribuzione. La rintracciabilità, secondo la definizione del reg. CE 178/2002, è “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”.
Si tratta di due concetti tra loro speculari: rintracciabilità vuol dire poter effettuare il percorso a ritroso e risalire all’origine di un prodotto utilizzando le informazioni che si erano registrate con la tracciabilità”.
La rintracciabilità ha dunque come obiettivo finale quello di consentire al produttore e agli organi di controllo di gestire e controllare eventuali situazioni di rischio per la salute, attraverso la piena conoscenza di tutte le fasi della catena alimentare, sino alla tavola del consumatore, compresa la fase della vendita al dettaglio (alimentari, salumerie, etc..), della somministrazione (ristoranti, rosticcerie, pub, etc..), dell’homedelivery.
Fatte queste premesse, quali saranno responsabilità e obblighi dell’OSA (Operatore del Settore Alimentare)?
L’OSA in qualsiasi fase esso operi, potrà esser chiamato dagli enti preposti a documentare e “rintracciare” ciascun fornitore ed il lotto di provenienza dello specifico alimento oggetto di controllo. Sarà dunque utile che preveda un adeguato sistema di controllo, mediante
l’adozione di un registro nel quale annoterà l’elenco dettagliato di tutti i fornitori ed i riferimenti circa il ricevimento, la conservazione e la trasformazione degli alimenti;
la definizione di buone pratiche di lavorazione degli alimenti, che prevedano anche cicli accurati di pulizia e manutenzione dei locali e delle attrezzature;
la programmazione di una idonea formazione al personale;
la creazione di procedure, preferibilmente scritte, di verifica dell’integrità degli imballaggi ricevuti, della data di scadenza, della certificazione sulla temperatura di trasporto e della corretta etichettatura specifica del prodotto, laddove prevista.
la previsione, infine, di procedure di intervento che prevedano la segnalazione al fornitore della eventuale criticità riscontrata, con richiesta di ritiro della merce non conforme e la separazione del prodotto contestato da quelli idonei al consumo.
In che modo l’operatore garantirà la rintracciabilità?
In primis, acquistando le materie prime alimentari solo da fornitori dei quali avrà avuto cura di verificare che rispondano ai requisiti imposti dalle norme HACCP e rispettino, a loro volta, i principi di rintracciabilità; dovrà poi conservarele etichette dei prodotti freschi acquistati e archiviare la DDT o fattura accompagnatoria di acquisto del prodotto e documenti contrattuali.
Per quanto tempo si dovranno conservare le informazioni utili alla rintracciabilità?
3 mesi in caso di prodotti freschi (es. panetteria, ortofrutticoli, ecc)
6 mesi dalla data di conservazione del prodotto deperibile, per i prodotti “da consumarsi entro il…”
12 mesi successivi alla data di conservazione consigliata, per i prodotti “da consumarsi preferibilmente entro il…”
2 anni per i prodotti per i quali non è prevista dalle norme vigenti l’indicazione del termine minimo di conservazione, né altra data.
Concludendo – riassume Cardillo – l’OSA, con la predisposizione di adeguate procedure di scelta dei fornitori, di gestione, controllo e intervento, con la tenuta meticolosa del registro sopra descritto e con una adeguata archiviazione dei documenti, potrà dimostrare di aver soddisfatto l’obbligo di sicurezza e di rintracciabilità degli alimenti, andando esente da pensanti sanzioni e dalle, ancora più temute, conseguenze reputazionali e di immagine di un eventuale accertamento d’infrazione.
Food e-Commerce e Food Delivery
Il Rapporto Coop 2020, e già quello 2018, attestano consumi sempre più digitali con forte crescita dell’e-commerce, del meal delivery, dell’e-food / e-grocery / click&collect.
La crescente diffusione dell’e-commerce anche nel mondo del Food, impone nuove sfide nella gestione dei servizi logistici che dovranno essere studiati ad hoc a seconda della tipologia di alimento o di bevanda e del canale distributivo (ad esempio garantendo l’opportuna conservazione dei prodotti freschi e freddi, rispettando le temperature della cold chain) e per la necessità di garantire trasparenza di informazioni sul prodotto.
Si tratta, nel caso del contratto di acquisto attraverso e-commerce, di un contratto di compravendita a distanza, nel quale l’obbligazione contrattuale viene formalmente conclusa attraverso internet, e la consegna del prodotto avviene poi fisicamente in un momento successivo.
Quale normativa regola il settore?
Nello specifico, il settore Food trova regolamentazione nel Reg.1169/2011[1], che stabilisce, in tema di trasparenza informativa che, per l’alimento venduto tramite una “comunicazione a distanza”, le informazioni obbligatorie presenti sull’etichetta debbano essere rese disponibili al consumatore per tempo utile, ossia prima che la vendita sia conclusa e si perfezioni. Non solo, le stesse informazioni devono essere visibili anche su qualsiasi materiale che sia collegato alla vendita a distanza, supportandola.
In materia di trasparenza informativa, nel contesto della vendita a distanza di alimenti, la normativa europea distingue tra la vendita di “prodotti preimballati” e quella dei “prodotti non preimballati”, ovvero i c.d. “sfusi”.
Se la vendita a distanza concerne alimenti imballati, tutte le indicazioni obbligatorie devono essere trasmesse al consumatore prima della conclusione dell’acquisto del prodotto.
Quali informazioni devono essere trasmesse al consumatore?
Egli, nello specifico, dovrà essere messo nella condizione di apprendere consapevolmente, prima dell’acquisto:
denominazione dell’alimento;
elenco degli ingredienti;
allergeni;
quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
quantità netta;
condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;
nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile che commercializza il prodotto;
Paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto ai sensi dell’art. 26;
istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;
dichiarazione nutrizionale.
Invece, la data di scadenza, o il termine minimo di conservazione (T.M.C.) ed il numero di lotto vanno comunicati al momento della consegna e, perciò, contestualmente alla fornitura dell’alimento e non prima dell’acquisto.
E con gli alimenti sfusi?
In questo caso il regolamento lascia ai singoli Stati la scelta su come disciplinare la vendita con tecniche di comunicazione a distanza, affinché lo Stato possa decidere quali indicazioni o meno debbano essere trasmesse; con un’unica eccezione in ordine agli allergeni che devono essere sempre indicati.
Nel Food Delivery, che può realizzarsi secondo modalità differenti (mediante utilizzo di piattaforme terze o con rete di consegna diretta), il trasporto è regolamentato da una norma decisamente datata, la direttiva 327/80, che indica i requisiti di riferimento per dell’idoneità igienico-sanitaria dei mezzi di trasporto di sostanze alimentari in generale. Si tratta di una norma generica a proposito dell’obbligo di igiene che deve accompagnare l’alimento, e della temperatura delle sostanze alimentari durante il questa fase.
La rintracciabilità vale anche per il food delivery?
Certo: per quanto attiene poi nello specifico la rintracciabilità, non sono certamente esclusi dall’obbligo le fasi del fooddelivery. Ristoratore, somministratore, rivenditore, così come la società di delivery (se terza rispetto ai primi), dovranno allora adottare adeguati sistemi di controllo anche in relazione a tale fase, monitorando il rispetto delle linee guida di sicurezza alimentare definite dal Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e tracciando l’alimento sino alla tavola del consumatore.
Fino ad ora abbiamo parlato di alimenti, ma esisto delle regole anche per i materiali che vengono in contatto con essi?
Naturalmente. Nel caso dei MOCA, ovvero tutti quegli oggetti che durante la filiera entrano in contatto con gli alimenti (packaging, utensili, posate, tappi…) sino alla fase di consegna al consumatore, va tenuto conto della loro interazione con al natura dell’alimento. Non tutti i packaging, per esempio, sono adatti a contenere cibi grassi, o acidi, o umidi: reagiranno in maniera diversa in funzione della loro composizione. Stesso discorso nei confronti della luce, e della temperatura: non tutti i MOCA sono adatti ad entrare in contatto con alimenti a temperature di refrigerazione oppure a temperature elevate.
Sarà quindi dovere del professionista, sul quale incombe la relativa responsabilità, accertarsi che l’oggetto acquistato sia idoneo all’uso alimentare e di verificarne le caratteristiche di utilizzo. La fornitura delle indicazioni di accompagnamento al MOCA è invece responsabilità del produttore dello stesso, all’atto della loro commercializzazione, mediante etichetta o altro mezzo di comunicazione. Tra le informazioni obbligatorie rientrano la denominazione “per alimenti” o altra menzione specifica, le indicazioni di utilizzo e i contatti del produttore.
[1] La vendita a distanza è disciplinata dal Reg. 1169/2011, all’art. 14, prevalendo sulle disposizioni generali previste dalla Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori (c.d. direttiva consumatori), recepita in Italia con D.Lgs. 21/2014.
Avv. Simona Cardillo Senior Associate
Via Pietro Cossa n. 2 – 20122 Milano (MI)
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La recente situazione emergenziale ha avuto, e sta avendo, un impatto dirompente sui mercati e sull’economia, ed ha messo in discussione il ruolo stesso dell’impresa, che necessariamente dovrà evolversi per assecondare nuovi valori.
La pandemia sta, infatti, cambiando per primi i consumatori, non solo nei loro parametri di revisione della spesa, ma li sta portando ad una maggior attenzione negli acquisti, basati oggi anche sull’etica e sulla trasparenza dell’imprenditore.
Questo vale in tutti i settori di mercato e, con particolare forza, in quello agro-alimentare, nel quale la tutela di ambiente, sicurezza, tradizione e forza lavoro rappresenta uno dei primi criteri di scelta e determinazione all’acquisto.
Il Rapporto Coop 2020, rimanendo nel settore alimentare (ma lo stesso vale per altri settori, quali quello della cosmetica e del fashion), ha messo in evidenza come, complice la paura per la propria salute, sia aumenta l’attitudine alla sicurezza, più che all’economicità del prodotto.
In tale contesto, sempre crescente è allora l’interesse delle Aziende verso la possibilità di convertirsi in una Società Benefit (anche dette B Corp, seppur i due termini non corrispondano esattamente, come vedremo in seguito), al fine di aumentare la reputazione aziendale e quindi la propria capacità attrattiva.
Peraltro, come vedremo in seguito, le SB (Società Benefit) sono oggi incentivate anche grazie all’ultimo Decreto Rilancio, che ha stanziato un fondo specifico edha riconosciuto il credito di imposta al 50% per la costituzione o la trasformazione inSocietà Benefit.
Per fare un po’ di chiarezza sulla natura di tale ‘nuova’ forma giuridica, sulle sue caratteristiche, modalità di costituzione e di gestione, abbiamo interpellato l’avvocato Simona Cardillo dello studio Lexant.
“Prima di tutto – precisa Cardillo – è bene chiarire che costituire o convertirsi in una Società Benefitnon vuol dire rinunziare al profitto, bensì adottare strutturalmente un nuovo approccio al business che sia finalizzato anche alla creazione di valore condiviso nel lungo termine (in ambito sociale, umano, culturale, ambientale, ecc..)”
Può spiegarci cosa sono le Società Benefit?
Il modello societario della Società Benefit, nato nel 2010 negli USA con il nome di Benefit Corporation, è stato recepito in Italia a partire dall’inizio del 2016 quando il nostro ordinamento ne ha riconosciuto lo status giuridico mediante l’introduzione dell’art. 1, commi 376-383 e allegati 4 – 5 della legge n. 208/2015 (“Legge di Stabilità 2016”). Si tratta di una nuova forma giuridica d’impresa for profit che aggiunge nel proprio oggetto sociale, alla finalità di profitto, la formale finalità di distribuzione di valore condiviso, che viene configurato come un obbligo di natura statutaria. La legge del 28 dicembre 2015 (Legge di Stabilità 2016), al comma 376 definisce le Società Benefit come aziende che:
“nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse”.
La SB dovrà garantire il costante bilanciamento tra l’interesse economico e quello della collettività, nominando un responsabile interno e stilando una relazione d’impatto annuale, attraverso la quale condividere con il pubblico le azioni svolte e gli impegni per il futuro.
Come funziona questo strumento?
Con la relazione d’impatto (da allegare al bilancio e pubblicare sul sito aziendale) la SB misura annualmente il proprio impatto sociale, ambientale ecc, per poi certificarlo e mostrarlo a consumatori e investitori. È un documento necessario per soddisfare il requisito imprescindibile di trasparenza, deve essere stilato da un ente esterno e deve contenere:
descrizione degli obiettivi, delle modalità e delle azioni messe in atto per perseguire le dichiarate finalità di beneficio comune;
valutazione dell’impatto generato, utilizzando lo standard di valutazione esterno, come descritto nell’allegato 4 della legge 28 dicembre 2015, e le aree di valutazione identificate nell’allegato 5 della stessa.
descrizione dei nuovi obiettivi che la Società Benefit intende perseguire nel corso dell’esercizio successivo.
Sono disponibili diversi standard di riferimento per redigere la propria relazione d’impatto (oggi uno dei maggiormente accreditati è il B Impact Assessment (BIA), sviluppato dall’ente non-profit B Lab).
Le Società Benefit hanno specifiche responsabilità?
In Italia è richiesto dalla legge che tutte le Società Benefit nominino un “responsabile dell’impatto” il quale è responsabile, assieme al management, di assicurare che la società persegua il proprio scopo dichiarato di Beneficio Comune.
In una SB sono gli azionisti a determinare se essa abbia raggiunto un impatto significativo positivo. Questa prerogativa discende dal fatto che agli azionisti è riconosciuto un diritto privato di azione, detto benefit enforcement, che si può esercitare per far rispettare la mission aziendale, qualora l’azienda non sia riuscita a perseguire gli obiettivi prefissati. In caso di controversia spetterà poi al Tribunale determinare se sia stato effettivamente ottenuto l’impatto positivo, o meno.
Inoltre, se la società non fornisce adeguata trasparenza o se emergono irregolarità nei modelli di misurazione, scatta un regime sanzionatorio che è quello in materia di pubblicità ingannevole e del Codice del consumo, il quale si aggiunge alla, forse ancora più temuta, perdita di reputazione e di fiducia da parte del mercato.
Quali tipi di società possono diventare Società Benefit?
Secondo la specifica normativa sulle Società Benefit tutti i tipi societari previsti dal Codice civile (SNC, SAS, SPA, SRL, …) possono utilizzare il modello della SB modificando il proprio atto costitutivo/statuto, inserendo nell’oggetto sociale gli scopi di beneficio comune generale (operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti degli stakeholder) e specifico (il perseguimento una o più specifiche finalità di beneficio comune) previsti dalla legge.
Come si introduce la denominazione di una Società Benefit nella ragione sociale?
Oltre alle normali regole di denominazione applicate alle altre società, il comma 379 della legge istitutiva delle Società Benefit (L. 208/2015) prevede che la Società Benefit possa introdurre, accanto alla denominazione sociale, le parole «Società benefit» o l’abbreviazione «SB» (es. “Nomesocietà Srl Società Benefit”, “Nomesocietà Srl SB”, “Nomesocietà SpA Società Benefit”, “Nomesocietà SpA SB”) e utilizzare tale denominazione nei titoli emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi. Si tratta di un elemento di grande impatto in termini di promozione dell’immagine aziendale, permettendo di rendere immediatamente riconoscibile a tutti gli stakeholders la scelta operata.
Ne aveva accennato all’inizio, quale differenza c’è tra Società Benefit e B-Corp Certificata?
Non bisogna fare confusione tra Società Benefite B Corp® Certificata. Lo status di Società Benefit è una forma giuridica, mentre la B-Corporation (o B Corp®) è una certificazione.
Non è necessario, per essere una Società Benefit, essere necessariamente certificati B-Corp, né viceversa è necessario per ottenere la certificazione B-Corp essere una Società Benefit.
In merito a quest’ultimo punto, è bene precisare che in Italia le B Corp® certificate debbono, entro alcuni (2-3) anni dalla certificazione, necessariamente trasformarsi in Società Benefit per mantenere la certificazione stessa.
Quali sono i vantaggi di diventare una Società Benefit?
L’art. 38-ter della legge di conversione del Decreto Rilancio, che ha ottenuto il via libera definitivo dal Senato il 16 luglio 2020, al fine di sostenere il rafforzamento, nell’intero territorio nazionale, del sistema delle Società Benefit, riconosce un contributo sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50 per cento per abbattere i costi di costituzione o trasformazione in Società Benefitsostenuti a decorrere dalla data di entrata in vigore (19 luglio 2020) della legge di conversione del decreto al 31 dicembre 2020.
Potranno usufruire del credito d’imposta tutti i soggetti che sostengono le spese per costituire o trasformarsi in una società benefit, regolata dall’articolo 1, commi 376 e seguenti, della legge di Bilancio 2016 (Legge n. 208/2015).
Ulteriore intervento a favore delle Società Benefit è quello previsto nel Decreto Legge fiscale (emendamento all’art. 49 del DDL 2220 “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”), il quale prevede che le SB (e in generale tutte le imprese che opereranno in modo trasparente e responsabile, anche senza la qualifica giuridica di Società Benefit) potranno vedersi riconosciuta una premialitànei bandi pubblici.
Per concludere, qual è oggi lo stato dell’arte delle Società Benefit?
Il legislatore italiano è stato certamente all’avanguardia in quanto attualmente il nostro Paese è l’unico europeo ad aver disciplinato la figura delle Società Benefit. Va, però, precisato che purtroppo attualmente non sono state introdotte le agevolazioni fiscali necessarie per stimolare davvero lo sviluppo di tale forma giuridica, la quale deve ‘accontentarsi’ del proprio valore in termini di immagine, reputazione ed appeal commerciale.
L’assenza di incentivi economici e fiscali è legata alla volontà del legislatore di disincentivare quelle condotte meramente abusive, finalizzate all’intento di conseguire un regime fiscale più favorevole ma prive di una reale volontà di concretizzazione degli obiettivi di beneficio comune.
Probabilmente tale atteggiamento sarà superato nel prossimo futuro, come già dimostra la il Decreto rilancio con la specifica previsione di incentivi per le Società Benefit.
Sta di fatto che già la sola valenza reputazionale da spendere sul mercato rende questa forma giuridica economicamente appetibile per le aziende, soprattutto in quei settori di mercato nei quali gli stakeholder premiano le scelte di trasparenza, responsabilità e sostenibilità. Su tutti, certamente, il settore del Food&Beverage, in tutte le sue forme, dalla produzione, alla distribuzione, alla somministrazione, ma anche il settore della cosmetica, della moda e del lusso.
Avv. Simona Cardillo Senior Associate
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