Pagamenti: l’ultimo step del processo d’acquisto non è certo il preferto dai consumatori.
E non solo per la sensazione (poco gradevole) di veder alleggerire il proprio portafoglio. Quello che non piace (a dirlo una recente ricerca di Barclays) è specialmente l’attesa. Vissuta con insofferenza dall’85% del campione.
Quindi è sui pagamenti che bisogna lavorare. E il margine d’intervento è ancora molto ampio, specialmente in Italia dove le carte e i sistemi conctless segnano ancora il passo rispetto agli altri Paesi.
Si inseriscono in questo scenario le novità presentate oggi nel corso del Salone di Pagamenti promosso da ABI e frutto di una partnership tra Mastercard (con la sua piattaforma Masterpass) e tre leader del food: Eataly Net, Rossopomodoro e Roadhouse Restaurant.
Tre case history emblematiche di come sia possibile ottimizzare i processi commerciali. Infatti – come ha ben sottilineato Paolo Battiston, Division President Italy & Greece di Mastercard, introducendo i tre interventi – “i pagamenti elettronici oggi hanno realmente il potere di abilitare i processi aziendali e di ottimizzare la diffusione dei servizi”.
Basta un’App
Stando alla ricerca Barclays, spiega Franco Manna, fondatore di Rossopomodoro e CEO di Sebeto, la soluzione alla sempre più diffusa insofferenza verso i tempi di attesa del conto e la difficoltà a dividerlo fra commensali (spina nel fianco per il33% del campione), potrebbero essere risolti facilmente da un’app per il 49% degli intervistati.
Che è poi quello che è successo sia nella catena Rossopomodoro che nei punti vendita Roadhouse Restaurant e che vedrà il suo esordio a fine mese: un’app che consente ai clienti di visualizzare in tempo reale l’ordine e di pagarlo stando seduti al tavolo. Non basta: ciascuno potrà decidere se pagarlo per intero o limitarsi a saldare la sua parte. Serve solo associare la propria Mastercard e dare il consenso al prelievo.
Tra le due catene le differenze operative saranno minime: mentre in Rossopomodoro il tavolo cui attribuire l’ordine verrà individuato tramite un QRCode, “nei Ristoranti Roadhouse – ci spiega l’ADNicolas Bigard- l’associazione verrà concertata tra clienti e cameriere”.
L’iper frigo
Per Eataly Net, invece, (oltre all’app integrata con la soluzione di pagamento Masterpass) l’innovazione sarà supportata anche da un terzo partner: Samsung che – con il suo frigorifero Samsung Family Hub dotato di scherma touch da 21 pollici- renderà possibile con un semplice click effettuare gli ordini direttamente dalla cucina della propria casa.
“Su Milano – ha precisato Andrea Casalini CEO di Eataly Net – verrà aperto un filo diretto con Eataly Today (con la possibilità di consegne in giornata). Nel resto della Penisola, si lavorerà invece sulla piattaforma di e-commerce”.
Shopping on line sempre più sulla cresta dell’onda. Ma i clienti non sono sempre soddisfatti.
Per i disservizi in fase di consegna (a domicilio o sul pdv) ma anche per via dei costi o dei sistemi contorti con cui gestire i resi.
Ecco alcune delle evidenze emerse dalla nuova ricerca “JDA/Centiro Customer Pulse Report Europe 2016″, condotto da YouGov.
La survey realizzata online – coinvolgendo 8.190 acquirenti in Regno Unito, Germania, Francia e Svezia – ha infatti rivelato che, nonostante la propensione a spendere di più (specialmente perché superando l’importo minimo, si bypassano le spese di consegna), i clienti continuano a non tollerare un servizio scadente.
In caso di delusione, infatti, ha espresso l’intenzione di rivolgersi a un altro retailer, quasi due terzi (63%) degli intervistati, con punte del 74% nel Regno Unito.
Click & Collect
Parliamo di un servizio in crescita, come dimostra il fatto che quasi la metà degli intervistati (49%) ha dichiarato di avere acquistato in modalità “Click&Collect”, con un aumento del 17% rispetto al 2014. I mercati di Francia (59%) e Regno Unito (54%) hanno registrato il tasso di adozione maggiore. Tuttavia c’è ancora qualcosa che non va: la survey ha rivelato che 1 consumatore su 2 ha riscontrato problemi con le consegne a domicilio degli ordini online effettuati negli ultimi 12 mesi.
“[….] Come si evince dalla nostra ricerca – ha commentato Jason Shorrock, Vicepresidente, Retail strategy EMEA di JDA – le problematiche associate al “last mile” delle consegne a domicilio continuano a influire in modo negativo sull’esperienza dei clienti, che sono più propensi a rivolgersi ad un altro retailer se le loro aspettative non vengono soddisfatte. La buona notizia è che i consumatori sembrano essere propensi a superare gli importi minimi degli ordini se questo assicura loro una consegna o un ritiro gratuito. Oggi più che mai è importante offrire un servizio clienti eccellente, se non si vogliono compromettere le relazioni con i consumatori e il fatturato”.
Valori minimi degli ordini
Ma quali sono le reason why di acquisto più diffuse? Il costo continua a essere il fattore più rilevante per gli acquirenti che ordinano articoli online con consegna a domicilio (50%). Seguono praticità (26%) e velocità (18%). È interessante notare che la velocità è un fattore molto più importante soprattutto in Germania (21%) e Francia (21%) rispetto a Regno Unito (16%) e Svezia (12%).
Nel corso degli ultimi 12 mesi, molti retailer hanno introdotto diverse misure, tra cui valori e addebiti minimi per gli ordini Click & Collect, con l’obiettivo di aumentare la profittabilità delle proprie operazioni online. Nonostante la maggioranza (79%) dei consumatori indichi di essere disposta a superare gli importi minimi degli ordini, la ricerca mostra chiaramente come, in questo senso, sia dirimente per i consumatori l’opzione di consegna: il 25% è propenso a farlo per una delivery il giorno stesso e il 22% per una consegna il giorno dopo, ma questa percentuale scende al 15% per le consegne standard (3-5 giorni). Le risposte inoltre variano a seconda dell’area geografica, con un terzo (33%) degli intervistati nel Regno Unito disposto a superare i valori minimi degli ordini per beneficiare di una consegna entro il giorno successivo, rispetto al 16% degli intervistati francesi. Per quanto riguarda la consegna gratuita, i consumatori del Regno Unito mostrano la maggiore aspettativa, con quasi il 72% che si aspetta una consegna standard gratuita (3-5 giorni), percentuale nettamente inferiore in Svezia (61%), Germania (55%) e Francia (55%).
I resi: alla caccia dei serial returner
La questione è spinosa: la ricerca mostra che il 30% dei consumatori europei restituisce articoli in media due volte l’anno, con un ulteriore 25% che li rende tre o più volte. Complessivamente, il 46% degli intervistati ha effettuato resi poiché non soddisfatto. Un ulteriore 16% ha dichiarato di avere comprato diversi prodotti con l’intenzione di restituirne alcuni. È significativo notare che questa percentuale è maggiore in Germania (23%) e Regno Unito (19%), a indicare una possibile tendenza verso i “serial returner”. “L’elaborazione dei resi online continua a porre una sfida sia operativa che finanziaria per i retailer. Allo stesso tempo sta avendo un’influenza crescente sulla scelta dei retailer con cui i consumatori decidono di effettuare acquisti online”, ha dichiarato Niklas Hedin, CEO di Centiro. “[…] Per i retailer diventerà sempre più importante identificare i “serial returner”, così da personalizzare al meglio le condizioni offerte per i resi e utilizzarle come fonte di maggior coinvolgimento dei clienti”.
Punti vendita, quale futuro? Naturalmente in Europa la situazione nn è omogenea: molto dipende dal grado di maturità dei mercati. “Per i retailer internazionali – ha infatti commentato Jason Shorrock – è importante comprendere queste differenze a livello regionale, in modo da personalizzare il proprio approccio per soddisfare specifiche esigenze locali”.
Comunque un dato è certo: nonostante gli ordini online con consegna a domicilio rappresentano la modalità più popolare negli ultimi cinque anni (61%), ancora un numero significativo di clienti dichiara di utilizzare il servizio Click & Collect (28%) o di utilizzare il punto vendita per fare acquisti e ritirare in negozio (35%) o per fare acquisti e optare per una consegna a domicilio (21%). Se ne deduce, quindi, che il punto vendita continuerà a svolgere un ruolo significativo nel settore retail in futuro. Infine, un accenno a una recente tendenza che comincia, però, a delinearsi bene: quella dell’utilizzo dei servizi di fulfillment di terze parti, per consentire il ritiro degli articoli presso luoghi quali stazioni ferroviarie e supermercati. Oltre un quarto (27%) dei consumatori ha dichiarato di essere propenso a utilizzare questi servizi in futuro, particolarmente popolari in Svezia (37%) e Francia (36%).
Dopo mesi di rumors a tinte fosche che la davano già fuori dal mercato, la Rossana, invece, ce l’ha fatta, scardinando ogni previsione. E così la “rossa”, che dalla sua nascita nel 1926 ad oggi ha attraversato varie vicissitudini, è tornata italiana.
E questo solo da pochi giorni, da quando cioè Fida ha sottoscritto il contratto preliminare di acquisizione del ramo d’azienda relativo alle caramelle a marchio Rossana, appunto, Fondenti, Glacia, Fruttallegre, Lemoncella e Spicchi, già posseduto da Nestlé.
In questo modo l’azienda astigiana, operativa nel settore delle caramelle dal 1973, va ad ampliare il suo portfolio che annovera marchi noti come Bonelle, Sanagola, Charms, Gocce, Tenerezze, Gnammy e le Irresistibili.
“Per noi – commenta Eugenio Pinci, Presidente e Amministratore Delegato di Fida – è motivo di autentico orgoglio aver avviato un’operazione di questo tipo: la mission di Fida, infatti, è sempre stata quella di proporre prodotti esclusivi. E la Rossana, da 90 anni icona del gusto per migliaia di italiani, esclusiva lo è senz’altro.
Oggi Fida detiene il 3,5% del mercato delle caramelle familiari. Quanto inciderà la nuova acquisizione in termine di quote?
Porterà nuova linfa, senza dubbio. Le stime ci fanno propendere per un raddoppio della quota, che dovrebbe arrivare al 7%.
Le new entry rischiano di fagocitare il vostro portfolio prodotti?
Assolutamente no: i nostri marchi presidiano i display della Gdo a un livello assolutamente paritetico rispetto a quello della nuova acquisizione.
In futuro, anzi, ci ripromettiamo di incrementare la distribuzione, affinando le sinergie tra marchi, così da mettere a frutto e ottimizzare le peculiarità di ciascuno.
Quanto si avvierà la nuova produzione?
Il closing dell’operazione è previsto per fine giugno, contiamo di “avviare le macchine” subito dopo, già da luglio. Il nostro sito produttivo di Castagnole delle Lanze è infatti in grado di assorbire immediatamente i volumi produttivi dei nuovi brand acquistati.
Cambierete strategie comunicative sui marchi appena acquisiti?
Parlarne oggi è prematuro: serve prima far assorbire i tempi tecnici dell’operazione. Diciamo, però, che in futuro potremmo decidere di modulare l’approccio al consumatore tarandolo sui nuovi trend. Ma è tutto ancora in divenire.
Parliamo di caramelle “storiche”, non proprio in linea con i nuovi trend salutistici dei consumatori: questo potrebbe essere un problema?
Dubito: il nostro è un settore solo marginalmente toccato dalle mode salutistiche. Le varianti bio, light e free from esistono, certo, ma crescono poco. Le trasgressioni vanno godute fino in fondo, non crede?
E allora ben vengano le caramelle tradizionali: dolci e – magari- con un cuore morbido e cremoso….
Due amici, tanta voglia di mettersi in gioco e un’idea geniale che dà il via all’avventura di Dove Conviene, app di successo, oggi utilizzata da 15 milioni di utenti nel mondo.
Alessandro Palmieri e Stefano Portu
È Stefano Portu, uno dei due protagonisti, a raccontarci questa sfida.
“Io e Alessandro Palmieri ci siamo conosciuti e siamo diventati amici lavorando alla start-up di Buongiorno, uno dei pochi unicorni italiani, a fine anni novanta. Un’esperienza straordinaria in cui siamo entrati in un ufficio con 4-5 persone e abbiamo contribuito a creare un’azienda da oltre mille in decine di paesi. Dopo quindici anni di digitale, percorsi su strade diverse (manager io e imprenditore Alessandro), volevamo fare, di nuovo insieme, qualcosa di grande e internazionale partendo dall’Italia. Abbiamo deciso di concentrarci – attraverso un servizio digitale – sulla semplificazione il modo in cui si fa la spesa nei negozi fisici.
È così nata DoveConviene, servizio utilizzato oggi da oltre 8 milioni di italiani, che trovano su di noi tutte le informazioni per fare smart shopping in modo geolocalizzato nei negozi vicino casa: orari, store, volantini e promozioni disponibili, così da risparmiare tempo e denaro, trovando sempre i propri brand preferiti.
Qual è lo scenario competitivo in cui si inquadra DoveConviene?
Leggere il volantino per decidere in che negozio andare e cosa comprare è la più importante abitudine di shopping in almeno una trentina di grandi paesi nel mondo, coinvolge miliardi di persone di tutte le età e decine di migliaia di retailer.
DoveConviene, traslando su digitale una abitudine di massa come questa, gode quindi di una diffusione ormai molto importante in diversi paesi, dove è entrata nell’elite di quello 0,01% delle app mobile che fanno il 90% dell’utilizzo reale dei consumatori. Siamo già tra le prime 5 app di shopping in Italia, Brasile e Messico, disponibili anche in Usa, Spagna e Indonesia e veniamo utilizzati già da 15 milioni di utenti, il doppio rispetto a un anno fa.
In Italia, dove lo sviluppo è iniziato prima, è l’app più utilizzata su base mensile nel settore retail e la seconda italiana più utilizzata in assoluto (escludendo gli operatori telefonici). Numeri impressionanti e che continuano a crescere in doppia cifra ogni trimestre.
Come è cresciuta fino a raggiungere ben 8 milioni di utenti e il 90% dei responsabili acquisto?
Grazie alla combinazione di tre aspetti: la penetrazione del mobile in tutti gli strati della popolazione, la forza della value proposition – che abbina il contenuto del volantino geolocalizzato a tutte le info su orari e contatti dei negozi e alle novità di prodotto – e infine l’estrema semplicità d’uso.
Quanto si è evoluto l’atteggiamento degli utenti/consumatori dal vostro esordio a oggi?
L’audience è cresciuta di 8 volte in 3 anni e prevediamo triplichi ancora nei prossimi 3 fino a oltre 20 milioni di utenti. L’intensità di utilizzo cresce nel tempo: i nostri utenti storici aumentano i volantini letti anno su anno, a testimonianza di uno spostamento progressivo dell’abitudine sul digitale.
Quali strategie state implementando per incrementarne la diffusione a livello globale?
Il volantino è il media più importante per portare i consumatori in negozio in almeno 25 paesi, nei quali rappresenta in media il 70% degli investimenti dei retailer. Un’abitudine per miliardi di consumatori su cui, solo per stampa e distribuzione vengono investiti circa 30 miliardi di dollari ogni anno.
Per cogliere appieno le opportunità offerte da questo mercato abbiamo creato un team internazionale con colleghi di 10 nazionalità, centri di eccellenza in diversi uffici sulle aree chiave del business e presenza commerciale locale nei diversi mercati.
Attualmente siamo presenti in sei paesi – Italia, Spagna, Stati Uniti, Brasile, Messico e Indonesia – con uffici attivi in Italia, Messico e Brasile e puntiamo ad arrivare ad un totale di 10 Paesi entro la conclusione del 2016.
Quali vantaggi offre DoveConviene ai retailer e ai top brand?
Permette di raggiungere un numero di consumatori già molto grande e incontinua crescita, nel momento tra pianificazione e acquisto, influenzando drive to store e intention to buy. Per i retailer è un modo per distribuire il volantino su un 20-30% di consumatori altospendenti sempre meno raggiungibili attraverso la carta, in modo più efficiente e ottenendo anche fondamentali customer insights attraverso cui riorientare e ottimizzare la propria strategia di marketing e promozionale.
Sono misurabili i benefici che apporta in termini di visibilità?
Uno dei punti di forza del volantino digitale – assieme alla copertura di un ricco target aggiuntivo e all’efficienza – è proprio la sua misurabilità. Noi forniamo un reporting puntuale su quantità, qualità e geolocalizzazione delle letture, abbinato a importanti insights di marketing su quanti e quali contenuti del volantino hanno maggiore impatto sul consumatore.
Per DoveConviene ci sono ancora margini di crescita o si sta raggiungendo la fase di maturità?
La penetrazione del mobile internet è in piena esplosione e raggiungerà il 90% della popolazione nel 2019. In questo scenario, noi siamo come dicevo la seconda app italiana più utilizzata e rappresentiamo la digitalizzazione di una delle più importanti abitudini degli italiani, quella di prepararsi agli acquisti in negozio scoprendo promozioni ed offerte. Nonostante la crescita esplosiva degli ultimi anni, quindi, abbiamo chiari indicatori di essere lontani dalla maturità di questo mercato e potere triplicare la nostra audience nei prossimi anni, rimanendo il player digitale con più forte impatto sul drive to store in negozio.
DoveConviene e il mercato del lavoro: quali le prospettive? Quali profili ricercate e con quali requisiti?
Oggi DoveConviene è composta da un team di oltre 120 professionisti di 10 nazionalità diverse, ma punta ad ampliare il proprio organico fino a 200 unità entro la fine del 2016. Siamo alla costante ricerca di nuovi talenti, persone curiose e intraprendenti che abbiano un solido know-how in campo digitale e che vogliano entrare in un contesto internazionale in forte evoluzione.
Fiducia nuovamente a picco per gli italiani. Secondo quanto rilevato da GFK, infatti, l’indice di fiducia di giugno si è attestato a -31,3 punti. In calo di ben 9,9 punti rispetto a marzo.
Colpa (essenzialmente) della crisi economica e finanziaria, dell’arrivo di un elevato numero di migranti e dell’andamento del tasso di disoccupazione che rimane tra i più alti in Europa (11,5%).
In linea con questo pessimismo, si rivela anche l’indicatore delle aspettative di reddito che – in calo di circa 4 punti rispetto a marzo – a giugno si colloca a -7,1.
Eppure ci sono segnali che vanno in senso diametralmente opposto, lanciando sprazzi di luce su un quadro altrimenti fosco, come- per esempio – l’indicatore della propensione all’acquisto, che a giugno ha raggiunto i 20,6 punti. Anche in questo caso il calo rispetto a marzo è innegabile, ma il confronto con lo scorso anno, va in ben altra direzione: ben + 16 punti!
In Europa
Diversamente, anche se con fluttuazione variegate dovute a un quadro socio-politico-economico molto eterogeneo e instabile (migranti, elezioni politiche, minaccia islamica), vanno le cose nel resto d’Europa. Qui infatti l’indice di fiducia è aumentato del 4,1 punti percentuali nel periodo compreso da marzo a giugno 2016, raggiungendo 13,1 punti, il valore più alto da marzo 2008.
Brexit e il sondaggio
Ovviamente Brexit è ancora fuori da queste rilevazioni. Si teme però che l’impatto sarà significativo. E i primi segnali arrivano già da un sondaggio realizzato di recente da GFK in Gran Bretagna.
I dati mostrano una diminuzione di 8 punti dell’indice di fiducia, che arriva a toccare i -9 punti: si tratta del calo più significativo registrato dal 1994. L’indagine mette in luce una preoccupazione diffusa: 6 intervistati su 10 hanno dichiarato di aspettarsi un peggioramento della situazione economica nei prossimi 12 mesi.
Wagamama: per gli habitué di Tripadvisor si tratta di un nome noto. E anche apprezzato. L’esaltazione del cibo asiatico, core business di wagamama, ha infatti avuto successo con i clienti di tutto il mondo. Ed entro il 2016, con l’apertura del primo ristorante nella metropoli lombarda, anche i milanesi avranno la possibilità di sperimentarne le specialità in prima persona. È stato infatti appena siglato un accordo di partnership per l’apertura di ristoranti della catena wagamama in Italia con Percassi Food&Beverage, la holding di Percassi attiva nel settore della ristorazione.
Ramen, Teppanyaki e Donburi a go-go, dunque, dal momento in cui il gruppo di ristorazione internazionale farà il suo esordio all’ombra della Madonnina, per poi proseguire nel resto del Paese. Con l’apertura italiana salirà a 19 il numero di Paesi in cui sono presenti locali wagamama, che comprendono anche Bahrain, Svezia, Nuova Zelanda e Grecia. Brian Johnston, Managing Director di wagamama International ha affermato: “Negli ultimi anni, soprattutto i giovani Italiani si sono aperti anche ad altre cucine. È il momento giusto per portare wagamama nel Paese del cibo per eccellenza. Abbiamo trovato un partner come Percassi, la cui esperienza parla da sè. Siamo impazienti di poter annunciare quanto prima le location scelte per i primi locali”. Matteo Percassi, Amministratore Delegato di Percassi Food&Beverage ha aggiunto: “Per noi si tratta di una partnership importante. wagamama è sinonimo di cibo di alta qualità e servizio ai clienti impeccabile. Siamo certi che wagamama sarà in grado di conquistare anche il palato degli Italiani”.
Shopping e figli: una contraddizione? Non in Italia, dove ben il 73% dei genitori il più delle volte porta con sé la prole a fare acquisti, e il 29% addirittura sempre (con picchi decisamente più alti al Sud e tra le coppie più giovani). Ecco quanto emerge dalla ricerca realizzata da Neinver, 2° player europeo nel settore degli outlet, in collaborazione con ANPE, l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani.
DOMANDA: «Lei porta con sé il figlio/a/i a fare shopping (di abbigliamento, accessori)»
Quando
Lo shopping per l’80% degli italiani è concentrato nei weekend e per il 40% è vissuto come un’occasione familiare, percentuale che sale al 47% per i papà. È un momento giudicato positivamente dal 78% dei genitori, perché è capace di rasserenare (50%) e dare felicità (28%).
Dove e perché
Il 40% del campione propende per gli outlet, apprezzati per varie ragioni. Particolarmente graditi: la comodità di parcheggio (75%), le aree gioco (64%), gli spazi aperti per passeggiare (47%).
DOMANDA: «Cosa non deve mai mancare nel luogo dello shopping se si va con i bimbi?»
Laura Andreoletti, Country Manager di Neinver in Italia, ha confermato, con la sua dichiarazione, i risultati dell’indagine “Nei nostri centri il 50% circa dei visitatori viene con la famiglia, più della metà con bambini sotto i dieci anni”.
Dal canto suo, Luisa Piarulli, Presidente ANPE, ha commentato: “In una società complessa, nella quale predomina l’Avere piuttosto che l’Essere, educare allo shopping riveste un ruolo quanto mai significativo. Può rappresentare un’attività educativo-formativa utile nel percorso evolutivo e preziosa nella definizione di un’identità responsabile, purché sia vissuto come un evento piacevole e coinvolgente. Fare shopping con i genitori costituisce inoltre la premessa pedagogica per un’educazione al consumo consapevole e favorisce un primo approccio verso la comprensione dell’economia e dei suoi impliciti (risparmio, scelta, ponderatezza…)
Come
Qual è il comportamento dei bambini, in giro per negozi? È veramente incontrollabile? Contrariamente a quanto si possa pensare, le cose vanno meglio del previsto: solo 1 genitore su 4, infatti, lamenta che il proprio bimbo tocchi tutto ciò che vede, corra per il negozio (23%) o faccia i capricci perché gli si compri qualcosa a ogni costo (23%).Unico vero, grande “nemico” è la noia cui i piccoli reagiscono con broncio (1 su 2) pianti (9) e urla (11%), reazioni che mettono in difficoltà il 44% dei genitori.
DOMANDA: «Come reagiscono di solito i suoi figli di fronte a un NO? »-«E voi genitori, come reagite di fronte ad un capriccio?»
Naturalmente le reazioni degli adulti sono variegate: si passa per esempio da un 10% che li rimprovera severamente, a un 3%, che, invece, cede alle richieste dei figli pur di metterli a tacere.
Come acquistano i genitori
Anche i piccoli hanno voce in capitolo: tanto è vero che il 58% dei genitori lascia sempre esprimere loro le proprie preferenze, mentre il 22% dichiara di non potersi esimere, visto che i propri figli hanno già dei gusti e uno stile ben precisi e solo il 20%, invece, sceglie senza tener conto di ciò che il bimbo chiede.
Tuttavia ciò non significa che gli adulti siano in balia della prole: solo il 20% dei genitori procede all’acquisto senza che ve ne sia effettiva utilità, ma esclusivamente per il piacere di gratificare i figli e meno ancora (15%) sono quelli che usano l’acquisto come “elemento di negoziazione”, legandolo al rispetto di un patto.
Comunicazione, Distribuzione, Marca: un trinomio composito, indagato nel corso dell’evento “Comunicazione. Distribuzione. Marca. L’Italia che riparte”, il primo appuntamento dell’edizione 2016 del Purple Program, organizzato da Mindshare sul mondo della comunicazione.
A proposito degli investimenti pubblicitari, Roberto Binaghi – Chairman&CEO di Mindshare evidenzia come dal 2007 a oggi ci sia stata una contrazione di circa il 29%, pari a una perdita di 3.000 milioni di euro in valore assoluto. Una cifra enorme che potrebbe corrispondere alla cancellazione del budget pubblicitario dell’Olanda. Oppure, a quella di 36 Barilla o di 37 Vodafone! I settori con il calo più spiccato sono quelli del FMCG, dell’Automotive e quello delle Telecomunicazioni. Andamento migliore per la distribuzione e per l’e-commerce.
L’Italia, sul fronte emorragia di investimenti, è messa decisamente peggio rispetto a altre grandi nazione Europee come Uk, Germania e Francia.
Le aziende più in crisi
Il calo di investimenti più eclatante ha riguardato le aziende leader, che hanno perso il 40% (in altri termini, si potrebbe dire che hanno smesso di comunicare su 2,5 prodotti a testa!) e quelle più piccole (sotto il milione di euro di fatturato). Mentre quelle appartenenti alla fascia media hanno tenuto di più.
Il calo di investimenti e le sue cause
Un -29% di investimenti (ben 3.000 milioni di euro!) non è una cifra da poco. Per spiegarlo Binaghi ricorre a due indicatori: un calo dei consumi pari a – 5,6% e una deflazione della pubblicità pari a -12,6% (frutto di un combinato disposto di prezzo vero e proprio e di un nuovo mix di cespiti).
In questo modo, però, si raggiunge una quota del-18% che spiega solo la perdita di circa 2.000 milioni.
Non rispondono dunque all’appello ben 1.000 milioni: che fine hanno fatto? In linea di massima si tratta di una cifra accantonata (ben oltre l’effettiva necessità) come riserva, per essere allocata altrove.
Quindi il problema risiede lì: nella ritrosia da parte delle aziende (che vanno al di là dell’opportuna prudenza) ad investire in comunicazione. Pertanto in futuro lo scenario potrebbe essere più roseo, solo se le aziende ritornassero a considerare il media come una leva strategica del loro marketing mix, e non una fonte dalla quale attingere.
È davvero un peccato” – ha commentato Binaghi – “che, contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, le grandi aziende in Italia non supportino adeguatamente le loro marche. Il pericolo di essere superate da competitor più lungimiranti, che appartengono alla fascia media del mercato, è tutt’altro che remoto.”
Questione di marca
In effetti la criticità più grossa è quella di riuscire a dare alla marca quel valore che il consumatore cerca con crescente insistenza. Una comunicazione appropriata, mirata, personalizzata, rinnovata e attualizzata, capace di parlare al nuovo universo valoriale dei consumatori, potrebbe sortire grandi risultati in questa direzione. Purtroppo, come sottolinea Livio Martucci Dir. Global Analytics&Consulting IRI, molte risorse vengono accantonate e sottratte ai media, per essere erroneamente convogliate in attività promozionali, quasi sempre puramente tattiche, che in linea non solo non premiano i leader di Marca, ma ne determinano pure una certa sofferenza dal punto di vista del fatturato.
L’universo mentale e lo spazio della marca
Per creare uno spazio in cui la marca possa riprendere a prosperare in sintonia con la nuova domanda, occorre attrarre l’attenzione del consumatore, accedere al suo spazio mentale. “Purtroppo – commenta dice Federico Capeci, CEO Kantar Consumer Insights – questa è una sfida sempre più difficile ed importante, come dimostrano i dati Millward Brown.”
Per questo basare una strategia di comunicazione ed engagment su stereotipi, generalizzazioni o ansie da performance di breve periodo non è certo un buon inizio per creare esperienze di valore e ottenere in cambio il riconoscimento di un valore di marca.”
On-line: agli italiani piace. Basti pensare che, secondo una ricerca dell’Unione Nazionale dei Consumatori, solo il 13% dei rispondenti ha dichiarato di non aver effettuato acquisti on-line nell’ultimo anno.
Ma questo non vuol dire che il negozio fisico sia caduto nel dimenticatoio. Anzi: secondo l’indagine resta irrinunciabile per il 99% del campione”.
Lo studio ha poi evidenziato che il 55% dei rispondenti è ricorso ad Internet, almeno una volta negli ultimi 12 mesi, per l’acquisto di servizi per il tempo libero come viaggi, vacanze e libri, il 46% per biglietti di trasporto, spettacoli e sport, il 43% per elettronica ed elettrodomestici e il 36% per servizi bancari e finanziari.
Modalità di pagamento
Al primo posto troviamo la carta di credito con il 47% delle preferenze, seguita dalla carta prepagata (41%) e da PayPal (38%). Chi invece ha acquistato nei negozi fisici, ha pagato in contanti o con carte di debito/bancomat (a pari merito con il 72% delle preferenze), è ricorso alla carta di credito nel 46% dei casi, mentre solo 14 consumatori su 100 hanno scelto di pagare con carta prepagata.
Indagando le previsioni di acquisto per i prossimi mesi, il tempo libero conquista ancora una volta il primo posto con il 60% delle preferenze; troviamo poi i biglietti per spettacoli, sport, etc. (49% delle risposte), scende al 22% la preferenza per acquisti di servizi bancari/finanziari, mentre sale quella per l’abbigliamento (37% delle risposte).
Prestiti e finanziamenti In questo caso la preferenza degli italiani è inequivocabile: meglio aver a che fare con un funzionario in carne ed ossa. Infatti alla domanda “Acquisteresti nel prossimo anno senza alcun problema con il finanziamento on-line di un bene o un servizio, ad esempio un elettrodomestico o un viaggio?” il 72% dei partecipanti risponde che non vi ricorrerebbe; nel caso di un prestito personale (in questo caso non direttamente legato a un acquisto) i rispondenti all’indagine preferirebbero essere seguiti nell’intera pratica direttamente nella filiale della banca/finanziaria (67% delle risposte). Solo il 16% si dichiara disposto a cominciare la pratica on-line per poi terminarla in filiale e solo il 17% farebbe tutto tranquillamente su Internet.
“Insomma -spiega Massimiliano Dona Segretario generale dell’UNC- i dati emersi evidenziano come i consumatori si avvicinino sempre più consapevolmente al commercio elettronico per i piccoli acquisti, ma restino ancora legati a canali di vendita e modalità di pagamento tradizionali, basti pensare al predominante uso del denaro contante scelto da chi compra in negozi fisici. A tal proposito, da parte nostra riteniamo fondamentale proseguire nell’attività di informazione ed educazione finanziaria, sull’uso delle carte elettroniche e sugli strumenti di tutela che sono a disposizione dei consumatori sia nel commercio fisico sia in quello on-line”.
Il commento
Alessandro Butali
A proposito dell’indagine Alessandro Butali, Presidente della AIRES-Confcommercio, dichiara: “In Italia il negozio fisico continua a dare fiducia e a rappresentare un punto di riferimento per il cliente. Va evidenziata, inoltre, la problematica della sicurezza in rete, che in certi casi potrebbe ancora dissuadere dall’acquistare online.
Non meno importante, è la penetrazione disomogenea della banda larga sul territorio nazionale. È indubbio che anche da noi, Internet stia assumendo un ruolo sempre più importante e in questo contesto registriamo anche una forte crescita il «pick and pay», ossia della pratica di prenotare o acquistare on line per poi ritirare in negozio. Tutto questo è un bene, ma non dobbiamo passare da un eccesso all’altro.
Con ampia probabilità, la quota degli acquisti online non raggiungerà i numeri che si riscontrano in talune aree del nostro Continente. Nei Paesi Scandinavi, ad esempio, i problemi legati al clima, alla bassa densità di negozi e alla distanza da percorrere per recarsi fisicamente in negozio spiegano bene il grandissimo ricorso agli acquisti on line. Non dobbiamo dimenticare, poi, la struttura sociale, demografica e geografica che rende l’Italia unica al mondo, e difficilissima da omologare a modelli distributivi di altri Mercati.
In quanto attori multicanale, imprese appunto Bricks & Clicks, che rappresentano le maggiori quote di mercato in tutti i segmenti della elettronica di consumo e dell’elettrodomestico, la vocazione delle imprese aderenti alla Aires è ovviamente quella di mirare all’eccellenza e alla massima soddisfazione dei Clienti sia nei negozi fisici che nelle vendite online.
In particolare, sul versante del commercio elettronico riteniamo fondamentale che tutti gli attori possano competere ad armi pari, in un quadro legislativo chiaro, trasparente e non discriminatorio. In questa ottica abbiamo avviato un promettente dialogo con il Consorzio Netcomm del quale apprezziamo le competenze e l’importante opera di diffusione di una nuova cultura d’impresa per la quale il commercio online possa rappresentare un reale elemento di crescita dell’economia nazionale”.
“Un nome ambizioso?” Può darsi, ammette Francesco Ioppi dirigente Finiper– ma una cosa è certa “il Centro” di Arese è un progetto veramente imponente. E i numeri lo dimostrano:
GLA totale 93.000 mq
GLA piano terra 55.000 mq
GLA piano primo 38.000 mq
Nr 200 insegne complessive
Nr 20 ristoranti/caffetterie
Nr 6.000 posti auto
2 piazze interne: la “piccola” con un diametro di 42 metri, l’altra di ben 72
20 punti di ristorazione/caffetteria;
Investimento complessivo: 300/350 mila euro (50% del Gruppo Finiper, 50% delle banche).
L’idea
Nato 20 anni fa nella fertile mente di Marco Brunelli, da sempre sostenitore di una riqualificazione dell’area dismessa dell’Alfa Romeo, “il nuovo centro, – spiega Ioppi, “vuole rimanere fedele al genius loci di Arese”.
Per questo il progetto ha voluto recuperare e trovare una destinazione congrua alla pista del vecchio stabilimento che oggi, grazie alla partnership con Aci Villalunga, viene dedicata a corsi di guida sicura.
Le aree de “Il Centro”
Spazi tanto ampi potrebbero ingenerare nel visitatore/consumatore un senso di dispersione. Da qui la struttura articolata in percorsi ben distinti, che collegano le sei corti merceologiche: food (2), fashion, green, luxury e children. L’idea (realizzata da Design International, diretto dal suo Chief Executive Davide Padoa) è quindi quella di ricreare una strada cittadina, dedicata allo shopping, al food e al relax. Una strada punteggiata di negozi e arricchita da piante e alberelli.
La vegetazione, infatti, è cifra caratterizzante del progetto, sia negli spazi interni quanto in quelli esterni.
La Fashion Court
Sono presenti i più importanti brand internazionali, tra cui il primo Primark in Italia, H&M, Zara, Massimo Dutti, Superdry, Mac. In alcuni casi la presenza ad Arese ha consentito il debutto di concept radicalmente rinnovati e inediti, come nel caso di Zara, del Megastore di Mondadori, di Mediaworld, di Mango, di Disney e di Tiger. Per altri marchi (e parliamo di Nespresso, Signorvino, Cioccolati Italiani, Bianchi Biciclette), invece, la piazza di Arese ha costituito un vero e proprio esordio in un centro commerciale.
Ad oggi, spiega Ioppi, la commercializzazione (gestita dalla Tea Spa) è completa e ogni metro quadrato ha trovato una sua destinazione.
La via dei negozi, si caratterizza per uno spettacolare edificio denominato il ‘Palazzo dei Profumi’ che ospiterà la Boutique del Regalo, un palazzo di vetro a marchio Swarovski e altri gioielli nel cuore della strada. Progettando l’inserimento di questa isola di vetro, Padoa si è ispirato alla Covent Garden londinese.
La struttura
Tra le innovazioni strutturali, va ricordata la metodologia utilizzata nella progettazione del tetto, inedita, fino ad oggi, in un centro commerciale: la struttura della copertura è in “gluelam beams” (legno lamellare strutturale realizzato con materiali sostenibili) e, con campate di oltre 40 metri, rappresenta una tra le più grandi strutture in legno mai realizzate in Europa per un centro commerciale. L’intero complesso è stato progettato secondo rigidi criteri di risparmio energetico e bio-sostenibilità, in linea con gli standard promossi dal U.S. Green Building Council per ottenere la prestigiosa certificazione LEED® di livello Gold.
Un vero e proprio “elogio del legno”, secondo la definizione dell’architetto De Lucchi, tra gli artefici del mega progetto.
L’ipermercato
Non è vero che il formato dell’iper sia in difficoltà. È questa la convinzione del direttore dell’iper di Arese. L’importante è avere delle idee nuove. E in questo caso l’idea è stata quella di affiancare alla distribuzione l’attività produttiva: c’è, per esempio, l’angolo in cui si prepara il formaggio, quello dedicato alla pasta fresca, quello per la macelleria e quello per la birra.
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