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Etichettatura d’origine, per la Commissione Ue deve essere volontaria. L’Italia non ci sta

Non convincono il Ministero delle Politiche agricole e forestali i due rapporti  sull’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti pubblicati dalla Commissione Ue secondo cui per alcune categorie di prodotti alimentari sarebbe meglio optare per un’indicazione volontaria, piuttosto che su un obbligo a livello comunitario.

«Ci aspettavamo molto di più dalla Commissione europea sul fronte dell’indicazione d’origine obbligatoria degli alimenti. Faremo sentire forte la nostra voce nel Consiglio dei Ministri dell’agricoltura Ue, perché riteniamo fondamentale dare informazioni trasparenti al consumatore sulla provenienza delle materie prime», ha affermato il ministro elle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina.

Il primo rapporto riguarda latte, prodotti caseari e altri prodotti trasformati, ma anche le carni di coniglio e di cavallo recentemente oggetto di uno scandalo di dimensioni continentali proprio per la mancanza di tracciabilità. Il secondo rapporto indaga sulla necessità per i consumatori di essere informati sull’origine degli alimenti non lavorati, sui singoli ingredienti dei prodotti e sugli ingredienti che rappresentano più del 50% dell’alimento.

L’indagine ha concluso che i consumatori sono interessati a conoscere l’origine di queste categorie di prodotti alimentari, ma meno che di altre categorie come la carne o alimenti quotidiani. Avendo valutato anche costi e benefici delle nuove regole in etichetta e l’impatto sul mercato interno e su quello estero, il rapporto ha concluso che un’indicazione di origine volontaria, associata all’attuale regime di obbligo d’origine per alcune categorie di alimenti, è la strada più conveniente.

Affronteremo con determinazione la questione tenendo conto delle risposte dei consumatori italiani alla nostra consultazione pubblica. 9 cittadini su 10 ci hanno chiesto di leggere chiaramente l’origine in etichetta. Nell’anno di Expo, mentre l’Italia si candida a guidare il dibattito sullo sviluppo agricolo globale, non possiamo accettare di stare fermi o fare passi indietro su un punto decisivo come quello dell’etichettatura».

Secondo la consultazione pubblica on line del Ministero (concluso a marzo) l’89 % dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari, l’87% per le carni trasformate, l’83% per la frutta e verdura trasformata, l’81% per la pasta e il 78% per il latte a lunga conservazione. L’82% ha poi dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e provenienza italiana del prodotto, con quasi la metà pronta a pagare dal 5 al 20% in più.

Negativo anche il giudizio di Coldiretti, secondo cui la Commissione Europea ancora una volta si schiera a difesa degli interessi delle grandi lobbies industriali con pareri in netta contraddizione con gli interessi dei cittadini europei e italiani. Inoltre, annota Coldiretti,  l’indicazione della Commissione Europea è anche contraddittoria rispetto al percorso intrapreso fino ad ora che ha portato per ultimo all’entrata in vigore del Regolamento Ue 1337/2013 dal primo aprile 2015 è arrivato in Europa l’obbligo per gli operatori di indicare in etichetta il luogo di allevamento e di macellazione delle carni di maiale, capra e pecora.

Con queste premesse si fa più arduo il percorso in Europa per la battaglia volta a fare esporre in etichetta l’indicazione dello stabilimento di produzione, non più obbligatorio dopo l’entrata in vigore a fine 2014 del regolamento 1169 del 2011.

La libreria infinita prossimamente da Mondadori Store

Nasce dalla collaborazione con la torinese Promedia Solutions la piccola-grande rivoluzione che a partire da giugno sarà disponibile nel Mondadori Megastore di Milano Piazza Duomo.

Si tratta del servizio di book on demand che consente di stampare un libro in pochi minuti direttamente nel negozio, scegliendo da un catalogo di oltre 7 milioni di titoli dei maggiori editori internazionali. Espresso Book Machine™, che sarà fisicamente presente nel Megastore di Milano Piazza Duomo,  unisce i vantaggi della distribuzione digitale alla qualità di un libro cartaceo: premendo un pulsante è possibile stampare, rilegare e rifinire in alta qualità e con copertine a colori libri tascabili in lingua, e prossimamente anche in italiano. Il Book on demand sarà inoltre disponibile anche dal sito Mondadoristore.it.

Ne ha parlato l’amministratore delegato di Mondadori Retail Mario Maiocchi nel corso dell’incontro di presentazione del prossimo World Rretail Congress (Roma, 8-10 settembre) organizzato da Kiki Lab.

Schermata 2015-05-21 alle 16.28.06Il nuovo store  in apertura tra qualche settimana in Via San Pietro all’Orto sempre a Milano è inoltre l’esempio della nuova generazione dei Mondadori Store che accanto al core business dei libri e all’area consumer electronics amplierà l’area impulso con il ticketing e i viaggi, oltre a prevedere anche un’area ristorazione. Si tratta di un nuovo formato di punto vendita tra i 700 e i 1200 metri quadrati, identificato come quello che può ottimizzare la redditività al metro quadro in un settore, in cui la vendita di libri dal 2011 al 2013 è calato del 13,7% (-7,5% per le librerie Mondadori). Mondadori Store è un network di 600 librerie e opera con un modello di business articolato su 4 canali di vendita: diretta, franchising, club e web. Tra questi conta ad oggi 530 bookstore e point in franchising, 21 bookstore e 8 megastore in gestione diretta, 59 punti vendita Club Mondolibri.

«Intendiamo valorizzare le categorie tradizionali e aggiungere i nuovi servizi, come il desk di assistenza immediata post vendita per area informatica – ha affermato Maiocchi – e il print on demand, che crediamo ci aiuti a non perdere vendite per out of stock. La stampa su ordinazione sarà anche disponibile online. Oltre a ciò pensiamo alla libreria come a un ambiente multiculturale: si alterneranno artisti emergenti che creeranno live le loro opera che rimarranno in esposizione per un mese».

A Tresigallo (Ferrara) Alì Supermercati inaugura un punto vendita da 1.500 metri quadrati

Si trova all’interno di un polo di aggregazione per la collettività di Tresigallo in provincia di Ferrara il nuovo punto vendita del gruppo Ali ( è il numero 105) inaugurato oggi: un supermercato di 1.500 metri quadrati, 8 casse e 20 addetti.

Accanto al punto vendita apriranno un bar, un negozio di abbigliamento, uno di calzature e una sanitaria con prodotti per l’infanzia e per la cosmesi. Altre due attività apriranno entro l’anno: sono in fase di definizione infatti le destinazioni commerciali.

Presente nel territorio Ferrarese dal 2004 e con oltre 40 anni di storia nella grande distribuzione organizzata, Alì Supermercati propone nel nuovo punto vendita il reparto pasticceria, il reparto freschi, il banco caldo con polli allo spiedo, la friggitoria, i piatti pronti.

Il gruppo padovano continua quindi a sostenere l’occupazione attraverso una politica di investimenti (questa è la seconda apertura dall’inizio del 2015), di assunzioni (sono oltre 3.200 i dipendenti della catena) e attraverso la collaborazione con PMI e fornitori locali.

“Nonostante i numeri del nostro Gruppo – ha commentato il Presidente Alì S.p.A. Francesco Canella – vogliamo continuare ad essere un’azienda veneta a conduzione familiare profondamente radicata nel territorio, con i nostri supermercati di quartiere, ma anche con il sostegno alle realtà associative e culturali che animano i nostri Comuni. L’impegno di Alì è quello di continuare a soddisfare i clienti con la qualità al miglior prezzo, ma anche di favorire l’occupazione e il lavoro delle PMI del territorio, migliorare l’ambiente dove operiamo e sostenere iniziative benefiche o progetti a favore della collettività”.

La quarta gamma Valfrutta sposa il benessere

Cultiva, gruppo di aziende agricole che opera anche nella quarta gamma con il marchio Valfrutta (di cui è licenziatario per questo segmento) ha scelto il palcoscenico di Fruit Innovation per il lancio della linea Benessere. Si tratta di cinque referenze di insalate arricchite di semi di girasole, di bacche di goji, di semi di lino, dei mandorle e di semi disossammo e zucca.

Ognuna di queste insalate così arricchite apportano un contenuto specifico di minerali, vitamine, acidi grassi omega 3 contribuendo a migliorare lo stato generale di benessere dell’inividuoin funzione delle necessità.

Sono proposte in buste flow pack da 120 grammi.

Segnali di tenuta per gli alimenti surgelati. Bene carne, pizza e secondi pronti

Dal consuntivo 2014 gli alimenti surgelati mostrano segnali di tenuta. Lo afferma l’Istituto italiano alimenti surgelati, rilevando che i surgelati si mantengono stabili grazie a innovazione di prodotto, contenuto di servizio e qualità dell’offerta.

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“Si avverte una leggera ripresa – afferma il Presidente dell’Iias Vittorio Gagliardi – sulla spinta delle azioni del leader di mercato, non solo a livello pubblicitario ma anche nel campo dell’innovazione di prodotto, facendo da traino a tutto il settore. Il consumatore risente indubbiamente della crisi, ma si osserva comunque una crescita dopo un biennio negativo che aveva interrotto una serie positiva, anche a doppia cifra, durata più di vent’anni”.

“La maggior novità del settore – prosegue Gagliardi – riguarda il boom dell’utilizzo del forno a microonde: se negli anni ’80 la penetrazione di questo elettrodomestico era del 4 – 5%, nell’ultimo quinquennio è salita al 30%, a dimostrazione che i nuovi comportamenti alimentari vedono nel surgelato un indispensabile alleato.
Un certo favore da parte dell’acquirente deriva anche dalla pressoché totale eliminazione di scarti e sprechi. Merito anche questo dell’innovazione, sia nei prodotti che nei metodi di conservazione, nel packaging e nei sistemi di refrigerazione, apportati dalle aziende del settore, in un continuo sforzo di sviluppare soluzioni in linea con i principi stessi espressi da Expo, ovvero la riduzione dello scarto e l’energy saving. È premiante – conclude Gagliardi – l’innovazione funzionale, ovvero volta al soddisfacimento delle nuove esigenze di consumo, trainando investimenti e obiettivi delle aziende del comparto, alimentando contestualmente aspettative positive per il futuro, pur con una giusta dose di moderazione e senza credere ad un repentino e miracoloso slancio, quanto piuttosto e più concretamente ad una graduale ripresa di un settore alimentare così importante quale quello degli alimenti surgelati”.

Tra i plus riconosciuti dai consumatori ai surgelati, che hanno da poco compiuto 50 anni di presenza sul mercato italiano, vi sono la componenti di servizio e di praticità, l’assenza di conservanti, la velocità e facilità di preparazione, l’offerta di prodotti destagionalizzati e delocalizzati, lo stoccaggio domestico nel freezer.

Quanto alle tipologie di prodotto, i vegetali preparati hanno ripreso quota, spinti dai loro valori nutrizionali e salutistici. I prodotti ittici panati, dal canto loro, sono in progressiva crescita, a riprova del fatto che i consumatori cercano proposte accattivanti e veloci da cucinare. Anche le pizze confermano il trend in rialzo e sono sempre più considerate come piatto unico, personalizzabile e a buon prezzo. In questa generale tendenza alla rivalutazione dei prodotti a più alto contenuto di servizio, va segnalata la performance dei piatti ricettati, o meglio dei secondi; ciò segnala un insopprimibile bisogno del consumatore moderno a ricercare prodotti salva tempo, dal profilo moderno e gustoso in grado di offrire una buona qualità globale. E tale tendenza è in costante crescita nell’intero continente europeo.

Cresce la concorrenza per gli specialisti del bio

I prodotti naturali non conoscono crisi. Stando alle rilevazioni condotte da Nomisma, nel 2014 ben il 59% dei consumatori ha acquistato almeno un prodotto alimentare a marchio bio; nel 2012 il dato si fermava al 53%, nel 2013 al 54,5%. In altre parole, in soli due anni si sono contati 1,7 milioni di famiglie acquirenti in più. È quanto scrive Manuela Falchero nell’ultimo numero disponibile online di inStore.

Ma non è tutto. Sempre secondo Nomisma, è infatti aumentata anche la spesa pro-capite degli italiani, passata dai 28 euro del 2011 agli attuali 39 euro in linea con una tendenza che non sembra essere esaurita se si considera che il 17% dei consumatori prevede di aumentare nel 2015 il budget destinato ad alimenti naturali.

E così negli ultimi mesi, le catene di più lungo corso hanno spinto sull’acceleratore dell’espansione.

E nuovi player si sono affacciati sul mercato. I casi di NaturaSì, Almaverde Bio Market e Bio c’Bon.

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Il ministro del Lavoro a Ipack-Ima: dopo il Jobs act, presto detassazione utili reinvestiti e riforma legge Fornero

Nel convegno inaugurale di Ipack-Ima (il tema è stato il futuro) è intervenuto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti invitato dall’amministratore delegato di Ipack-Ima Guido Corbella a considerare come sia essenziale la valorizzazione del personale per un settore, quello delle macchine per imballaggio, che occupa 150 mila addetti e che ha attraversato gli anni della crisi con un incremento delle assunzioni del 4,5%.un settore, quello della meccanica strumentale che contribuisce così al futuro delle giovani generazioni ma in maniera rilevante anche alla bilancia commerciale (11 miliardi di euro il surplus).

Senza contare che il settore del packaging è una fucina di innovazione e dà un contributo importante alla filiera del cibo. Ha spiegato infatti Marco Pedroni, presidente di Coop ma anche presidente di Ipack-Ima 2015: «Il confezionamento oggi deve rispettare la materia prima e mantenere i cibi più a lungo senza conservanti. È un grande contributo a tutta la catena del valore della filiera agroalimentare del nostro Paese in una chiave di collaborazione e di competizione di sistema, con un forte accento sulla sostenibilità, non solo ambientale e sociale, ma anche economica. Perché l’innovazione significa anche efficienza e tiene al riparo dalla competizione giocata solo sul fattore prezzo».

E competere sulla leva dei prezzi bassi è come competere utilizzando solo lavoro a basso costo. Poletti ha infatti ricordato come il Governo abbia fatto un salto di qualità investendo sui contratti di lavoro a tempo indeterminato. «Per anni – ha detto – le scelte sono state orientate a favorire il precariatoi, tanto che oggi l’85% dei contratti di lavoro è di tipo precario. Certamente per le imprese il contratto di questo tipo costa meno, ma offre anche una prospettiva meno stabile. E se non hai prospettive stabili le imprese non investono. Ma le imprese che non investono sulle competenze sono perdenti. Stiamo spingendo perché assumere le persone a tempo indeterminato diventi una cosa normale. Perché solo dando una prospettiva di stabilità si può pensare di tornare a crescere, avere più opportunità di conoscenza ma anche più reddito spendibile». E poi, guardando al futuro il ministro ha anche detto: «Siamo intenzionati a fare sì che il costo del lavoro stabile sia inferiore al costo del lavoro flessibile creando una sistema di certezze per imprenditori e lavoratori». E rispondendo a una domanda dalla sala: «Dobbiamo superare le logiche degli incentivi e premiare stabilmente le aziende che reinvestono gli utili, detassandoli».

Nielsen: torna a crescere la fiducia dei consumatori nel primo trimestre

Dopo la produzione industriale Istat anche l’indice di fiducia dei consumatori rilevato da Nielsen nel suo Global Consumer Survey torna a crescere e fa sperare in una inversione di tendenza, che dovrà essere confermata, per dichiararci fuori dalla crisi, anche nel secondo trimestre. I dati però dicono che posizionandosi a quota 57, l’indice di fiducia dei consumatori si attesta al livello del secondo trimestre del 2011, ma allora era in caduta libera.

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Rimane tuttavia ancora ampio il gap con la media UE (77 punti). L’Italia si avvicina alle posizioni di Spagna e Francia (rispettivamente a 61 e 59) mentre Germania e Gran Bretagna detengono ancora il primato nel Vecchio Continente (rispettivamente a 100 e 97). Il 93% della popolazione, d’altra parte, ritiene il Paese ancora in crisi (vs 95% di un anno fa), anche se il 16% dichiara che se ne potrà uscire nei prossimi 12 mesi (vs. 12%). In sensibile crescita la preoccupazione legata alla possibilità di attacchi terroristici nel nostro Paese (+ 8 punti verso il primo trimestre 2014), rilevata presso il 9% degli intervistati.

«Ci troviamo di fronte a un dato in decisa controtendenza. Questo, infatti, passa da 45 punti rilevati nell’ultimo trimestre 2014 a 57 punti del primo 2015. Ricordiamo che nel trimestre precedente la tendenza era ancora in calo (-2 punti) », ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia commentando i risultati dell’indagine.

«Le ragioni di questa inversione – ha proseguito Fantasia –  vanno ricercate innanzitutto nella realizzazione di alcune riforme strutturali messe in agenda dal Governo in questi mesi. In secondo luogo nella ripresa economica sia a livello globale che in Europa e in Italia, grazie ad un mantenimento a bassi livelli del costo delle materie prime, e al miglioramento, seppure timido, del mercato del lavoro. In terzo luogo nell’attivarsi della domanda nei consumi, rilevata soprattutto nella Gdo. In altri termini, si assiste al verificarsi di condizioni che permettono alle famiglie di divenire, almeno in prospettiva, fonti di reddito e non più meramente centri di costo. Il vero problema che ora si pone è quello della tenuta di questa ripresa. Una risposta l’avremo dalle prossime rilevazioni della fiducia nel secondo e terzo trimestre. Solo un consolidamento della domanda nei prossimi mesi potrà metterci in condizione di ritenere che ci siamo lasciati la crisi alle spalle».

Più in dettaglio, ecco alcune pillole dell’indagine.

Prospettive lavorative: si prospettano buone per il 13% degli italiani, rispetto al 7% registrato nel 1° trimestre dell’anno scorso.

Finanze personali: la percezione è ora positiva per il 21% del campione, rispetto al 14% su base tendenziale. Sono il 17%, inoltre, gli italiani che ritengono sia il momento di fare acquisti (+5 punti rispetto al 1° trimestre 2014).

Mettendo a fuoco le preoccupazioni degli intervistati, si registra che il 28% del campione si dichiara ancora in apprensione per la stabilità occupazionale, con dato invariato rispetto alle rilevazioni del primo trimestre 2014. Guerra e immigrazione rimangono preoccupazioni rispettivamente per il 4 e 5% della popolazione (rispettivamente all’1 e 2% lo scorso anno). Il 5% si dichiara preoccupato per la propria situazione debitoria, il 6% per la salute, il 9% per l’economia.

Atteggiamenti verso la spesa: dopo gli acquisti per i beni necessari, il 37% degli italiani si orienta a destinare risorse per il risparmio. Seguono quanti intendono comprare vestiti o concedersi una vacanza (entrambi al 27%), mentre il 22% dichiara l’intenzione di volere spendere per il divertimento fuori casa. Si attesta al 25% la quota della popolazione che rimane senza soldi alla fine del mese.

Orientamento al risparmio: si rilevano alcuni segnali di un attenuamento dell’intenzione di tagliare le spese rispetto ai dati dello scorso anno, benché il 72% prosegua a monitorare le uscite finanziarie e la voce risparmio. Spende di meno per l’abbigliamento il 56% del campione (vs. 63%) come per i pasti fuori casa (vs 61%), il 40% per vacanze e gite fuori porta (vs. 46%), il 37% per l’utilizzo dell’auto (vs. 42%).

Nello stesso tempo, tuttavia, si osserva che la crisi ha influenzato in maniera permanente le abitudini di spesa degli italiani. Tanto è vero che è cresciuta la quota di coloro che dichiarano l’intenzione di proseguire a risparmiare sulle bollette di luce e gas (26% vs. 22% del 1° trimestre 2014) e di comprare i prodotti alimentari più economici (23% vs. 20%).

Sono infine il 20% (vs 25%) gli italiani che porranno attenzione sulle spese per ristoranti, e il 19% (vs. 22%) su quelle per nuovi abiti.

Apre Ipack-Ima. Il mercato del packaging vale 42 miliardi di euro

Quante volte in un giorno abbiamo a che fare con un imballaggio, scatola o bottiglia, sacchetto o astuccio, tappo o vaschetta che sia? E’ stato calcolato almeno 35. Si tratta di un mercato che vale a livello planetario 540 miliardi di euro e nel quale l’Italia vanta eccellenze di primo piano: dalle confezioni per i farmaci alle bustine del tè, dai pacchetti di sigarette alle bottiglie di plastica per l’acqua minerale. In media il 25% delle tecnologie per confezionare nel mondo parla italiano. Le aziende italiane del settore – fortemente export oriented – forniscono tecnologie di punta per il confezionamento dei prodotti food e non food ai grandi marchi italiani ed esteri e alla grande distribuzione, generando un fatturato annuo di circa 42 miliardi di euro (tra macchine e materiali per imballaggio).

Schermata 2015-05-18 alle 17.22.03Apre domani i battenti a Fieramilano Rho, fino al 23 maggio, Ipack-Ima, in contemporanea con altre cinque manifestazioni (Meat-Tech, Dairytech, Fruit Innovation – dal 20 al 22 maggio – Converflex, Intralogistica Italia) in un evento professionale e di filiera senza precedenti.

La settimana del packaging e delle tecnologie alimentari riunirà circa duemila espositori (con il 33% da 54 paesi) occupando una superficie di 160.000 mq distribuita su 11 padiglioni e ospiterà 500 delegazioni di buyers da oltre 50 paesi, di cui 270 ufficiali organizzate grazie alla collaborazione con il Mise e ICE-Agenzia.

“Quando si beve un espresso a Shanghai, o New York, pochi sanno che non solo il caffè è probabilmente italiano, ma che lo è anche la cialda che lo contiene: una su due nel mondo è prodotta infatti con macchinari italiani” dice Guido Corbella, amministratore delegato di Ipack-Ima spa. “E una su quattro delle bustine di zucchero in circolazione è stata realizzata su confezionatrici prodotte in Italia. Ma forse non vi piace il caffè espresso e preferite quello in stick? Bene, uno stick su 5 nasce su macchine automatiche prodotte da aziende italiane”.

Succede in molti altri comparti. Per esempio quello del thé, o dei detergenti per la casa, dove le nuove pratiche monodosi per lavastoviglie e lavatrici che si sciolgono in acqua prendono forma e contenuto grazie a materiali e linee automatiche ad alta velocità realizzate in Italia ed esportate in tutto il mondo. Per non parlare della pasta secca, settore in cui la tecnologia nel mondo è indiscutibilmente tricolore (e Ipack-Ima è leader): dal sacco di farina quando entra in stabilimento fino al pacco o alla scatola di pasta che arriva ai supermercati e quindi nella cucina di ognuno di noi.

I cinque giorni di Ipack-Ima sono anche un’occasione unica per incontrarsi, confrontarsi e approfondire le sfide prossime venture: di un settore che come pochi altri ha una stretta attinenza con i grandi temi della sicurezza alimentare, della conservazione corretta del cibo ed eliminazione degli sprechi, dell’alimentazione sana e per tutti.

Ai grandi quesiti sul futuro sollevati da EXPO, Ipack- Ima e le sue verticali danno una risposta: quella della tecnologia, che già oggi è disponibile e che può aiutare grandemente a superare malnutrizione, sprechi e squilibri inaccettabili, come quello che contrappone 800 milioni di essere umani sottoalimentati a 1,6 miliardi di esseri umani in sovrappeso o obesi.

Proprio in quest’ottica vanno visti i due principali appuntamenti convegnistici in programma: il convegno di apertura del 19 in cui si parlerà di innovative forme di packaging digitalizzato e della sua interazione con il consumatore, e la conferenza internazionale del 20 maggio, che proverà a ipotizzare i megatrend che l’agroindustria globale dovrebbe imboccare per reggere l’impatto di oltre 9 miliardi di consumatori da qui al 2050.

Numerosi altri eventi sveleranno mercati in rapido sviluppo, dagli integratori alimentari (2,3 miliardi di euro e + 8% di crescita annua a valore) ai prodotti Halal per il mondo islamico (come la carne, il cui consumo è in rapida crescita anche in Italia).

VanDrie Group rinnova il modo di comunicare la carne di vitello

Anche in tempi di contrazione della spesa, la carne di vitello continua a rimanere un prodotto in sintonia con le caratteristiche del consumatore italiano, curioso, esigente, sensibile ai temi della qualità e dell’origine degli alimenti che sceglie. Questa attenzione cresce nel momento dell’acquisto della carne, una voce che pesa sullo scontrino, per cui il consumatore punta su un prodotto scelto e sicuro, in grado di trasmettere valore.

A questo target si rivolge VanDrie Group, gruppo olandese produttore di vitello che basa la proprie mission su alcuni principi fondamentali: la trasparenza, il benessere per l’uomo, l’animale e l’ambiente. Gli allevamenti che fanno parte del gruppo dispongono di stalle ampie, ben ventilate e dotate di illuminazione naturale. Questa attenzione ha permesso a VanDrie Group di ottenere dalla Protezione Animale Olandese il marchio “Beter Leven”, vivere meglio.

Fondato nei primi anni Sessanta come azienda familiare per valorizzare i prodotti secondari dell’allevamento di bestiame da latte, oggi il gruppo è una realtà da 2 miliardi di euro di fatturato, circa 1,5 milioni di capi macellati e 500.000 tonnellate di mangime l’anno; un network composto da 25 imprese integrate in tutta Europa (di cui 3 in Italia), che coprono l’intera filiera, dai mangimi al pellame per la moda. Il gruppo è in grado di realizzare tagli e confezioni su misura, a seconda delle esigenze della clientela (grande distribuzione compresa) e le spedizioni avvengono in pochi giorni, Per garantire la tracciabilità ogni confezione è dotata dal numero di identificazione dell’animale di provenienza.

Forte della sua propensione all’internazionalizzazione (oltre il 95% della produzione viene esportata in oltre 60 paesi), VanDrie ha nell’Italia un importante riferimento, perché rappresenta il 35% della quota export. Per questo ha lanciato una intensa campagna di comunicazione volta a ravvivare l’interesse italiano per la carne di vitello.

«L’approccio tradizionale a cui noi del mondo della carne siamo abituati – spiega Herman van Drie – è insufficiente per raggiungere i giovani, che utilizzano per informarsi altri mezzi rispetto a quelli tradizionali. La carne purtroppo appare nei media sempre più spesso sotto una luce negativa. Opinioni e comunicati vengono sopravvalutati e promossi a verità. Noi vogliamo per mezzo di questa campagna raggiungere i consumatori e divulgare il racconto vero sulla carne di vitello».

La ricetta della campagna? Un mix social media, partecipazione a eventi pubblici, arricchimento del sito internet www.carnedivitello.it e la collaborazione con gli chef stellati di UIR (Unione Italiana Ristoratori), specialisti dell’alimentazione e food blogger.

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