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fabrizio.gomarasca

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Per il Barometro mondiale dei furti nel retail, in Italia le differenze inventariali costano 5,37 miliardi di euro

Secondo i dati dell’ultima edizione del Barometro Mondiale dei Furti nel Retail giunto alla 14esima edizione, realizzato da The Smart Cube (TSC), in collaborazione con Ernie Deyle e finanziato da un fondo indipendente di Checkpoint Systems, il costo delle differenze inventariali nel Retail ha raggiunto 93 miliardi di euro a livello globale, vale a dire l’1,23% delle vendite totali che assommano a 750,68 miliardi di euro. Sulla base delle risposte ottenute dagli intervistati comuni, che hanno partecipato ad entrambi i sondaggi del 2013-2014 e 2014–2015, le differenze inventariali globali sono cresciute da 0,94% nel 2013–2014 a 1,42% nel 2014–2015.

Tra le ragioni principali dell’aumento delle differenze inventariali, tra cui la difficile condizione economica, l’elevato tasso di disoccupazione e la scarsa fiducia da parte dei consumatori, insieme all’aumento dei furti interni e/o degli errori nei processi, oltre alle tattiche, in costante proliferazione, messe in atto per compiere i furti esterni.

Le cose vanno un poco meglio in Italia, dove le differenze inventariali nei punti vendita sono state pari all’1,01% del fatturato, pari a circa 2,95 miliardi di euro, in live diminuzione rispetto all’anno precedente. La spesa in investimenti dei retailer per la prevenzione delle perdite sono di poco superiori – l’1,07% del fatturato – e si concentrano sugli strumenti tecnologici, ed una formazione efficace dei dipendenti allo scopo di mantenerli motivati per ridurre i furti.

Schermata 2015-11-05 alle 23.24.45Tra perdite per differenze inventariali e investimenti per combatterli il costo complessivo per il retail italiano è stato, secondo il Barometro, di 5,37 miliardi di euro, cioè 208 euro a famiglia.

IL BAROMETRO MONDIALE DEI FURTI NEL RETAIL 2014-2015

Tra le cause, al primo posto vi è il taccheggio (45%, in diminuzione rispetto all’anno scorso), seguito dai furti dei dipendenti (23%). Particolarmente significativa la quota del 19% delle perdite dovute a errori amministrativi (a livello globale sono il 16%, ma nel Regno Unito sono la causa principale): in assoluto significano quasi 600 milioni di euro che potrebbero essere agevolmente recuperati con lo scambio elettronico dei dati. A seguire le frodi dei fornitori con il 13%.

Soluzioni di prevenzione delle perdite – ItaliaSebbene gli investimenti maggiori si concentrino sui sistemi di sorveglianza elettronica degli articoli e sul personale di sicurezza, si sta investendo sempre più in business intelligence per ottenere maggiori informazioni sui prodotti oggetto di furti e sono in crescita, in particolare nella gdo alimentare gli investimenti per la protezione alla fonte che non si sovrappongono con le diciture di legge in etichetta, segnatamente gli ingredienti e la data di scadenza.

È quanto sta facendo MD, insegna di Lillo Group, che riprendendo un progetto avviato nel 2012, quest’anno ha protetto alla fonte 208 referenze, con l’obiettivo di arrivare a 240-250 nei prossimi mesi, pari al 10% delle referenze totali. Per l’insegna il 40% delle differenze inventariali si riferisce a 500 articoli. Per questo l’intervento di protezione alla fonte studiato con Checkpoint Systems non mira a proteggere il singolo articolo, ma l’assortimento nel suo insieme. L’intervento di protezione alla fonte effettuato dal produttore non comprime i margini del prodotto perché è il retailer stesso che si fa carico di sopportarne il costo (che è allocato al budget della sicurezza e non a quello dei buyer). Il risultato fino a oggi è confortante: le differenze inventariali sono state ridotte del 47%.

 

Ucima e Fiera Milano insieme per una Ipack-Ima più forte

Riccardo Cavanna, Presidente Ipack-Ima Srl e Vicepresidente Ucima

Nuova vita per una manifestazione di successo come Ipack-Ima. È quella che si annuncia con la creazione della nuova società Ipack-Ima srl tra Fiera Milano Spa e Ucima (rispettivamente con il 49% e con il 51% delle quote), che sta già lavorando per l’edizione di maggio 2018.

È una buona notizia per il sistema industriale e fieristico italiano perché dopo la rottura con l’associazione dei produttori di macchine per imballaggio (Ucima), dopo dieci anni si ricostituisce una alleanza che cambia la prospettiva per l’intero settore: «Si sana un divorzio storico e il nostro obiettivo è quello di dare a Ipack-Ima un maggiore respiro internazionale», ha affermato davanti ai giornalisti il presidente di Ucima Giuseppe Lesce. Gli ha fatto eco l’amministratore delegato di Fiera Milano: «A grande eccellenza produttiva deve corrispondere una grande eccellenza fieristica».

L’ultima edizione di Ipack-Ima svoltasi a maggio è stata visitata da 79.667 operatori, di cui il 28% internazionali. Ed è partendo da questi dati che la nuova società, presieduta da Riccardo Cavanna, che è anche vicepresidente Ucima, si è già messa al lavoro: «Con il team di Ipack-Ima, il team dell’associazione e gli imprenditori – ha affermato – faremo prima un lavoro di ascolto dei visitatori e dei clienti espositori, per dare sostanza alla nostra idea di una fiera differente, che faccia leva sulla customer experience e sull’innovazione in tutti i sensi. Abbiamo un’idea di fiera allargata che duri non solo i quattro giorni di manifestazione ma che abbia un prima e un dopo e che coinvolga le nove business community che sono il cuore di Ipack-Ima. Tutto ciò che faremo, in ogni caso, dovrà avere il consenso degli imprenditori del settore e possiamo contare sulla rete internazionale di agenti di vendita di cui dispone Fiera Milano».

Per fvorire e accrescere le sinergie tra le manifestazioni del settore food di Fiera Milano, a guidare la nuova società come amministratore delegato è Domenico Lunghi, direttore fiere Food e Food Tech di Fiera Milano.

Amazon con Prime Now consegna in un’ora (anche il fresco)

Un altro passo avanti di Amazon.it nel presidio dell’e-commerce alimentare e grocery. Mentre il dibattito tra i retailer italiani ferve tra i fautori del click&collect, del drive o del rocker, il gigante del commercio online sposta in alto l’asticella della competizione su tre fronti: la velocità di consegna, l’inserimento di prodotti freschi e surgelati e gli acquisti da mobile. Amazon.it ha infatti annunciato oggi Prime Now, il nuovo servizio dedicato ai clienti Prime. Grazie alla nuova app mobile Prime Now, i clienti possono beneficiare di consegne in un’ora o in finestre di due ore dalle 8 del mattino a mezzanotte, sette giorni su sette, su oltre 15.000 prodotti, alcuni dei quali sono disponibili solo tramite il nuovo servizio, per esempio pane, yogurt, gelato o minestrone surgelato.

IMG_2903IMG_2904Con un ordine minimo di 19 euro, i clienti Prime di Milano, Cinisello Balsamo, Paderno Dugnano e diverse altre città dell’hinterland milanese possono acquistare prodotti di uso quotidiano come pasta, caffè, pannolini e prodotti per l’infanzia, per la bellezza e la cura della persona, vini e alcolici, ma anche altri prodotti bestseller come videogiochi per console, giocattoli ed attrezzatura sportiva, che saranno consegnati direttamente a casa.

Il servizio è attivo da oggi a Milano ed in alcuni comuni dell’hinterland ed è prevista un’estensione del servizio anche in altre città italiane nel corso del prossimo anno.

«I clienti Amazon dell’area di Milano possono usare l’app Prime Now da oggi e scoprire più di 15.000 prodotti che possono essere consegnati in un’ora» ha dichiarato François Nuyts, Country Manager di Amazon.it e Amazon.es. «L’Italia è il secondo Paese in Europa dove Prime Now è stato lanciato e siamo molto orgogliosi di offrire ai nostri clienti Prime una consegna ultra-veloce, oltre ai benefici di cui possono già godere grazie al loro abbonamento Prime».

Tutti gli iscritti Prime possono scaricare da subito l’app Prime Now, disponibile per i dispositivi iOS e Android,  verificare i CAP coperti dal servizio e chiedere di ricevere le notifiche per sapere quando il servizio sarà disponibile nella propria area. Inoltre, per trovare i CAP raggiunti dal servizio, i clienti possono visitare www.amazon.it/primenow. La “spedizione in un’ora” è disponibile per i CAP raggiunti da questa modalità di spedizione al costo di 6,90 euro; la spedizione è invece gratuita scegliendo di ricevere il proprio ordine in finestre di due ore. Il servizio è attivo dalle 8 di mattina a mezzanotte, sette giorni su sette. L’importo minimo per gli ordini Prime Now è 19 euro.

I clienti Prime in Italia possono già usufruire della Spedizione Sera su più di un milione di prodotti, dell’archiviazione illimitata di foto grazie a Prime Foto e dell’accesso in anteprima alle Offerte Lampo di Amazon e alle offerte di Amazon BuyVIP. 

Prodotti a marchio del distributore, gli internauti hanno le idee (quasi) chiare

C’è grande consapevolezza (91% dei pareri intercettati nel web domestico) sul fatto che i prodotti MDD indicano la proprietà ma non il produttore; nel 90% delle opinioni lasciate in rete i netsurfer sanno che le referenze a marca privata sono realizzate dalle stesse aziende che vendono prodotti analoghi, spesso presenti anche sugli scaffali dalla stessa insegna; dall’analisi dell’ 88% delle menzioni intercettate si deduce che gli internauti hanno una perfetta percezione dell’appartenenza dei prodotti MDD alla catena distributrice anche quando il nome non coincide.

Il sentiment a tale proposito è positivo nel 96% dei casi, qualifica sia la marca privata che l’insegna di appartenenza.

Una ricerca effettuata con metodologia tradizionale, cioè con questionari cartacei, interviste telefoniche e face to face ha quantificato nel 75% i mood positivi relativi alla marca privata; si evince che il popolo della rete è decisamente più propenso al suo acquisto.

Nel 19% dei pareri si evidenzia un sentiment negativo nei confronti del produttore – ma non dell’insegna! – che vende lo stesso prodotto (o analogo) a prezzo maggiore (col proprio brand).

Il 77% di chi ne digita nel web è un acquirente abituale dei prodotti MDD, contro il 53% degli intervistati con le metodologie storiche di cui sopra.

Le insegne più citate sono (menzioni multiple): Coop (77%), Carrefour (65%), Lidl (58%), Auchan (56%), Esselunga(53%), Europsin (49%), Conad (46%) e questo, con passaggio ardito, può essere considerata una brand awareness del web (limitatamente ai prodotti MDD).

 

Come cambia la percezione dei prodotti MDD al variare del prodotto

Le citazioni per i prodotti MDD sono quasi totalmente relative ai prodotti alimentari (86%), poche le menzioni riservate alle altre referenze (14%).

Per quanto riguarda i prodotti alimentari (86% di pareri riferiti alle referenze alimentari a marca privata) i naviganti menzionano le linee dedicate/diversificate (bio, ecologiche, solidali, specialità regionali …) nel 23% dei casi.

Fatto 100 il rimanente 14%, le opinioni riguardano le linee per bambini (42%), il pet food (39%) e nel restante 19% dei casi le altre linee: cura casa, cura persona, parafarmaco, altro.

I netsurfer quantificano il risparmio derivante dall’acquisto di prodotti MDD tra il 25% e il 50 % del prezzo del prodotto equivalente a marca industriale; la maggior parte dei giudizi (64%) stima un risparmio compreso tra il 30% ed il 40% rispetto ai prodotti top di gamma.

Il mood rinvenuto in rete riguardo il prezzo è meno polarizzato per le marche commerciali premium e primo prezzo, dove si evidenzia confusione: per il 22% degli intrenauti (pareri multipli) le linee premium costano più del top di gamma, un ulteriore 26% reputa più conveniente il discount rispetto al primo prezzo.

Questi i motivi alla base dei prezzi vantaggiosi dei prodotti MDD (pareri multipli), secondo i pareri lasciati in rete: potere di acquisto dell’insegna (81%); assenza di investimenti pubblicitari (78%); ottimizzazione logistica (64%).

Segnaliamo che nessuna di tali motivazioni è un corruttore di reputazione (anzi!) o tanto meno è un erosore del concetto di qualità.

Ripartendo le opinioni inerenti ai prodotti MDD in marche bandiera e contromarche, abbiamo la conferma della consapevolezza che il popolo del web ha riguardo la proprietà dei prodotti: i pareri relativi alle marche bandiera sono maggiormente positivi di quelli riferiti alle contromarche.

Osservando le motivazioni d’acquisto nell’infografica, si può rilevare come ad oscillare è quasi esclusivamente il prezzo. Immagine, reputazione, contenuti dei prodotti MDD sono concetti solidi e trasversali alle tre linee.

Diapositiva1

Come cambia la percezione dei prodotti MDD nelle varie categorie

Per prima cosa segnaliamo che le opinioni lasciate in rete non fanno registrare differenze significative tra segmenti “base” e “non base”.

Ricordiamo che i giudizi relativi ai marchi del distributor alimentari sono l’86%; fatto 100 il restante 14% di pareri il mix per linea di prodotti è : bambini 42%, pet food & care 39%, altro / specializzato 8%, cura casa 4%, cura persona 4%, parafarmaco/generico 3%.

L’approfondimento qualitativo basato sull’analisi semantica dei pareri intercettati spiega perché la suddivisione di pareri per linee di prodotto non rispecchia le quote di vendita.

Si palesa nettamente un coinvolgimento emotivo molto superiore nei driver di acquisto di prodotti per bambini ed animali domestici rispetto a quanto accade per i prodotti per la casa.

Relativamente alla cura della persona siamo in presenza di due fenomeni che concorrono ad abbattere il totale dei pareri: la consolidata fiducia nei prodotti a marchio dei distributori e la parziale non specializzazione dei prodotti per la persona commercializzati attraverso la GDO.

Ciò avviene anche per il parafarmaco, (ricordiamo inoltre che le referenze per i farmaci generici sono pochissime tra i prodotti MDD).

Il basso numero di pareri riguardanti i prodotti “cura casa” è causato, come in parte visto per i “cura persona”, dalla fiducia riposta nelle catene e ad un contesto che “non suscita il dibattito” nel web.

I numeri riguardanti le motivazioni d’acquisto si commentano da soli; i cluster in cui si aggregano i giudizi relativi alle reason why di acquisto confermano e completano quanto già emerso grazie all’analisi semantica.

È evidente come ogni linea di prodotti sia ben connotata; definite le motivazioni per cui si scrive poco nel web di casa e persona, andrebbe secondo noi fatta aumentare la notorietà delle categorie “altro/specializzato” e “parafarmaco/generico”.

Lo sbilanciamento del numero di giudizi a favore dell’alimentare è da imputare sia al fatto che è linea in cui i marchi dei distributori hanno esordito, sia al fatto che esso rappresenta il segmento principale della GDO.

Le Linee Bio ed Equoslidali

Fatto 100 il numero di opinioni intercettate in rete riguardanti la marca privata, il 21% è riferito alle linee dedicate, diversificate: bio, ecologiche, equosolidali, di specialità regionali, dietetiche/per particolari regimi alimentari.

Di questo 21%, il 98% riguarda le linee Bio Alimetari (83%) e Equosolidali Alimentari (15%).

Segnaliamo per prima cosa come “Bio” riferito all’alimentare ha per i netsurfer un’accezione particolarmente ampia: include anche quanto proveniente da allevamenti etici, come le uova di galline allevate a terra, tonno di provenienza tracciata/pescato nel rispetto delle quote CEE e con tecniche ritenute di minor impatto ambientale ecc. I giudizi negativi riferiti al cibo bio a marca privata sono quasi inesistenti (2%) e relativi a dubbi sulla certificazione biologica. Molto segmentati ma ovvi gli argomenti alla base del 98% di pareri positivi.

Seconda macro-evidenza riguardante l’equosolidale: siamo in presenza di una polarizzazione dei giudizi, le critiche maggiori rivolte alla marca privata (41% del 15%), provengono da netsurfer che con equosolidale identificano la negazione di una politica di massimizzazione del profitto, politica che invece attribuiscono sia   alle insegne della GDO che ai grandi produttori.

Fatto 100 il 59% dei pareri positivi riferiti alle referenze alimentari equosolidali a marca privata, queste sono le principali argomentazioni (pareri multipli): divieto di lavoro minorile 92%, reinvestimento di parte dei profitti in opere sociali come la realizzazione in loco strutture sanitarie 87%, di orfanotrofi 81%, di pozzi per l’acqua potabile 82%, di scuole per l’infanzia 77%, scuole professionali 73%, controllo degli orari di lavoro adottati dai produttori locali 68%, impiego di materie prime rinnovabili 65%, rimboscamento 52%, altre infrastrutture 37%, altro 21%.

Riguardo le linee equosolidali le citazioni (multiple) sono per i seguenti prodotti : caffè (68%), tè (46%), cacao 23%, zucchero di canna 19%, banane 17%, spezie 11% orzo 10%, frutta secca 9%, infusi differenti dal tè 7%, altro 4%.

Qunto alle motivazioni d’acquisto, le due linee sono decisamente ben connotate, il loro posizionamento è ben definito ed i driver di acquisto sono evidenti. Confrontando queste reason why di acquisto con quelle per le linee Alimentari (non Bio, non Equosolidali), Bambini, Pet Food & Care, Cura Casa, Cura Persona, Parafarmaco / Generico, notiamo che, relativamente ad Alimentari Bio e Alimentari Equosolidali, il prezzo ha il peso più basso in assoluto, la qualità negli Alimentari Bio ha il peso maggiore (ex aequo con i prodotti per Bambini), la Sostenibilità fa segnare il peso più alto, la ricerca di Sicurezza negli alimentari Bio è seconda solo a quella dei prodotti per Bambini.

I numeri della ricerca

Abbiamo analizzato le opinioni lasciate nel web domestico in un periodo di 12 mesi. I pareri eleggibili ai fini del presente rilevamento sono 5.815.342. Il campione statisticamente rappresentativo realizzato conta 1.356.218 giudizi e ci salvaguarda dall’errore in ogni cella di quota. Per scelta metodologica abbiamo escluso siti proprietary, articoli della stampa specializzata e non, news ed ogni altra fonte non rappresentasse l’opinione scritta liberamente in Social Media, Blog e Forum da consumatori privati.

di Gian Marco Stefanini – Web Research

 

WWW.WEB-RESEARCH.IT Srl

È un istituto di ricerche di mercato e consulenze di marketing che offre servizi rivolti ad aziende e multinazionali presenti nel mercato domestico.

Ha portato tra i primi in Italia una nuova metodologia di ricerche ed analisi di mercato: Web listening – Web research – Web monitoring. Utilizzando software di intelligenza artificiale che emulano il funzionamento delle reti neurali effettua un’analisi semantica e psicometrica dei testi presenti nel Web attribuendo loro personalità e punteggi. www.web-research.it ascolta il Web per scoprire, analizzare, razionalizzare cosa i clienti reali e potenziali pensano e dicono oggi e indietro nel tempo fino agli ultimi tre anni. E’ il partner ideale di aziende, marchi, prodotti, servizi e personaggi pubblici con esposizione mediatica significativa.

www.web-research.it – Tel. 02.89367297 – Fax 02.89367298 – P.zza Castello 26 – 20121 Milano info@web-research.itgianmarco.stefanini@web-research.it

 

I farmacisti all’attacco della petizione liberalizziamoci di Conad

Non si è fatta attendere molto la replica dei farmacisti alla mossa di Conad di lanciare la petizione liberalizziamoci affinché “il Governo intervenga al più presto con un provvedimento di liberalizzazione, che consenta anche alle parafarmacie la vendita dei farmaci di fascia C con ricetta”.

Leggi l’articolo Conad lancia la petizione per consentire alle parafarmacie la vendita di farmaci di fascia C

Con toni forti e un linguaggio da scontro diretto, il presidente di Federfarma Sunifar (che rappresenta le 6000 farmacie rurali) Alfredo Orlandi ha dichiarato: «Management Conad, pensate agli sconti su prosciutti e formaggi! I cittadini vi chiedono questo, non di poter riempire i carrelli di medicine. Non si capisce perché chi si occupa di generi alimentari e detersivi debba sentirsi in diritto di occuparsi di salute e farmaci. Sono mestieri diversi, non capiscono la differenza?», si chiede Orlandi. E risponde: «I farmaci si trovano in farmacia perché estranei alle logiche del commercio, perché qui ci sono le condizioni di sicurezza e privacy, perché il farmacista sotto casa ti conosce e ti mette in guardia se il farmaco che richiedi può interferire con altre terapie in corso».

Orlandi poi sfodera l’attacco diretto:

«Continuino a fare i pizzicagnoli, e a farlo bene, che per fortuna dei farmaci ci occupiamo noi nelle farmacie. Vogliono usare i farmaci come specchietti per le allodole, per tornare a riempire i carrelli. Ma non saranno i farmaci a salvarli. In farmacia i cittadini hanno già l’opportunità di risparmiare sulle terapie grazie agli equivalenti».

Dobbiamo rilevare, ancora una volta, che le motivazioni dei farmacisti sono sempre le stesse da anni. E spiace constatare che si faccia ancora confusione tra scaffali e parafarmacie, visto che si tratterebbe di dare la facoltà di vendita dei farmaci con ricetta bianca alle parafarmacie presidiate da un farmacista regolarmente laureato e iscritto all’ordine.

Del resto al riguardo si era a suo tempo espresso l’Antitrust quando aveva rilevato che l’estensione della vendita alle parafarmacie determinerebbe “un incremento delle dinamiche concorrenziali nella fase distributiva, con indubbi benefici per i consumatori”.

Attualmente i farmaci di fascia C con ricetta sono in vendita esclusivamente nelle farmacie tradizionali, a prezzi medi di gran lunga superiori a quelli dei farmaci da banco: 11,8 euro cadauno in media, cioè 3,7 euro cadauno in più rispetto ai medicinali senza obbligo di ricetta, già liberalizzati, argomenta a sua volta Conad, riprendendo dei dati di Assosalute.

Conad lancia la petizione per consentire alle parafarmacie la vendita di farmaci di fascia C

Nel pieno del dibattito in corso per l’approvazione al Senato del ddl concorrenza, Conad lancia una raccolta di firme per estendere la vendita dei farmaci di fascia C alle parafarmacie. A nove anni dalla legge Bersani che aveva in parte liberalizzato il settore, oggi sono ancora 3.800 i farmaci che si acquistano con la prescrizione del medico ma sono pagati integralmente dai cittadini (quelli, per intenderci con la ricetta bianca). In valore, citando il rapporto Osmed 2014, si tratta di 2.937 milioni di euro, cioè l’11% della spesa farmaceutica nazionale.

La vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie torna periodicamente ad affacciarsi tutte le volte che il Governo affronta la questione liberalizzazioni. Lo fu per il decreto Bersani e più recentemente con i provvedimenti di Mario Monti. Nessuno però ruscì a scalfire il muro innalzato dalla lobby dei farmacisti, che usano trincerarsi dietro la difesa degli interessi dei “pazienti” grazie anche all’effetto “camice bianco” su gran parte della popolazione. Tuttavia, uno dei punti che le organizzazioni dei farmacisti si guardano bene dal chiarire è quale sia la differenza tra un farmacista che lavora in una farmacia o in una parafarmacia, avendo entrambi conseguito la medesima laurea.

Così, come si legge in una nota, “Conad ha deciso di sensibilizzare e mobilitare i cittadini perché il Parlamento – a costo zero per le casse dello Stato e della Pubblica amministrazione – renda più dinamica la concorrenza nel mercato dei farmaci, allargando alle parafarmacie la vendita di quelli di fascia C. Ciò porterebbe ad una competizione sui prezzi con un beneficio per i cittadini stimato tra i 500 e i 900 milioni di euro all’anno. Così come è avvenuto per la liberalizzazione dei farmaci senza obbligo di prescrizione medica (Sop) e i farmaci da banco (Otc), che ha prodotto un’indubbia convenienza per i cittadini: con la concorrenza, i prezzi dei farmaci sono risultati più contenuti, con un valore medio di 8,1 euro in farmacia, 7,4 euro in parafarmacia e 6 euro della grande distribuzione (fonte: Assosalute, 2015)”.

Conad ha in funzione 97 parafarmacie su tutto il territorio nazionale, per un fatturato di 50 milioni di euro. I 3,7 milioni di clienti che le frequentano annualmente hanno risparmiato il 20 per cento rispetto ai prezzi della farmacia per complessivi 10 milioni all’anno.

«Preoccupa l’orientamento del Parlamento, che sul ddl concorrenza continua a tenere i farmaci di fascia C fuori dalle parafarmacie ignorando le raccomandazioni dell’Antitrust per una più completa liberalizzazione del settore farmaceutico», sottolinea l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. «In questo modo si nega a tante famiglie la possibilità di risparmiare molte centinaia di milioni di euro all’anno, cifra che sarebbe un’importante boccata di ossigeno. Abbiamo scelto la petizione e la raccolta di firme nell’interesse dei cittadini e dei nostri clienti; per riconoscere la dignità della professione che i farmacisti svolgono nelle parafarmacie; nel nostro stesso interesse, perché sia possibile competere in un mercato aperto e con regole chiare quanto eque per tutti. Dobbiamo sottolineare, purtroppo, come il Paese sia ostaggio di lobby che cercano di assicurare la propria sopravvivenza anziché sostenere lo sviluppo dell’economia, far nascere nuova imprenditorialità, creare nuova occupazione e garantire ai cittadini servizi e convenienza».

Sul sito www.liberalizziamoci.it i cittadini trovano tutte le informazioni necessarie a conoscere più a fondo il tema, un dossier che ripercorre la storia e i benefici della liberalizzazione del mercato dei farmaci, dal primo decreto Bersani ai giorni nostri, e, soprattutto, la petizione da firmare. Oltre che sul sito, la raccolta delle firme avverrà anche nei punti di vendita Conad.

La comunicazione nei punti di vendita della rete, sui principali quotidiani nazionali e sulle pubblicazioni aziendali – Bene Insieme e Comma – è integrata da una sezione online presente sui social Facebook  e Twitter.

A Coca Cola il Best Product Brand 2015. Ma la sorpresa non c’è

Assegnato ieri sera il Best Product Brand Italia 2015 a Coca Cola, che si è imposto su un panel di concorrenti di 242 brand in 33 categorie e su una short list di 15 pretendenti al premio, senza sorprese: Findus, Dash, Granarolo, Lego, Lavazza, Algida, Apple, Coca Cola, Bmw, Ace, Nike, Tono Rio Mare, Mulino Bianco, Nutella, Samsung. In sostanza una celebrazone della marca ma senza novità di rilievo, considerando che per buona parte sono brand globali, e la mancanza di quella sorpresa che – diciamolo – è componente importante della marca.

Il premio Best Brands, al debutto in Italia, è nato in Germania nel 2004 creato dal gruppo di comunicazione Serviceplan insieme a Gfk.

Gli stessi che l’hanno introdotto in Italia. Il meccanismo di valutazione mette in relazione ttraverso un algoritmo ad hoc sia il potenziale economico del brand sia il suo legame affetivo con le persone.

Silvio Silprandi, Vice Presidente GfK Eurisko Italia, entra nello specifico della metodologia. «È un processo molto articolato: l’indice finale nasce da due famiglie di indicatori. Da una parte abbiamo il ‘successo della marca’ che comprende la Market Share (cioè la quota di mercato a valore), la Loyalty del consumatore (cioè la fedeltà al brand espressa attraverso l’acquisto più frequente) e il Premium Price (cioè il livello di prezzo su cui si attesta la marca rispetto alla media della competition) e la «share of soul» che comprende la Brand Awareness (domande che rilevano il livello di familiarità con la marca}, il Brand Potentia/ Index (calcolato su una serie di domande che misurano propensione a spendere di più rispetto alle altre marche, personal relevance, attrattività, distintività e superiorità), il Cross-selling Potential (domande che raccolgono il livello di propensione all’acquisto/utilizzo di un nuovo prodotto della marca). In sostanza però l’ingrediente fondamentale di tutto il processo sono i consumatori. Sono loro a determinare sia il successo economico di una marca sia ad esprimere i dati più ‘emozionali’».

Consegnato anche il Best Corporate Brand a Ferrero (che aveva già avuto la sua consacrazione in questa categoria a febbraio in Germania). Interessante, in questo caso, la short list dei concorrenti, perché oltre a Barilla, Campari, San Pellegrino, Ferragamo, Ferrarese, Giochi Preziosi, Luxottica, Moncler, Perfetti, Pirelli, Tod’s compaiono due marchi operanti nel retail come Coop e Calzedonia.

Il prossimo anno Best Brands assumerà la sua versione definitiva con la prefazione delle tre categorie su cui è fondato, Corporale, Products e Growth.

Retail Visions Popai per progettare un’esperienza d’acquisto memorabile

Retail Visions, l’annuale convegno sul Retail Design organizzato da Popai Italia è in programma Mercoledì 4 Novembre alla Triennale di Milano dalle ore 9.00 alle ore 13.00.

Questa edizione indagherà come progettare una shopping experience memorabile, “premio” per tutti i clienti all’interno del punto vendita.

Le caratteristiche dell’ambiente (spazio fisico, tecnologie, visual merchandising … ) sono gli elementi della grammatica del racconto rivolto allo shopper: in che modo il retail design può accrescere il ROI, rafforzando l’immagine dell’azienda e generando valore?

Il convegno analizzerà nuovi modelli di store, ambienti emotivamente coinvolgenti considerati dai retailer più innovativi investimenti necessari e della massima importanza.

Questa l’agenda del convegno:

Lara Asero – Manager Developer Lush
Beauty Innovation: concept all’avanguardia per una clientela sempre più esigente

Luca Corrà – Head of Retail Piquadro
L’ascesa del Made in Italy fra artigianalità e hi tech

Laura Donnini – CEO RCS Libri
Tradizione e contemporaneità, ieri e l’oggi: la nuova Libreria Rizzoli

Federica Vacca – Docente Politecnico di Milano
“Emotional & Experience design”, analisi dei trend di settore

Christian Zippi – Market Manager Pimkie
L’evoluzione del fast fashion tra digital e restyling del punto vendita

 

Modera il convegno Emanuele Sacerdote, autore, manager e imprenditore.

 

L’accesso è consentito solo previa registrazione all’indirizzo mail convegni@popai.it

Libri/Scoprire i Millennials, la generazione che vive nel momento

cover libro Millennials«Dei Millennials si parla tanto (e qualche volta a sproposito) e proprio per questo motivo ho voluto dare non solo un quadro di riferimento descrittivo, ma anche degli esempi pratici, delle case history e una vera e propria guida all’azione». Così spiega Diego Martone il senso de “I nuovi Dei dell’Olimpo dei Consumi: alla conquista dei Millennials”, il libro che ha scritto e pubblicato come e-book in modalità self-publishing (proprio come farebbe un Millennial!).

Martone è presidente e fondatore di Demia, società di consulenza strategica e ricerche di mercato, si occupa da più di venticinque anni di ricerche demoscopiche e di marketing. Negli ultimi anni ha approfondito il tema del marketing generazionale, e ha realizzato per conto di Assogestioni e presentato al Salone del Risparmio 2015 la prima indagine sui risparmiatori di domani: i Millennials italiani. E questa occasione gli ha dato lo spunto per approfondire il tema.

Cominciamo col dire che in questo agile e-book non ci si perde per strada. L’autore lo scrive avendo ben chiara la domanda che pone solo nell’ultimo capitolo per introdurre una serie di indicazioni per affrontare questo universo di nuovi interlocutori del sistema del consumo in tutte le sue molteplici sfaccettature.

“Come ci si deve comportare – si chiede Diego Martone – per conquistare la Generazione Y? Che si tratti di proporre un prodotto, di orientare un’offerta di servizi, di scoprire un talento da assumere, di conquistare un voto elettorale e così via, la domanda rimane inalterata. Vi sono, senza dubbio, degli indirizzi da seguire per rendere il proprio lavoro più mirato in questa direzione, con l’avvertenza che ciascun campo d’azione contiene delle specificità che non possono essere ignorate”.

I Millennials (o generazione Y) sono 6 milioni e 120 mila ragazzi/uomini e 6 milioni e 35 mila ragazze/donne che costruiscono, come avviene nel resto del mondo occidentale, la forza lavoro e di governo dei prossimi anni, scrive Martone. Sono quelli nati tra il 1980 e il 2004 rappresentano “una fascia di popolazione che condivide valori e comportamenti talmente differenti da quelli delle Generazioni precedenti (X, Boomers, Silent) al punto da permettere di immaginare nell’arco di poco tempo l’imporsi di un ‘sistema di vita’ rivoluzionario e la necessità per le aziende di ogni settore merceologico e di servizi di riscrivere le proprie strategie di comunicazione e vendita”, si legge nella premessa.

Detto questo, il percorso proposto dall’autore si snoda, in maniera chiara, ad analizzare le caratteristiche di questa fascia di popolazione che, molto efficacemente, viene identificata come la generazione che “vive nel momento e svolge la propria vita un passo alla volta, senza creare troppo vincoli al cambiamento” e l’identikit che Martone ne traccia non è ne troppo edulcorato, né negativo. È una generazione forse disillusa, abituata a vivere nella precarietà, ma ben distante dagli sdraiati, dai bamboccioni o dai choosy che dir si voglia. È una generazione invece che ha a disposizione le tecnologie, vive in una società dove la condivisione è diventata un modo per surrogare livelli di reddito ridotti. Ma è anche quella generazione che dal punto di vista sociale è più aperta, da quello scolastico più preparata (anche se sulla conoscenza delle lingue il gap con i giovani degli altri Paesi europei persiste), da quello tecnologico, va da sé, più consapevole.

Il racconto di Martone, con il supporto di risultati di ricerche effettuate direttamente, accompagna la generazione Y nei suoi rapporti con il lavoro, con la famiglia, con gli strumenti digitali, con il mondo del consumo e dei viaggi, con il cibo, con la società multietnica, con il sesso.

Forse il primo quadro completo dei Millennials con i quali le imprese devono imparare a confrontarsi utilizzando il loro linguaggio (o i loro linguaggi, visto che questa definizione comprende ai due estremi ragazzini nativi digitali e trentacinquenni) che però è ancora in buona parte da imparare. Martone, nell’ultimo capitolo, tira le fila del discorso e dà una serie di utili indicazioni proprio a questo scopo.

Come dice l’autore, «Siccome ho il massimo rispetto dei potenziali lettori e non posso esimermi dall’invitarvi a leggere gratuitamente un piccolo assaggio di quello che troverete all’interno. In fondo in libreria siamo tutti abituati a sfogliare un testo prima di portarlo alla cassa! Leggi l’Indice dei contenuto  e la Premessa nell’Anteprima I nuovi Dei dell’Olimpo dei Consumi».

Il libro può essere acquistato secondo queste modalità:

  • Su Lulu.com
  • All’interno dello store di Kobo (manon è necessario avere il kobo per leggerlo)
  • Presso il sito di Feltrinelli
  • Su iTunes, per tutti quelli che hanno iPhone, iPad, Mac in genere…
  • Su Amazon, anche in questo caso generosa anteprima generata in automatico  da Amazon stessa

Il Gruppo Gabrielli con il Protocollo di Milano BCFN

Già dotata di un codice etico aziendale, Magazzini Gabrielli (Oasi, Tigre e Tigre Amico le insegne) ha sottoscritto il Protocollo di Milano della Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN). Il Protocollo di Milano, promosso da BCFN stilato nel 2013 con l’obiettivo di sensibilizzare governo e istituzioni sull’urgenza di agire per rendere il sistema alimentare globale realmente sostenibile, ha ispirato la Carta di Milano di Expo 2015, consegnata il 16 ottobre al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon.

In particolare il Gruppo Gabrielli sottoscrive l’impegno per quanto riguarda lo spreco di alimenti, riguardo al quale l’azienda da alcuni anni è partner del Banco Alimentare, al quale devolve sistematicamente prodotti e alimenti prossimi alla scadenza ma ancora utilizzabili che il Banco poi redistribuisce in maniera capillare nelle strutture ad esso collegate.

 

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