Il packaging sostenibile? Non c’è. Da Original Unverpackt a Negozio leggero, arriva lo sfuso

Un negozio senza confezioni, dove tutto – dai saponi ai detersivi, dai cereali alle farine alla frutta e verdura – è venduto sfuso. Prodotti biologici o naturali, poca scelta ma completa. È questo il supermercato sostenibile del 2015?

Original Unverpackt_katharinaMassmann_Foto6Ha fatto molto parlare sui media l’apertura a Berlino, nel quartiere ex punk ora hipster di Kreuzberg, di Original Unverpackt, un pdv a zero confezioni. Non è solo una questione di risparmiare imballaggi usa e getta, ma anche un modo per limitare lo spreco alimentare, perché si compra solo la quantità di cui si ha bisogno. E per spendere meno, specie per alcuni prodotti tipo le spezie o i cereali biologici in cui il packaging incide molto sul prezzo finale.

E in Italia? Per una volta siamo arrivati prima. Negozio Leggero è un franchising nato a Torino lanciato da Ecologos, società di giovani ricercatori specializzati in tematiche ambientali, e conta oggi 10 pdv. Qui tutto è a peso, tè, vino, uova e pasticceria, distribuiti direttamente o tramite erogatore, i pannolini sono lavabili e i cosmetici naturali. Valori sostenibili che sono comunicati anche tramite corsi ad hoc (da come preparare cosmetici a casa con ingredienti naturali a come fare il pane). Ma esistono anche piccole realtà come Biosballo di Sesto San Giovanni.

Il contenitoresi porta da casa: la tara è registrata su un'etichetta con un codice a barre. Foto Original Unverpackt/ Katharina Massmann.
Il contenitoresi porta da casa: la tara è registrata su un’etichetta con un codice a barre. Foto Original Unverpackt/ Katharina Massmann.

Fa anche questo parte dell’economia circolare, ovvero quella in grado di rigenerarsi, dove i materiali sono o biodegradabili o recuperati e reimmessi nel ciclo produttivo. Una tendenza che promette negli anni a venire di assumere sempre più importanza. Il tema dello spreco, alimentare in particolare,  è cruciale e la riduzione di rifiuti non biodegradabili anche. Ogni anno in Italia si buttano 108 Kg di cibo a testa, e un totale di 504 Kg di rifiuti. Quanta di questa quota appartiene al packaging, spesso ridondante e di materiale non riutilizzabile (nonostante la raccolta differenziata, pensiamo ai tanti “materiali accoppiati” in genere non riciclabili).

Già da tempo alcuni supermercati hanno iniziato a proporre detersivi o cereali “a peso”, ma l’impressione è che si tratti più di un piccolo ghetto per darsi una verniciatura green, un po’ abbandonato a se stesso. Eppure il cliente del 2015 sembra almeno in parte pronto ad abbracciare le tematiche della sostenibilità, specie se incoraggiato da un reale vantaggio di prezzo che andrebbe forse meglio evidenziato.

 

Movimenti nel packaging

Cambiano le abitudini, aumentano i canali ma il vecchio packaging “funziona” ancora”? In realtà, no. I consumatori richiedono più informazioni, nutrizionali e sulla provenienza degli alimenti (anche se poi le leggi Ue le tolgono), ma anche storie da trasmettere. Non sempre riportabili direttamente sulla confezione evidentemente, ma magari tramite Qr code.

Non solo: i nuovi canali, e-commerce in primis, richiedono scritte più grandi e chiare, visibili anche nelle miniature dei siti. Poche informazioni utili e immagini che richiamino il prodotto: è tutto ciò che “serve” mettere sul fronte della confezione (che sul web è presentata con poche eccezioni in modo bidimensionale).

Infine, c’è il packaging biodegradabile o addirittura commestibile. Whole Foods negli USA vende già dei gelati di yogurt avvolti nella buccia della frutta anziché nel classico bicchierino (ancora confezionati, ma l’idea è di iniziare a venderli sfusi, come le caramelle), e ci sono involucri sferici e biodegradabili per l’acqua e bicchieri a base di gelatina che, dopo avere bevuto il caffè o la bibita, si possono mangiare. Insomma, tecnologia e sostenibilità vanno a braccetto, e il futuro del retail alimentare dovrà passare anche da qui.

Anna Muzio