Lo ‘shared value’ nelle Societa’ Benefit e B-Corp. Il parere legale

Per ottenere profitti a lungo termine, le Aziende devono prendere in adeguata considerazione le esigenze dei vari stakeholders, i quali oggi si dimostrano sempre più sensibili e condizionati nelle proprie scelte dall’espressione di valori di sostenibilità, sicurezza, etica e trasparenza. Secondo il parere dei maggiori esponenti del mondo dell’economia, le aziende che sapranno conciliare business e valore condiviso saranno dunque quelle che avranno i migliori risultati.

In tale contesto si inseriscono Società Benefit e certificazione B-Corp (un tema già precedentemente trattato), che rappresentano lo strumento per coniugare concretamente profitto e valore condiviso e per far sì che questi siano fonte di reciproco accrescimento.

Con Simona Cardillo dello studio Lexant, approfondiamo il concetto – già trattato in precedenza – di ‘valore condiviso’ o ‘beneficio comune’, esaminando nel concreto il metodo di individuazione e di misurazione di questo.

“In forza dell’art. 378 della L. 208/2015, per ‘beneficio comune’ si intende il perseguimento, nell’esercizio dell’attività economica, di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, su persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni.

Fin da subito è bene sottolineare che, nelle Società Benefit, al centro del concetto di ‘valore condiviso’ (shared value) vi è la coesistenza ed il bilanciamento del beneficio ambientale/sociale e dell’obiettivo economico, senza che sia possibile rinunciare ad uno in ragione dell’altro e con necessità di concreta individuazione e misurazione di entrambi i valori.

Non rientra allora nel concetto delle Società Benefit (e delle B-Corp) la pura distribuzione di una parte dei profitti a progetti a valenza sociale, quanto piuttosto l’attuazione di politiche e programmi che producano valore nuovo e durevole, capace, da un lato, di produrre effetti eticamente apprezzabili e, dall’altro lato, di restituire all’azienda un vantaggio misurabile in termini economici.

Quando un’azienda crea valore condiviso, ci può fare un esempio?

Quando, ad esempio, le procedure che adotta per ridurre l’emissione di inquinamento le permettono anche di ridurre i consumi e quindi i costi per l’energia, oppure se l’attività di formazione professionale in favore di comunità bisognose consente a queste di migliorare il proprio benessere e, aumentandone l’efficienza nella produzione, garantisce all’azienda anche prodotti di maggiore qualità.

Shared Value e Corporate Social Responsibility, coincidono?

No: in ottica Società Benefit il beneficio collettivo cui tendere (lo Shared Value) è infatti un concetto ben differente rispetto alla così detta Corporate Social Responsibility (CSR).

Quest’ultima è costituita dalle politiche e dai comportamenti aziendali guidati da un’attenzione al contesto ambientale e sociale dell’impresa. Lo shared value, invece, è un concetto più robusto, che rappresenta la strategia di creazione di valore nel lungo periodo in coordinamento con il core business aziendale, del quale sfrutta le risorse specifiche e le conoscenze.

Valore condiviso e obiettivi benefit

Come individuare il valore da conseguire?

Naturalmente, le opportunità sono diverse per ogni azienda, come è diverso l’approccio che può essere da questa scelto in ragione del proprio settore di riferimento, dell’ubicazione, delle propensioni del management e così via. In ogni caso, il metodo[1] utile alla concreta individuazione dello specifico valore da perseguire potrà essere rappresentato dal (i) riconcepire prodotti e mercati; dal (ii) ridefinire la catena del valore; o dal (iii) facilitare lo sviluppo di cluster locali.

Nel primo caso, il punto di partenza per implementare una shared value strategy sarà l’individuazione di alcuni bisogni sociali insoddisfatti e di un mercato di riferimento, per poi capire quali siano i benefici o i danni generati dai propri prodotti per, infine, ridefinire tali prodotti tenendo conto degli aspetti emersi.

Nel secondo caso, si partirà invece dalla consapevolezza che l’azienda, nello svolgimento della propria attività, produce danno all’ambiente e alla società. Sulla base di tale presa di coscienza, l’azienda potrà allora intervenire sulla catena del valore, ridefinendola, così migliorando l’impatto esterno dell’attività aziendale, con contestuale riduzione dei costi.

Più concretamente?

Alcuni esempi di tale impostazione possono riguardare il rapporto tra energia e logistica ai vari livelli della supply chain e l’uso di risorse scarseggianti che, se risparmiate tramite riciclo, individuazione di risorse alternative o riutilizzo, determinano un contestuale risparmio economico; la gestione degli acquisti laddove la corsa al ribasso dei prezzi di acquisto, se da un lato danneggia i fornitori (magari siti in zone in via di sviluppo), dall’altro potrebbe risultare antieconomica anche per l’azienda: i fornitori non cresceranno in prestazioni e professionalità. In tale ottica, collaborare e finanziare la crescita dei fornitori porterà anche l’aumento dei volumi di produzione e l’aumento della qualità dei prodotti acquistati; l’interdipendenza tra salute e produttività dei dipendenti, essendo accertato che assistenza sanitaria, formazione e politiche di incentivo al benessere, anche psicologico, determinano maggiore rendimento e produttività dei lavoratori.

Nell’ultimo caso, ancora, si prenderà in considerazione l’interdipendenza tra l’impresa e la comunità in cui questa è inserita (cluster) e si lavorerà sul concetto per cui la crescita della comunità determina un corrispondente effetto positivo sulla attività e sui risultati aziendali.

Operativamente, qualsiasi sia l’approccio scelto, l’azienda

  • identifica i punti di intersezione tra attività aziendale e società, successivamente
  • individua i problemi sociali sui quali può e desidera intervenire ed infine
  • definisce il proprio piano d’azione, che poi
  • tiene monitorato in corso di sviluppo e sino al suo compimento.

 

L’elaborazione di un piano

Cosa serve per raggiungere l’obiettivo?

Al fine di perseguire la finalità di beneficio comune e di monitorarne l’andamento, l’azienda dovrà predisporre un piano contenente gli obiettivi specifici individuati; le azioni che intende intraprendere per il perseguimento di questi; le risorse di capitale (economico, umano, sociale, ambientale) che  saranno  impiegate  per  il raggiungimento  degli  obiettivi specifici individuati; gli strumenti volti a verificare l’effettività delle azioni intraprese  a  favore  dei soggetti “beneficiati”; gli idonei indicatori che verranno utilizzati per misurare il raggiungimento dei target specifici[2].

La misurazione del valore

Parliamo di misurazione del valore, ma cosa comporta? Quali i vantaggi? Quali le prerogative?

La misurazione del valore creato è l’elemento che caratterizza le Società Benefit e le concretizza nella loro essenza di modello di business efficiente e di successo.

Proprio la visione empirica dell’impatto benefico creato dalle S.B. conferisce a queste la reputazione di modello aziendale virtuoso e di successo.

La misurazione del valore è fondamentale per presidiare il processo, per verificarne l’efficienza nel corso del suo evolversi e per appurarne la realizzazione. La misurazione consente alle imprese di capire in che misura la creazione di valore sociale determini un aumento del valore economico e permette eventuali aggiustamenti in itinere.

Ma non solo. La misurazione del valore permette di fornire agli interlocutori, in particolare banche e investitori, una dimostrazione concreta della propria capacità di creare valore e di svilupparlo nel tempo.

Come si articola il processo di misurazione?

Esso percorre tutto l’iter, dalla individuazione degli obiettivi, allo sviluppo del progetto, fino alla conclusione dello stesso, e si svolge in quattro fasi[3]:

  1. identificare gli specifici problemi sociali la cui soluzione permetta all’azienda anche di aumentare i ricavi o ridurre i costi, assegnando loro una priorità in base alla compatibilità con l’attività svolta e in base all’opportunità economica che promettono;
  2. effettuare un’analisi costi-benefici, identificando gli obiettivi e i costi relativi ad ogni attività di creazione di valore condiviso, per poi confrontarli con i relativi benefici sociali e risultati economici allo scopo di comprendere come i benefici sociali possano aumentare direttamente la performance economica dell’impresa. Al termine dell’analisi si potrà decidere se sia conveniente, o meno, procedere con l’iniziativa individuata e si potrà dunque predisporre il piano;
  3. tracciare i progressi fatti verso il raggiungimento dell’obiettivo benefit tracciando input e attività svolte, ed output e risultati finanziari relativi al progetto;
  4. misurare i risultati finali per appurare se i costi sostenuti dall’impresa abbiano prodotto un buon ritorno, a livello sia sociale che economico.

E’ possibile fornire un esempio empirico di quanto detto?

Possiamo analizzare il progetto ‘Coletivo’ Coca-Cola[4], con cui l’Azienda ha creato valore condiviso aumentando l’occupazione dei giovani a basso reddito in alcune comunità in Brasile, rafforzando i canali distributivi del commercio al dettaglio e la solidità del brand in quelle aree, con un conseguente aumento delle proprie vendite locali.

L’approccio seguito da Coca-Cola durante lo sviluppo della strategia di valore condiviso ha ricalcato le quattro fasi sopra descritte: 1. identificazione di uno specifico problema sociale: dopo attento studio sulle esigenze della crescente classe media in Brasile, Coca-Cola ha individuato nell’istruzione dei giovani con basso reddito una questione sociale strategica per la società. Questi giovani infatti avevano difficoltà a trovare un lavoro per la mancanza di istruzione primaria che lo Stato non era sempre in grado di garantire e per le limitate offerte di lavoro; 2. preparazione del business case: Coca-Cola ha dunque deciso di intraprendere, in collaborazione con organizzazioni non-profit locali, progetti di istruzione e formazione, inserendo i giovani, per un periodo di due mesi, nella vendita al dettaglio, nello sviluppo di un business e nell’apprendimento di capacità imprenditoriali. Il progetto prevedeva anche l’impiego dei giovani nei negozi locali che avrebbero così migliorato la loro attività grazie all’aiuto ragazzi, con un conseguente aumento delle vendite dei prodotti Coca-Cola; 3. tracciare i progressi: Coca-Cola ha nominato alcuni supervisori del progetto Coletivo, incaricandoli di misurare e riportare i progressi sulla base del numero di giovani partecipanti all’iniziativa, del numero di commercianti coinvolti e dell’evoluzione delle vendite di questi ultimi nel tempo, monitorando i relativi costi per verificarne efficacia ed efficienza; 4. misurare i risultati: le misurazioni costanti hanno permesso di modificare alcune decisioni per sviluppare l’approccio più efficace, per esempio inserendo corsi per aumentare l’autostima dei giovani e aiutarli così durante la ricerca di un lavoro.

[1] Monica Boggione, La creazione di valore condiviso: un’analisi empirica delle società benefit per individuare possibili metodi di misurazione.

[2] Ilsole24ore, Dossier Diritto Plus plus 24Diritto, maggio 2017.

[3] Monica Boggione, La creazione di valore condiviso: un’analisi empirica delle società benefit per individuare possibili metodi di misurazione.

[4] M.E. Porter et al., Measuring Shared Value. How to unlock value by linking social and business results.

Avv. Simona Cardillo Senior Associate

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Mail: simona.cardillo@lexant.it
Skype: Cardillo Studio Lexant
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