Meno volumi, più valore. Il futuro del cibo e i consumi passano da qui

Mentre si celebrano i fasti dell’italian food di cui Expo sta diventando sempre più il portabandiera, si rincorrono le occasioni di riflessione sul cibo, sulla sua produzione e sul suo consumo. Davide Paolini proprio nel corso di un incontro a Expo ha fatto un’affermazione sacrosanta: si parla troppo di cucina, di ricette, di chef e si parla poco della produzione, delle storie che stanno dietro alla materia prima.

È la battaglia pluridecennale di Carlo Petrini che, intervenendo alla presentazione del Food Industry Monitor realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e BSI Bank ribadisce: «Dobbiamo liberarci dal raptus della crescita e concentrarci sul valore, non sulle quantità. È il valore che conta, vale a dire la qualità e, in altri termini, l’economia sana».

CIBO ANAFFETTIVO. Non ci stupiamo allora se  alla presentazione della ricerca voluta da Coop sul Futuro del cibo, il dibattito si è focalizzato sui risultati della ricerca Doxa sui consumatori di otto Paesi che parlano di un mondo futuro popolato di cibo anaffettivo ma utile a stare bene dal punto di vista fisico, più controllato e globale, più pratico e veloce ma non uno strumento di scambio affettivo. Un cibo che ci renderà meno felici, tanto è vero che se  in questo quadro il cibo sarà più “tecnologico”, le paure maggiori dei consumatori intervistati riguardano la manipolazione, l’inquinamento, l’elevato costo del cibo, la sua carenza.

C’è voluto un teologo come Vito Mancuso a sottolineare come lo scenario della ricerca sia gravido di preoccupazioni perché occorre pensare al cibo come nutrimento non solo per il corpo. «L’uomo è ciò che mangia – dice Mancuso – ma è anche emozioni e ideali. Il cibo nutre il corpo, la psiche, lo spirito. In una parla è libertà. E se non c’è capacità di relazione affettuosa non c’è l’uomo».

coop il futuro del ciboCIBO E UGUAGLIANZA. E proseguendo nel ragionamento, anche Marco Pedroni, presidente di Coop Italia ribadisce che il cibo è uno scambio di relazioni, di storie. Ed è l’idea di fondo del Supermercato del futuro, dove la tecnologia è al servizio di questa idea di scambio. «Vi è poi un tema sociale. In futuro non è detto che avremo il cibo uguale per tutti. ma il rischi è una dicotomia tra alta gamma per i pochi che se lo possono permettere e il cibo standardizzato e anche poco sicuro per molti. E quindi il tema del futuro del cibo riguarda la disuguaglianza. Oggi il 40%& delle famiglie italiane accetta compromessi sulla qualità e sicurezza di ciò che mangia. Su un altro versante molti guru del marketing ci dicono di occuparci di quel 10-20% di cosiddetti supershopper con ottimo potere d’acquisto. Noi diciamo che il nostro mestiere è offrire cibo buono e sicuro per tutti».

LE RAGIONI DELL’AGRICOLTURA. Da qui a qualche ragionamento sull’agricoltura scevro da prese di posizione di difesa, il passo è breve, perché tutto si tiene. Ebbene sull’agricoltura italiana ed europea le questioni da risolvere sono tante. «Compito della politica – afferma l’economista Giacomo Vaciago – è elaborare un piano di settore che abbia un orizzonte temporale sufficientemente lungo. Lo si può fare solo se si comincia a parlare di comunità. Oggi l’immagine del cibo italiano è alta: se è imitato, è perché è buono e piace. Ma l’agricoltura sconta i problemi strutturali delle dimensioni delle aziende, di un insufficiente raccordo con la vendita, di mancanza di persone, di difficoltà di un ricambio generazionale, anche se oggi molti giovani stanno tornando alla terra. Ma soprattutto occorre un piano strategico che solo la politica può mettere in campo, fatta da governi che durino nel tempo».

I problemi infatti sono molteplici. Li enumera il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: «Nel mondo agricolo operano soprattutto imprese familiari e la questione fondamentale è come tutelare il reddito di queste imprese. Vi sono problemi su alcune filiere come la zootecnia, dopo la fine delle quote latte. Vi  è un problema generazionale. Ma ricordo che le politiche di sostegno all’agricoltura sono di medio-lungo periodo, non di breve. E se guardiamo l’Italia da mondo, nei prossimi 15 anni 800 milioni di persone della classe media in molti paesi cambieranno dieta e sitile di vita. Se dobbiamo posizionare il prodotto alimentare italiano è lì che dobbiamo guardare».

CIBO DI QUALITA’ E LOCALE. Ancora Petrini fornisce qualche indicazione: «Alcune cose devono essere chiare all’industria italiana e alla distribuzione: a primeggiare sarà la valorialità del cibo, non si vince più applicando le tecniche del marketing. La gente non sposa più le quantità. Le riduce. Noi oggi globalmente produciamo cibo per 12 miliardi di persone. Lo spreco è enorme. E ricordo che Expo non è fatto per rendere forte l’offerta italiana, ma per discutere di questi temi.

Su valore del cibo ricordo solo che nel 1997 in tutti gli Stati Uniti c’erano circa 80 mercati dei contadini. Oggi sono 12 mila. Prima erano riservati alle élite, oggi si trovano anche nei quartieri ispanici delle grandi città. La richiesta è per il cibo di qualità e locale.Stanno cambiando molte cose e il trend del cambiamento è fortissimo. l’industria italiana delle capire in quale direzione va il trend.

Un’alto messaggio. La sostenibilità e la responsabilità sociale non sono elementi da prendere sottogamba. Ogni processo produttivo deve durare di più nel tempo. La sostenibilità è economica, produttiva, ambientale e la responsabilità sociale si misura sui produttori ben pagati, sui clienti ai quali comunicare non solo il buono ma anche il pulito e il giusto e sui collaboratori che devono essere messi nelle condizioni di trasferire la passione».

Il valore, quindi è l’asse attorno al quale sta ruotando il cambiamento. E anche Gianmario Tondato, Ceo  di un’impresa globale come Autogrill, è sulla stessa lunghezza d’onda quando osserva che anche nella ristorazione la formula del quick service restaurant sta cedendo il passo al casual dining. Il volume sta arretrando di fronte al valore. «I consumatori stanno convergendo a livello mondiale verso questo spostamento. O ce ne rendiamo conto o usciamo dai mercati. Come imprese dobbiamo attenderci risultati nel medio periodo creando storie coerenti a livello di sistema. Dobbiamo sempre porci il problema dove andare, in quale direzione muoverci».