Italia solo terza nella produzione di olio Evo, servono 150 milioni di nuovi ulivi

L’Italia dell’olio scende per la prima volta dal podio mondiale in termini di produzione. O meglio quasi. Il nostro Paese infatti è ormai doppiato dalla Spagna, distanziato dalla Grecia e sarebbe superato anche dalla Siria se questo Paese non fosse penalizzato gravemente dalla drammatica guerra che lo insanguina.

«In base ai dati provvisori – spiega il presidente del Cno (Consorzio nazionale olivicoltori) Gennaro Sicolo – della corrente campagna di commercializzazione dell’olio di oliva, iniziata nel mese di ottobre 2016 e che terminerà in settembre 2017, la Grecia ha prodotto 195mila tonnellate contro le 183mila dell’Italia. I dati sono quelli ufficiali pubblicati dalla Commissione europea e si basano sulle dichiarazioni periodiche trasmesse da ogni singolo Stato membro. A questi numeri andrebbero aggiunti i dati della Siria che non sono disponibili ma supererebbero di molto le 200mila tonnellate. Infatti, il Paese mediorientale ha massicciamente investito nell’olivicoltura professionale, a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso e poco prima che scoppiasse il conflitto. Ma ci sono altri concorrenti agguerriti che minacciano i primati del made in Italy. Per esempio, nelle ultime sei annate, la Tunisia che investe molto nello sviluppo della filiera olivicola, per ben tre volte ha prodotto più olio di oliva rispetto al volume ottenuto dall’Italia nella corrente campagna 2016-2017».

 

Negli ultimi sei anni -31% della produzione

Un vero smacco per una voce che da sempre è trainante per il made in Italy agroalimentare. Per anni infatti l’Italia è stata leader incontrastato nel settore olivicolo-oleario mondiale. Poi un tracollo, misurabile con un -31% di produzione negli ultimi sei anni, mentre nello stesso periodo i Paesi concorrenti mettevano in atto performance di tutt’altro segno: +44% il Marocco, +27% la Turchia, +16% la Spagna, +8% la Tunisia. Solo la Grecia è scesa ma in modo meno drastico di noi: -22%.

«La produzione cresce – si duole Sicolo – laddove è in atto una mirata politica di investimenti e prevale un orientamento favorevole verso la tecnologia, l’innovazione e l’impresa. Da noi in Italia, invece, il potenziale produttivo olivicolo indietreggia. Alla base dei cattivi risultati della olivicoltura nazionale degli ultimi anni ci sono tre principali ragioni: il processo di abbandono della coltivazione, la frammentazione della struttura produttiva ed il mancato ammodernamento del settore».

E anche la politica avrebbe le sue colpe. «Perché si è ostinata – punta il dito Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia (Confederazione agricoltori italiani) – a non voler riconoscere e affrontare i problemi con interventi incisivi, tempestivi e coerenti con le esigenze del settore».

 

Servono 150 milioni di nuovi ulivi

Ma non tutto è ancora perduto. Si può invertire la rotta e riportare l’Italia al posto che le compete “attuando il prima possibile – propone Sicolo – un piano nazionale, articolato a livello regionale e di distretti produttivi, per la riconversione, la ristrutturazione e l’ammodernamento della olivicoltura italiana, anche tramite un processo di razionalizzazione fondiaria. Il settore olivicolo oleario italiano per tornare leader mondiale avrà bisogno di più di 150 milioni di nuovi ulivi in produzione e almeno 25 mila nuovi addetti che riequilibrino il ricambio generazionale nei campi, ora fermo sotto il 3%. Per l’olivicoltura sarebbe un passo straordinario essere riconosciuta alla stregua della vitivinicoltura nazionale, che ottiene il triplo delle risorse europee per gli investimenti e la promozione del comparto, per poter programmare con più dinamicità tutti gli interventi utili allo sviluppo e al rilancio del settore”.

Nel frattempo all’Italia resta indiscutibile soltanto il primato della qualità, ma è una magra consolazione.