Glifosato, la Corte di Giustizia Europea chiede alle aziende di rendere pubblici i test

Rendere pubblici i test di sicurezza sul glifosato. Lo ha chiesto alle aziende chimiche la Corte di giustizia dell’Unione europea, accogliendo ieri la richiesta di Greenpeace e del Pesticide Action Network (PAN) Europe.

Scoperto nel 1950 e messo in produzione dalla Monsanto negli anni Settanta, il glifosato, un erbicida largamente usato in agricoltura, dal 2001 è divenuto di libera produzione essendo scaduto il brevetto della multinazionale americana. Il composto chimico è stato considerato di bassa pericolosità per l’uomo fino al 2012, quando la rivista Food and Chemical Toxicology pubblicò uno studio che evidenziava la sua patogenicità e cancerogenicità nei ratti. Lo studio fu contestato ma nel 2015 l’IARC (International Agency for Research on Cancer) classificò il glifosato come sostanza probabilmente cancerogena per l’uomo.

La questione resta aperta. Per questo la Corte del Lussemburgo ha ravvisato negli studi in materia “informazioni sulle emissioni nell’ambiente”, e quindi di interesse pubblico. «La sentenza – spiega Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia – stabilisce che le autorità devono pubblicare tutti gli studi utilizzati per le valutazioni dei rischi dei pesticidi, e non possono tenerli segreti per proteggere gli interessi commerciali delle aziende. In base alla sentenza odierna, sia le autorità europee che quelle nazionali dovranno d’ora in poi rendere pubblici questi studi in automatico, e non solo a seguito di richieste di accesso ai dati. Nelle valutazioni dei rischi dei pesticidi la trasparenza è di vitale importanza, dato che sono a rischio salute e ambiente».

«Il fatto che i test di valutazione sulla sicurezza delle sostanze analizzate siano effettuati dalle stesse aziende che le producono costituisce di per sé un evidente conflitto di interessi – aggiunge Hans Muilerman di PAN Europe -. La pubblicazione dei risultati integrali servirà a verificare se i dati parziali che le aziende hanno fornito originariamente alle autorità corrispondono a ciò che è effettivamente emerso dagli studi.

Anche se in Italia da agosto è scattato il divieto di utilizzare il glifosato nelle coltivazioni in pre-raccolta e in “parchi, giardini, campi sportivi, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie”, e il ritiro dal commercio di 85 prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato, secondo Coldiretti quasi un pacco di pasta Made in Italy su cinque è fatto con grano canadese, che continua ad essere trattato con glifosato. E tutto ciò, nonostante il divieto imposto dal decreto del Ministero della Salute in vigore dal 22 agosto 2016.