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Il retail del futuro? Basato sull’Intelligenza Alimentare

Fattori come l’allungamento delle aspettative di vita e il progresso tecnologico ci stanno portando in un’era in cui il cibo sarà considerato un carburante ecologico fondamentale per farci arrivare in buone condizioni  ai 100 anni di età. Questa l’idea da cui si è partiti a “Intelligenza Alimentare”, format creato all’interno di TuttoFood da Fiera Milano Media per indagare il rapporto tra scienza, alimentazione e vita. L’evento di presentazione si è tenuto il 7 maggio scorso e ha visto scienziati e studiosi confrontarsi su questo tema, moderati dal giornalista Carlo Antonelli, CEO di Fiera Milano Media.
Il direttore del Censis Massimiliano Valeri ha fornito alcuni dati importanti, utili a inquadrare il contesto: “Oggi assistiamo a un aumento di spesa per specifici alimenti – ha spiegato – in un quadro generale che è di contrazione dei consumi. Questo fenomeno riguarda in particolari tre categorie: gli alimenti BIO, quelli che definiamo Free From (Senza glutine, Senza lattosio, Senza olio di palma, etc.) e quelli arricchiti di specifici nutrienti. I motivi sono da ricercare nel fatto che questi alimenti hanno un impatto positivo per la salute. Per questa ragione gli italiani danno a questi cibi più valore  e sono disposti a spendere di più ad alcune condizioni. La prima tra queste è la trasparenza delle informazioni a partire da una corretta etichettatura: il 94% degli italiani vuole sapere tutto di ciò che sta mangiando”

Per queste ragioni appare evidente il bisogno di una corretta informazione su ciò che ha effettivamente un impatto positivo sulla salute, sulla base di evidenze scientifiche, rispetto a quello che è moda e viene spacciato per salutare da una pubblicità invasiva sui media e da fake news diffuse ad arte.
“Se è vero che mangeremo meglio grazie alla scienza e alla tecnologia – ha proseguito Valeri – è altrettanto vero che l’abbondare di trasmissioni sul cibo in tv ha portato molte persone a interrogarsi sulle conseguenze del cibo sulla propria salute: il 71% vorrebbe che questo aspetto venisse approfondito di pù sui media. E il 67% degli italiani pensa che in futuro l’impatto dei cibi sulla salute avrà più importanza del gusto: una percentuale che sale al 73% tra gli over 70”.

Per Davide Pellegrini, docente di Food Retail, stiamo andando nella direzione che vede i protagonisti della filiera del cibo, vale a dire agricoltura, grandi marche, GDO e ristorazione, andare nella direzione di offrire una maggiore consulenza al consumatore attraverso le nuove tecnologie, da quelle per il controllo della filiera con blockchain e QR code alle app per smartphone dove si è rilevato che quelle che parlano di convenienza, come quelle relative a volantini e coupon, vengono progressivamente abbandonate a discapito di quelle dedicate alla salute e al fitness con tassi di engagement decisamente superiori.

Un parere confermato da Marco Roveda, imprenditore e fondatore di Lifegate che ha spiegato la formula del prodotto perfetto e della sua evoluzione nel corso del tempo a partire dagli anni ’70 in cui il mantra era realizzare prodotti di qualità. Negli anni ’80 si è cominciato a ragionare sull’importanza del bello mentre gli anni ’90 hanno visto al centro dell’innovazione di prodotto la ricerca di una maggiore sicurezza. Negli ultimi anni invece il bisogno di avere prodotti che siano anche etici e sostenibili sta prendendo il sopravvento. Tutti questi bisogni messi assieme compongono il prodotto ideale che nei prossimi anni vedremo diventare sempre più smart e tecnologico per andare incontro al nuovo bisogno di avere prodotti che facciano stare bene grazie allo sviluppo dell’Intelligenza Alimentare.

Domenico Palladino

 

Italiani: incubi e paure. La ricerca Censis-Conad

Foto di Khusen Rustamov da Pixabay

Italiani preoccupati, per l’oggi, ma ancora di più per il domani. Ma anche nervosi e sospettosi, verso tutto ciò che è diverso. Ecco alcune delle evidenze emerse dalla ricerca «Cosa sognano gli italiani» realizzata dal Censis in collaborazione con Conad nell’ambito del progetto «Il nuovo immaginario collettivo degli italiani».

Secondo il 55,4% degli italiani, infatti, negli ultimi dodici mesi la situazione economica del Paese è peggiorata (per il 36,9% è rimasta uguale, solo per il 7,7% è migliorata). Per il 42,3% è peggiorato anche l’ordine pubblico, il rischio di essere vittima di reati (la situazione è rimasta uguale per il 47,6%, è migliorata per il 10,1%). E forte è il timore che il peggio debba ancora arrivare: infatti sono il 48,8% degli italiani è convinto che nei prossimi dodici mesi la situazione economica peggiorerà  (resterà uguale per il 34,7%, migliorerà solo per il 16,9%), per il 40,2% peggiorerà anche la sicurezza (resterà stabile per il 42,4%, migliorerà per il 17,4%).

Episodi di intolleranza

Per il 70% degli italiani nell’ultimo anno sono aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Le cause sono: le difficoltà economiche e l’insoddisfazione della gente (50,9%), la paura di subire reati (35,6%), la percezione che gli immigrati in Italia siano troppi (23,4%). Il peggioramento della situazione economica e della percezione delle condizioni di sicurezza porta alla caccia del capro espiatorio. Da qui il rischio che le attuali distanze divengano incolmabili: il 20,4% degli italiani si sente distante da persone con valori diversi dai propri (sul ruolo della donna, la famiglia, ecc.), il 19,8% da persone che conducono stili di vita diversi dai propri, il 17,5% da persone con altre idee politiche, il 15,7% dalle persone di un’altra nazionalità, il 15,5% da chi è di un’altra religione.

Aumenta la sfiducia

Sono poche le figure istituzionali di cui ci si può ancora fidare: si possono contare sulle dita di una mano: grandi scienziati (40,7%), il Presidente della Repubblica (30,7%), il Papa (29,4%) e i vertici delle forze dell’ordine (25,5%). Mentre godono di una fiducia ai minimi termini: i vertici dei partiti (4%), i parlamentari (3,2%), i direttori di giornali e telegiornali (3,6%), gli editorialisti e gli opinion maker (3,8%), soprattutto i banchieri (1,5%). Poco più alta è la fiducia riposta nei grandi imprenditori industriali (10,9%) e nei vertici dei corpi intermedi e delle associazioni di categoria (8,1%). La post-verità ha generato la voglia di figure rassicuranti, che siano l’incarnazione del senso di responsabilità e in grado di trasmettere sicurezza.

Italexit?

Non sembra che gli italiani ne abbiano voglia, almeno non il 66,2% di essi.

Il 65,8% è contrario al ritorno alla sovranità nazionale con l’uscita dall’Unione europea. Il 52% non è favorevole all’idea di ristabilire confini impermeabili e controlli alle dogane tra i Paesi europei. Però tra le persone con redditi bassi sono più elevate le percentuali di chi si dice d’accordo con il ritorno alla lira (il 31%, rispetto all’8,8% delle persone con redditi alti), l’uscita dall’Ue (il 31,6%, contro l’11% delle persone con redditi alti), il ripristino di frontiere e dogane tra i Paesi europei (il 39,2%, rispetto al 25,3% delle persone con redditi alti). In questi casi, una Unione europea disattenta alle condizioni dei ceti meno abbienti è percepita come matrigna, da cui sarebbe meglio fuggire.

Voglia del “giusto”

Il grande sogno italiano non è fatto però di assistenzialismo, né di «Stato padrone», né di un generico buonismo, ma è quello di ricevere il giusto riconoscimento economico. Secondo gli italiani, i fattori irrinunciabili per una crescita senza esclusi sono: dare più spazio al merito e a chi è bravo, favorendo i più capaci e i meritevoli (52,1%), maggiore uguaglianza e una distribuzione più equa delle risorse (47,8%), più welfare e protezione sociale per dare maggiore sicurezza alle persone (34,3%), minore aggressività e rancore verso gli altri (33,1%). Concretamente, il 73,9% degli italiani si dice favorevole all’imposizione di una tassa sui grandi patrimoni e il 74,9% all’introduzione di un salario minimo per legge.

«Mentre tutto il dibattito pubblico si arrovella sulle piccole variazioni da zero virgola al rialzo o al ribasso del Pil, rischiamo di sottovalutare quanto sia importante poter contare su un immaginario collettivo ricco e vitale, positivo e propulsivo, come ingrediente indispensabile dello sviluppo» annota Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis.

«I risultati della ricerca Censis Conad ci raccontano un‘Italia ancora immersa nell’incertezza. Un dato, questo, che trova conferma nelle indagini realizzate da Conad sulle scelte di acquisto dei consumatori: il 42% di loro è convinto che il potere di acquisto delle famiglie sia diminuito, il 38% ritiene che sia rimasto invariato, solo il 10% crede che sia cresciuto. Emergono però anche comportamenti positivi, come l’attenzione alla lotta agli sprechi, che in una scala di valori da 1 a 5, per gli italiani vale 4,3 punti, alla sostenibilità dei prodotti (3,96 punti) e al rispetto dei diritti degli attori della filiera (4 punti). Non solo. Per un consumatore su tre la fiducia nel territorio di provenienza dei prodotti alimentari costituisce una delle maggiori leve di acquisto. È un messaggio molto chiaro: mai come in questo momento gli italiani sono in cerca di punti di riferimento solidi,  chiedono di potersi fidare», sottolinea l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese

             

 

 

Il cliente Censis della Dmo: scaltro, infedele, superinformato

Il nuovo consumatore? È scaltro, infedele e superinformato. Lo rivela la ricerca del Censis «Lo sviluppo italiano e il ruolo sociale della Distribuzione moderna organizzata» presentata a Roma, che scatta la fotografia al consumatore del dopo-crisi (nel primo trimestre 2017 i consumi delle famiglie hanno registrato un aumento dell’1,3% rispetto al trimestre precedente e l’incremento annuo è il più alto dal 2011, +2,6%). Una fotografia molto diversa rispetto a dieci anni fa. L’unica cosa rimasta uguale è il favore accordato alla distribuzione moderna organizzata (supermercati, ipermercati, centri commerciali, grandi magazzini e grandi superfici specializzate) che resta il luogo d’elezione dove fare la spesa, dall’alimentare all’abbigliamento, dall’arredamento al bricolage e il giardinaggio, la profumeria e la cosmetica.

 

Infedele (sei volte su dieci)

Il nuovo consumatore è prima di tutto molto infedele al punto vendita: il 60,3% degli italiani che si rivolgono alla distribuzione moderna organizzata per fare la spesa alimentare acquista dove più conviene, senza sentimentalismi legati a un’insegna o a un punto vendita. Va dove ti porta il portafogli, insomma. La quota dei “fedifraghi” è addirittura del 74,7% nell’abbigliamento e nelle calzature, del 72,2% nell’arredamento, del 70% nell’elettronica e telefonia.

 

Informato (su sociale e web)

Naturalmente per inseguire l’affare bisogna essere molto informati. Sono ben 31,7 milioni gli italiani maggiorenni che nell’ultimo anno hanno letto i giudizi sui prodotti nei social network e nei blog per decidere se e cosa acquistare. E di questi 10,7 milioni lo fanno regolarmente. E a sua volta il consumatore diventa produttore di informazioni: 20,4 milioni di italiani (6,2 milioni regolarmente) hanno pubblicato post su siti web o social network con commenti personali o con il racconto di proprie esperienze relative a prodotti, spese, luoghi della grande distribuzione.
Altro “skill” necessario è la grande dimestichezza con i mezzi informativi sia tradizionali sia digitali: 46,8 milioni di italiani (29,7 milioni regolarmente) nell’ultimo anno sono venuti a conoscenza di promozioni e offerte dai volantini cartacei e 26,7 milioni (10,7 milioni regolarmente) da app scaricate sugli smartphone.

 

Smaliziato (e omnicanale)

Ma l’aspetto forse più interessante del consumatore evoluto è la capacità di combinare spazio fisico e spazio virtuale per massimizzare le opportunità di risparmio. Una delle tecniche maggiormente usate dal consumatore smaliziato è testare un prodotto nel negozio tradizionale per poi ordinarlo online per risparmiare: 30,5 milioni di italiani lo hanno fatto almeno una volta nell’ultimo anno e 8,8 milioni lo fanno spesso. Così come 19,6 milioni (5,4 milioni regolarmente) hanno ordinato prodotti tramite il web e poi li hanno ritirati presso il punto vendita mentre sono 14,4 milioni i nostri connazionali che si sono fatti consegnare la spesa a casa dopo averla ordinata per telefono o sul web (per 5,7 milioni è una pratica abituale). Quelli che sono rimasti ancorati allo shopping tradizionale sono ancora tantissimi: 46,6 milioni di italiani, dei quali 24,5 habituée.

 

Tutto, sempre, velocemente: il supermercato del futuro nei desiderata dei clienti

E spostandoci avanti con la fantasia, come si immaginano gli italiani il punto vendita del futuro? Un luogo versatile, in cui possano trovare dai farmaci, ai carburanti, alle polizze assicurative (43,8%). L’idea è quella di un grande magazzino con coupon personalizzati da scontare subito alla cassa (42,3%), personale preparato e disponibile che aiuti a capire e scegliere velocemente (33,3%), modalità più rapide e semplici di pagamento (29,2%), orari di apertura più flessibili e prolungati (sera tardi, domeniche, festivi: 25,9%), offerte personalizzate recapitate in tempo reale sullo smartphone (21,4%), disponibilità di servizi utili (posta, banca, lavanderia: 21,1%), e naturalmente il wi-fi (17,8%). Insomma, un negozio tailored e multiforme. Il futuro del consumo è adesso.

Cibo über alles. Ma non ci sono più gli italiani di una volta, parola del Censis

Prudenti e risparmiosi, gli italiani hanno affrontato la precarietà economica di questi anni da vere formichine, tanto da avere accumulato ben 133 miliardi di euro di cash cautelativo dall’inizio della crisi a oggi.

E i consumi ne hanno fatto le spese. Anche quelli alimentari (sebbene in misura minore).

Oggi la macchina sembra essersi rimessa in moto e la spesa alimentare oggi ha raggiunto il 14,3% sul totale dei consumi delle famiglie. Ecco quanto è emerso da “Il futuro dell’alimentazione: tra stili di vita contemporanei e nuovi modelli di fruizione”, la nuova ricerca Censis per Nestlé Italiana1 presentata dal direttore generale dell’Istituto, Massimiliano Valerii.

Ovviamente però il consumatore che sta rimettendo mano al borsellino ha assunto un profilo ben diverso da un tempo.

Sceglie in maniera sempre più soggettiva e si rivela pragmatico nelle scelte. A spingerlo alcuni specifici driver: funzionalità, qualità, sicurezza, eticità e italianità.

L’esito di questo mix è la scelta di prodotti diversi: dal cibo pronto e semipronto (utilizzato da oltre 31 milioni di italiani) ai cibi salutisti che siano “free from” o “plus” (26 milioni), dal take-away acquistato on line (19,4 milioni), al cibo dei distributori automatici (25,3 milioni).

E in ogni scelta non si muove a casaccio, ma si informa prima. Sul web soprattutto (con una media del 57%, che sale al 74,2% nel caso dei Millennial).

In rete si cercano e si verificano i requisiti ritenuti veramente validi e in questo la mallevadoria della marca gioca un ruolo ancora molto importante: “Gli italiani – spiega infatti Valerii – compresi i Millennial, sono disposti a pagare di più per il prodotto di marca, soprattutto quando comprano alimenti salutistici (71,1%), cibi pronti o semipronti (69,6%), prodotti nei distributori automatici 71,3%)”.

Perché la Marca è strettamente collegata al concetto di reputazione, e la reputazione è un concetto molto importante al punto che per il 35% degli italiani vale più del prezzo.

L’italianità all’estero

Se il made in Italy è importante per noi italiani, anche all’estero ha ormai assunto un ruolo interessante. Dalla ricerca Censis, emerge infatti che l’esportazione di prodotti (food e beverage) italiani nel 2016 ha toccato quota 31,3 miliardi, crescendo dal 2010 al 2016 del 41,5% e solo in un anno (dal 2015 al 2016) del 3,5%.

E non sono solo i Paesi “storici” (estimatori assodati delle nostre produzioni) ad apprezzare i nostri prodotti: è infatti sorprendente la crescente attenzione che molti paesi asiatici rivolgono ormai al made in Italy.

E questa logica conseguenza della globalizzazione, non è certo a senso unico, ma si riverbera anche nel nostro paese. E ben lo dimostra l’andamento del carrello etnico che anche in Italia è sempre più ricco (cresce infatti dell’8% nel primo semestre del 2016). Un esempio per tutti ce lo fornisce il sushi che nei primi sei mesi del 2016 in GDO ha sviluppato un giro d’affari di 31,3 milioni di euro.

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