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Ripartenza e PNRR: a colloquio con Mariano Bella, Confcommercio

Per il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, la ripartenza non aspetta: si deve fare in fretta, puntando ai contenuti. Il PNNR? Un buon piano, ma al turismo si poteva dare di più.

Parlando di PNRR Mariano Bella, direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, teme che al documento venga attribuita una dimensione miracolistica. E che passi il concetto che dal 1° luglio le cose ricomincino sic et simpliciter a funzionare. Di fatto non è così semplice. Altrimenti i vari sostegni al reddito attivati in passato, il miracolo lo avrebbero già fatto.

La questione è molto ampia, infatti, e non può prescindere dalle asimmetrie che caratterizzano il nostro Paese.

Il primo squilibrio – evidenzia Bella – è quello demografico: una popolazione che invecchia non ha prospettive e una popolazione che invecchia e non riesce a trattenere i giovani cervelli è in una situazione ancora peggiore.

“Il secondo squilibrio – prosegue – è dato dalla povertà assoluta e dalla sua crescita esponenziale: 5 milioni nel 2019, cui va aggiunto 1 altro milione nel 2020”.

La terza grande distonia riguarda il diverso impatto della pandemia sui vari settori economici. “Quello dei servizi è fra i settori che ha subito le perdite maggiori. Guardiamo ai consumi, per esempio: nel 2020 le perdite ammontano a 129 mld a prezzi correnti. Ebbene, il macro comparto che riunisce trasporti, alberghi e ristoranti, vestiario e calzature, ricreazione e cultura, ha registrato perdite quantificabili in circa 107-108 miliardi: la fetta più grossa, dunque.

E la cosa più grave è che non si sa se dopo la pandemia questi settori torneranno di nuovo integri. E’ proprio questo dubbio che giustifica la richiesta di sostegni adeguati.

In questo scenario, allora come va letto il PNRR?

“Il PNRR è un buon piano – ammette Bella – magari un po’sbilanciato sull’equazione’ finanziamenti, uguale finanziamenti pubblici’ e più incline a pensare a come spendere i soldi che alle riforme da fare. Ci si sarebbe dovuti concentrare, ritengo, più sulle best practice: individuandole e poi esportandole in altri contesti”.

Un modo pratico, insomma, per implementare velocemente riforme già testate.

Quanto al turismo, ammette il direttore, si sarebbe potuto dare di più. Ma adesso il punto è un altro: dobbiamo fare in fretta e puntare alla formazione. Solo così saremo in grado di offrire contenuti competitivi, in grado di sfidare la concorrenza sul piano del servizio.

Ma il nostro Paese ha la forza di riqualificare i suoi operatori?

“Sì: voglio essere ottimista, e mi conforta pensare che in passato in Italia siamo già riusciti a fare ottime cose e anche in questo caso potrebbe essere d’aiuto ispirarsi alle best practice nel mondo della formazione, per esportarle anche altrove. Dal Recovery plan possiamo trarre opportunità interessanti per promuovere la formazione e la digitalizzazione e per riqualificare le strutture. In fretta, però. Non esiste un piano B, dobbiamo darci da fare ora per riprenderci la nostra fetta di turismo, persa a causa della pandemia. E parlo specialmente del turismo straniero.”

Saldi invernali al via, un business complessivo, stabile, da 5,2 miliardi di euro

Foto Daniel von Appen / Unsplash.

Sono già iniziati nelle piccole Valle d’Aosta e Basilicata, mentre nel resto d’Italia bisognerà aspettare domani, 5 gennaio, e in Sicilia addirittura il giorno dell’Epifania. Poi si chiuderanno quasi ovunque a fine febbraio o ai primi di marzo, ma a quel punto i giochi saranno fatti da tempo. Sono i saldi invernali, primo grande appuntamento commerciale del 2018, a cui come ogni anno gli Italiani arrivano con i portafogli vuoti dopo le feste natalizie, ma comunque con la voglia di fare qualche affare.

 

Quest’anno budget medio di 331 euro per 15,6 milioni di famiglie

Gli esperti prevedono che la spesa sarà più o meno quella dell’anno scorso. In base a uno studio di Confcommercio il business complessivo sarà di 5,2 miliardi di euro, e saranno 15,6 milioni le famiglie che approfitteranno delle svendite di fine stagione. Il budget a persona sarà di 143 euro per abbigliamento, calzature e accessori, e di 331 euro per ogni famiglia. Più o meno uguali le previsioni di Confesercenti, secondo cui – la fonte è una ricerca commissionata a Swg e condotta su 600 commercianti e 1500 consumatori – l’investimento sui saldi sarà di 150 euro a persona. Più o meno un italiano su due (il 47%, mentre il 41% deciderà all’ultimo momento a seconda delle occasioni) sarà interessato e i commerciati coinvolti saranno 280mila (circa un terzo delle 800mila attività commerciali italiane), con uno sconto medio tra il 30 e il 40%. Sempre secondo l’indagine di Confesercenti-Swg gli italiani andranno in cerca soprattutto di scarpe (28%), prodotti di maglieria (22%) e pantaloni (14%), mentre solo il 7% punta ad acquistare i capi spalla (cappotti e giacconi), un tempo tradizionale bene da svendita a causa dell’alto costo.

«Dopo un Natale ancora sospeso tra una crisi che sembra volgere al termine ed una ripresa ancora debole almeno nel fashion retail – nota Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia e vicepresidente di Confcommercio – la buona notizia è l’incremento di due punti della fiducia dei consumatori, tornato ai livelli del gennaio 2016. Un ingrediente, questo, imprescindibile, oltre al potere di acquisto degli Italiani, per sostenere i consumi in questo periodo dei saldi di fine stagione, che per meteo e calendario è appena iniziata. La spesa per gli acquisti in saldo per valore, secondo le nostre stime, sarà leggermente inferiore a quella dell’anno scorso, ma in linea con il momento. Il vero vantaggio sarà per i consumatori non vedere i prezzi dei negozi, dal primo gennaio, con l’Iva al 25%. Il Governo ha fatto bene ad ascoltarci, sterilizzando le clausole di salvaguardia, ma se vogliamo veramente uscire dal tunnel, occorre un maggior sforzo, coraggio e determinazione per ridurre la pressione fiscale, ancora troppo elevata per imprese e famiglie».

 

Il decalogo per minimizzare i “pacchi”

Naturalmente la ricerca dell’affare comporta anche qualche rischio. Per questo come ogni anno le associazioni di categoria diffondono una sorta di decalogo per minimizzare il pericolo di una fregatura. Bisogna essenzialmente tenere a mente che – come fa notare Confcommercio – il commerciante non è tenuto a cambiare il capo, salvo qualora ciò non sia espressamente specificato e salvo casi di merce danneggiata o non conforme, a patto che si resti entro i due mesi dall’acquisto; che non c’è obbligo di prova dei capi; che il commerciante non è tenuto ad accettare le carte di credito, se non espressamente comunicato; che è obbligatorio da parte del commerciante indicare prezzo pieno, prezzo finale e ammontare percentuale dello sconto.

Infine va ricordato che anche i negozi online hanno i loro saldi. Amazon farà sconti sull’abbigliamento fino al 50% per cento fino al 28 febbraio, lo stesso farà Zalando e Asos, che arriverà fino a “tagli” sull’etichetta del 70%. Molti negozi online arricchiscono di prodotti la sezione outlet, dedicata agli articoli in svendita, mentre OVS propone in rete tutta la collezione con sconti fino al 70%. Per i negozi online valgono naturalmente le stesse regole dei saldi nei negozi fisici.

Istat, dall’inizio dell’anno vendite ferme e il +1% di maggio non fa cambiare rotta

Possiamo parlare di stagnazione delle vendite a questo punto: i dati Istat sul commercio al dettaglio relativi al mese di maggio 2017 registrano un aumento del +1,0% rispetto a maggio 2016 nelle vendite a valore, con l’alimentare a +1,1% e il non alimentare a +0,9%. Dall’inizio dell’anno però l’Istat evidenzia una variazione pari al +0,1% a valore e al -0,9% a volume.

«Il 2017 non si manifesta come un periodo di ripresa delle vendite al dettaglio – è il commento di Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione –. Nei primi cinque mesi dell’anno i volumi sono in calo (-0,9% a livello complessivo) e la lievissima ripresa a valore (+0,1%) è frutto esclusivamente dell’aumento dei prezzi del settore alimentare. Le famiglie mantengono un atteggiamento prudente nei consumi. Preoccupate dalle incertezze del quadro politico, economico e sociale direzionano l’accresciuto potere d’acquisto degli ultimi anni verso un recupero dello stock di risparmio e un consumo di beni e servizi (auto, cultura e intrattenimento, ristorazione) alternativi ai prodotti di più generale e largo consumo. Un quadro non favorevole per le imprese del commercio, costrette ad affrontare un ulteriore periodo di domanda stagnante e una ripresa che continua ad allontanarsi nel tempo».

Secondo Federalimentare, è il mondo food che continua a destare preoccupazione, visto che la crescita (esigua) del mese (+1,0%) è attribuibile “a un “effetto trascinamento” dovuto all’aumento dei prezzi che, sebbene in riduzione, hanno avuto una forte impennata nei primi mesi dell’anno”. Il dato a volume segna infatti un calo del -1,0%. Questa tendenza si evidenzia in modo ancor più chiaro nei dati cumulati dei primi 5 mesi del 2017, che indicano una crescita del +0,6% a valore ma un calo a volume del -1,9%”. E se a maggio è andato meglio il non food, con una crescita sia a valore (+0,9%) sia a volume (+0,8%), nel periodo gennaio-maggio complessivamente abbiamo un calo, sia a valore sia a volume del -0,2%.

Il Codacons parla di un maggio “freddo” per le vendite aò dettaglio. «In realtà le vendite non stanno affatto crescendo, e rimangono stazionarie rispetto allo scorso anno – spiega il presidente Carlo Rienzi – È evidente come tali dati siano del tutto insufficienti ai fini di una ripresa dei consumi. Nonostante i numeri positivi registrati a maggio, le vendite in Italia sono sostanzialmente ferme, confermando i tanti allarmi lanciati dal Codacons e la mancanza di misure per sostenere il commercio interno».

 

Avanzano ancora i discount, soffrono i piccoli esercizi

“Un dato poco rassicurante” anche se si tratta a volume della prima variazione tendenziale positiva dell’anno emerge dalle rilevazioni Istat  secondo l’Ufficio Studi Confcommercio, visto che l’indice destagionalizzato si posiziona sui livelli più bassi degli ultimi anni. “Dalla debolezza della ripresa – fanno sapere dall’Ufficio Studi – restano più colpiti i negozi con meno di cinque addetti, che registrano una riduzione delle vendite in valore del 2,5%, mentre appare meno difficile la congiuntura delle imprese più grandi. La fiducia delle famiglie continua ad essere precaria, comprimendo la propensione al consumo”. 

Se le vendite di alimentari salgono a maggio 2017 rispetto a un anno prima in ipermercati (+0,2%) piccole botteghe alimentari (+0,3%) e supermercati (+0,4%) sono ancora i discount che fanno registrare l’incremento di gran lunga più significativo, del 3,2%.

Coldiretti evidenzia come sia proprio il settore alimentare a far registrare i risultati migliori con una media del +1,1%. “L’aumento della spesa alimentare su base annua è un segnale positivo poiché si tratta della seconda voce del budget familiare dopo l’abitazione. L’auspicio è che ora gli aumenti di spesa nella distribuzione alimentare si trasferiscano anche al settore agricolo dove – commenta Coldiretti –i compensi riconosciuti per molti prodotti non coprono neanche i costi di produzione”.

Nasce PRO4ICT, l’Associazione dei Professionisti del Digitale di Confcommercio

“Tre i punti di lavoro di PRO4ICT: creare networking, valorizzare le competenze e tutelarne la professionalità sul mercato e a livello istituzionale. Il primo presidente è Deborah Ghisolfi. Fioroni: ‘l’opera dei professionisti del settore ICT è strategica per la competitività delle imprese e del Sistema Paese’.

Se è vero che i professionisti del digitale stanno aumentando rapidamente e che costituiscono l’ossatura della Trasformazione Digitale, è altrettanto vero che in Italia non hanno vita facile. Il mercato è una prateria in cui la concorrenza è sfrenata, complice soprattutto la corsa al ribasso delle tariffe che mina la qualità del lavoro. Inoltre le competenze non vengono spesso garantite e tanto meno certificate e fare business diventa un’impresa. Ecco perché i freelance, professionisti dell’ICT, non hanno la possibilità di incidere come categoria per la tutela della loro professionalità, né a livello di mercato, né politico. ‘Ciò che serve è creare un contesto in cui ci si possa mettere in gioco a livello identitario e avere la forza per far sentire la propria voce’, commenta Deborah Ghisolfi, neo presidente di PRO4ICT, l’Associazione Nazionale dei professionisti ICT. ‘PRO4ICT nasce in seno a Confcommercio–Imprese per l’Italia, del cui peso istituzionale potremo beneficiare fin da subito per partire con le attività rivolte ai nostri associati, e raccoglie il knowhow di Assintel, che rappresenta l’altra faccia della medaglia della rappresentanza dell’ICT a livello aziende’, aggiunge. Anna Rita Fioroni, responsabile di Confcommercio Professioni, commenta: ‘una nuova Associazione nasce all’interno di Confcommercio e aderisce al nostro Coordinamento delle professioni per la rappresentanza e la tutela di professionisti nel settore ICT, la cui opera è strategica per la competitività delle imprese e del Sistema Paese. Insieme faremo un cammino di valorizzazione delle qualità e delle competenze per distinguersi nel mercato dell’innovazione’”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Nasce l’Associazione dei Professionisti del Digitale di Confcommercio”, 23 novembre 2016)

Deflazione: un altro inatteso segnale di debolezza del quadro economico

“L’Italia torna in zona deflazione. Dopo il timido +0,1% di settembre i prezzi riprendono il segno meno ad ottobre con un -0,1% rispetto ad un anno fa mentre su base mensile non registrano variazioni. Le stime preliminari diffuse dall’Istat certificano il ritorno in deflazione, dopo cinque mesi, anche per i prodotti che riempiono il carrello della spesa degli italiani. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona subiscono infatti una diminuzione dello 0,3% su base annua (la variazione era nulla a settembre).  Per l’Istituto di statistica la flessione annua dei prezzi continua ad essere determinata dal comparto dei Beni energetici il cui calo si accentua lievemente (-3,6% da -3,4% di settembre), effetto di una più intensa flessione dei prezzi di quelli regolamentati (-6,0%, era -3,8% a settembre) e di un parziale rientro della contrazione dei Beni energetici non regolamentati (-0,8%, da -2,7% del mese precedente). Ma ad ottobre ulteriori contributi deflazionistici arrivano dagli andamenti di altre tipologie di prodotto tra le quali spiccano gli Alimentari non lavorati, ossia frutta e verdura fresca, (-0,4%, dal +0,4% di settembre) e i Servizi ricreativi, culturali e della cura della persona (azzeramento della crescita, da +0,6% di settembre). A questo punto l’inflazione acquisita per il 2016 risulta pari a -0,1%. L’inflazione continua invece a salire nella zona euro: a ottobre la stima flash di Eurostat indica infatti +0,5% rispetto a +0,4% a  settembre. In calo in Italia anche l’indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali che, a settembre, rimane diminuisce dello 0,7% su base annua, con ‘tendenze deflazionistiche che continuano ad interessare – ha osservato l’Istat – entrambi i mercati di sbocco dei prodotti industriali’”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Ad ottobre torna la deflazione”, 2 novembre 2016).

“‘Un altro inatteso segnale di debolezza del quadro economico è il ritorno sotto zero della variazione dei prezzi. Non ci sono spunti positivi dalle principali aree di spesa soprattutto in alta frequenza d’acquisto. Stante queste dinamiche è ormai certo che anche il 2016 si chiuderà, come i due anni precedenti, con un’inflazione praticamente nulla e che per un ritorno su valori prossimi o superiori all’1%, in grado di scongiurare i rischi di una preoccupante e perdurante deflazione bisognerà attendere la primavera del 2017’: questo il commento dell’Ufficio Studi di Confcommercio sull’andamento dei prezzi nell’ottobre scorso”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Confcommercio: ‘ancora troppo debole il profilo dei consumi’”, 2 novembre 2016).

Sulla nota di aggiornamento al documento economico e finanziario

“Il Consiglio dei ministri ha approvato la nota di aggiornamento al documento economico e finanziario. Fonti Ue sulla flessibilità: ‘Nessun negoziato in corso, valuteremo il documento entro le scadenze previste’. Per quest’anno le previsioni sono di una crescita dello 0,8%.

La crescita si fermerà allo 0,8% quest’anno e all’1% l’anno prossimo, e il rapporto deficit/Pil si attesterà al 2,4% quest’anno e l’anno prossimo al 2%, ma con una possibile estensione di un ulteriore 0,4%. Lo annuncia il premier Matteo Renzi, nella conferenza stampa sulla nota di aggiornamento del Def, il Documento economico e finanziario appena approvato, al termine di un Consiglio dei Ministri cominciato con oltre un’ora di ritardo, e finito dopo appena 50 minuti. Renzi ha precisato subito che per il 2017 ‘l’Italia chiederà un indebitamento ulteriore di 0,4 punti percentuali per il sisma e per la gestione dell’immigrazione’. E dunque anche l’anno prossimo il deficit potrebbe arrivare al 2,4%: non si tratta di chiedere nuova flessibilità, precisa il premier. E in effetti nel pomeriggio fonti della Commissione Ue avevano ribadito quanto già trapelato nei giorni precedenti, e cioè che non c’è alcun negoziato sulla flessibilità in corso con l’Italia, e che le cifre aggiornate del nuovo Def sarebbero state valutate ‘secondo le scadenze previste’. ‘Non c’è flessibilità in questa Nota di aggiornamento al Def – obietta però Renzi – perché con una decisione che non ci convince si è deciso che vale una sola volta e noi l’abbiamo utilizzata lo scorso anno. Per me è un errore, c’è uno 0,4% massimo di circostanze eccezionali che è altra cosa rispetto alla flessibilità e riguarda elementi che nessuno può contestare che sono sisma e immigrazione’. La stima del Pil per quest’anno è sostanzialmente allineata a quella delle principali istituzioni economiche internazionali (coincide con quella dell’Ocse) e nazionali (Prometeia stima poco meno, lo 0,7%, come Confindustria). Alcuni giorni fa il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva invece contestato le stime di Confindustria, ribattendo che il governo ‘ne aveva di migliori’. Ma oggi, ammette Renzi, ha prevalso invece ‘San Prudenzio, linea Padoan. Non è la linea del 7,8% di crescita proposta da Palazzo Chigi’, scherza il premier, aggiungendo però subito: ‘È una battuta’”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Via libera al Def, Pil all’1% nel 2017 e deficit fino al 2,4%”, 28 settembre 2016).

In margine, segnaliamo l’intervista a Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio, pubblicata oggi da Libero (“Se aumenta l’IVA bruciamo 12 miliardi”), dalla quale estrapoliamo un passaggio: “L’Europa deve concederci flessibilità sul deficit, altrimenti il rialzo dell’imposta sarà un boomerang. I consumi crolleranno e saranno penalizzate le famiglie povere”. E non è una battuta…

Consumi in calo: la versione di Confcommercio

“L’Istat ha registrato una diminuzione mensile dello 0,3% sia in valore sia in volume. La flessione è imputabile ai prodotti non alimentari, le cui vendite calano dello 0,5% in valore e dello 0,4% in volume, mentre quelle di beni alimentari crescono dello 0,3% in valore e dello 0,1% in volume.

Le vendite al dettaglio registrano a luglio un calo mensile dello 0,3% sia in valore sia in volume. Lo riferisce l’Istat, sottolineando che la flessione è imputabile ai prodotti non alimentari, le cui vendite calano dello 0,5% in valore e dello 0,4% in volume, mentre quelle di beni alimentari crescono, rispettivamente, dello 0,3% in valore e dello 0,1% in volume. Rispetto a luglio dello scorso anno, le vendite diminuiscono complessivamente dello 0,2% in valore e dello 0,8% in volume. La flessione più marcata riguarda i prodotti non alimentari, ovvero -0,6% in valore e -1,1% in volume. Nella media del trimestre maggio-luglio 2016, l’indice complessivo del valore delle vendite al dettaglio registra una variazione positiva dello 0,2% sui tre mesi precedenti. L’indice in volume risulta stazionario nei confronti del trimestre precedente.Tra i prodotti non alimentari, le variazioni annue negative di maggiore entità si registrano per i gruppi Cartoleria, libri, giornali e riviste (-4,6%) ed Elettrodomestici, radio, tv e registratori (-2,3%). In crescita solamente i gruppi Giochi, giocattoli, sport e campeggio e Mobili, articoli tessili e arredamento.Rispetto a luglio 2015, inoltre, l’Istat osserva un incremento del valore delle vendite nella grande distribuzione (+1,1%), a fronte di una flessione (-1,2%) per le imprese operanti su piccole superfici”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “A luglio calano le vendite al dettaglio”, 26 settembre 2016).

Giudizio sintetico: “‘Il dato merita una lettura molto negativa perché testimonia l’influenza del decrescente clima di fiducia delle famiglie nei comportamenti di spesa. Anche se sono ancora presenti indicazioni favorevoli relative al turismo e alle vendite di auto, il peggioramento del quadro dei consumi si desume dal profilo negativo delle vendite nelle piccole superfici e dalla circostanza che, nell’ambito della grande distribuzione solo il discount presenta tassi di crescita superiori al 2%'”. E’ il commento dell’Ufficio Studi Confcommercio sui dati Istat. ‘La politica fiscale distensiva, certamente apprezzabile,  – continua la nota – non può poggiare esclusivamente su micro-provvedimenti, ma deve essere orientata da un strategia di generalizzata e concreta riduzione del carico fiscale, la cui prima mossa dovrebbe essere la riduzione di un punto di ciascuna delle cinque attuali aliquote Irpef a partire dal 2017′”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Confcommercio su vendite al dettaglio: ‘Dato molto negativo, urge riduzione Irpef già dal 2017’”, 26 settembre 2016).

Confcommercio: “assolutamente poveri” a quota 4,6 milioni

“Un’analisi dell’Ufficio Studi su consumi, spese obbligate ed evoluzione della povertà dimostra che nel 2015 gli ‘assolutamente poveri’ sono arrivati a 4,6 milioni (+177% sul 2006), mentre negli ultimi 20 anni i prezzi dei consumi obbligati sono raddoppiati mangiandosi il 40% dei consumi delle famiglie.

La crisi dei consumi non è solo un effetto della congiuntura, ma ha radici più profonde. Lo dimostra un’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio su consumi, spese obbligate ed evoluzione della povertà, presentata nel corso di una conferenza stampa organizzata a Roma nella sede confederale. Negli ultimi venti anni, dice lo studio, è cambiata la struttura delle spesa degli italiani: quattro settori (alimentari, mobili, vestiario, trasporti) hanno perso complessivamente il 6,6% di spesa a beneficio soprattutto di spese per alimentazione fuori casa (+2%) e spese obbligate (+5,6%). Ma soprattutto è emersa con forza una terziarizzazione dei consumi, con il sorpasso dei servizi sui beni (52,6% contro 47,4%).  Quanto ai consumi pro capite, al netto dei prezzi si registra una crescita eccezionale di elettronica di consumo e beni e servizi per le telecomunicazioni, spese che vanno forte quando il ciclo è positivo e che risentono meno delle altre delle congiunture negative. Anche in questo caso, ha sottolineato il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, si rileva una crescita dell’alimentazione fuori casa a scapito di quella in casa. Passando alle spese obbligate, la ricerca ha rilevato una crescita del 4,2% tra il 1995 e il 2016, mentre nello stesso lasso di tempo i beni commercializzabili hanno perso l’8% e i servizi hanno guadagnato il 3,9%. Se si guarda ai prezzi, i beni commercializzabili sono cresciuti del 40% contro l’80% delle spese obbligate, con punte prossime al 100% nel caso delle spese per l’abitazione. Per quanto riguarda invece la povertà assoluta, i dati sono a dir poco allarmanti, tanto da far pensare alla necessità urgente di misure specifiche: nel 2015 ce ne si aspettava una riduzione vista la crescita dei consumi, ma così non è stato. Nel Mezzogiorno, in particolare, le famiglie povere sono raddoppiate rispetto al 2006, mentre gli assolutamente poveri sono arrivati a 4,6 milioni nel 2015, +177% sul 2006. Aumenta, in particolare, il numero di poveri che vivono in famiglie numerose, arrivati al 44% del totale dei poveri”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Povertà e spese obbligate schiacciano i consumi”, 12 settembre 2016).

Fiducia giù, vendite piatte

“Gli indici elaborati dall’Istat scendono a quota 110,2 per i consumatori (il livello più basso da agosto 2015) e a 101,3 per le imprese (il risultato peggiore da marzo 2016).

A giugno l’indice della fiducia dei consumatori prosegue il calo avviato ad aprile e passa a 110,2 da 112,5 di maggio. Le imprese vedono invece l’indicatore diminuire a 101,2 da 103. Per la fiducia dei consumatori si tratta del livello più basso da agosto 2015, mentre per quella delle imprese è il risultato peggiore da marzo 2016. Tutte le componenti del clima di fiducia dei consumatori risultano in diminuzione: il clima personale (a 103,0 da 105,4) e quello economico (a 131,8 da 135,7), così come il clima corrente (a 108,2 da 109,8) e quello futuro (a 112,9 da 117,6). I giudizi e le attese sulla situazione economica del Paese si confermano in peggioramento (a -48 da -47 e a -5 da 3, i rispettivi saldi). In recupero emerge il saldo relativo ai giudizi sull’andamento dei prezzi nei passati 12 mesi (a -26 da -27), mentre resta stabile sui valori dello scorso mese quello delle attese sull’andamento per i prossimi 12 mesi (a -20). Peggiorano le aspettative sulla disoccupazione (a 32 da 26, il saldo). Riguardo le imprese, il clima di fiducia sale nella manifattura (a 102,8 da 102,1) e nelle costruzioni (a 121,6 da 120,4), mentre scende nei servizi di mercato (a 105,0 da 107,3) e nel commercio al dettaglio (a 99,7 da 101,0). Per una corretta interpretazione dell’andamento dell’indice composito (Iesi) rispetto alle dinamiche settoriali si rimanda alla nota in calce. Nelle imprese manifatturiere migliorano i giudizi sugli ordini (a -13 da -15) mentre le attese sulla produzione rimangono stabili a 9; il saldo dei giudizi sulle scorte rimane stabile a 3. Nelle costruzioni migliorano i giudizi sugli ordini e/o piani di costruzione (a -30 da -34) e peggiorano le attese sull’occupazione (a -9 da -7). Nei servizi si contraggono i saldi relativi ai giudizi e alle attese sugli ordini (a 4 da 10 e a 7 da 11, rispettivamente); aumentano, invece, le attese sull’andamento generale dell’economia italiana (a 2 da -1). Nel commercio al dettaglio migliorano le attese sulle vendite future (a 22 da 14) ma peggiorano i giudizi sulle vendite correnti (a 0 da 2) e il saldo sulle scorte di magazzino passa a 16 da 6”.  (Fonte: www.confcommercio.it, “Fiducia di consumatori e imprese in calo a giugno”, 28 giugno 2016)

Sul fronte delle vendite al dettaglio, invece:

“L’Istat segnala un incremento dello 0,1% del valore delle vendite rispetto al mese precedente, mentre resta invariato l’indice in volume. Su base annua, cali rispettivi dello 0,5 e dello 0,9%.

Ad aprile le vendite al dettaglio registrano in valore un incremento dello 0,1% rispetto al mese precedente, mentre restano invariate quelle in volume. Le vendite di prodotti alimentari aumentano dello 0,2% in valore e dello 0,1% in volume. Lo ha reso noto l’Istat precisando che nella media del trimestre febbraio-aprile, l’indice in valore registra una variazione negativa dello 0,3%, mentre quello in volume diminuisce dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Rispetto ad aprile 2015, le vendite diminuiscono complessivamente sia in valore (-0,5%), sia in volume (-0,9%). Il calo più sostenuto si rileva per i prodotti alimentari: -1,6% in valore e -1,5% in volume.  Per quanto riguarda i gruppi di prodotti non alimentari, si registrano andamenti eterogenei. Le variazioni positive più marcate in valore si rilevano per i gruppi elettrodomestici, radio, tv e registratori (+1,5%) e altri prodotti (gioiellerie, orologerie) (+1,3%). Il valore delle vendite al dettaglio diminuisce sia nelle imprese che operano nella grande distribuzione sia in quelle operanti su piccole superfici, rispettivamente: -0,5% e -0,6%”. (Fonte: www.confcommercio.it, “Aprile ‘piatto’ per le vendite al dettaglio”, 27 giugno 2016).

Rispetto alla congiuntura, ricordiamo che per il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli siamo di fronte a “una ripresa senza slancio, senza intensità e senza mordente”; e bisogna “intervenire sui nodi strutturali che bloccano la crescita”; il destino dipenderà da “riforme ed equità”. Mentre alla Brexit si associano ulteriori rischi nel medio periodo.

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