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Super salutista o salutista alla leggera? Indagine sui consumatori

Tu che salutista sei? Un super salutista o un salutista alla leggera? Da una ricerca di Squadrati commissionata dal California Prune Board sono infatti questi i due i profili emergenti.
 
Le donne super salutiste per eccellenza
Per quanto riguarda il super salutista, sono principalmente le donne a rientrare in questa categoria (6 su dieci). Con il salutista alla leggera le parti si invertono e la categoria si tinge di azzurro (6 su dieci).
 
Dove ci si informa
Per il super salutista, il web, e nello specifico i portali dedicati alla salute, è il canale preferenziale per raccogliere informazioni sul tipo di alimentazione da seguire (45%); al secondo posto i programmi tv specifici sul salutismo (31%); al terzo i libri (29%). Particolare autorevolezza viene riconosciuta anche ai blog specializzati (25%).
Anche per il salutista alla leggera il web, insieme ai portali dedicati alla salute (46%), rimane il canale preferito per informarsi; al secondo posto si classificano però i programmi tv generalisti (24%); al terzo le riviste non specializzate. Infine, nella categoria, il 12% non sente invece il bisogno di ricercare informazioni.

I cibi preferiti
Anche le preferenze in termini di alimentazione sono diverse: il super salutista dimostra una particolare attenzione all’inserimento nella propria alimentazione di verdura (94%) e frutta (93%), ma anche di bacche (24%), germogli (27%), semi (28%) e pesce (52%); mentre il salutista alla leggera oltre a frutta (88%) e verdura (85%) consuma carni (76%), salumi (29%) e formaggi (50%).

Che tipo di break?
Momento irrinunciabile per tutte le tipologie di salutista è lo spuntino: infatti, irrinuniciabile per ben l’84% dei salutisti di entrambe le categorie. Ma se il super salutista lo preferisce soprattutto a metà mattina (51%), il salutista alla leggera dichiara di farlo anche dopo cena (11%) e di notte (2%). Per il super salutista lo spuntino ideale comprende frutta (64%) o frutta secca (28%) e grissini e cracker (26%). E sono proprio i più salutisti a dichiarare di consumare anche le prugne secche (61% vs. 43% della media campionaria). Per il salutista alla leggera invece ci sono frutta (43%), cracker e grissini (33%) e merendine (27%).
Metodologia
Alla ricerca hanno partecipato oltre 600 maggiorenni salutisti, distribuiti in tutta Italia: Nord (45%), Sud e Isole (32%) e Centro (23%). Il campione è equamente diviso tra rispondenti donne (50%) e uomini (50%) e ha coinvolto principalmente la fascia 45-54 (39%), seguiti dalla fascia 35-45 (35%) e dalla fascia 25-34 (26%).

Birrificio Angelo Poretti lancia la nuova 4 Luppoli BIO

Birrificio Angelo Poretti, grazie all’esperienza e continua ricerca d’innovazione dei suoi Mastri Birrai, arricchisce la propria gamma con la nuova 4 Luppoli BIO, assoluta novità prodotta esclusivamente con malto d’orzo biologico e quattro diverse varietà di luppolo derivanti da agricoltura biologica. Con questo lancio, Birrificio Angelo Poretti s’inserisce a pieno titolo in un trend, quello dei prodotti provenienti da agricoltura biologica, in costante crescita.

I prodotti biologici in Italia rappresentano oggi il 2,9% del comparto alimentare e il settore registra un costante incremento grazie anche alla scelta dei consumatori, sempre più orientati ad una maggiore cura di sé e all’attenzione crescente verso l’ambiente. Il settore del biologico nel 2016 ha segnato un incremento del 20% rispetto al 2015, ciò denota un crescente interesse verso i prodotti biologici da parte dei consumatori che hanno acquisito negli anni una maggiore consapevolezza verso ciò che acquistano, dagli ingredienti che compongono il prodotto, alla catena di produzione stessa, con particolare attenzione a quanto riportato sulle etichette dei prodotti. (Fonte: IRI Shopper Research; GFK).

La scheda prodotto

4 Luppoli BIO, inoltre, conserva la spiccata armonia nel gusto, l’amaro e la frizzantezza moderati tanto apprezzati nella 4 Luppoli Lager originale. Queste caratteristiche, unite a una gradazione alcolica media (5,3%), fanno della prima referenza BIO del Birrificio Angelo Poretti una birra gustosa e beverina, ottima a tutto pasto.

STILELager
TIPOLOGIA COLOREChiaro
SCHIUMAPersistente, compatta e fine
ASPETTOLimpido
COLOREPaglierino
FRIZZANTEZZAModerata
CORPORotondo
AMAROAccentuato
GRADAZIONE ALCOLICA5,3% ALC. VOL.
CONFEZIONEBottiglia: 33 cl.

 

 

 

Più sportiva, multietnica e un po’ meno in crisi: l’Italia che cambia nel Rapporto Coop

La ripresa c’è, il Pil è il più alto dal 2010, le famiglie stanno investendo, ma il Paese emerge dalla crisi con tante cicatrici sul corpo sociale, con i nuovi gap (ad esempio quelli generazionali) che si aggiungono a quelli “storici”, come il divario tra Nord e Sud. Questo (e molto altro) emerge dal mastodontico Rapporto Coop 2017, redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di REF Ricerche, il supporto d’analisi di Nielsen, e i contributi originali di Iri Information Resources, GFK, Demos, Nomisma e Pwc, Ufficio Studi Mediobanca, Crif e BeMyEye. 

Una vera e propria fotografia degli italiani, dei loro consumi ma anche delle loro attività quotidiane, aspettative, desideri e paure. In chiaroscuro, spesso in contraddizione, tra miseria e nobiltà,  curiosità vero il nuovo (siamo il Paese che più interessato in Europa all’innovazione, con una vera fascinazione per robotica, intelligenza artificiale e automazione) e paure (verso l’immigrazione,  siamo i fan numero 1 in Europa di Donald Trump, il terrorismo, ma anche l’inquinamento). Siamo i più sani al mondo ma restiamo ossessionati dalla salute e dalla rincorsa al benessere.

 

Consumi avanti piano, meno edonismo più sostanza

Se i consumi continuano il loro trend positivo (l’anno in corso si chiuderà con un + 1,2%) lo fanno a patto di una diminuzione del tasso di risparmio e del nuovo incremento dei prestiti. E poi i consumi sono cambiati, certamente. Ad esempio, solo per la cura del corpo spendiamo circa 10 miliardi di euro all’anno (e quando la cosmesi non basta si ricorre alla chirurgia estetica tanto da figurare nella top 10 mondiale), abbandoniamo la religione tradizionale per una spiritualità più soft (buddismo, yoga, vegan). Soprattutto, siamo meno interessati al consumo ostentato e ipertrofico e utilizziamo il budget familiare in investimenti oculati e fruizione di nuove esperienze: auto e lavatrice, la casa e l’istruzione dei figli sono prioritari, ma rinunciamo a tutto per viaggiare. In questa nuova dimensione ascetica gli italiani 2017 sembrano aver perso per strada molti desideri. Fumano di meno, bevono di meno e amano di meno (-10% il calo del desiderio sessuale negli ultimi 15 anni e conseguentemente -6% la diminuzione registrata nell’ultimo anno nella spesa per profilattici). Resta la passione per il gioco d’azzardo (a tentare la sorte in vario modo sono quasi in 30 milioni).

Oramai padroni di internet e consapevoli del lato oscuro del web e soprattutto dei social, i nuovi italiani attendono impazienti l’arrivo delle tecnologie di prossima generazione. Primi in Europa per la voglia di provare l’auto a guida autonoma (il 49% non avrebbe problemi a viaggiarci), il 68% sarebbe disposto a farsi curare da un robot piuttosto che da un medico. I rischi per l’occupazione che sorgono dall’industria 4.0 e l’on demand economy, preoccupano, ultimi in Europa, solo il 70% a fronte di un ben più consapevole 90% di spagnoli, di un 74% di tedeschi e di un 73% di francesi. Ciò a cui aspirano è un lavoro più smart, con maggiore flessibilità oraria, che consenta di lavorare da casa e lasci spazio alla partecipazione e a nuove forme di welfare aziendale. La “gig economy” se opportunamente regolamentata può diventare un’utile integrazione al reddito per le famiglie. E se si teme la disoccupazione, le paure degli italiani sono sempre più legate all’ambiente, alla minaccia terroristica e all’immigrazione. Da qui il massiccio ricorso agli antidepressivi (+ 18% negli ultimi dieci anni) e persino alle armi (12 italiani su 100 ne possiedono una).

Eppure gli italiani mantengono anche primati assolutamente positivi: sono filantropi e generosi (ammonta a 4,5 miliardi di euro il monte delle donazioni) e continuano ad essere il popolo più sano al mondo (dopo di noi sull’ambito podio gli islandesi e gli svizzeri), anche se scende la percentuale di coloro che si sentono in buona salute (dal 66,7% del 2010 all’attuale 65,8%). A aiutarci è la ripresa della pratica sportiva arrivata al suo massimo storico: complessivamente oltre il 25% pratica sport con continuità, e sono stati oltre 39.000 coloro che hanno partecipato nell’ultimo anno a almeno una maratona.

 

Cibo nuovo piacere, e la Gdo vince con l’assortimento

La salute prima di tutto e il cibo come elisir e terapia oltre che come piacere: il nuovo mantra degli italiani a tavola tra superfood, diete del proprio medico (o dal naturopata), “cibi terapeutici” che valgono oramai il 10% dei consumi alimentari e crescono il doppio della media (+5% l’ultimo anno, i superfood l’8%).
Cambia il borsino dei cibi preferiti: salgono la polvere di maca (il 100% ritiene che abbia proprietà salutistiche, i semi di chia (75%), le bacche di acaj (69%) e di goji (68%), scendono le vendite di aglio nero (-37%), kamut (-24%), soia (-3%) a riprova della progressiva fluidità delle scelte di consumo. Analizzando i top e i bottom delle vendite nella Gdo si nota l’effetto sostituzione a vantaggio delle varianti più salutari. Anche quando si ha a che fare con i prodotti della tradizione: così cede terreno il latte uht (-4,6%) in favore di quello ad alta digeribilità (+174,4%) o le uova di galline allevate in batteria (-8,2%) a favore di quelle allevate a terra (+15%). Crescono gli integrali, i senza glutine, i senza lattosio. Se consideriamo solo il “senza olio di palma”, diventato anche un caso mediatico, il giro d’affari registra un più che promettente +13,5%, mentre siamo arrivati a mangiare la stessa quantità di carni rosse e bianche chiudendo un divario fino ad oggi storico: 19 chilogrammi procapite annui.

Anche grazie a queste nuove tendenze che torna maggior valore nel carrello della spesa degli italiani. Il 2017 è l’anno della fine del downgrading della spesa e la maggioranza degli italiani si è lasciata alle spalle il tempo delle rinunce alimentari e della caccia alle promozioni; torna la voglia di qualità e la sperimentazione. Il 70% degli italiani, primi in Europa, dichiara di essere disposto a pagare di più per avere più qualità e il carrello del lusso, forte dei suoi filetti di pesce, funghi, caffè in capsule e vini doc, supera l’8% di crescita nel primo semestre dell’anno. Nelle fasi più recenti qualità è poi diventata sinonimo di sicurezza, oltre che di proprietà organolettiche e di gusto. Si spiega così quel 56,4% di consumatori che legge in modo quasi maniacale le etichette dei cibi.

Ma se il cibo torna di moda mutua proprio dal fashion altre caratteristiche. Diventa così esperienza da vivere, estetica da condividere (130 milioni i risultati indicizzati su Instagram alla parola #foodporn), rappresentazione della propria identità individuale (vegan e non solo….) e sperimentazione. Le scelte alimentari sono sempre più fluide e stagionali: il positivo andamento delle vendite food della grande distribuzione (sfiora il 3% nel primo semestre) è concentrato proprio nei settori che hanno subito le temperature estreme sia della stagione calda che di quella fredda e potrebbero ridurre la loro esuberanza con un (auspicabile) ritorno alla normalità “metereologica” .

«Gli elementi di ripresa dei consumi sono evidenti anche nella nostra rete di vendita; nei primi sei mesi dell’anno miglioriamo le vendite (nel Grocery +1,2% a valore e +2,1% a volume). Inoltre, di fronte a qualche risveglio dell’inflazione alimentare, continuiamo a frenare i prezzi di vendita e a difendere il potere di acquisto dei nostri soci e consumatori; il delta inflattivo tra Coop e la media del mercato sfiora il -2% – spiega Marco Pedroni, Presidente Coop Italia -. In linea con i cambiamenti importanti nella composizione del carrello degli acquisti degli italiani descritti nel Rapporto abbiamo assortimenti più ampi della media del mercato nei segmenti free from, rich-in, vegan, etico-sostenibile e non a caso le vendite di queste categorie di prodotti in Coop sono in crescita significativa. Il nostro impegno si è focalizzato sullo sviluppo della MDD, il Prodotto a Marchio Coop. Oltre a 200 nuovi prodotti nel 2017 e ad altri 200 nel 2018, stiamo lanciando nuove linee e continuando ad ampliare i contenuti di distintività valoriale. Nel 2017 proseguiamo il lavoro di rafforzamento della rete di vendita con 10 nuove aperture e 90 ristrutturazioni importanti (oltre 300 milioni di investimenti), con lo sviluppo dei distributori Coop (31 stazioni con oltre 400 milioni di litri erogati) e con nuove iniziative imprenditoriali tra cui i negozi specializzati per animali (Amici di Casa), l’online Food (EasyCoop) e l’esperienza virtuale-fisico dei CoopDrive».

 

Il discount resta il modello più produttivo, crescita spinta dai freschi

Il Rapporto presenta anche il quadro di una Gdo in affanno, che ha sofferto più che nel resto d’Europa, avendo aumentato meno i prezzi. Schiacciata al momento tra l’aumento anche rilevante dei prezzi di alcune materie prime (caffè, grano, olio EVO in primis) e le richieste di convenienza del cliente finale,  che però è sempre più volubile nella scelta del punto vendita e richiede assortimenti centrati sui suoi cangevoli desiderata.

E tra in formati vince il più snello e produttivo, e che evidentemente ha saputo cavalcare lo spirit dei tempi e capitalizzare dalla crisi, il discount.

Anche se poi la ripresa ha premiato, soprattutto grazie ai freschi.

Guarda anche il video con l’intervista a Marco Pedroni: Rapporto Coop 2017: gli italiani, il cibo, il web e il punto vendita.

Rapporto Coop 2017: gli italiani, il cibo, il web e il punto vendita

Il cibo come nuova moda, identitario e stagionale come le collezioni fast fashion (ieri kamut oggi farro, ieri il latte di soia oggi di mandorla) ma con alcuni punti fermi che si ripropongono, come l’attenzione alla salute e al benessere e il ritorno della qualità; la centralità del punto vendita integrato a un ormai imprescindibile e-commerce; i valori della sostenibilità sociale ed ambientale sempre sullo sfondo: Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, fa il punto sui risultati del Rapporto Coop 2017 e sulle strategie intraprese dell’insegna nel mondo del retail che cambia.

Tra queste, l’attenzione al prodotto, specie a marchio, la presenza al Sud e la leadership in tutti i temi della distintività consumeristica.

Bauli lancia Trecciamore 5 Cereali, la prima treccina ai cereali

Bauli innova il segmento di mercato delle treccine di pasta sfogliata con il lancio di Trecciamore 5 Cereali, novità che porta con sé l’apporto nutrizionale di grano saraceno, farro, orzo, riso e avena.

Bauli segue così le nuove tendenze e mette a punto una ricetta che esalta la semplicità e il sapore dei cereali, perfettamente integrati nella morbidezza, fragranza e dolcezza dell’inconfondibile pasta sfogliata a lievitazione naturale Bauli.

L’impasto delle treccine Trecciamore 5 Cereali segue la sapiente lavorazione che utilizza il lievito madre Bauli e prevede 20 ore di lievitazione naturale. Una lenta lavorazione che permette di ottenere una sfoglia morbida e fragrante.

 

Da Lidl arriva Fantastico, il croissant creato su Facebook da 2 mln di fan

Arriverà sugli scaffali dall’11 settembre in tutti i punti vendita di Lidl Italia il Croissant FANtastico che va ad arricchire la famiglia dei prodotti creati dagli utenti della pagina Facebook dell’insegna, la più seguita della Gdo. La ricetta con la sfoglia a base di cereali e fibre con una doppia farcitura di crema al pistacchio e al cioccolato è stata creata dagli oltre 2 milioni di fan di Lidl Italia sulla pagina Facebook dell’azienda, in una coinvolgente iniziativa di user generated content lanciata a fine aprile. In quest’occasione, i follower hanno potuto sviluppare virtualmente il croissant dei loro sogni, scegliendo tra 15 ingredienti e selezionando la forma della brioche che più avrebbero desiderato gustare.

Nel corso dell’operazione sono state generate oltre 9.000 creazioni. Tra gli abbinamenti più richiesti dagli utenti poi, la community ha potuto votare il “Croissant FANtastico”, assegnando alla ricetta vincitrice più di 2.800 preferenze. Il prodotto, privo di olio di palma e realizzato con cacao sostenibile certificato UTZ, è pensato per una colazione nutriente o una sfiziosa merenda a scuola o in ufficio.

 

Famiglia di prodotti social

L’azienda non è nuova ad operazioni di crowdsourcing che rendono gli utenti social protagonisti attivi nella creazione dei prodotti dell’assortimento. Negli anni, infatti, insieme ai fan, Lidl ha dato vita ad una vera e propria gamma “FANtastica”. Un progetto di ampio respiro, nato nel 2015 con lo sviluppo della prima “Pizza FANtastica”, a cui sono seguiti nel 2016 il “Gelato FANtastico” e il “Panettone FANtastico” e, non ultima nel 2017, una versione estiva della “Pizza FANtastica”.

Uber, sfida alla produttività. La legge del libero mercato

Il servizio di trasporto urbano di Uber è, senza alcun dubbio, una sorprendente realtà per chi lo sperimenta per la prima volta e a New York City in particolare. Gli Yellow Cabs sono un simbolo della città e catturano la nostra fantasia, ma in realtà sono mezzi quantomai scomodi: lo spazio per i passeggeri viene sacrificato per consentire al conducente di stare per 10 ore al volante un po’ più comodo, i sedili e gli ammortizzatori sono usurati, i prezzi sono alti perché regolati dall’amministrazione municipale che ha concesso solo 13000 medallions (licenze). Un tal numero di vetture si rivela del tutto insufficiente nelle ore di punta della metropoli o quando piove. In più gli Yellow Cabs si concentrano a Manhattan trascurando gli altri quartieri meno redditizi.

Questo razionamento ha portato il prezzo di una licenza vicino a 1 milione di dollari. Ne consegue che quasi nessuno riesce ad acquistarla singolarmente e ad avviare un’attività individuale. Le licenze e i taxi appartengono, infatti, a compagnie che assumono autisti stipendiati con bassi salari, per cui la mancia diventa un obbligo da parte dei passeggeri.

Uber e i suoi fratelli

New York è diventata però una specie di paradiso per gli utenti dei trasporti urbani, in quanto accanto agli Yellow Cabs, sono comparsi i Green Cabs e, oltre ad Uber, i suoi imitatori-concorrenti Lyft, Gett, Juno, Via. Tutto ciò è il frutto di una convergenza di tecnologie che hanno contribuito a far emergere il libero mercato nella sua forma più pura. Chi ha un’auto adeguata e la licenza per trasportare altre persone può diventare tassista part-time o a tempo pieno. Per questa ragione Uber prefigura un futuro che inevitabilmente toccherà, tra mille resistenze, anche il nostro paese, anche altri settori tra cui il retail. Grandi compagnie come Wal-Mart stanno già sperimentando la possibilità di utilizzare Uber e i suoi simili per la consegna a domicilio degli acquisti online. Instacart si muove nella stessa direzione.

Lasciare la libertà di operare alle leggi di mercato ha prodotto di conseguenza un grande miglioramento della qualità del servizio, una diminuzione del prezzo assieme alla creazione di molti nuovi posti e occasioni di lavoro. Collateralmente, ha permesso agli economisti di osservare per la prima volta delle vere, reali curve di domanda e di offerta. Esse erano state in precedenza delle astrazioni, teorizzate dai modelli euristici insegnati nelle università. Uber le ha materializzate con il proprio sistema. Utilizzando un flusso permanente di informazioni grazie al web e alimentando algoritmi che calcolano il prezzo del trasporto: a) in base alle richieste di un vasto pubblico di utenti e b) in base all’offerta di auto del suo network che si dichiarano in ogni momento liberamente disponibili, Uber riesce a far incontrare domanda e offerta al miglior prezzo per entrambi.

I vantaggi per il consumatore

Ovviamente con l’aumentare del numero di coloro che accettano di trasportare altre persone il prezzo di mercato tende a diminuire. Allo stesso tempo però la domanda degli utenti aumenta, a scapito dell’uso dell’auto privata. In breve il web sta distruggendo il monopolio potentissimo dei taxisti ufficialmente riconosciuti. Il web permette di raccogliere, inoltre, con precisione anche il grado di soddisfazione degli utenti per il servizio reso da ogni autista, consentendo così al sistema di gestire incentivi e disincentivi, migliorando lo standard complessivo di questa attività.

Dunque, se c’è maltempo, se ci sono eventi particolari con relativi afflussi di potenziali clienti, se il servizio è notturno, allora il prezzo richiesto aumenta e, viceversa, quando la domanda si indebolisce per la concorrenza o per altre specifiche circostanze, il prezzo viene ridotto.

Un altro rilevante risultato è, quindi, la creazione di un ingente surplus per il consumatore. Fissando il prezzo in base al livello della domanda e dell’offerta lo si rende, infatti, sistematicamente inferiore a quello che un cliente avrebbe dovuto pagare con una tariffa prefissata. Basti pensare che gli utenti di Uber nelle quattro città: Chicago, San Francisco, Los Angeles, e New York, in un anno superano i 100 milioni. Prezzi notevolmente inferiori a quelli amministrati significano dunque reddito disponibile che viene speso in altri beni e servizi.

Se a tutto ciò si aggiungono i concorrenti di Uber che da NYC cercano di espandersi negli USA e nel mondo, abbiamo un’idea di quale guadagno di produttività si prospetti per i sistemi di trasporto urbani dei paesi che, al contrario del nostro, si aprono alla logica del libero mercato. A questo bisogna aggiungere l’indubbio miglioramento qualitativo. Le auto dei micro-imprenditori del network sono più nuove, pulite e spaziose dei taxi gialli. Gli autisti sono tutti dotati di GPS, con cui minimizzano anche i percorsi più lunghi e complessi nel Bronx o a Brooklyn. Inoltre offrono bevande dissetanti e snack ai clienti e le mance non sono previste.

Uber non è esente da critiche, poiché esige una royalty su ogni transazione, lasciando ai tassisti oneri e rischi. Tuttavia il libero mercato corregge anche queste presunte storture. Infatti, ogni autista newyorkese da libero imprenditore, oggi utilizza più telefoni per servire in alternativa Uber, Juno, Via o Lefty a seconda del tragitto più vantaggioso che viene loro offerto e delle minori royalties pretese dalla centrale di coordinamento. Certo, qualcuno dice che guidando il taxi giallo guadagnava lo stesso reddito lavorando meno, con meno rischio, ma ciò che conta sempre ed inevitabilmente è la soddisfazione del cliente che – è bene ricordarlo – è egoista, spietato, irriconoscente di fronte ad alternative più convenienti.

Il caso dei network dei trasporti, pertanto, non va visto isolatamente, ma inquadrato come una tendenza che anticipa il futuro di molti altri settori in primo luogo dei servizi, ma in secondo luogo anche del commercio dei beni materiali e, insomma, anche del retail.

Di Amagi (Tirelli associati)

Tonno in scatola, tutti lo mangiano (94% degli italiani) ma pochi lo conoscono

È uno dei cibi più amati dagli italiani, eppure soffre di pregiudizi duri a morire, come quello per cui conterrebbe conservanti: parliamo del tonno in scatola, consumato secondo una ricerca Doxa commissionata dall’Ancit (l’associazione dei produttori conservieri ittici) dal 94% della popolazione italiana. Quasi un italiano su due (il 43%) ne mangia ogni settimana. E piace grazie alla sua versatilità, alla praticità, alla velocità della preparazione. E ai valori nutrizionali eccellenti che ne fanno praticamente un superfood: contiene infatti proteine nobili, lipidi, tra cui gli omega-3 che determinano una riduzione del colesterolo totale e un aumento di quello cosiddetto “buono”, minerali come zinco e selenio grandi alleati contro lo stress ossidativo, e tante vitamine. Tutto ciò lo rende particolarmente gradito ai consumatori più attivi e attenti alla salute, come i giovani under 25 e le famiglie. Addirittura tra gli italiani che praticano sport – circa il 50% del campione analizzato – sette su 10 lo inseriscono nella “top five” degli alimenti a cui non saprebbero rinunciare (insieme a carni bianche, legumi, yogurt e bresaola).

Eppure molti consumatori mostrano di non conoscere un alimento tanto popolare. In base a una ricerca Adacta commissionata sempre dall’Ancit alla domanda se il tonno in scatola contenga o meno conservanti (a parte l’olio o l’acqua e sale), ben il 65% degli italiani risponde di sì e solo il 18% risponde correttamente che non ce ne sono. Il tonno in scatola infatti è un prodotto salutare e totalmente naturale, che non necessita la presenza di additivi conservanti, perché non ne ha bisogno, come dimostra del resto un’attenta lettura dell’etichetta, pratica assai consigliata che però ancora pochi italiani mostrano di fare. Le confezioni una volta riempite vengono chiuse ermeticamente e poi sterilizzate a una temperatura compresa tra 110° e 120°C, garantendo così una conservazione sicura per diversi anni.

Sono il sale e l’olio (oppure l’acqua per la versione al naturale) assieme allo specifico processo termico di sterilizzazione a garantire al tonno una lunga conservazione, pur senza altri agenti conservanti: «Il tonno in scatola è un alimento sterilizzato termicamente in scatoletta metallica sigillata – afferma il professor Pietro Antonio Migliaccio, presidente emerito della Società italiana di scienza dell’alimentazione (Sisa) – e pertanto sano e sicuro da un punto di vista igienico. La sterilizzazione garantisce la salubrità e la conservazione del tonno e permette di mantenere tutte le sue proprietà nutritive ed organolettiche (odore, colore, sapore, consistenza). Con questo metodo, la naturalità non è compromessa, ed è garantita l’integrità del prodotto, assolutamente privo di conservanti». 

Retail sotto attacco dall’e-commerce, ma sono i servizi la chiave per sopravvivere

Il settore retail sta cambiando, i negozi online stanno guadagnando spazio su quelli tradizionali e questi ultimi possono reagire soltanto alzando il livello del servizio. Lo rivela la terza consumer survey condotta da Jda Software Group, Inc. su oltre mille consumatori negli Usa, che delinea un quadro interessante anche per noi: il mondo dei clienti al momento è diviso in due metà quasi perfette: il 54% degli intervistati preferisce effettuare acquisti nei negozi fisici, il 46% privilegia altri canali quali online, mobile e social media. Questi ultimi rappresentano l’ultima frontiera del cybershopping: poco più di un quarto degli intervistati (26,3%) ha utilizzato i social media per un acquisto online, per lo più giovani tra i 18 e i 29 anni (35%) e su Facebook (81%). Ma circa tre tecnoacquirenti su quattro non avrebbero problemi a tornare nei negozi tradizionali qualora essi offrissero loro un’esperienza di acquisto facile e veloce.

 

Click and collect in aumento

La chiave potrebbe essere la formula Bopis (buy online and pick-up in store) che prevede l’acquisto online e il ritiro in negozio. Metà degli intervistati ha utilizzato questa modalità negli ultimi 12 mesi, con un aumento del 44% rispetto alla survey del 2015. Gli intervistati che hanno utilizzato questi servizi dichiarano che evitare la consegna a domicilio (39,6%) e ricevere il prodotto più velocemente (33,1%) rappresentano le ragioni principali per la scelta di questa opzione, risultati simili a quelli del 2016 e del 2015. E il 58% degli intervistati ha affermato di non aver avuto alcun problema lo scorso anno. Da parte dei consumatori c’è però una domanda di maggiori incentivi: l’80% degli intervistati prenderebbe in considerazione il servizio se i rivenditori proponessero sconti o promozioni. Del resto, incoraggiare il Bopis conviene anche ai negozianti: il 40% degli intervistati che utilizza questa opzione confessa di avere a volte effettuato ulteriori acquisti in negozio.

I problemi principali del servizio Bopis sono legati alla gestione del personale. Al 23% degli intervistati è capitato di aspettare molto tempo perché l’addetto in negozio trovasse l’ordine nel sistema, e il 16% ha dichiarato che nel punto vendita non c’era personale dedicato a questa mansione. Risultati che evidenziano la necessità di addestrare il personale alla gestione dei nuovi canali di fulfillment per essere competitivi nello scenario retail odierno.

 

I resi dell’online? Un’opportunità

L’altra faccia del Bopis è il Boris, ovvero il Buy online and return in store (acquista online e restituisci in negozio). Ebbene, sembra strano ma anche i resi possono portare i loro frutti al negozio. I consumatori utilizzano questa formula il 20% in più rispetto all’anno precedente, e lo fanno principalmente per non affrontare il problema della spedizione del reso (oltre il 30%) e perché convinti di ottenere il rimborso o il cambio più velocemente (il 17%). Quale che sia il motivo, si tratta sempre di potenziali clienti che varcano la soglia di un negozio tradizionale.

 

Saldi, ormai l’online ha le sue date fisse

Infine i tempi del commercio online. La maggior parte degli intervistati (il 57%) confessa di preferire i saldi nel corso dell’anno, sia nei negozi che online, piuttosto che a Natale. Per i regali il 25% degli intervistati preferisce acquistare online durante il cosiddetto “cyber monday”, il 12% sceglie le offerte che trova nei negozi il “black friday” e il 6% l’Amazon Prime Day. Inoltre, durante le svendite la maggioranza degli intervistati (53%) occasionalmente acquista più di quanto aveva preventivato.

 

Brand Beachwear: il gruppo Calzedonia è il più social

Brand alla prova costume: quali tra i marchi beachwear dimostrano di essere i più social?

Stando a Top Brands, l’osservatorio mensile di Blogmeter, a imperversare su Facebook e Instagram sono i marchi del gruppo Calzedonia anche se su FB soddisfano pure le performances do Golden Point e Yamamay.

Vediamo il dettaglio…

Al vertice della classifica di Facebook, troviamo Tezenis, (gruppo Calzedonia) che a giugno acquisisce ben 73.400 interazioni con una media di 5,7 post al giorno. Il contenuto che ottiene più successo è una foto della campagna #tezenissmimwear con protagonista la travel blogger Mafalda Castro. Inoltre su Instagram, Tezenis , si aggiudica – con 894.000 interazioni- il secondo posto sul podio, grazie allo strategico coinvolgimento di numerose social influencer del calibro di Nima Benati, Indes Arroyo e Federica Oignotti. Sempre su Instagram il gruppo Calzedonia ottiene anche la prima posizione con un boom di interazioni di oltre 1 milione, grazie soprattutto al regram dei post della Ferragni (tra gli hashtag più coinvolgenti spicca #ItalianBeachwear). Mentre su Facebook, Calzedonia si posiziona al secondo posto con un totale di quasi 68 mila interazioni.

GoldenPoint, Yamamay e Oysho

Tra gli altri brand che emergono nelle classifiche social della Top Brands troviamo Golden Point, terzo su Facebook con 24.500 mila interazioni, forte del grande successo ottenuto con la condivisione di album dedicati alle diverse linee di costumi da bagno. Su Instagram invece si coloca “solo” al 10° posto, anche se con un numero molto elevato di interazioni (73 mila circa). 4° per Yamamay  su Facebook (14 mila interazioni), 5° su Instagram (107.500 mila interazioni). Performance elevate anche per la spagnola Oysho che si posiziona molto bene soprattutto su Instagram dove si aggiudica un sesto posto con un engagement pari a 92 mila interazioni. Nel mese di giugno l’iniziativa #FreeYogaByOysho organizzata in occasione dell’International Yoga Day a Barcellona e Milano ha fatto breccia nel cuore degli utenti di Instagram. 

La “carica” dei brand degli influencer 

Nella Top 10 compaiano anche nomi di brand lanciati o promossi proprio dagli influencer. Un esempio è Poisson D’Amour, il marchio lanciato dalla blogger Chiara Biasi, che a giugno ha spopolato su Instagram – dove occupa il terzo posto con 194 mila interazioni – soprattutto in virtù della grande frequenza di pubblicazione del profilo: siamo nell’ordine di 220 contenuti, più di 7 al giorno. Un altro brand del mondo beachwear che ha incrementato la propria popolarità grazie alla partnership con gli influencer è F**K. . Infine in classifica troviamo anche i nomi di altri brand del calibro di EresLovableMC2 Saint Barth e MissBikini su Facebook, mentre su Instagram compaiono La PerlaAgent Provocateur e Bikini Lovers.

 

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