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Abbigliamento: perdite inventariali pari a circa 375 milioni di euro

Differenze inventariali: quanto incidono sul retail? E quanto spendono i retailer in misure di sicurezza? Le risposte ce le fornisce la ricerca Retail Security in Europe. Going beyond Shrinkage”, realizzata da Crime&Tech, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems.

E fa riflettere.

Nel 2017, infatti, il loro ammontare è stato dell’1,5% del fatturato complessivo dei retailer coinvolti e provenienti da 11 Paesi europei.  Limitatamente al settore dell’abbigliamento, poi, è emerso che la percentuale di perdite è stata pari all’1,4%, seguita dall’1,3% dei retailer specializzati in accessori. La buona notizia? L’89% dei rispondenti ha comunque registrato un drastico calo rispetto al biennio precedente.

Ciò non toglie che il costo è comunque molto alto: le perdite annue per i retailer dell’apparel ammontano infatti a 375 milioni di euro, che sommati alle cifre dei settori che si occupano di scarpe e accessori arriva a 464 milioni. Inoltre la cifra aumenta ancora di più se si prendono in considerazione anche tutte le altre divisioni del retail, raggiungendo i 49 miliardi di euro l’anno.

Gli articoli più rubati

Al primo posto ci sono i pantaloni, seguiti dai pullover e dalle camicie: tutti prodotti facilmente rivendibili online. L’80% dei retailer intervistati dalla ricerca e coinvolti nel settore dell’apparel, ha inoltre individuato dei periodi di maggiore incidenza del fenomeno dello shrinkage, come il lancio di nuove collezioni, le festività e i fine settimana.

L’abbigliamento risulta anche essere il settore maggiormente soggetto ai furti definiti “interni”, come ad esempio l’appropriazione indebita di beni e di denaro. Una fetta importante delle perdite nell’apparel è poi dovuta a motivazioni di natura non criminale, come le restituzioni di prodotti difettosi (da non confondersi con il sempre più dilagante fenomeno del wardrobing, ossia i resi fraudolenti).

La spesa in sicurezza

In Europa i retailer spendono in media lo 0,62% del fatturato in misure di sicurezza e l’abbigliamento è tra i settori che investono più risorse, utilizzando lo 0,7% del proprio fatturato in tecnologie e mezzi per la protezione della merce. In quest’ambito le soluzioni protettive proposte da Checkpoint Systems sona varie.

Come la recente S20, che si adatta al design dello store, garantendo contemporaneamente un’esperienza di acquisto sicura e senza ostacoli, caratteristica che nel settore dell’abbigliamento si rende primaria per un maggiore appeal verso la clientela. Diverse anche le soluzioni di etichettatura dei capi d’abbigliamento con cartellini intelligenti, adatti a tecnologie sia RFID sia EAS e applicabili direttamente in negozio o in fase di produzione: un esempio in questo senso sono le etichette rigide e la recente R-Turn Tag, studiata appositamente per contrastare i resi fraudolenti dei “wardrobers”.

Checkpoint Systems fornisce inoltre soluzioni per il controllo preciso e sicuro degli inventari anche lungo la supply chain: l’RFID Hanging Garment Tunnel , studiato appositamente per il settore apparel, permette di scansionare capi di abbigliamento appesi, nei centri di distribuzione, per un controllo delle merci più veloce, preciso e completo in entrata e in uscita. L’hardware può essere anche connesso ad HALO, la piattaforma software di Checkpoint Systems che fornisce soluzioni intelligenti uniche nel loro genere e incentrate su suggerimenti di azioni mirate, provenienti da dati raccolti da sensori presenti in ogni punto della supply chain.

 

 

Le soluzioni per combattere la lotta alle differenze inventariali

Sono alti i costi delle differenze inventariali nel retail nel 2016 in Italia: 2,3 miliardi di euro, l’1,1% del fatturato delle aziende. Ma quali sono le soluzioni che i retailer possono mettere in atto oggi per limitare i danni? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Corradini, Country Manager di Checkpoint Systems, a margine della presentazione della ricerca La sicurezza nel retail in Italia, realizzata da Crime&tech, spin-off company del centro Transcrime di Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in collaborazione con il Laboratorio per la Sicurezza e il supporto di Checkpoint Systems. 

Trovi i principali risultati dello studio nell’articolo di Instoremag: Differenze inventariali, emorragia da 2,3 mld di euro, Gdo e abbigliamento perdono di più

Differenze inventariali, emorragia da 2,3 mld di euro, Gdo e abbigliamento perdono di più

Un’emorragia stimabile intorno a 2,3 miliardi di euro e pari all’1,1% del fatturato delle aziende nel settore retail in Italia: è il costo delle differenze inventariali nel 2016 in Italia stimate da uno studio realizzato da Crime&tech, spin-off company del centro Transcrime di Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in collaborazione con il Laboratorio per la Sicurezza e il supporto di Checkpoint Systems. Un costo che sale complessivamente a 3,5 miliardi di euro, 56 euro ad abitante, se si conta anche la spesa in sistemi di sicurezza (pari in media allo 0,5% del fatturato): come se fosse la quinta azienda retail in Italia per fatturato.

Ne emerge un quadro a luci e ombre con differenze anche notevoli tra i settori: con un valore superiore alla media per Fast fashion, Gdo, Calzature e accessori e inferiore per Intimo, Fai da te, Articoli sportivi. Secondo la maggior parte dei rispondenti poi le differenze inventariali sono in diminuzione, ma in alcuni comparti (come Lusso, Calzature, Beauty&Cosmetics) appaiono in aumento.

Le differenze sono anche geografiche: le regioni con il valore più elevato di differenze inventariali sono Campania (1,4%), Puglia (1,4%) ed Emilia Romagna (1,3%). Particolarmente colpite la bassa padana tra Alessandria e Bologna, le province di Bari e Brindisi e l’area compresa tra Napoli e Cosenza. Si tratta in genere di zone interregionali e attraversate da importanti vie stradali. In media, gli ammanchi sono più alti nei negozi situati in aree più periferiche, in comuni più piccoli, meno densamente popolati, con PIL pro-capite inferiore e tassi più alti di giovani e disoccupati.
Le differenze inventariali sono maggiori nei punti vendita dei centri commerciali rispetto ai negozi in città. La ragione può essere legata alle maggiori difficoltà di monitoraggio, al più basso conversion rate clienti-visitatori e alla minore customer care.

La causa più frequente delle perdite sono i furti compiuti da soggetti esterni, seguiti da quelli ad opera di dipendenti infedeli (i.e. furti interni) e quindi di fornitori e trasportatori. La causa meno frequente sono gli errori amministrativi e contabili. Tra i soggetti esterni, sono in aumento i furti organizzati sia ad opera di micro-bande di 2-3 persone che quelli compiuti da veri e propri gruppi criminali (soprattutto sotto forma di intrusioni notturne). L’uso di borse schermate (con fogli di alluminio o simili, per evitare i sensori anti-taccheggio) appare il modus operandi più frequente.

Le fasce d’età più ricorrenti dei “ladri di negozi” sono 18-25 e 26-40 tra gli uomini (soprattutto nel Fai da te, Stazioni di Servizio e nel Lusso) e le donne tra 26 e 40 anni (soprattutto nel Beauty & Cosmetics, nelle Calzature e nell’Abbigliamento). In termini di nazionalità, prevalgono i soggetti dell’Est Europa. .Si può ipotizzare che in aree con maggiori difficoltà socio-economiche, e un maggior tasso di popolazione giovanile, ci sia una maggiore propensione a commettere furti per necessità, furti occasionali, o ad entrare a far parte di una banda organizzata. Ma non esiste alcuna correlazione tra il numero di stranieri residenti e il numero di furti.

I prodotti più rubati variano ovviamente a seconda del settore merceologico. In generale però si può dire che risultano più appetibili quelli con un alto valore economico per centimetro cubo, più facilmente occultabili e con una maggiore rivendibilità sul mercato. Nella Gdo le prime cinque categorie più rubate sono carne salumi e formaggi, alcolici, dolciumi, profumeria e abbigliamento.

Top 5 categorie di prodotto per numero di pezzi rubati. Anno 2016 (N=17).

Centri commerciali più colpiti. Gli ammanchi sono maggiori nei negozi situati all’interno dei centri commerciali (1,16%) rispetto a quelli localizzati in città (1,06%), anche se gl autori sottolineano che sarebbe necessario un campione più ampio per confermare questo pattern da un punto di vista statistico. Hanno però fatto una classifica dei centri coinvolti.

Lo studio dati raccolti secondo due metodi: informazioni quantitative e qualitative raccolte tramite questionario (copertura: 30 aziende, 8.140 PV stimati, 11,5% del fatturato del retail in Italia). E dati quantitativi e informazioni per punto vendita, condivisi direttamente dalle aziende (copertura: 12 aziende, 1.088 PV, 2,9% del fatturato del retail in Italia).

Per il Barometro mondiale dei furti nel retail, in Italia le differenze inventariali costano 5,37 miliardi di euro

Secondo i dati dell’ultima edizione del Barometro Mondiale dei Furti nel Retail giunto alla 14esima edizione, realizzato da The Smart Cube (TSC), in collaborazione con Ernie Deyle e finanziato da un fondo indipendente di Checkpoint Systems, il costo delle differenze inventariali nel Retail ha raggiunto 93 miliardi di euro a livello globale, vale a dire l’1,23% delle vendite totali che assommano a 750,68 miliardi di euro. Sulla base delle risposte ottenute dagli intervistati comuni, che hanno partecipato ad entrambi i sondaggi del 2013-2014 e 2014–2015, le differenze inventariali globali sono cresciute da 0,94% nel 2013–2014 a 1,42% nel 2014–2015.

Tra le ragioni principali dell’aumento delle differenze inventariali, tra cui la difficile condizione economica, l’elevato tasso di disoccupazione e la scarsa fiducia da parte dei consumatori, insieme all’aumento dei furti interni e/o degli errori nei processi, oltre alle tattiche, in costante proliferazione, messe in atto per compiere i furti esterni.

Le cose vanno un poco meglio in Italia, dove le differenze inventariali nei punti vendita sono state pari all’1,01% del fatturato, pari a circa 2,95 miliardi di euro, in live diminuzione rispetto all’anno precedente. La spesa in investimenti dei retailer per la prevenzione delle perdite sono di poco superiori – l’1,07% del fatturato – e si concentrano sugli strumenti tecnologici, ed una formazione efficace dei dipendenti allo scopo di mantenerli motivati per ridurre i furti.

Schermata 2015-11-05 alle 23.24.45Tra perdite per differenze inventariali e investimenti per combatterli il costo complessivo per il retail italiano è stato, secondo il Barometro, di 5,37 miliardi di euro, cioè 208 euro a famiglia.

IL BAROMETRO MONDIALE DEI FURTI NEL RETAIL 2014-2015

Tra le cause, al primo posto vi è il taccheggio (45%, in diminuzione rispetto all’anno scorso), seguito dai furti dei dipendenti (23%). Particolarmente significativa la quota del 19% delle perdite dovute a errori amministrativi (a livello globale sono il 16%, ma nel Regno Unito sono la causa principale): in assoluto significano quasi 600 milioni di euro che potrebbero essere agevolmente recuperati con lo scambio elettronico dei dati. A seguire le frodi dei fornitori con il 13%.

Soluzioni di prevenzione delle perdite – ItaliaSebbene gli investimenti maggiori si concentrino sui sistemi di sorveglianza elettronica degli articoli e sul personale di sicurezza, si sta investendo sempre più in business intelligence per ottenere maggiori informazioni sui prodotti oggetto di furti e sono in crescita, in particolare nella gdo alimentare gli investimenti per la protezione alla fonte che non si sovrappongono con le diciture di legge in etichetta, segnatamente gli ingredienti e la data di scadenza.

È quanto sta facendo MD, insegna di Lillo Group, che riprendendo un progetto avviato nel 2012, quest’anno ha protetto alla fonte 208 referenze, con l’obiettivo di arrivare a 240-250 nei prossimi mesi, pari al 10% delle referenze totali. Per l’insegna il 40% delle differenze inventariali si riferisce a 500 articoli. Per questo l’intervento di protezione alla fonte studiato con Checkpoint Systems non mira a proteggere il singolo articolo, ma l’assortimento nel suo insieme. L’intervento di protezione alla fonte effettuato dal produttore non comprime i margini del prodotto perché è il retailer stesso che si fa carico di sopportarne il costo (che è allocato al budget della sicurezza e non a quello dei buyer). Il risultato fino a oggi è confortante: le differenze inventariali sono state ridotte del 47%.

 

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