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La filiera agroalimentare italiana cresce e sfiora i 600 miliardi di euro

Continua a crescere il peso della filiera agroalimentare estesa (che comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione) nell’economia italiana: vale ormai 586,9 miliardi di euro, l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, e genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano. Secondo i dati illustrati da The European House- Ambrosetti durante la presentazione dell’8° edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il food & beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che si terrà Bormio il prossimo 7 e 8 giugno, la filiera agroalimentare estesa nel 2022 ha attirato oltre 25 miliardi di euro di investimenti grazie al lavoro di 3,7 milioni di addetti.

“In un contesto di crisi permanente che ci accompagna dal 2020 tra emergenza sanitaria e tensioni internazionali, è la qualità della produzione agroalimentare Made in Italy il fattore che ha permesso al settore di continuare a crescere: siamo il primo Paese in Unione Europea per prodotti certificati (890 in totale), 326 dal mondo alimentare (valgono 8,9 miliardi di euro) e 564 dal settore vinicolo per oltre 11 miliardi di euro” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti.

Export in crescita
A fine 2023 le esportazioni agroalimentari italiane (agricoltura + prodotto trasformato) hanno raggiunto il valore record di 62,2 miliardi di euro, in media una crescita del 6,4% all’anno dal 2010 ad oggi e un incremento del 69% rispetto al 2015. Il settore del food and beverage contribuisce per 53,4 mld di euro, mentre il comparto agricolo vale 8,8 miliardi di export. “Nel 2010 l’agroalimentare incideva per l’8,2% sul totale delle esportazioni italiane, mentre nel 2023 ha sfiorato il 10% (9,9) in crescita di 1.7 punti percentuali negli ultimi 13 anni” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House-Ambrosetti. Numeri che posizionano oggi l’agroalimentare come primo settore manifatturiero in Italia per valore aggiunto generato con oltre 66 miliardi, più della produzione di macchinari e apparecchiature (43) e prodotti in metallo (37). Rispetto al PIL i 37 miliardi generati dall’agricoltura e i 29 da alimentare e bevande rappresentano il 3,8%, più di Germania (2,6%) e Regno Unito (2,1%), ma meno di Francia (4,5%) e Spagna, il paese con l’incidenza più alta: 5,2%.

Italia prima al mondo per quota castagne
Nonostante un lieve calo delle esportazioni dello 0,8%, il vino si conferma nell’ultimo anno il primo prodotto agroalimentare più venduto all’estero (7,8 mld euro) con una quota del 12,5% sul totale export agrifood. Alle spalle ci sono altri prodotti in buona crescita: i lavorati a base di farine, tra cui la pasta, che valgono 6,9 miliardi di fatturato all’estero, hanno registrato un +7,9% e hanno sorpassato i prodotti lattiero-caseari che si fermano a 6 miliardi (in crescita del 7,1%) oltre che frutta e vegetali trasformati (5,7 miliardi e crescita a doppia cifra nell’ultimo anno:+11,1%). L’export italiano è da primato mondiale per diverse categorie di prodotto: siamo primi per quota di mercato di pasta (45%), amari e distillati (42%), passata di pomodoro (27%), castagne (23%) e verdure lavorate dove l’Italia guida il mercato con il 20% di quota. La Penisola è anche al secondo posto nel mercato globale del vino (20%) dopo la Francia, della farina di riso (20%), delle nocciole (15%), delle mele (13%) e dei kiwi (12%). “L’Italia, oltre a essere tra i maggiori esportatori di prodotti agroalimentari è il primo Paese per valore unitario del prodotto che esporta tra i competitor europei: se nel 2023 il valore medio di un prodotto italiano è di 244 euro per 100kg, i prodotti spagnoli si fermano a 210 euro, quelli tedeschi a 168 euro per quintale e i francesi a 135 euro” ha sottolineato Benedetta Brioschi.

Volano formaggi e carni
Come emerge dai dati TEHA, quella del vino si conferma la filiera di produzione certificata italiana a maggior valore grazie a 11,3 miliardi di euro fatturati nel 2022 (+4,6%) e precede quella dei formaggi (5,2 miliardi) che cresce a doppia cifra: +11,6%. Molto importante anche l’incremento del fatturato di prodotti a base di carne (+7,5% a 2,3 miliardi di euro) così come quello di paste alimentari (+9,2% per 268 milioni in totale), carni fresche (5,0%, 103 milioni) e panetteria e pasticceria (+5,1%, 105 milioni). In negativo, invece, il settore dell’olio d’oliva con un fatturato in diminuzione del 4,0% a 85 milioni di euro e dell’aceto balsamico, in calo del 5,0%, ma a quota 387 milioni di euro.

Lombardia, la regione dei primati
Nel 2022, la filiera agroalimentare lombarda ha raggiunto un fatturato di 48 miliardi di euro, grazie a un aumento del 34% rispetto al 2015, confermandosi la prima regione in Italia per fatturato. Secondo i dati elaborati da The European House-Ambrosetti la regione si distingue anche nel settore delle produzioni certificate, con un fatturato di 2,5 miliardi di euro nel 2022, aumentato del 15% rispetto al 2021. Eccellenza anche nell’export: nel 2023 ha raggiunto vendite all’estero per 10,4 miliardi di euro, registrando un incremento dell’84% rispetto al 2015 e dimostrando la sua capacità di competere su scala globale. L’agroalimentare occupa 126.000 lavoratori in Lombardia e supporta la generazione di un valore aggiunto della filiera sia a monte, con 27,5 miliardi di euro, sia a valle, con 21,5 miliardi di euro, confermando la sua posizione di regione leader nel settore. La regione è anche un punto di riferimento per la qualità delle sue produzioni, essendo la terza in Italia per numero di produzioni certificate, con 75 prodotti DOP e IGP con Mantova, Brescia, Cremona, Sondrio e Lodi classificate tra le prime 20 in Italia per il valore della produzione certificata.

Agroalimentare italiano al top: cresce export per pasta, frutta, salse e formaggi

La qualità e il gusto hanno permesso ai prodotti alimentari italiani di diventare un simbolo del Made in Italy, ampiamente apprezzato e diffuso sulle tavole di tutto il mondo. Non è infatti un caso che le vendite estere di agroalimentare rappresentino oltre il 10% dell’export italiano totale. Ancora più significativa è la performance registrata negli ultimi cinque anni, quando sono cresciute a un tasso annuo composto (CAGR) dell’8,9%, superando il ritmo dell’export italiano nel suo complesso (+6,1%).

Lo scorso anno le esportazioni di agroalimentare hanno registrato ancora una volta un valore record pari a €64,4 miliardi, con un aumento del 6% circa. La spinta è arrivata soprattutto da alimentari e bevande (+6,8%), che compongono circa il 60% delle vendite del settore, ma non è mancato il supporto dei prodotti agricoli (+4,7%). Anche il 2024 è iniziato con un segnale positivo, grazie a un incremento del 12,9% registrato a gennaio rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le prospettive per l’anno completo sono di un’espansione che si attesterà su livelli relativamente e fisiologicamente inferiori se confrontati con quegli degli scorsi anni ma comunque sostenuti.

Le bevande – composte in prevalenza da vino – sono il principale comparto di export con una quota del 19%, malgrado nel 2023 abbiano registrato una crescita sotto la media (+2,5%). A trainare, invece, la performance delle esportazioni di agroalimentare sono stati altri prodotti tipici del Made in Italy tra cui: pasta e (soprattutto) prodotti da forno (+8,6%), latte e formaggi (+10,3%), preparazioni di ortaggi e frutta (+12,5%) e altre preparazioni alimentari (+13%), in cui rientrano salse e conserve (+21,8%). Sono rimaste stabili le vendite di grassi e oli, nonostante il marcato aumento dell’olio di oliva (+14,7%), mentre hanno riportato un rialzo contenuto quelle di frutta (+4,9%) e carni (+2,8%).

Le destinazioni dell’agroalimentare italiano
In termini di geografie di sbocco, le vendite italiane di agroalimentare sono dirette principalmente verso i mercati europei e quello statunitense. Questo aspetto riflette da un lato il brand Made in Italy ormai consolidato in queste geografie, dall’altro l’elevato potere d’acquisto dei consumatori, oltre che – nel caso delle destinazioni europee – fattori di prossimità che favoriscono anche le esportazioni di quei prodotti caratterizzati da difficoltà di conservazione per periodi prolungati quali, ad esempio, i latticini. La Germania si conferma ancora una volta la prima destinazione per il settore, avendo accolto lo scorso anno oltre €10 miliardi di agroalimentare italiano (pari al 16% del totale) e avendo segnato una crescita significativa – seppur leggermente sotto la media – negli ultimi cinque anni (+7,3%). In termini di comparti, il Paese è un grande consumatore di bevande, pasta e prodotti da forno, frutta e ortaggi. In particolare, circa un terzo di tutto l’export italiano di questi ultimi due è destinato al mercato tedesco.

Segue la Francia con un peso dell’11% sul totale del settore e una crescita in linea con quella complessiva dell’ultimo quinquennio (+8,7%). Tra i prodotti maggiormente richiesti da Parigi si segnalano pasta e prodotti da forno, latte e latticini, nonché le bevande. Quasi un quinto di tutti i prodotti delle industrie lattiero-casearie esportati dall’Italia è diretto al mercato francese. Gli Stati Uniti, con €6,7 miliardi di prodotti agroalimentari italiani importati, sono la terza geografia di sbocco per il settore; il comparto di gran lunga più rilevante è quello delle bevande (€2,7 miliardi nel 2023), sebbene risultino significative anche le vendite di pasta e prodotti da forno e oli e grassi. In ottica prospettica, grandi mercati in cui l’export italiano nell’ultimo quinquennio ha registrato buone performance, continuano a mostrare incrementi marcati in termini di spesa delle famiglie per beni alimentari.

È il caso, ad esempio, di Stati Uniti, Cina e Germania, i maggiori importatori al mondo di prodotti agroalimentari (grazie anche, soprattutto per i primi due Paesi, a popolazioni numerose), in cui la spesa per questo tipo di beni è attesa crescere rispettivamente del 4,2%, 6,9% e 4,1% all’anno in media. Vi sono poi mercati ancora relativamente poco presidiati dall’export italiano ma che hanno mostrato grande dinamicità negli ultimi anni e che risultano interessanti in ottica prospettica grazie a una spesa per prodotti agroalimentari attesa in forte incremento. Si tratta ad esempio di Vietnam (+10,2% all’anno in media tra 2024 e 2028), India (+9,3%) e Corea del Sud (+8,4%) in Asia, ma anche del Messico (+8,4%) in America Latina e della Polonia (+8,7%) in Europa.

Le eccellenze regionali
Le peculiarità di ciascuna regione consentono all’Italia di vantare una varietà unica nella produzione di prodotti agroalimentari che si riflette in un’alta qualità, apprezzata e riconosciuta anche oltre confine. Nel 2023 l’Emilia-Romagna si è confermata la principale regione esportatrice di prodotti agroalimentari, con un peso del 18,2% sul totale delle vendite italiane oltreconfine, grazie alla forte vocazione all’export di alimentari e bevande, in particolare dei prodotti delle industrie lattiero-casearie e della carne lavorata e conservata. Seguono Lombardia (16,2%), Veneto (14,9%) e Piemonte (13,8%), grazie a una dinamica positiva delle bevande. Inoltre, contrariamente a quanto avviene per le altre regioni, è interessante sottolineare come le vendite dei prodotti agricoli assumano una particolare rilevanza per la Puglia, la Liguria e la Sicilia, dove raggiungono oltre il 40% sul totale.

Regge l’export del Gorgonzola: nel 2023 crescita in valore del 15,5%

In merito all’export caseario del 2023, il Gorgonzola Dop ha tenuto bene a volume ed è cresciuto a valore. Nel dettaglio le esportazioni sono cresciute dell’1,1% per un totale di 24.982 tonnellate, pari a 2.081.834 di forme esportate, con un incremento a valore di circa 202 milioni di euro in crescita del 15,5% rispetto all’anno precedente (fonte Clal).

Il Gorgonzola DOP rimane così uno dei formaggi italiani più conosciuti all’estero con una diffusione in 91 Paesi in tutto il mondo e una percentuale di prodotto esportato sulla produzione totale 2023 (5 milioni 179mila forme) che, come l’anno precedente, si attesta intorno al 40%.

Con 1.785.167 forme, l’Unione Europea assorbe gran parte dell’export. Sostanzialmente stabile la quota diretta ai primi due Paesi importatori in assoluto, Francia (485.803 forme) e Germania (442.800), seguiti dalla Spagna (155.164) dove si registra una crescita dell’8%. Ottime le performance di Macedonia (+89%), Bosnia-Erzegovina (+51%), Norvegia (+40%), Ucraina (+28%) e Polonia (+15%).

Cresce del 2,9% l’export di Gorgonzola Dop verso il resto del mondo raggiungendo quota 296.583 forme. Lo scorso anno sono andate in Svizzera 85.465 forme. Il Regno Unito, che torna a crescere (+8%) per la prima volta dopo Brexit, è stato destinatario di 44.347 forme. Fuori dai confini fisici del continente europeo il Giappone si conferma per il terzo anno consecutivo primo Paese importatore extra UE (44.482 forme) con una crescita del 15%, seguito dagli USA (32.738, +1,56%). Ottime le performance di Indonesia (+147%), Costa Rica (+48%), Hong Kong (+40%).

Cala l’export del vino italiano: in difficoltà soprattutto Dop, Igp e rossi

L’export di vino italiano ha chiuso il 2023 con una flessione tendenziale dell’1% nei volumi (21,4 milioni di ettolitri) e dello 0,8% nei valori, a poco meno di 7,8 miliardi di euro. Come evidenziato dalle elaborazioni dell’Osservatorio Uiv-Ismea su base Istat, si tratta del terzo bilancio annuale in negativo registrato nel nuovo millennio, dopo la crisi economico-finanziaria del 2009 e l’effetto Covid del 2020. Però, al contrario dei due precedenti, il dato di quest’anno rimarca difficoltà determinate non solo da variabili congiunturali ma anche da fattori di ordine strutturale che sembrano accomunare tutti i principali Paesi produttori. L’Italia conferma comunque la sua leadership nei volumi esportati con la Spagna che scende a poco più di 20 milioni di ettolitri (-4,1%).

Rispetto alla leggera contrazione complessiva, si intensificano le difficoltà di quelle tipologie e aree produttive bandiera del made in Italy enologico. È il caso dei vini fermi a denominazione in bottiglia, con i volumi a -6,2% per le Dop e a -4,3% per le Igp; contrazioni più marcate rispetto alla performance complessiva italiana, ma meno evidenti se rapportate a quelle della Francia, che chiude rispettivamente a -11% e -8%. In particolare, in linea con le tendenze mondiali, soffrono soprattutto i rossi del Belpaese, che scendono dell’8% per le Dop e del 6% nel caso delle Igp, un’impasse evidenziata anche dal calo delle esportazioni di vini comuni in bottiglia (-9%). Evidenze che si riflettono anche a livello regionale: -12,5% (volume) per i rossi Dop veneti, -10,5% per i toscani, -5,5% per i piemontesi. Sul versante bianchi – che vedono i Dop a -4,7% e gli Igp a -1,3% – gli Stati Uniti chiudono a -5%, controbilanciati dal +3% del Regno Unito (dove però fanno malissimo i veneti Dop, a -10%) e dal +2% dei Paesi Bassi. Stazionaria la Germania.

Per contro, il 2023 si è distinto per un forte incremento di vini sfusi (+12%), destinati soprattutto alla Germania, la cui incidenza sulla tipologia pesa per quasi 2/3 delle esportazioni. Il quadro si fa più sfumato per gli spumanti, che dopo anni di crescita inarrestabile (+223% dal 2010 a oggi) cedono in volume il 2,3% (-1,7% per il Prosecco), con una crescita nei valori del 3,3% (Prosecco a +5,4%) in un contesto inflazionistico che ha favorito l’ascesa dei prezzi. Per lo spumante italiano il 2023 ha visto la caduta in volume nei primi due mercati mondiali (Usa a -12%, Uk a -4,4%), ma anche una buona crescita nell’Est Europa e un andamento ancora più sostenuto in Francia, con un più 25%. Un exploit al quale, secondo l’Osservatorio Uiv-Ismea, ha contribuito l’effetto sostituzione dello Champagne con il Prosecco (+21%) anche dettato dal minor potere di acquisto dei consumatori transalpini.

La geografia dell’export vede una divaricazione netta tra i risultati ottenuti nell’Ue (+5,6% volume e +4,1% valore) ed extra-Ue (-7,5% volume e -4% valore). In difficoltà i top 5 buyer fatta eccezione per la Germania che, forte del boom dello sfuso, chiude a +8,4% (volume). Negativo il bilancio delle esportazioni in Usa, con un tendenziale -9,1%, oltre che in Uk (-1,8%), Svizzera (-3,6%) e Canada (-11,3%). Bene l’export in Francia (+6,7%), a fronte di una forte contrazione nei mercati giapponese (-13,4%) e cinese (-22,3%).

Cresce l’export del Prosciutto San Daniele DOP e arriva al 19%

Ben 2.590.000 cosce prodotte, 21,3 milioni di confezioni certificate pari a 407.000 prosciutti per oltre 2 milioni di chilogrammi: sono questi i numeri con cui il Prosciutto di San Daniele DOP archivia il 2023 e si conferma come uno dei prodotti enogastronomici italiani più di successo.

Parte del merito spetta alla quota di export in crescita, che si attesta al 19% rispetto alle vendite totali dell’anno con circa 3 milioni di chilogrammi destinati ai mercati esteri. Il 55% delle quote totali di export è stato destinato all’Unione Europea, il restante 45% è stato esportato invece in Paesi terzi. Le quote più rilevanti, in ordine di volumi, sono detenute da Francia, Stati Uniti, Australia, Germania e Belgio a cui si sommano Svizzera, Austria, Regno Unito, Lussemburgo e Canada. Tra le performance migliori quella negli Stati Uniti (+11%), Australia (+7%), Regno Unito (+30%) e Repubblica Ceca (+18%).

La produzione continua a essere portata avanti nei 31 stabilimenti collocati all’interno della città di San Daniele del Friuli, con carni provenienti dai 3.510 allevamenti certificati situati in dieci regioni del Centro-nord Italia e conferite dai 44 macelli della filiera DOP.

Il fatturato totale, derivante dalle attività di produzione e distribuzione, si mantiene a 360 milioni di euro, in linea con gli anni precedenti, dopo il +14% rilevato nel 2022.

2023 nero per l’export di vino italiano: -4,4% a volume e -7,3% a valore

Un 2023 col freno a mano tirato per l’export di vino italiano nelle cinque principali piazze mondiali: è così che si può sintetizzare la lettura dell’Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) dei dati finali relativi alle importazioni da Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e Giappone, che insieme valgono il 56% dell’export complessivo del Belpaese. Per il vino made in Italy quindi il 2023 si è chiuso con un calo tendenziale del 4,4% nei volumi e del 7,3% nei valori, a 4,45 miliardi di euro. L’analisi, realizzata da Uiv su base doganale, vede decrementi nei volumi in tutti i Paesi della domanda a eccezione della Germania, che chiude l’anno a +7% per effetto del boom di ordini di vino sfuso (+16%).

Particolarmente negativo, anche a causa di un eccesso di scorte detenute dai distributori che hanno condizionato gli ordini di tutto il 2023, il mercato negli Stati Uniti, che totalizzano un -13% a volume, ma anche in Canada e Giappone, entrambe a -11% e in Uk (-9%). In contrazione, nonostante il surplus di costi produttivi per le imprese, il prezzo medio (-3%), per effetto della crescita import di sfusi (+9%, dove però i listini crollano a -11%) e grandi formati (+6%) e al contestuale minore impatto di prodotti imbottigliati (-7%) e spumanti, giù dell’11% nei volumi ma unica tipologia a crescere nel prezzo medio (+5%).

“È innegabile che il 2023 abbia sofferto di fenomeni congiunturali, soprattutto il destocking di prodotto accumulato in eccesso in Nordamerica, ma è altrettanto vero che il nostro Paese ha l’esigenza primaria e non più rinviabile di allargare la propria base clienti: questi cinque Paesi rappresentano quasi il 60% del valore delle esportazioni italiane, contro il 50% della Francia e il 40% della Spagna” ha detto Lamberto Frescobaldi, Presidente UIV, che aggiunge: “Il 2024 si annuncia molto complesso e sfidante: con una produzione italiana ai minimi storici, le nostre imprese avranno l’esigenza vitale di alzare il valore unitario dei propri prodotti, in un contesto macroeconomico che non è dei più favorevoli. Si è visto già l’anno passato, con le difficoltà patite nei circuiti retail dei principali Paesi, dove ad aumenti di prezzo anche limitati sono corrisposti in maniera quasi automatica cali degli acquisti a volume”.

Secondo l’Osservatorio Uiv, l’anno si è però rivelato negativo per tutti i Paesi produttori, complice l’obiettivo destocking degli importatori unitamente alla crisi inflattiva e al conseguente minor potere di acquisto. L’import globale di vino dei 5 top buyer ha chiuso infatti a 16,9 miliardi di euro, il 7,5% in meno sull’anno precedente, con i volumi a -6,7%. Il principale Paese esportatore, la Francia, si è attestata su un trend volumico ancora peggiore rispetto all’Italia (-10%), ma meno deficitario in termini valoriali (-5%).

La crisi nel Mar Rosso mette a rischio l’export del pomodoro italiano

La crisi geo-politica nell’area del Mar Rosso sta agitando diversi mercati tra cui quello dell’agroalimentare e il comparto delle conserve rosse che da sempre risulta essere fortemente orientato all’export, con circa il 60% delle produzioni destinato a oltrepassare i confini nazionali. Molti tra i principali mercati di riferimento sono proprio in Asia e Oceania: si tratta di circa 380 milioni di euro di esportazioni (il 13,5% del totale dell’export). Per questo le tensioni nel canale di Suez rischiano di incidere molto seriamente sui flussi commerciali, in particolare a causa dell’aumento del costo dei noli.

“Quanto sta accadendo nel canale di Suez rischia di avere un forte impatto sull’export dei nostri prodotti. I mercati di Asia e Oceania, penso in particolare a Giappone e Australia ma anche a molti altri Paesi, rappresentano uno sbocco commerciale fondamentale. L’aumento del costo dei noli, generato dal contesto, va monitorato con grande attenzione perché potrebbe incidere sulla competitività delle nostre aziende all’estero. Tra l’altro, a causa di questa situazione e della ridotta disponibilità di navi e containers, stiamo subendo disagi anche su altre rotte con un conseguente aumento dei costi dei noli. A questo si aggiunga anche l’impatto sugli approvvigionamenti di materia prima e semilavorati – principalmente packaging metallico – che arrivano sostanzialmente dal Far East” commenta Giovanni de Angelis, Direttore Generale di ANICAV.

I numeri del comparto
Quella del pomodoro da industria rappresenta la più importante filiera italiana dell’ortofrutta trasformata e, con un fatturato complessivo (2023) di 5 miliardi di euro (3,5 miliardi generati dalle aziende associate ad ANICAV), riveste un ruolo strategico e di traino dell’economia nazionale impiegando circa 10.000 lavoratori fissi e oltre 25.000 lavoratori stagionali, cui si aggiunge la manodopera impegnata nell’indotto. L’Italia, terzo trasformatore mondiale di pomodoro dopo gli USA e la Cina, resta primo trasformatore di derivati destinati direttamente al consumo finale, rappresenta il 12,2% della produzione mondiale (pari a 44,2 milioni di tonnellate) e il 52% del trasformato europeo.

Annata fruttuosa per il Gorgonzola Dop, prodotte oltre 5 milioni di forme

Per il Gorgonzola Dop il 2023 si è chiuso con 5.178.975 forme prodotte con un aumento del 2,59% rispetto all’anno precedente. Le trentanove aziende associate al Consorzio, dislocate nelle quindici province di produzione a cavallo tra Piemonte e Lombardia, hanno prodotto 130.664 forme in più rispetto al 2022, ma è il Piemonte a trainare la crescita con 3.757.088 forme totali nel 2023 (+3,58%).

Relativamente alle tipologie, la produzione di Gorgonzola Dop di tipo piccante lo scorso anno si è fermata a 614.039 forme pari all’11,86% del totale, in calo del 2,47% rispetto al 2022. Diminuisce anche il prodotto fresco destinato alla vendita al cucchiaio (-25,21%), mentre decisamente positivo è il dato relativo al Gorgonzola proveniente da agricoltura biologica che cresce del 19%, pari a 8.032 forme in più prodotte nel 2023.

“Dopo la battuta d’arresto del 2022, la produzione di Gorgonzola Dop è tornata a un deciso segno positivo con oltre 130mila forme in più prodotte lo scorso anno” commenta Antonio Auricchio, Presidente del Consorzio Gorgonzola Dop. “Abbiamo recuperato più della metà di quanto avevamo perso nel 2022 e lo abbiamo fatto in un momento di difficoltà con un’agricoltura in sofferenza a causa dei cambiamenti climatici e una situazione internazionale segnata da disastrosi conflitti bellici in tutto il mondo con ripercussioni anche sulle tradizionali vie commerciali.

Anche le esportazioni sono andate molto bene e al momento sono sostanzialmente stabili. Attendo di vedere i dati dell’ultimo trimestre per pronunciarmi, ma posso dire che a livello globale devono ancora crearsi le condizioni favorevoli ai nostri prodotti. Penso, ad esempio, al fatto che i dazi sulle importazioni in USA sono stati finora congelati e mai cancellati. Inutile dire che un cambio di rotta, in vista delle elezioni americane di quest’anno, per noi sarebbe disastroso”.

Festività: immancabili le bollicine italiane ma le Doc frenano a favore delle economiche

Le stime conclusive del 2023 confermano una sostanziale tenuta dei consumi di bollicine made in Italy, a quota 936 milioni di bottiglie. In linea coi volumi dello scorso anno – ma a +24% rispetto al 2019 – si annunciano anche gli acquisti per le prossime feste, durante le quali salteranno circa 333 milioni di tappi tricolori, con oltre 95 milioni di bottiglie consumate solo nel Belpaese. Alle celebrazioni di Natale e Capodanno si aggiungeranno poi gli sparkling esteri, con circa 6 milioni di bottiglie.

Secondo l’analisi di fine anno sui consumi a cura dell’Osservatorio Uiv-ISMEA, durante le feste i consumatori di tutto il mondo non saranno quindi disposti a rinunciare alle bollicine tricolori. A cambiare, piuttosto, sarà la scelta di un prodotto in alcuni casi più accessibile per le tasche di consumatori italiani ed esteri alle prese con un carovita che non allenta la morsa. Da qui, secondo elaborazioni su dati Nielsen, ISMEA e Uiv registrano l’incremento degli acquisti di spumanti più economici come metodo charmat anche varietali e di annata (+7,5% a 206 milioni di bottiglie la stima a tutto il 2023) rispetto a denominazioni “bandiera” italiane come Prosecco (Doc, Conegliano Valdobbiadene, Colli Asolani) e Asti Spumante o ai metodo classico (Trento Doc, Franciacorta, Oltrepò Pavese, Alta Langa, Lessini Durello) che chiudono la stagione con una contrazione del 3% (727 milioni di pezzi). Con un paniere dell’offerta aggiustato quindi grazie all’incremento delle produzioni di spumante non Dop, il computo totale previsto da ISMEA e Unione Italiana Vini (Uiv) a fine 2023 è pari a 936 milioni di bottiglie di spumante italiano, in 7 casi su 10 commercializzate all’estero.

Sotto l’albero le bollicine si presentano quest’anno con un prezzo medio più alto, con i listini cresciuti di oltre il 5% a causa di inflazione e surplus di costi produttivi. In totale produttori e imprese spumantistiche italiane incasseranno durante le festività circa 1 miliardo di euro. Negli ultimi 10 anni le vendite di spumante italiano nel mondo sono praticamente triplicate, con crescite in valore del 351% negli Usa (top buyer), ma anche in altre destinazioni di sbocco come Regno Unito (+350%), Germania, (+42%), Francia (+416%) o nell’emergente Est Europa, con la Polonia a +983%.

Le esportazioni
Le esportazioni nei primi 9 mesi di quest’anno segnano un calo tendenziale del 3,1% per gli spumanti che in valore, per gli effetti inflattivi, virano invece in positivo (+2,5%). A livello complessivo, l’export al terzo trimestre 2023 si ferma a -0,2% nei volumi, mentre il saldo sui valori indica una decrescita, in peggioramento, dell’1,9% (5,65 miliardi di euro). In difficoltà le Dop (volumi a -3,8%), mentre salgono le vendite degli sfusi (+18,9% volume) che, in seguito al calo dei prezzi alla produzione, hanno abbassato il valore medio di circa il 14%. Tra i top mercati, proseguono le difficoltà negli Stati Uniti (volumi a -12,8%, valori a -9,5%), mentre la Germania chiude il periodo a +12,4% nei volumi grazie a maxi-ordini di vino sfuso. Stazionario il Regno Unito e in leggera contrazione la Svizzera. Nel complesso, si allarga la forbice tra domanda Ue (volumi a +9,3%) ed extra-Ue (-9,2%).

Commercio globale, l’Italia dovrebbe accelerare le esportazioni

Nel prossimo biennio le esportazioni italiane dovrebbero accelerare e le aziende guardare ai Big Data come modo per mitigare i rischi associati al commercio internazionale: queste le principali evidenze che emergono da una recente ricerca commissionata da QBE, che ha analizzato lo stato dell’arte del commercio internazionale per comprenderne fattori chiave, rischi, sfide e per fornire suggerimenti concreti alle aziende.

Nel 2022 in Italia il valore dello scambio di beni materiali è stato circa cinque volte superiore a quello dei servizi. In totale le importazioni italiane di beni e servizi hanno raggiunto i 740 miliardi di euro, mentre le esportazioni ammontano a 710 miliardi di euro. Se esaminiamo i beni, il nostro paese ha esportato 592 miliardi di euro nel corso dello scorso anno, pari a circa il 31% del PIL, mentre le importazioni sono state leggermente superiori, raggiungendo i 613 miliardi di euro.

Ma quali sono le sfide che devono affrontare le imprese italiane? Nel biennio 2020-2021, le aziende che hanno avuto problemi nelle esportazioni sono raddoppiate rispetto al periodo 2017-2019. Questa situazione non è solamente riconducibile agli effetti della pandemia, ma il Covid-19 ha evidenziato anche i notevoli problemi della catena di fornitura che hanno colpito le aziende a livello globale. In particolare emerge che ben il 38% delle imprese manifatturiere ha segnalato problemi in questo ambito nei primi due semestri del 2023, un dato superiore del 68% rispetto alla media 2017-2019. Sempre nel corso del 2023, le aree di maggior criticità segnalate dalle aziende sono state quelle relative all’aumento dei costi e dei prezzi (18%) e quelle legate ai tempi di consegna (8%). La seconda grande sfida riguarda l’affidabilità che esportatori e importatori di beni italiani ripongono nei loro partner commerciali e il contesto geopolitico nei rispettivi Paesi. L’Italia esporta e importa solo una percentuale relativamente piccola (1,2% e 3,3%) dei suoi beni in Paesi che presentano alti livelli di fragilità istituzionale e sociale o che sono coinvolti in conflitti violenti (secondo la catalogazione della Banca Mondiale). Attualmente, la Libia è il Paese verso cui l’Italia è più esposta, con lo 0,3% delle esportazioni e l’1,5% delle importazioni nel 2022, valori comunque modesti.

Si prevede che il bilancio 2023 delle importazioni italiane di beni registrerà una leggera contrazione, attorno all’1,8%. Tuttavia, a partire dal 2024, ci si aspetta un ritorno alla crescita, con aumenti del 3,9% nel 2024 e del 3,5% nel 2025, un forte segnale per un’ottimistica ripresa delle importazioni. Parallelamente, è atteso che le esportazioni italiane crescano a un ritmo più sostenuto rispetto alle importazioni, contribuendo a riequilibrare i flussi commerciali. Le previsioni indicano un incremento delle esportazioni complessivo dello 0,6% nel 2023, seguito da ulteriori aumenti del 3,3% nel 2024 e del 4% nel 2025. Tuttavia, è importante sottolineare che tali proiezioni potrebbero essere influenzate da eventi inattesi. Pertanto, QBE ha esaminato come le esportazioni e le importazioni di beni in Italia potrebbero reagire in seguito a scenari macroeconomici negativi.

La crescente possibilità del manifestarsi di scenari negativi imprevisti deve spingere le imprese italiane a mettere in atto misure di mitigazione in grado di rispondere adeguatamente e gestire l’impatto di eventi avversi. Investire in strumenti di analisi basati sui Big Data rappresenta un fondamentale passo che permette alle imprese di stabilire una connessione più solida con i loro stakeholder, compresi i fornitori, agevolando una risposta tempestiva a eventi inattesi. I Big Data risultano cruciali per aiutare le imprese a identificare i punti deboli nella loro catena di approvvigionamento, evidenziando ad esempio un’eccessiva dipendenza da una particolare via di trasporto o da un fornitore specifico e permettendo di diversificare e attuare coperture efficaci per contrastare queste debolezze. Un secondo aspetto fondamentale per le imprese è dato da un’attenta due diligence sui loro partner commerciali internazionali. Componenti come affidabilità nel settore, rapporti con il governo locale e reputazione nella gestione dei rischi legati alla produzione rappresentano le aree di primaria importanza che andrebbero analizzate dalle aziende, senza dimenticare le componenti di rischio specifico dei paesi, tra cui quelle economiche, politiche e strutturali.

Nel caso in cui le imprese siano orientate all’esportazione verso nuovi mercati, dovrebbero valutare la possibilità di intraprendere alleanze strategiche o joint ventures, non solo in ottica di condivisione del rischio finanziario, ma per ridurre le complessità legate al raggiungimento di nuovi mercati. Infine, l’acquisto di coperture assicurative può contribuire a mitigare le perdite finanziarie connesse a problemi come danni, furti e perdite di carico. I programmi multinazionali offrono pacchetti che semplificano il processo, evitando la necessità di stipulare polizze assicurative separate per ciascuno dei paesi in cui le imprese operano. Il commercio internazionale offre notevoli opportunità per le imprese italiane, che rimangono ben posizionate per realizzare economie di scala e raggiungere mercati più vasti. Tuttavia, per sfruttare appieno questi vantaggi, è essenziale che le imprese siano in grado di gestire l’incertezza. La scelta di partner affidabili continua ad essere il pivot sul quale costruire un business efficace e redditizio.

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