CLOSE
Home Tags Etichetta

Tag: etichetta

Nutri-score, la controversa etichetta a semaforo arriva anche in Belgio

Il logo Nutriscore.

L’etichetta a semaforo Nutri-score che dà i voti agli alimenti classificandoli in più o meno salutari, già adottata l’anno scorso in Francia (leggi Parte in Francia Nutri-score, l’etichetta a semaforo: un danno per il Made in Italy?), arriva anche in Belgio. Il ministro della salute federale Maggie De Bock come anticipato da The Brussles Times ha dato – è il caso dk dirlo – semforo verde , anche se l’adozione per ora rimane volontaria. Ma il ministro cladeggia. Da parte loro le sue maggiori insegne Delhaize e Colruyt, hanno già adottato il sistema, approvato anche dall’organizzazione dei consumatori Test-Achats. L’etichetta fornisce un’indicazione che va dalla A (verde scuro) alla E (rosso) che dovrebbe riflettere in che misura un prodotto alimentare contribuisce a una dieta sana.
Meno entusiasta l’industria alimentare, che avrebbe dichiarato che la maggior parte dei produttori non utilizzerà l’etichetta.

Il Nutri-Score si basa su un calcolo del contenuto di zucchero, sale, grassi saturi e calorie che per molti (compresa la nostra Coldiretti) è a dir poco semplicistico. Molto cavalli di battaglia della sanissima dieta mediterranea ad esempio si guadagnano punteggi scrasi tendenti al rosso, tra questi l’olio EVO, il parmigiano e il prosciutto. Da consumare cum grano salis, ma che sarebbe un delitto (per il gusto, quanto meno) eliminare dalla dieta.

I dubbi sull’industria alimentare processata sono comprensibili: sono già obbligati ad elencare gli ingredienti e le loro proporzioni, ma le informazioni sono in caratteri minuscoli e potrebbero essere inintelligibili per la maggior parte dei laici, specialmente quando ingredienti come gli zuccheri sono elencati sotto diversi nomi in modo che le quantità appaiano più piccole di quelle che sono.

“Il codice colore è troppo semplicistico”, ha detto il portavoce di Fevia, la federazione dell’industria alimentare, Nicholas Courant. “Non tiene conto delle esigenze individuali. Potete immaginare che un atleta di 25 anni abbia requisiti diversi rispetto a un pensionato. Ma questo sistema non tiene conto di ciò. E ha anche aggiunto. “Pensate al nostro cioccolato belga, un prodotto di cui siamo giustamente fieri. Vogliamo davvero attaccare un segnale di avvertimento rosso sulla confezione?”

Origine in etichetta, scatta l’obbligo anche per i pelati e derivati dell’oro rosso

Foto: Coldiretti.

Anche l’oro rosso è tracciato: scatta l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro. È infatti scaduto il termine di 120 giorni previsto per l’entrata in vigore, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.

I prodotti Made in Italy ottenuti con pomodori coltivati e trasformati in Italia saranno ora riconoscibili sugli scaffali dalla dicitura “Origine del pomodoro: Italia”.

Le confezioni di tutti i derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno infatti avere d’ora in poi obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:
a) Paese di coltivazione del pomodoro: nome del Paese nel quale il pomodoro viene coltivato;
b) Paese di trasformazione del pomodoro: nome del Paese in cui il pomodoro è stato trasformato.
Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.

Per consentire lo smaltimento delle scorte i prodotti che non soddisfano i requisiti previsti dal decreto, perchè immessi sul mercati o etichettati prima dell’entrata in vigore del provvedimento, possono essere commercializzati entro il termine di conservazione previsto in etichetta.

Si tratta di una attesa misura di trasparenza per produttori e consumatori dopo che dall’estero – rileva la Coldiretti – sono arrivati nel 2018 il 15% di derivati di pomodoro in più rispetto allo scorso anno (elaborazioni Coldiretti su dati Istat) relativi ai primi cinque mesi con 86 milioni di chili provenienti nell’ordine da Stati Uniti, Spagna e Cina.

 

Quai 5 milioni di tonnellate

La nuova normativa entra in vigore mentre si sta concludendo la campagna di raccolta del pomodoro in Italia che quest’anno dovrebbe assicurare un raccolto attorno a 4.750.000 tonnellate, con una buona qualità in termini di gradi Brix, ovvero di contenuto zuccherino, ma rese all’ettaro sotto le medie degli ultimi anni. Si tratta di una attività che impegna in moto in Italia una filiera di eccellenza del Made in Italy che coinvolge circa 7.000 imprese agricole, oltre 100 imprese di trasformazione e 10.000 addetti, che esporta 2 miliardi di euro di derivati del pomodoro in tutto il mondo.

L’Italia è il principale produttore dell’Unione Europea dove le previsioni riportano un calo produttivo complessivo del 14%, con riduzioni superiori al 20% in Spagna e Portogallo. A livello mondiale, il calo della produzione sarebbe meno sostenuto (-6,6%), nonostante la previsione di un meno 40% per la produzione cinese di pomodoro da industria, mitigata da un +14% della produzione californiana.

Sempre secondo Coldiretti oggi in Italia si consumano conserve di pomodoro per circa 30 chili a testa all’anno a casa, al ristorante o in pizzeria. I proodtti più gettonati sono, nell’ordine, le passate, le polpe o il pomodoro a pezzi, i pelati e i concentrati.

L’obbligo di orgine in etichetta per i prodotti a base di pomodoro segue quello per latte e prodotti lattiero-caseari, grano pasta e riso, di carni di manzo, maiale, di ovini e caprino e di pollame, prodotti ittici, olio, uova, miele e ortofrutta fresca.

Ai britannici piacciono le etichette: ora arriva quella “Plastic free”

Una nuova etichetta è apparsa su alcuni scaffali della Gdo britannica: questa volta non dichiara calorie e contenuti di grassi e zuccheri (come le controverse etichette a semaforo) ma l’assenza di plastica nel packaging.

Promotore dell’iniziativa è A Plastic Planet, un gruppo ambientalista britannico già protagonista della prima corsia senza plastica in un supermercato olandese, Ekoplaza.

E proprio qui era comparsa lo scorso febbraio per la prima volta il logo, che ora però è diventato un “marchio di fiducia” che indica con chiarezza al consumatore quando una confezione è priva di plastica non biodegradabile. Ekoplaza impiegherà l’etichetta in tutti i suoi 74 punti vendita olandesi entro la fine dell’anno.

Tra le prime insegne ad adottare la nuova label nel Regno Unito c’è Iceland (nella foto sopra): comparirà su uova, torta salata e hamburger vegetali private label già da questo mese: l’azienda ha dichiarato che sono con questi tre prodotti pensa di risparmiare l’uso di 600 tonnellate di plastica l’anno. L’insegna si è anche impegnata a eliminare completamente la plastica dai suoi prodotti a marchio entro il 2023.

Anche il produttore di tè britannico Teapigs ha adottato l’etichetta per  suoi prodotti.

Come ha dichiarato la cofondatrice Louise Cheadle: “Molti consumatori di tè sono sorpresi nello scoprire che molte bustine contengono plastica. Le nostre sono fatte di Natureflex, un materiale che sembra plastica ma è realizzato con cellulosa. Il marchio di fiducia (l’etichetta, ndr) consentirà ai consumatori che vogliono evitare la plastica di fare la giusta scelta”.

 

“Conosciamo tutti i danni causati dalla nostra dipendenza dalla plastica, dunque vogliamo fare la cosa giusta e comprare prodotti senza plastica – ha detto Sian Sutherland, cofondatore di A Plastic Planet -. Ma fare ciò è più difficile di quello che si possa pensare, e c’è realmente bisogno di un’etichetta chiara e incontrovertibile. In moda che gli acquirenti possano partecipare a risolvere il problema anziché peggiorarlo. Il nostro marchio di fiducia risolve la confusione di simboli ed etichette e dice una sola cosa: che quella confezione non contiene plastica.”

Secondo le Nazioni Unite sono otto milioni le tonnellate di plastica tra bottiglie, confezioni varie ed altri rifiuti a finire negli oceani ogni anno, mettendo a rischio ogni forma di vita marina.

Sono già varie le azioni intraprese dalle insegne della Gdo nel mondo per cercare di affrontare il problema.

Il mese scorso oltre 40 aziende, comprese le maggiori insegne di supermercati britanniche e Coca Cola, Nestlé e Procter & Gamble hanno firmato lo UK Plastics Pact, impegnandosi ad eliminare tutte le confezione di plastica non necessaria entro il 2025.

La distribuzione britannica è responsabile del 40% degli imballaggi in plastica.

Indicazione di origine per riso e pasta, Coldiretti presenta le prime confezioni

A due settimane dall’entrata in vigore del decreto sull’indicazione di origine per riso e pasta (prevista per il 16 e 17 febbraio) Coldiretti presenta le prime confezioni con l’etichetta che indica la provenienza della materia prima. E ricorda come un pacco di pasta imbustato in Italia su tre è fatto con grano straniero senza alcuna indicazione per i consumatori.

Scopo dell’etichetta è quello di incentivare un settore a rischio, con il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione, una drastica riduzione delle semine e il rischio di abbandono per un territorio di 2 milioni di ettari coltivati situati spesso in aree marginali. Ma l’etichetta darà ossigeno anche ai risicoltori italiano, considerando che dai Paesi asiatici proviene oggi la metà del riso importato. e che il prodotto straniero è spesso favorito dal regime praticato nei confronti dei Paesi Meno Avanzati (accordo EBA), che prevede la possibilità di esportare verso l’Unione Europea quantitativi illimitati di riso a dazio zero. Il risultato è che un pacco di riso su quattro contiene prodotto straniero, con le quotazioni del riso italiano per gli agricoltori crollate dal 58% per l’Arborio e il Carnaroli e del 37% per il Vialone nano, senza peraltro avere effetti sui prezzi al consumo. 

 

Pasta e riso, cosa prevedono le nuove etichette

Il decreto stabilisce che dal 17 febbraio prossimo le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicato in etichetta il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura; se proviene o è stato molito in più Paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti diciture: paesi UE, paesi NON UE, paesi UE E NON UE. Inoltre, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”.

L’indicazione in etichetta dell’origine per il riso scatta il 16 febbraio e deve riportare le diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione” e “Paese di confezionamento”. Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese. In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “UE”, “non UE”, ed “UE e non UE”.

 

Richiesta popolare

La scelta di apporre in etichetta in modo chiaro e leggibile l’origine degli alimenti è condivisa dal 96% dei consumatori italiani e confermata anche dal Tar del Lazio che ha sottolineato come sia “prevalente l’interesse pubblico ad informare i consumatori considerato anche l’esito delle consultazioni pubbliche circa l’importanza attribuita dai consumatori italiani alla conoscenza del Paese di origine e/o del luogo di provenienza dell’alimento e dell’ingrediente primario”. 

 

Dalla carne alla passata, tutte le indicazioni obbligatorie

L’obbligo di indicare in etichetta l’origine è una battaglia storica della Coldiretti che con la raccolta di un milione di firme alla legge di iniziativa popolare ha portato all’approvazione della legge n.204 del 3 agosto 2004. L’Italia sotto il pressing della Coldiretti ha fatto scattare il 19 aprile 2017 l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre a partire dal 1° gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro. A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, è stato raccolto l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine del miele.

Dall’indicazione dell’origine è esclusa oggi un quarto della spesa alimentare degli italiani, dai salumi ai succhi di frutta, dalle confetture al pane, fino alla carne di coniglio.

Dopo il latte, il riso: Carrefour prima insegna ad aderire a “riso 100% italiano”

Carrefour Italia rende noto di aver aderito per prima al progetto “100% Riso Italiano”: più che un invito, un obbligo quello di inserire in etichetta l’indicazione di origine del riso prescritto da due decreti interministeriali firmati dai Ministri Martina (Politiche agricole alimentari e forestali) e Calenda (Sviluppo economico). L’insegna francese è la prima dunque ad aderire all’invito formalmente avanzato a tutta la Gdo italiana dall’Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero. L’obiettivo dichiarato del progetto “100% Riso Italiano” è quello di valorizzare e rendere visibile al consumatore finale la provenienza italiana del riso, attraverso un continuo confronto con la filiera e i produttori e un’articolata campagna di comunicazione.

«Nel DNA di Carrefour Italia c’è la consapevolezza del ruolo che la grande distribuzione ricopre da un lato per sostenere la produzione di qualità territoriale, e dall’altro di intercettare le richieste dei consumatori verso un mercato più trasparente e informato – commenta Grégoire Kaufman, Direttore commerciale e marketing di Carrefour Italia –. Abbiamo accolto, quindi, con entusiasmo l’invito dell’Assessore Ferrero, con il quale abbiamo già in corso una proficua collaborazione nata ormai più di un anno fa con il progetto Piemunto, così da rendere disponibile nei nostri oltre 1000 punti vendita, sul territorio nazionale, prodotti di origine locale e provenienti da filiera controllata. Crediamo infine, sposando questo progetto, di sostenere un settore quale quello risicolo, che nell’ultimo anno ha subito un calo del mercato e su cui riponiamo forti speranze di ripresa»

Il momento infatti è delicato per l’industria risicola italiana, che pur confermando la propria leadership qualitativa e quantitativa in Europa, ha fatto registrare nel 2016 una flessione del 7% in totale. Il provvedimento governativo e l’iniziativa dell’insegna francese rispondono inoltre a una esigenza sempre più sentita da parte dei consumatori: secondo dati interni di Carrefour Italia, l’85% degli italiani, inclusi i più giovani e i millenials, mostra una sempre maggiore attenzione a tematiche quali la sicurezza alimentare, l’etichettatura e la tracciabilità.

«L’iniziativa, unita alla modernizzazione dei rapporti contrattuali e al rilancio della promozione del nostro riso, come ho recentemente chiesto all’intero comparto della Gdo, può segnare una svolta innovativa per il settore risicolo e il rilancio delle nostre produzioni a livello nazionale e internazionale. Su questo non mancherà il forte impegno della Regione Piemonte, anche a sostegno della nostra unica DOP, il riso di Baraggia, una denominazione che oggi è troppo poco utilizzata dai produttori, sulla quale occorre fare un grande investimento in termini culturali e di promozione a ogni livello, che coinvolga anche il territorio da cui proviene» ha detto l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero.

 

Nova Coop abbraccia il progetto Piemunto, al via in 62 punti vendita i latticini a Km zero

La presentazione dell'accordo a Fiorfood, in Galleria San Federico a Torino. Erano presenti Giorgio Ferrero, Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giancarlo Gonella, Presidente Legacoop Piemonte, Antonio Piscitelli, Responsabile Sviluppo vendite freschi Nova Coop, Enrico Ottobrini, Responsabile Sviluppo vendite freschissimi Nova Coop e alcuni fornitori presenti che partecipano al progetto.

Uno strumento di promozione che possa aiutare nel concreto il mercato lattiero-caseario del Piemonte e un aiuto a un consumatore sempre più interessato all’origine dei prodotti che consuma, meglio se a chilometro zero: è questo il senso del marchio “Piemunto” promosso dalla regione Piemonte e ora adottato anche in 62 punti vendita di Nova Coop.

I prodotti sono facilmente identificabili a scaffale grazie alla presenza del logo “Piemunto” adottato dai fornitori che aderiscono all’iniziativa della Regione Piemonte. I tutto 15 di cui 9 presenti in tutti i punti vendita, con 261 prodotti, di cui 137 confezionati e 124 al banco taglio, comprese alcune proposte già presenti nella selezione d’eccellenza Fiorfiore di Coop, come la Toma di Maccagno. Il consumatore può quindi scegliere fra 88 formaggi stagionati e 43 tipi di yogurt prodotti a partire da 40 diverse derivazioni di latte.

In Piemonte, il 35 % del latte è raccolto e in buona parte lavorato dalle cooperative agroalimentari. La scelta di aderire al progetto “Piemunto” del resto è in linea con l’attenzione di Coop per i prodotti autoctoni, basti pensare al successo del progetto “Ortoqui”, dedicato invece alle produzioni ortofrutticole tipiche e locali dell’area del Nord Ovest. 

«La cooperazione piemontese lavora per filiere alimentari di eccellenza, in questo caso il latte e i latticini – afferma il Presidente di Legacoop Piemonte Giancarlo Gonella – e per la valorizzazione del patrimonio zootecnico e gli allevamenti della nostra Regione».

«L’adesione di Nova Coop, per la sua vocazione specifica all’interno della Gdo – dice l’assessore regionale all’agricoltura Giorgio Ferrero – rappresenta un ulteriore elemento di valorizzazione di Piemunto e, al suo interno, dei prodotti che vengono dall’agricoltura sociale o da allevamenti di montagna, realtà che meritano di essere maggiormente conosciute e promosse».

Il progetto “Piemunto” nasce su proposta dell’Assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, e costituisce il primo esempio di marchio finalizzato alla valorizzazione del latte piemontese e dei suoi derivati di origine regionale; il logo “Piemunto” contraddistingue infatti il latte alimentare, lo yogurt, i formaggi e, in generale, i prodotti lattiero-caseari realizzati solo ed esclusivamente con latte di allevamenti piemontesi. Allo scopo quindi di ampliare le attività di verifica sul corretto utilizzo del marchio e sull’origine del prodotto, la Regione Piemonte ha sottoscritto un accordo di collaborazione con le strutture di controllo del Ministero Agricoltura operanti in Piemonte. L’obiettivo dell’iniziativa “Piemunto” è quindi offrire al consumatore interessato all’origine locale dei prodotti la possibilità di effettuare una scelta consapevole nell’acquisto di latte, yogurt e formaggi; questa scelta si accompagna ad una condivisibile fiducia nei confronti di un sistema regionale pubblico di controlli sulla qualità igienico sanitaria dei prodotti lattiero caseari nonché a una riconosciuta esperienza degli operatori privati regionali del settore lattiero caseario.

I prodotti Piemunto saranno disponibili in Piemonte e nei punti vendita lombardi di Castano, Luino e Tradate.

Leggi anche:

Carrefour e un anno di Piemunto: +10% per i 170 prodotti a latte “Km zero”

Carrefour e Regione Piemonte, accordo sul latte a Km zero: nasce “Piemunto”

Latte, via libera all’indicazione di provenienza. Il 67% degli italiani pagherebbe di più se italiano

Coop lancia le carni “pulite” e partecipa alla lotta contro l’antibiotico resistenza

Si chiama, utilizzando un efficace gioco di rimandi, “Alleviamo la salute”la nuova campagna di Coop che incrocia esigenze clean label e responsabilità sociale, attivata in concerto con le istituzioni con un obiettivo preciso: contribuire a contrastare l’antibiotico resistenza. Ciò avverrà con una vera e propria rivoluzione nella gestione di 1600 allevamenti allevamenti di animali da reddito, con il fine ultimo della tutela della salute delle persone e del benessere animale. La campagna procederà per step: è già sugli scaffali la nuova linea di pollo a marchio Coop, i 5 avicoli speciali “Fior Fiore” e entro l’estate arriveranno due referenze di uova: tutti da animali allevati senza uso di antibiotici.

La volontà di Coop è quella di ridurre, e quando possibile eliminare, l’uso di antibiotici nei 1600 allevamenti in Italia da cui provengono le filiere di carne a marchio Coop interessate da un processo complesso e che andrà avanti per step successivi provocando una vera e propria rivoluzione gestionale su larga scala. Sullo sfondo, la denuncia del problema dell’”antibiotico resistenza”, ovvero la resistenza dei batteri a un numero crescente dei farmaci destinati a neutralizzarli, dovuta all’adattamento evolutivo amplificato da un uso ampio e spesso sconsiderato di antibiotici. Una piaga che secondo alcune previsioni provocherà un aumento della mortalità nel mondo dalle attuali 700.000 a 10 milioni di persone nel 2050. Per questo motivo tutti gli Enti internazionali a partire dalla stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), oltre ai Ministeri italiani competenti, hanno da tempo lanciato l’allarme riguardo la necessità di ridurre l’abuso e l’uso non corretto degli antibiotici negli allevamenti di animali da reddito per preservare la salute pubblica. Se non è possibile né vietare, né superare completamente l’uso degli antibiotici nell’allevamento perché la cura dell’animale è una priorità, li si può ridurre in modo drastico a favore della salute delle persone.

Da anni Coop collabora con le principali organizzazioni che si occupano di benessere animale come LAV e  CIWF (Compassion in World Farming), dalla quale ha ottenuto nel 2010 un riconoscimento internazionale per aver deciso di vendere solo uova di galline allevate a terra, estendendo a tutto l’assortimento quanto aveva già fatto nel 2003 per le proprie uova a marchio.

La più recente azione di Coop in quest’ambito è la richiesta avanzata a gennaio 2017 ai propri fornitori di installare telecamere negli allevamenti e nei macelli, una prassi che è già in uso peraltro in alcuni allevamenti in Italia ed è comune all’estero. Inoltre, l’insegna ha attuato una scelta no-ogm sull’alimentazione delle filiere animali che in termini di maggiori costi di controlli e di certificazione vale oltre 13 milioni di euro ogni anno.

 

Sostenibilità e trasparenza, dall’allevamento allo scaffale 

«Occorre partire dagli allevamenti –spiega Marco Pedroni, Presidente Coop Italia – perché generando un’azione virtuosa su questi si arriva a prodotti migliori a scaffale e conseguentemente al consumatore. È un’azione che procederà per step, ma come Coop partiamo avvantaggiati perché abbiamo sempre riposto grande attenzione alla qualità delle filiere zootecniche. Ora alziamo ulteriormente l’asticella selezionando i partner migliori per l’attuazione delle buone pratiche. La nostra è un’azione volontaria che ci pone a fianco delle istituzioni sensibili al tema, consapevoli della grande attenzione che c’è tra i cittadini, rispetto alla quale riteniamo sia necessario garantire un’offerta trasparente in linea con la missione di Coop. Favoriremo le buone pratiche di allevamento basate sul benessere animale e su metodologie innovative di gestione degli allevamenti; garantiremo che l’uso degli antibiotici negli allevamenti sia ridotto e limitato ai casi di necessità, eviteremo l’uso degli antibiotici più critici impiegati nelle cure per l’uomo. Lo scopo è di contribuire a ridurre l’antibiotico resistenza per mantenere l’efficacia delle cure mediche sulle persone».

 

Nuove etichette

I primi risultati di questo impegno sono già arrivati a scaffale; non si tratta di pochi prodotti simbolici, ma di intere linee di prodotto che si diffonderanno in tutta la rete di 1.100 punti vendita in Italia. La nuova etichetta “Allevato senza uso di antibiotici” è presente da alcuni mesi sulle confezioni di faraona, cappone, gran gallo, galletto livornese e pollo all’aperto “Fior Fiore Coop” (per una produzione pari a 2 milioni di capi annui): si tratta di razze a lento accrescimento, allevate a terra secondo standard molto rigorosi in termini di benessere animale e di bio-sicurezza e più resistenti a patologie che potrebbero comportare il ricorso all’uso di antibiotici. A giorni debutterà la nuova linea di pollo Coop “Allevato senza uso di antibiotici” (si stimano a regime più di 10 milioni di capi coinvolti), a giugno sarà la volta delle uova da galline allevate a terra senza l’impiego di antibiotici (2 referenze, le galline coinvolte sono circa 1 milione e 300.000 in un anno) e in gastronomia il pollo Fior Fiore (stima a regime 1 milione di polli annui). L’impegno comunque è di lunga scadenza, imponente – complessivamente stiamo già parlando di più di 14 milioni di animali coinvolti ogni anno – e non si limita al pollame; le prossime filiere coinvolte saranno il bovino e il suino.

«La nostra – conclude Stefano Bassi, Presidente Ancc-Coop (l’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) – è una campagna contro l’antibiotico resistenza e al tempo stesso una campagna di trasparenza che permetterà a chi vuole consumare carne di avere tutti gli elementi per scegliere. In quest’ottica stiamo lavorando per creare già dai prossimi mesi un circuito di “Allevamenti Aperti” che i soci Coop potranno visitare».

Origine in etichetta, parte il latte ma un terzo della spesa è ancora “anonima”

Carne di coniglio, Carne trasformata, Frutta e verdura trasformata, Derivati del pomodoro diversi da passata, Sughi pronti, Pane: sono i prodotti che ancora vengono venduti senza dover indicare obbligatoriamente l’origine della materia prima in etichetta. Lo rende nota la Coldiretti nel giorno in cui entra in vigore l’etichettatura di origine obbligatoria per il latte a lunga conservazione e i suoi derivati. Un terzo della spesa degli italiani però resta anonima.

«L’Italia è diventata il più grande importatore mondiale di latte – afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -; dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare fino ad ora magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, dei formaggi o dello yogurt non ha consentito di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy. In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti».

 

Con materia prima straniera 2 salumi e pacchi di pasta italiani su 3

Oggi, due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero senza indicazione (in attesa dell’ok di Bruxelles al decreto per l’introduzione dell’etichetta d’origine), come pure i succhi di frutta o il concentrato di pomodoro dalla Cina o il pane.

L’Italia sotto il pressing della Coldiretti ha fatto scattare il 7 giugno 2005 l’obbligo di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre a partire dal 1° gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro.

A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. Il prossimo passo?L’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta come previsto nello schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine del grano impiegato nella pasta condiviso dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che dopo la mobilitazione della Coldiretti hanno annunciato anche un analogo decreto per il riso. 

Via libera all’indicazione di origine per il latte, Coldiretti presenta l’etichetta Made in Italy

Un’etichetta per il Made in Italy anche per latte e latticini: l’ha presentata la Coldiretti stamattina al tradizionale Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio, dopo il via libera dell’Unione europea alla richiesta italiana di indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari. Sono infatti scaduti senza obiezioni alle ore 24 del 13 ottobre i tre mesi dalla notifica previsti dal regolamento 1169/2011 quale termine per rispondere agli Stati membri che ritengono necessario adottare una nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti. Le confezioni di latte, burro e mozzarella con le nuove etichette hanno lo scopo di aiutare i consumatori a scegliere. Il provvedimento fortemente sostenuto dalla Coldiretti era stato annunciato dal premier Matteo Renzi e dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina in occasione della Giornata nazionale del latte Italiano a Milano, organizzata proprio dalla maggiore organizzazione degli imprenditori agricoli in Europa.

“Il via libera comunitario – rileva la Coldiretti – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione”.

 

Il provvedimento riguarda l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari che dovrà essere indicata in etichetta con:

a) “paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte”;

b) “paese di condizionamento: nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato”

c) “paese di trasformazione: nome della nazione nella quale il latte è stato trasformato”;

Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato e trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo della seguente dicitura: “origine del latte: nome del paese”. Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più paesi membri dell’Ue, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi UE” per l’operazione di trasformazione. Infine se le operazioni avvengono nel territorio di più Paesi situati al di fuori dell’Unione Europea, possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi non UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi non UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi non UE” per l’operazione di trasformazione.

«Con l’etichettatura di origine si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, così come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – si tratta anche di un importante segnale di cambiamento a livello comunitario sotto la spinta dell’alleanza con la Francia che ha adottato un analogo provvedimento».

Ricchezza Made in Italy da tutelare

Le 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, formaggi e yogurt. garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione. Sono invece 487 i formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale e tutelati perché realizzati secondo regole tramandate da generazioni che permettono anche di sostenere la biodiversità delle razza bovine allevate a livello nazionale. Sui mercati esteri i formaggi Made in Italy hanno fatturato 2,3 miliardi (+5%) nel 2015. 

Ad essere tutelati sono anche i consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 – secondo una analisi della Coldiretti – una media di 48 chili di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche a islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.  

Il provvedimento salva 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’immagine del Made in Italy. 

L’ entrata in vigore e fissata 60 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e potrebbe partire dal primo gennaio 2017, come è stato previsto per un testo analogo in Francia.

Latte, via libera all’indicazione di provenienza. Il 67% degli italiani pagherebbe di più se italiano

Si gioca sul latte una delle battaglie che in tutta Europa sta impegnando i rapporti tra grande distribuzione e produttori, colpiti dai prezzi troppo bassi. Tanto che in dieci anni si è dimezzato il numero di stalle in Italia , che hanno segnato nel 2015 il minimo storico di 33mila allevamenti. Sullo sfondo, un consumatore disposto a pagare di più per la provenienza nazionale e la garanzia di qualità. Il premier Renzi presenta il decreto al World Milk Day.La soluzione sembra dunque essere l’obbligo dell’indicazione di origine. Una promessa che ha impegnato il premier Matteo Renzi e al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, al World Milk Day di ieri organizzato dalla FAO, che ha visto scendere in piazza a Milano migliaia di allevatori da tutto il Paese. In questa occasione è stato presentato infatti il Decreto sull’etichettatura obbligatoria del latte e dei derivati, come formaggi o yogurt, già inviato a Bruxelles.

 

Nove italiani su 10 vogliono sapere l’origine: per l’italiano di paga il 20% in più

La questione non è secondaria, visto che il 67% dei consumatori pagherebbe fino al 20% in più per un latte italiano, e il 12% spenderebbe anche di più. Il consumatore oggi vuole, pretende trasparenza. Secondo una consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, in oltre 9 casi su 10 gli italiani considerano “molto importante” che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione.

In questo quadro apparentemente favorevole per la produzione nazionale, l’Italia è diventata il maggiore importatore di latte nel mondo con il risultato che oggi tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti nel nostro Paese provengono dall’estero, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o cagliate straniere. Difficile però saperlo, perché non è obbligatorio riportare la provenienza in etichetta. È quanto emerge dallo studio Coldiretti “Il latte italiano, un primato da difendere” presentato alla Giornata del latte italiano a Milano.

 

I numeri del latte in Italia

I consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 una media di 48 litri di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi, con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche da islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.

Sul fronte della produzione, abbiamo 33mila allevamenti e 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia, per una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte dall’estero.

Una produzione quella nazionale, secondo Coldiretti “garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione”. Ma sono ancora di più, 488, i formaggi italiani tradizionali censiti dalle regioni perché ottenuti secondo metodi mantenuti inalterati nel tempo. Il settore impiega 120mila persone nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi, la voce più importante dell’agroalimentare italiano.

Una qualità costantemente minacciata: da una parte dagli oltre 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, che sono imbustati o trasformati industrialmente per diventare mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Nell’ultimo anno secondo Coldiretti avrebbero superato il milione di quintali le cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte, pari al 10 per cento dell’intera produzione italiana. Dall’altra all’estero, dove i formaggi Made in Italy hanno fatturato ben 2,3 miliardi (+5%) nel 2015, dove dilaga il fenomeno dell’Italian Sounding e del’agropirateria internazionale.

 

La Ue consente l’etichetta, previa consultazione popolare

Secondo Coldiretti, l’assenza dell’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, dei formaggi o dello yogurt non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali. “In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Anche l’Ue ha dato il feu rouge all’etichettatura d’origine, con il regolamento comunitario N.1169 del 2011, entrato in vigore il 13 dicembre del 2014, che consente ai singoli Stati Membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti, previa con consultazione con parere favorevole da parte dei cittadini.

Un circolo virtuoso che ha visto già impegnati, oltre al ministero, anche alcuni enti locali e insegne della grande distribuzione. Ne son una prova le iniziative, già segnalate, di Carrefour (leggi Carrefour e Regione Piemonte, accordo sul latte a Km zero: nasce “Piemunto”) in Piemonte e Coop in Lombardia (leggi Coop dà sostegno al latte italiano con promozioni e 10mila quintali di acquisti in più).

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare