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Obiettivo: “allineare” il sistema Italia, la Gdo adotta lo standard GS1 GDSN

È stato un soddisfatto Giorgio Santambrogio nella veste di presidente di ADM ad annunciare l’impegno della distribuzione moderna presente in Italia ad aderire allo standard GS1 GDSN. Perché ormai non basta parlare di Big Data, la prossima frontiera per le aziende è garantire la qualità del dato.

A margine del convegno abbiamo chiesto a Santambrogio il perché di questa decisione. 

Nel corso dell’incontro “Big data nel carrello – Dall’efficienza di filiera alle strategie di marketing” ampio spazio è stato dedicato al percorso virtuoso che – grazie agli standard GS1 – permette alle imprese di scambiarsi informazioni dettagliate e corrette, arrivando così a relazionarsi meglio con il consumatore.

Nella stessa occasione GS1 Italy ha annunciato l’avvio del Piano per l’attuazione della qualità dei dati, per accompagnare le imprese del largo consumo nello sviluppo della cultura del data quality all’interno dell’azienda e nella strutturazione dei processi di data governance. La qualità dei dati è, infatti, diventata un vantaggio strategico e le aziende devono assicurare che i dati disponibili sui loro prodotti siano di qualità, corretti e aggiornati.

Nei prossimi giorni sarà pubblicata la videointervista a Bruno Aceto, Ceo di GS1 Italy, che ci spiega più nello specifico cos’è e a cosa serve Allineo.

Etichette a semaforo: prosegue la polemica di Coldiretti

Riprende con vigore la polemica di Coldiretti contro l’etichettatura a semaforo di matrice anglosassone, oggi diffusa in Europa. Il perché lo ha ribadito il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo all’incontro “Letichetta alimentare corretta che informa senza fuorviare organizzato da Paolo De Castro ed Elisabetta Gardini: questa modalità di etichettare i prodotti, spiega, “boccia l’85% del Made in Italy Doc, tra cui le prime tre specialità Dop Made in Italy piu’ vendute in Italia e all’estero come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ed il prosciutto di Parma, ma si arriva addirittura a colpire anche l’extravergine di oliva, considerato il simbolo della dieta mediterranea”.

“Con l’inganno delle etichette a semaforo – ha continuato Moncalvo – si rischia di sostenere, attraverso un approccio semplicistico, modelli alimentari sbagliati che mettono in pericolo, non solo la salute dei cittadini italiani ed europei ma anche un sistema produttivo di qualità che si è affermato pure grazie ai riconoscimenti dell’Unione Europea. In gioco per l’Italia – ha precisato – c’è la leadership italiana in Europa nelle produzioni di qualità con 293 riconoscimenti di prodotti a denominazione (Dop/Igp).”
Un’informazione fuorviante e poco chiara. Un dato per tutti: da quando è entrata in vigore in Gran Bretagna nel 2017 – sottolinea Moncalvo- le esportazioni italiane di olio extravergine considerato unanimemente un elisir di lunga vita sono calate dell’’11%.
 

Nasce Osservatorio Immagino di GS1 Italy e Nielsen: i consumi visti dalle etichette

Raccontare i consumi degli italiani e i loro mutamenti incrociando le informazioni presenti sulle etichette dei prodotti registrate da Immagino con i dati Nielsen su vendite, consumo e fruizione dei media: è questa l’idea che sta alla base di Osservatorio Immagino, il nuovo progetto nato dalla collaborazione tra GS1 Italy e Nielsen. Obiettivo: scandagliare più a fondo le tendenze di consumo.

Un vero progetto di Big data insomma che integra due immensi patrimoni informativi: le oltre 100 variabili presenti sulle etichette degli 80 mila prodotti di largo consumo digitalizzati da Immagino messe a disposizione da GS1 Italy con i dati scanner raccolti in 10 mila punti vendita della distribuzione moderna, con quelli relativi ai consumi di 9 mila famiglie e alle loro abitudini di consumo  e alla di fruizione dei contenuti televisivi e online di Nielsen.

 

Integrale, free from, Dop, bio i trend

La prima edizione dell’Osservatorio Immagino è basata sui dati dell’anno 2016 relativi a 58 mila prodotti di largo consumo, che hanno sviluppato circa 31 miliardi di euro di vendite, pari al 74% di quanto venduto nel totale del largo consumo in Italia da ipermercati e supermercati. L’obiettivo di GS1 Italy e Nielsen è di estendere progressivamente l’insieme di prodotti.

Dall’Osservatorio emergono stili di consumo e scelte di acquisto rivolte al consumo di prodotti free from (ad esempio “senza glutine” o “senza olio di palma”) e di quelli arricchiti, con una crescita dell’universo veg e delle intolleranze alimentari, e dei consumatori interessati all’italianità dei prodotti e ai prodotti biologici.

«Attraverso le tabelle nutrizionali abbiamo tracciato l’identikit di un “metaprodotto”, ossia i valori nutrizionali del prodotto “medio” acquistato dai consumatori: si tratta di un prodotto equilibrato, che conferma il buon rapporto degli italiani con l’alimentazione – spiega Romolo de Camillis, retailer director di Nielsen -. Analizzando gli ingredienti dei prodotti abbiamo misurato come la loro presenza possa influenzare l’acquisto. Abbiamo anche osservato come cambia il consumo di un ingrediente al variare del reddito, dell’età e del ciclo di vita della famiglia: ad esempio, le fasce di popolazione con reddito e istruzione più elevata consumano prodotti con minore contenuto di zucchero».

Più (fibre) meno (zucchero, sale, olio di palma)

Ad esempio l’Osservatorio indaga due trend apparentemente contrapposti, ma che vanno verso una stessa direzione salutistica: quello del free from e quello dei prodotti arriccchiti.

Al mondo alimentare si aggiunge il mondo della cura persona con l’analisi su 9.700 prodotti che ne ha messo in luce le caratteristiche focali e i trend del momento, come il cruelty free, la valorizzazione del made in Italy e la diffusione di alcuni ingredienti di origine vegetale (come noce di cocco, calendula, soia e avena).

L’Osservatorio Immagino verrà aggiornato due volte l’anno, in formato cartaceo e digitale, arricchendosi a ogni edizione di nuovi approfondimenti.

L’Italia dice no alle etichette a semaforo: nasce L’alleanza europea “contro”

L’Italia non si ferma al semaforo. E guida l’Europa in una battaglia contro il sistema di etichette a semaforo, che applica un colore diverso a seconda della presunta salubrità dell’alimento: verde, giallo e rosso. Un sistema efficace ma rozzo, pensato per tutelare il consumatore ma che finisce invece per condizionarne le scelte in modo talora superficiale. Per questo Coldiretti, Federalimentare e un primo gruppo di deputati europei coordinati da Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione agricoltura del PE, hanno creato l’Alleanza europea contro i sistemi di etichettatura a semaforo per contrastare un sistema di informazione considerato fuorviante, discriminatorio e incompleto che è stato già lanciato in Francia e in Gran Bretagna e ora rischia di diffondersi in tutta Europa, pregiudicando una informazione corretta ai consumatori e il funzionamento del mercato comune.

Le iniziative nazionali sui “semafori” sono secondo gli ideatori dell’Alleanza un campanello di allarme che non si può trascurare. Non si può soprattutto in Italia, che rischia di essere penalizzata visto che Il sistema di etichettatura finisce per suggerire paradossalmente l’esclusione dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta, come l’olio extravergine d’oliva. Il Parmigiano-Reggiano, il Grana Padano e il prosciutto di Parma.

Non solo: l’idea che per lo stesso prodotto in differenti Paesi europei il semaforo possa assumere colorazioni diverse appare senza dubbio contrario a un “mercato unico”. Sistemi di segnalazione al consumatore diversi su base nazionale, in assenza di un quadro comune di riferimento, possono far sospettare comportamenti opportunistici dei singoli Stati membri, i cui specifici interessi economici potrebbe influenzare l’architettura dei sistemi di classificazione delle qualità nutritive e salutistiche dei prodotti agro-alimentari.

L’Alleanza europea contro i sistemi di etichettatura a semaforo chiede all’Europa di intervenire attivamente, definendo un quadro normativo adatto a garantire maggiore trasparenza e univocità sul territorio europeo e promuovendo le soluzioni più adeguate per soddisfare il bisogno di un’informazione sempre più dettagliata e leggibile da parte del consumatore. L’Alleanza si propone di aprire spazi di dibattito e riflessione sul tema, per offrire il proprio contributo per l’aggiornamento e il rafforzamento della legislazione relativa alle informazioni in etichetta per i prodotti alimentari sulla base della trasparenza e del reale interesse dei consumatori. I promotori credono che un’Europa più forte e credibile passi anche per una maggiore attenzione al consumatore e alle imprese che contribuiscono allo sviluppo del nostro Paese con la stessa trasparenza che vorrebbero fosse garantita ai nostri consumatori.

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Da aprile carta d’identità obbligatoria per latte e formaggi in vendita in Italia

Sugli scaffali dei supermercati e delle botteghe arrivano i formaggi con la carta d’identità. L’obbligo scatterà dal prossimo 19 aprile: sull’etichetta del prodotti lattiero-caseari in vendita in Italia (da latte vaccino, ovino, caprino, bufalino o di altra origine animale) dovrà essere indicata l’origine. L’obbligo scatta con l’avvenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’apposito decreto da parte del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali.

Un sistema innovativo e sperimentale che pone l’Italia all’avanguardia nella tutela del consumatore. L’etichetta di nuova generazione fornirà agli acquirenti informazioni chiare sulla provenienza delle materie prime di prodotti come il latte UHT, il burro, lo yogurt, la mozzarella, i formaggi e i latticini con l’esclusione dei soli prodotti Dop e Igp, che dispongono già di disciplinari che regolano anche la provenienza del latte. «Vogliamo garantire – dichiara il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina – la massima tutela e trasparenza per consumatori e produttori. Con la sperimentazione dell’origine in etichetta, infatti, chi acquista potrà scegliere in modo informato e consapevole il made in Italy. Si tratta di una svolta storica che consente un rapporto nuovo tra gli allevatori, i produttori e i consumatori. L’Italia continuerà a spingere perché questo modello si affermi a livello europeo e per tutte le produzioni agroalimentari, perché è una chiave decisiva per la competitività e la distintività dei modelli agricoli».

Nella pratica, il decreto prevede che il latte o i suoi derivati debbano avere obbligatoriamente indicata l’origine della materia prima in etichetta in maniera chiara, visibile e facilmente leggibile. Due le diciture previste: Paese di mungitura e Paese di condizionamento o trasformazione. Qualora il latte sia stato munto, confezionato e trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo di un’unica dicitura. Se le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono in più Paesi che non siano l’Italia, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: latte di Paesi UE se la mungitura avviene in uno o più Paesi europei; latte condizionato o trasformato in Paesi UE: se queste fasi avvengono in uno o più Paesi europei; se le operazioni avvengono al di fuori dell’Unione europea, verrà usata la dicitura Paesi non UE.

Carrefour e Msc, parte la campagna “Peschiamoci Chiaro” sulla pesca sostenibile

Durerà dal  13 ottobre al 4 novembre su Facebook e Twitter la campagna di Carrefour Italia, MSC Pesca Sostenibile e i suoi partner dedicata alla tracciabilità e alla sostenibilità della pesca. L’obiettivo è quello di sensibilizzare i consumatori attraverso un video creativo che spiega agli utenti cos’è la tracciabilità e cosa vuol dire scegliere prodotti sostenibili che garantiscano mari in salute e al tempo stesso contribuiscano a tutelare l’attività della pesca per le generazioni future.
La collaborazione tra MSC Pesca Sostenibile e Carrefour Italia è attiva dal 2015 (leggi anche Carrefour Italia collabora con MSC per offrire prodotti ittici da pesca sostenibile) e crea un sistema virtuoso che spinge i propri fornitori a certificarsi ed approvvigionarsi di materie prime certificate MSC. Grazie a questa partnership, oggi Carrefour offre ai propri consumatori oltre 12 prodotti realizzati con materie prime certificate sostenibili secondo i più alti standard riconosciuti a livello mondiale come i più credibili e completi per la pesca sostenibile.

https://youtu.be/p6f5vJArIS0

La campagna social #peschiamocichiaro è stata realizzata dalla coppia creativa Melania Angeloro e Giacomo Pellizzari ispirandosi alla campagna Tracciabilità realizzata dall’headquarter di MSC. Il video è stato ideato e prodotto dall’agenzia anglossasone Nice and Serious.

 

Un marchio per comunicare la sostenibilità

Nonostante sia partito l’obbligo di indicazione dell’origine del pesce venduto e che la mggior parte dei consuamtori sia disposto a pagare di più per un prodotto derivato da pesca sostenibile, c’è ancora molta confusione (leggi Greenpeace: il 77% dei consumatori disposti a pagare di più il pesce sostenibile). Il marchio blu MSC intende appunto aiutare i consumatori ad effettuare un acquisto sostenibile in modo semplice, senza preoccuparsi di dover valutare all’atto di acquisto alcuni elementi fondamentali per la sostenibilità, ma che talvolta sono complessi per chi non ha conoscenze specifiche. Area di pesca FAO, attrezzo di pesca, taglia minima, pesca illegale, catture accessorie sono solo alcuni degli aspetti coperti dal programma MSC Pesca Sostenibile. Inoltre, in tal modo i consumatori contribuiranno, con i loro acquisti, alla salute dei nostri mari.

«È nostro compito sensibilizzare i consumatori indirizzandoli verso acquisti sempre più sostenibili. La salute degli oceani dipende da tutti noi, da ogni nostro comportamento e decisione d’acquisto. Con l’adesione alla campagna social #peschiamocichiaro vogliamo trasmettere ai nostri clienti il valore aggiunto della sostenibilità ittica e far capire loro che la salute dei mari dipende anche da ogni loro gesto quotidiano, inclusa la spesa» dichiara Flavia Mare, responsabile Qualità e CSR manager Carrefour Italia.

«La tracciabilità è un aspetto fondamentale nel Programma MSC. Infatti tutti i prodotti con il marchio blu sono tracciabili dal mare al piatto e sono sottoposti al DNA test che garantisce l’attendibilità tra specie dichiarata e offerta. Gli ultimi test hanno rilevato che il 99,6% del pescato con il marchio blu è etichettato correttamente rispetto a una media del 30% che è descritto o etichettato in maniera non corretta» spiega Francesca Oppia, direttore generale di MSC Pesca Sostenibile.

Etichette nutrizionali per tutti dal 13 dicembre, istruzioni per l’uso con la guida del Crea

Entrerà in vigore il 13 dicembre del 2016 la nuova normativa europea che obbliga i prodotti alimentari a riportare in etichetta i nutrienti presenti, la loro quantità nonché il loro valore energetico complessivo. Si tratta dell’ultima tranche del regolamento Ue n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

Uno strumento in più per favorire una scelta consapevole ai consumatori, nella direzione di un’alimentazione sana ed equilibrata. Che arriva proprio nel momento in cui i consumatori richiedono maggiori informazioni, in particolare sul contenuto in ogni prodotto  di quegli ingredienti ritenuti poco sani quali zuccheri, sale e grassi. Spesso però lo stesso consumatore non possiede le informazioni necessarie per comprendere ciò che legge e per scegliere nel modo giusto.

Proprio in considerazione di ciò, un team multidisciplinare di ricercatori del CREA, Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, coordinato dal Gabriella Lo Feudo, ha messo a punto una nuova e ampliata una nuova edizione della Guida dedicata all’etichetta nutrizionale (ce n’erano già state due precedenti).

Lo strumento, di facile consultazione, ha una grafica che riproduce fedelmente le etichette nutrizionali più diffuse di numerose tipologie di prodotto.

«La ricerca è anche questo – spiega Ida Marandola, direttore generale CREA – fornire ai cittadini elementi certi di conoscenza per poter migliorare la qualità della vita di ogni giorno e per diffondere la consapevolezza dell’unicità del nostro patrimonio agroalimentare».

La guida è scarivabile all’indirizzo http://www.crea.gov.it/wp-content/uploads/2016/09/etichette-nutrizionali-on-line.pdf

Etichette alimentari: le informazioni sono importanti ma pochi le leggono

Che cosa significa Made in Italy? In quanti leggono le etichette con attenzione? Che cosa pensano della legalità nella filiera agroalimentare? Sono alcune delle domande poste dall’indagine sui bisogni informativi degli italiani condotta dall’Osservatorio permanente sulla Filiera del Latte costituito da Adoc, Cittadinanzattiva, Federconsumatori e Movimento Consumatori insieme al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e Granarolo.

Il quadro che ne esce è certamente di consumatori sensibili alle qualificazioni dei prodotti, come l’origine della materia prima, il luogo e lo stabilimento di produzione, è certamente pronto a difendere il Made in Italy, ma non sanno esattamente di che cosa si tratta. Anche se è pronto a spendere di più per un prodotto tutto italiano, si perde un po’ nella selva delle sigle dei prodotti a denominazione d’origine: l’Italia è il paese con il più alto numero di Dop e Igp, ma che cosa veramente vogliano dire queste sigle, gli italiani mica lo sanno bene.

« Emerge sicuramente la necessità di importanti sforzi per informare i consumatori sulla filiera produttiva italiana, la conoscenza degli aspetti nutrizionali e della sicurezza alimentare attraverso un lavoro congiunto di tutti,  in primis Istituzioni, mondo associativo e industria alimentare come peraltro negli obiettivi dell’Osservatorio che abbiamo costituito, ha affermato imprevidente di Granarolo Gianpiero Calzolari.

Ma vediamo la sintesi dei risultati.

Per quanto riguarda le etichette alimentari, il 95% del campione intervistato ritiene importante le etichette ma, di questo, solo il 18% le legge integralmente. Le informazioni su cui si concentra maggiormente l’attenzione sono soprattutto la data di scadenza (63%), gli ingredienti (50%), la loro provenienza (49%) e l’eventuale presenza di sostanze dannose alla salute (37%).

Tuttavia una percentuale importante, pari al 48%, considera le etichette poco chiare, troppo tecniche, scritte troppo in piccolo e spesso non le capisce.

Il 96% ritiene importante inoltre avere una filiera agroalimentare controllata.

La nota dolente riguarda, come detto, le denominazioni, perché se la quasi totalità (95%) degli intervistati è a conoscenza del significato di almeno una delle più comuni certificazioni europee indicate in materia di prodotti agroalimentari.(D.O.P., I.G.P., D.O.C., I.G.T., D.O.C.G.),  quando viene chiesto di specificarne meglio la differenza, gli intervistati entrano in difficoltà. L’unica sigla davvero chiara sembra essere la DOC del vino. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, con 261 prodotti riconosciuti su 1.241 totali, l’Italia detiene il primato di paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine.

Nondimeno, l’84% degli intervistati è sfavorevole all’uso del latte in polvere per la produzione di formaggi, anche se una percentuale inferiore (il 64%) sa che in Italia è vietato usarlo. Al riguardo, secondo Calzolari « L’unico modo che l’Italia ha di contrastare le norme europee in merito alla polvere è una iniziativa per una nuova generazione di etichette, semplici, trasparenti e veritiere».

Nell’ambito più specifico dei prodotti lattiero caseari, 5 intervistati su 6 prestano attenzione alle informazioni contenute in etichetta: i consumatori sono interessati in primis alla data di scadenza con l’84%, seguita dall’indicazione del luogo d’origine delle materie prime (61%), dall’elenco degli ingredienti (57%) e dalle modalità di conservazione (52%).

Inoltre circa la metà degli intervistati ritiene importante ai fini dell’acquisto il luogo di trasformazione e confezionamento (45%).

Circa la metà dei consumatori (52%) dice di conoscere la differenza tra un latte standard e un latte di alta qualità e il 58% tra quello standard ed uno biologico.

Nessuno degli intervistati conosce il significato della dicitura “leggero/light” che a norma di Reg. CE n.1924/06 identifica un prodotto che contiene il 30% in meno di grassi rispetto al prodotto di riferimento.

Pochi conoscono (29%) il significato di “Yogurt Con” (aggiunta di altri prodotti), la percentuale più alta (38%) dichiara addirittura di non saper rispondere alla domanda.

Infine, solo metà dei consumatori intervistati conosce la differenza tra la data di scadenza e il termine minimo di conservazione cioè che superato tale termine si modificano alcune caratteristiche organolettiche e nutrizionali ma il prodotto può ancora essere consumato senza rischi.

Prodotto in Italia – Made in Italy –  dall’indagine emerge che una delle maggiori esigenze dei consumatori per un’etichetta trasparente e sicura è che i prodotti alimentari presentino l’indicazione della loro provenienza. Ma circa la metà degli intervistati non conosce il significato di “Prodotto in Italia” (trasformato in Italia e prodotto non necessariamente con materie prime italiane).

Una percentuale non trascurabile, infatti, pari al 31%, ritiene erroneamente che la dicitura si riferisca all’origine italiana delle materie prime.

Ma il 96% (quasi totalità) ritiene importante un prodotto realizzato con materie prime italiane. Il 73% dichiara di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell’origine e della provenienza italiana del prodotto nel momento dell’acquisto. Nonostante il periodo di difficoltà economica l’assicurazione di acquistare prodotti provenienti dal territorio italiano porta il consumatore a scegliere di spendere fino al 5% in più almeno per il 41% degli intervistati, tra il 5% e 20% in più per il 26%.

In materia di legalità della filiera agroalimentare, infine, per i consumatori i principali fattori che ne esprimono il concetto (con ancora un po’ di confusione) sono: l’indicazione dell’origine delle materie prime (95%), il rispetto degli standard di sicurezza alimentare (94%), il luogo di trasformazione (91%), l’aderenza a standard di rispetto e tutela dei lavoratori impiegati nella filiera (48%) e la presenza del marchio registrato (42%). Inoltre, il 38% ritiene abbastanza importante che come fattore di legalità il prodotto sia biologico.

L’84% degli intervistati ritiene poi che esista la contraffazione in ambito alimentare.

In caso di sospetto di cibo avariato i consumatori sanno a chi rivolgersi in Italia: 30% contatterebbe le Associazioni dei Consumatori; il 29% il nucleo Antisofisticazione e il 36% ASL di pertinenza. Mentre hanno una scarsa conoscenza delle Istituzioni Europee: il 27% conosce EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e il 16% Rasff  (Sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi).

Etichette SES premiate come migliore soluzione contactless al World Smart Week

“Best Contactless Solution”: è il premio vinto al World Smart Week Awards da Store Electronic Systems, azienda che opera nei sistemi di etichettatura elettronica per retailer food e non-food e consegnato allo Smart Innovation Show di Marsiglia, all’interno della fiera Smart Contactless World.

SES offre una piattaforma multi-frequenza di comunicazione radio compatibile con tutte le tecnologie di visualizzazione (LCD, TFT, e-Paper) utilizzate dalle proprie etichette elettroniche da scaffale. Pur conservando la propria finalità originaria – sostituire le etichette cartacee per far risparmiare tempo – le etichette digitali sono diventate strumenti intelligenti in grado di offrire servizi a valore aggiunto a consumatori e retailer. Un prodotto all-in-one costituisce un elemento cruciale di trasformazione digitale del commercio in-store. Unisce ai processi di automatizzazione dello scaffale (prezzi dinamici, archivi e gestione dell’inventario) e innovativi servizi di marketing contactless, come self-scan per pagare, servizi di geolocalizzazione, merchandising dinamico, identificazione dei clienti e offerte mirate in tempo reale. SES fornisce in questo modo un contributo decisivo alla convergenza dei mondi fisici e digitali e alla nascita di un vero commercio multicanale (vd il nostro video).

“Siamo molto felici che le nostre soluzioni siano state apprezzate dalla giuria del World Smart Week Awards. Questo premio rinforza le decisioni strategiche intraprese negli anni scorsi per garantire ai nostri clienti soluzioni integrate, connesse e orientate al consumatore. Considerando la posta in gioco per l’industria della grande distribuzione, questo tipo di soluzione costituisce la pietra angolare per il successo della trasformazione digitale del commercio in-store” ha commentato: Thierry Gadou, CEO di Store Electronic Systems.

Carne di maiale contaminata in UK: troppi antibiotici negli allevamenti europei

Si chiama MRSA, Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, la più recente emergenza sanitaria europea proveniente dal mondo animale. È un superbatterio resistente agli antibiotici che sta dilagando negli allevamenti di suini del nord Europa. Infettando non solo chi lavora a contatto con i suini, ma anche i prodotti che arrivano sugli scaffali della GDO. In Danimarca alcuni test hanno evidenziato come il 20% dei prodotti suini sarebbero contaminati, nel Regno Unito in un test promosso dal quotidiano Guardian ed effettuato da un’Università danese, su 100 prodotti prelevati dalle principali catene britanniche 9, venduti da Co-operative, Sainsbury’s, Tesco e Asda, sono risultati contaminati dal batterio MRSA.
Il problema sanitario va ben oltre le eruzioni cutanee anche gravi che alcune persone hanno sviluppato (in genere lavoratori di allevamenti, ma non solo), e la contaminazione dei prodotti che secondo le autorità sanitarie non sarebbero direttamente legati allo sviluppo della malattia, e riguarda la resistenza agli antibiotici, che secondo l’OMS, organizzazione mondiale della Sanità, entro il 2050 potrebbe provocare più morti dei tumori, causate da infezioni non più curabili dai farmaci che oggi usiamo, e che sono utilizzati pesantemente negli allevamenti. La drastica riduzione del loro utilizzo è l’unico modo per arginare il problema.

Da qui l’idea di alcune associazioni di applicare un’etichetta sulla carne in vendita che certifichi l’assenza di somministrazione di antibiotici durante la vita dell’animale. Un mezzo che segnalerebbe, indirettamente, un allevamento più sano e sostenibile. Secondo alcuni attivisti però la creazione di un’etichetta “non trattato con antibiotici” rischierebbe di creare un’oasi protetta (un po’ come il biologico) per carni a prezzi rialzati, mentre la maggior parte dei consumatori continuerebbe ad acquistare prodotti low cost, senza affrontare direttamente il problema. Non sarebbe tanto l’uso di farmaci, quando necessari e se prescritti da un veterinario, che andrebbe sanzionato, ma il loro impiego indiscriminato e preventivo “a pioggia” su tutti gli animali diffuso negli allevamenti intensivi, sovraffollati e dove le condizioni igieniche sono estremamente carenti.

Il problema non è evidentemente arginato al Nord Europa, per due motivi. Innanzitutto, la metà delle carni suine utilizzate in Italia è importata. Inoltre, come ha detto al Guardian Dan Jørgensen, ex ministro dell’agricoltura danese, “ogni Paese con allevamenti di suini ha questo problema: solo che non sanno quanto sia grande”. E l’Italia non è certo esente dall’uso massiccio di antibiotici, segno che esistono problemi sanitari, spesso derivati da condizioni di allevamento insostenibili, come quelle denunciate da Animal Equality in alcuni allevamenti del nord Italia. È la stessa ministra della Salute Beatrice Lorenzin a dichiarare che “Il dato sull’uso degli antibiotici è alto nei nostri allevamenti”. Il ministero ha anche fornito questi dati: oltre 10 milioni di suini sono allevati nel nostro Paese e 137.851 sono gli allevamenti di maiali censiti. Infine, all’Italia è stata assegnata la “maglia nera” nella resistenza agli antibiotici, causata da un loro uso spesso indiscriminato, nell’uomo e negli animali. La resistenza all’MRSA, in particolare, in Italia ha percentuali da primato europeo, superiori al 38%.

Il regolamento europeo entrato in vigore ad aprile che obbliga ad indicare in etichetta anche della carne suina, ovina, caprina e avicola la nazione d’origine, oltre al nome dello stato dove è stato allevato e macellato l’animale, è certamente un passo avanti, ma il problema vero è che gli allevamenti infetti non sono tracciati in alcun modo. Due giornalisti danesi che hanno investigato sull’industria della carne suina sono stati denunciati per “violazione della privacy”. Non solo, l’etichettatura dell’origine non riguarda le carni lavorate come i salumi.

Un problema, quello degli allevamenti intensivi e dell’uso di antibiotici, che riguarda non sola la carne suina ma anche quella avicola. Secondo il rapporto ECDC/ EFSA/ EMA 2015 in Italia consumiamo per uso animale tre volte la quantità di antibiotici della media europea.

Il ritorno ad allevamenti più “artigianali” e “umani”, che tengano conto della salute e – per quanto possibile – del benessere degli animali, e diminuiscano le probabilità di ammalarsi sarebbe secondo molto la soluzione. Un passo che porterebbe ad avere una carne sicuramente più cara, ma presumibilmente più sana. Sullo sfondo, c’è un consumatore sempre più preoccupato della salute e dell’origine della carne che acquista, come rivelato da una ricerca SWG recentemente pubblicata (vd I consumatori e la carne in un’indagine Swg a Eurocarne).

 

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