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I consumatori del post Covid secondo Tiendeo.it

Pandemia e lockdown: sorgono nuove priorità e abitudini d’acquisto diversificate, più improntate all’online.

Tiendeo.it si è occupata di analizzare il nuovo consumatore evidenziando alcune peculiarità.

Cosa è cambiato

La società ha sete della cosiddetta “nuova normalità” ed è per questo che la graduale riapertura  insieme all’arrivo del bel tempo ha causato una trasformazione delle sue priorità, aumentando le ricerche di offerte online (nella prima settimana di apertura). Le ricerche online su Tiendeo sono aumentate del 28% e categorie come arredamento e casalinghi (19%), elettronica e informatica (14%) e giardino e brico (9%) ora raggiungono le prime posizioni. D’altra parte, diminuiscono frequenze, tempi, distanze e modificano persino i normali canali di pianificazione e acquisto.

Secondo un primo rapporto di Tiendeo su come il COVID-19 ha influenzato il comportamento di acquisto, il numero di visite ai supermercati si è ridotto del 22% passando da una media di 4,5 a 3,5 uscite mensili e il tempo trascorso nei negozi è aumentato a 35 minuti, rispetto ai precedenti 33 minuti (+6%). Allo stesso modo, il fatto che gran parte della popolazione lavori in smart working ha influenzato sia i giorni scelti che le fasce orarie: le uscite infrasettimanali diventano le preferite, sostituendo quelle del sabato, e si concentrano tra le 9.00 e le 11.00 del mattino, invece che distribuirsi tra le 10.00 e le 12.00 e le 16.00 e le 18.00. Altro dato interessante è quello relativo al raggio di percorrenza, che durante la quarantena diminuisce notevolmente (-42%): da 4,5 a 2,6 km. Sebbene si tratti di uno scenario in cui il canale online ha acquisito una grande forza nei diversi momenti della customer journey in quanto è il più accessibile (o addirittura unico) nelle circostanze, è anche vero che gli stabilimenti fisici hanno continuato a essere i prescelti per la maggior parte degli acquisti alimentari. Tuttavia, le distanze sono state ridotte, dando priorità ai negozi più vicini a casa e mettendo così in scacco la fedeltà depositata (prima del COVID-19) nei supermercati e ipermercati di fiducia che dovranno lottare per recuperare nei prossimi mesi consensi e clienti.

Maggiore pianificazione

Partendo dal presupposto che il futuro del settore è qualcosa di totalmente incerto, il nuovo consumatore che sta nascendo da questa crisi pianifica i suoi acquisti in modo più coscienzioso prima di recarsi nei negozi, con il fine di contenere i costi, come risultato della crisi economica, e per paura di una possibile recessione. Di conseguenza, sarà anche più sensibile alle promozioni e alle offerte che marchi e aziende mettono a loro disposizione. Inoltre, benché fosse evidente che internet avrebbe acquisito sempre più importanza nel processo di acquisto nei prossimi anni, ciò che era impossibile prevedere era quanto rapidamente ciò sarebbe accaduto. Stiamo assistendo a una iperdigitalizzazione della società a un ritmo rapido. Il coronavirus sta accelerando l’arrivo di quello che doveva essere il futuro del retail. Di fronte a un ambiente così mutevole infatti, il settore del retail si trova a svolgere un’attività di analisi continua per di conoscere le nuove esigenze e il comportamento dei clienti ed essere al loro fianco in ogni momento. Il canale online a questo proposito diventa l’alleato perfetto per ottenere una profonda conoscenza della customer journey grazie ai Big Data ottenuti dalle ultime tecnologie. È essenziale per i retail un’alta adattabilità e un miglioramento delle loro risorse online ripensando la propria strategia media, dove il marketing digitale sarà essenziale sia per continuare a generare vendite sia per ottenere la fedeltà dei potenziali clienti, modificatasi durante la quarantena. Dopo questa crisi, i retail che hanno saputo reinventarsi e orientare le loro strategie di comunicazione e marketing verso il digitale saranno i vincitori.

La sfida dell’online

“È una crisi che ha rappresentato per i retailer molteplici sfide, che si sono trasformate in grandi opportunità per stare più vicini ai propri clienti, apportando un valore aggiunto. Questo è questo il momento di provare e sperimentare nel canale online, se si vuole uscirne fortificati” afferma Jaume Molins, Country Manager Italia.

Questo significa che i retailer dovranno adattare all’online le proprie forme di comunicazione e vendita, prediligendo i cataloghi digitali rispetto a quelli cartacei, questi ultimi da sempre considerati arma vincente della GDO. Si tratta non solo di una scelta sostenibile dal punto di vista ambientale, ma che permette maggiore agilità e un ipersegmentazione, così da raggiungere un target locale in modo preciso piuttosto che in forma massiva, contenendo i costi. Ora che il consumatore non smette di informarsi online e scopre i vantaggi di fare provviste attraverso e-commerce, il marketing digitale si afferma più che mai come strumento fondamentale per aumentare le vendite e fidelizzare i propri clienti.

Fase 2: meno tempo per la TV. Sempre bene il digitale. I dati GfK

Dopo TV e divano (“ingredienti” principi durante il lockdown), nella Fase 2 gli italiani tornano progressivamente alla normalità. Senza però rinunciare al Digitale (già star durante la “clausura”), che continua la sua corsa, anche tra i Boomer. Ecco quanto emerge da GfK Sinottica, l’indagine single source che permette di analizzare i consumatori in tutti gli ambiti dell’agire e che ne monitora i comportamenti reali di consumo.  

L’evoluzione dei comportamenti

I dati GfK Sinottica mostrano come nelle prime settimane della crisi e durante il lockdown il tempo speso davanti alla TV sia aumentato in maniera significativa: +18% rispetto al periodo antecedente l’inizio dell’epidemia. Gli italiani si sono rivolti alla TV per cercare informazioni su COVID-19, ma anche per intrattenersi nel lungo periodo passato in casa. Ancora più significativo l’incremento di tempo dedicato alla TV tra i più giovani, con un +24% della Generazione Z tra il 21 febbraio e il 3 maggio.

Con la Fase 2 le cose sono però cambiate: dalle rilevazioni emerge infatti, che nella prima settimana di maggio il tempo speso davanti alla TV è cresciuto del +1% e nella seconda settimana del +3%, tornando quasi ai livelli precedenti l’emergenza Coronavirus. Una normalizzazione delle abitudini di fruizione che è dovuta probabilmente al ritorno al lavoro di molte persone e più in generale alla possibilità di uscire dalla propria abitazione. Il trend è ancora più marcato per la Generazione Z (14-24 anni) che nella seconda settimana di Fase 2 ha visto diminuire del -3% il tempo speso davanti alla TV.

Il Digitale continua a cresce

Tra smart working, didattica a distanza e video aperitivi, durante il lockdown il Digitale è entrato a far parte in maniera significativa della vita quotidiana degli italiani. I dati GfK Sinottica mostrano come il tempo dedicato agli strumenti digitali sia cresciuto del +25% nel periodo compreso tra il 21 febbraio e il 3 maggio 2020. Le persone hanno utilizzato il Digitale per informarsi, per fare la spesa, per lavorare, per socializzare e anche per intrattenersi, sviluppando nuove abitudini che sembrano destinate a continuare anche nella Fase 2.

Infatti, il tempo speso per tutti gli strumenti digitali è cresciuto ancora del +20 nella settimana tra il 4 e il 10 maggio e del +24 tra l’11 e il 17 maggio. Questo incremento si riscontra anche nelle fasce più mature della popolazione, quelle che prima dell’emergenza Coronavirus avevano meno familiarità con il Digitale. Ad esempio, tra i Baby Boomer (55-74 anni) la crescita è stata del +26% nelle prime settimane di emergenza e durante il lockdown. Anche in questo caso la crescita continua anche nella Fase 2, con un +24% nella settimana compresa tra l’11 e il 17 maggio.

Nota metodologica

GfK Sinottica è un’indagine single source basata su un campione rappresentativo di italiani con più di 14 anni. I dati contenuti in questo comunicato si riferiscono al periodo compreso tra il 21 febbraio e il 17 maggio 2020 e sono stati raccolti quotidianamente, in maniera continuativa con metodologie passive (Meter e Software Tracker). Tutti i trend si riferiscono al confronto con il periodo precedente l’inizio della crisi Coronavirus (27 gennaio – 20 febbraio 2020).

Il retail ricomincia dalla digital transformation

Il retail deve ricomniciare in sicurezza. Per dar voce a questa esigenza, il Gruppo Masserdotti, per ciascuna delle tre business unit, si è attivato fin dall’inzio dell’emergenza sanitaria, per mettere al più presto a disposizione  varie novità.  A partire Health (lanciato dalla divisione Dominodisplay)inedita linea di soluzioni multimediali che mette a disposizione di retailer ed esercenti totem multimediali integrati con dispositivi di sicurezza che vanno dal gel disinfettante alla misurazione della temperatura corporea e dell’afflusso di utenti.

“Grazie a questi strumenti i negozi avranno la possibilità, non solo di gestire in modo più efficace la comunicazione relativa alle norme di sicurezza, ma potranno trasformare il punto vendita in un luogo di esperienza nuova, integrando il digital signage con le proprie piattaforme online”, spiega Alberto Masserdotti, AD dell’omonimo Gruppo.

“L’offerta si sviluppa su più livelli, partendo dall’upgrade di dispositivi già installati con le nuove funzionalità, fino alla proposta di sistemi stand alone, acquistabili direttamente sullo shop online. Soluzioni tecnologiche che rispondono efficacemente sia alle esigenze dei piccoli negozi, sia a quelle di progetti enterprise come catene della GDO, centri commerciali e fiere, dove la nuova necessità di distanziamento sociale ha contribuito ad accelerare il processo di digital transformation”, prosegue Masserdotti.

Tecnologie all’avanguardia che possono essere abbinate a soluzioni analogiche firmate dalle altre due divisioni aziendali: Masserdotti per la stampa digitale e Onframe per il Soft Signage. “Per Masserdotti abbiamo creato in pochi giorni un e-shop dedicato dove acquistare lo speciale ‘Kit di riapertura’ appositamente studiato per retail, GDO e pubblici esercizi”. Il kit comprende proposte che vanno dai classici totem ai minitotem porta dispenser per gel disinfettante, dai separatori mobili in plexiglass alle barriere anti droplet da banco cassa, fino ai floor stickers, applicazioni adesive da pavimento per il distanziamento sociale, best seller per la comunicazione in stazioni e aeroporti.

Soluzioni in chiave planet friendly sono inoltre quelle messe a punto da Onframe, la divisone del Gruppo a cui fa capo il primo e unico portale verticale per la realizzazione on demand di frame e lightbox personalizzabili. La gamma è stata arricchita con innovative barriere con cornice in alluminio anodizzato e telo trasparente, disponibili in versione da terra o da scrivania e customizzabili nelle dimensioni grazie all’esclusivo configuratore online. Estremamente pratiche e semplici da installare anche dai non addetti ai lavori, le barriere by Onframe sono soluzioni modulari riutilizzabili anche a fine emergenza come strumento di comunicazione, semplicemente sostituendo il telo trasparente con un tessuto green personalizzabile online con grafiche e immagini a scelta.

Fase 2: le 5 strategie per far ripartire il retail dal digitale

Lo stop imposto alla maggior parte delle attività commerciali offrirà una grande opportunità di digitalizzazione alle strategie retail. A sostenerlo è uno studio di THRON, piattaforma enterprise per la gestione intelligente di contenuti e prodotti.  Il whitepaper completo “Perchè il retail ha bisogno del digitale” è disponibile online .

 

Le 5 strategie

Il ruolo del punto vendita e dei grandi shopping center è destinato a cambiare: passeremo da un commercio di massa a un approccio “su misura” più efficiente. Ecco 5 strategie che aiuteranno il mondo retail a ripartire dal digitale:

EMPOWERMENT DELLE FORZE DI VENDITA

Conoscere in anticipo i comportamenti digitali del consumatore (ad esempio le caratteristiche di prodotto comuni alle sue visualizzazioni sul catalogo digitale o altri canali online) consente al personale in-store di costruire un servizio di vendita su misura, in grado di offrire prodotti in linea con le richieste, anche se non espresse direttamente. Il grado di personalizzazione può raggiungere anche livelli molto alti se l’utente condivide volontariamente, ad esempio, i propri dati di geolocalizzazione. Questo permetterà di individuarlo quando arriva in store, offrendogli consigli tailor made, basati sui propri dati di fruizione dei canali digitali.

– DESIGN DEL PRODOTTO

Quelli che fino a poco fa erano i semplici “destinatari” delle campagne di marketing e comunicazione, oggi possono contribuire al co-design. Questo consente di migliorare i dettagli in-store in chiave personalizzata. Ad esempio, l’AI è in grado di riconoscere il colore dominante dei contenuti. In questo modo se l’azienda vede che gli utenti che acquistano un determinato prodotto amano interagire con contenuti di un determinato colore può presentare loro un packaging ad hoc o rivedere singoli dettagli personalizzabili (es. varianti di colore).

– ASSORTIMENTO DEI PRODOTTI

Dai contenuti arrivano spunti utili anche per strategie di disposizione dei prodotti più efficaci. Se nella navigazione sul sito gli utenti hanno privilegiato i contenuti relativi a certe linee di prodotti questi dati si rivelano utilissimi per decidere l’assortimento dei prodotti in-store. Il prodotto più apprezzato si guadagna di diritto un posto di primo piano sullo scaffale.

– UPSELL/PROMOZIONI

L’analisi dei contenuti è in grado di rilevare, tra le altre cose, le sequenze di visualizzazioni/acquisto più frequenti. Se l’azienda scopre che rossetto+lucidalabbra sull’online è un’accoppiata vincente, la può riproporre anche sul fisico con promozioni che le congiungono.

– SCELTA DI TESTIMONIAL/INFLUENCER

L’AI, tra le altre cose, è in grado di rilevare anche le figure rilevanti per il marchio. Se nella fruizione vengono privilegiati i contenuti con protagonista un certo atleta o una figura dello star system, è possibile individuare quali sono i testimonial più rilevanti per un brand e i suoi prodotti.

Il commercio potrà ripartire dopo questo momento critico, se saprà cogliere la grande opportunità offerta dal digitale. Durante il lockdown, le interazioni con i brand si sono spostate unicamente online e oggi abbiamo a disposizione un patrimonio consistente di dati che ci racconta molto sui nostri clienti finali. Sarà un’occasione unica per progettare esperienze sempre più rilevanti in uno scenario retail completamente ridefinito.”, commenta Antonio Comelli, Marketing Manager di THRON.

THRON: la forza dei dati

THRON accentra su un unico hub la gestione di foto, video, testi e prodotti, li distribuisce su diversi touchpoint (sito, NL, app, etc) e ne misura le performance grazie all’AI, per mostrare agli utenti ciò che corrisponde ai loro interessi. Attraverso Content Platform di questo tipo, non è solo possibile preservare la coerenza del brand sui canali online. Le enormi quantità di dati di queste settimane possono diventare, grazie alla Content Intelligence, una miniera di informazioni fondamentale per conoscere meglio i clienti e per orientare anche la produzione, le strategie espositive in-store e altri aspetti della filiera di vendita. Fattori che si riveleranno particolarmente critici al momento di riguadagnare la fiducia dei consumatori e affrontare le incognite della riapertura dei punti vendita, suggerite dai trend della Cina post emergenza. Se da una parte si assiste al fenomeno del “revenge spending” manifestato da molti consumatori, dall’altra negozi e centri commerciali stanno registrando meno del 50% dei clienti, secondo i dati di Walmart.

 

Fase 2, riaperture e distanziamento: che confusione! L’indagine Facile.it

L’Italia ha ufficialmente “riaperto”, molti ristoratori ma gli italiani sono pronti a tornare a pranzare e cenare fuori casa? La maggior parte, purtroppo, no. Secondo l’indagine realizzata per Facile.it da mUp research e Norstat su un campione rappresentativo della popolazione nazionale adulta, più di un intervistato su due (54,5%) ha dichiarato che, almeno nella prima settimana di riapertura, non mangerà fuori casa perché non si sente sicuro; il 22% è ancora indeciso e il 10,3% continuerà ad utilizzare la modalità di asporto o consegna a domicilio. Insomma, nonostante le fatiche di molti ristoranti, pizzerie e pub, sembra che solo il 13,3% degli italiani tornerà subito a mettere le gambe sotto al tavolo.

Le principali evidenze

Ma il dato forse ancor più preoccupante, si legge nell’indagine, è che questa scelta non sembra essere momentanea ma pare corrispondere ad un cambiamento di abitudine più radicale. Alla domanda “Con quale frequenza, rispetto a prima dell’emergenza coronavirus, crede che andrà a pranzo o a cena in un ristorante, una pizzeria o un pub da qui alla fine del 2020?” solo il 21,6% degli intervistati ha dichiarato che ci andrà con la stessa frequenza di prima; il 60,4%, pari a quasi 26,5 milioni di italiani, ha invece ammesso che ci andrà meno spesso di prima, mentre il 16,8% addirittura non ci andrà proprio.

A cambiare maggiormente abitudini sembra saranno i più anziani; nella fascia di età compresa fra i 65 ed i 74 andranno al ristorante/pizzeria meno di quanto facessero prima dell’emergenza il 63,2% dei rispondenti, e ancora meno (64,8%) coloro che hanno una età compresa fra i 55 ed i 64 anni.

Distanziamento sociale

Altro tema affrontato dall’indagine è stato quello del distanziamento sociale; se, a livello generale, la quasi totalità della popolazione afferma di aver chiaro il concetto (solo l’1,2% dei rispondenti ha ammesso di non sapere o non essere sicuro di sapere cosa sia), approfondendo il tema emerge che sono oltre 29,5 milioni gli italiani che hanno ancora le idee confuse sulle distanze da mantenere in alcuni dei più comuni contesti quotidiani.

Analizzando le principali situazioni comuni e luoghi pubblici, quelli in cui i rispondenti sembrano avere le idee meno chiare sono la spiaggia (il 32,4% dichiara di non sapere con certezza quale sia la distanza corretta da rispettare), i negozi di parrucchieri o saloni di estetica (31,5%), i mezzi pubblici (23%) e quelli privati come auto e moto (20,6%); ma il dato che forse più di tutti preoccupa è quello relativo alla distanza corretta da osservare nei giochi fra bambini; in questo caso, oltre la metà dei rispondenti (il 50,9%) ha dichiarato di non sapere quale sia il comportamento corretto da tenere.

Se non si conoscono le distanze da mantenere, difficilmente si possono rispettare; sono molti i rispondenti che hanno ammesso di non essere sicuri di riuscirci o, peggio, di sapere già da ora che non lo potranno fare. Ancora una volta il caso più critico è quella dei giochi fra bambini, una situazione nella quale 1 rispondente su 2 (50,2%) ha dichiarato che difficilmente riuscirà a rispettare le indicazioni di sicurezza. Ma sono molti coloro che faranno fatica ad attenersi al distanziamento sociale anche in altri contesti comuni, ad esempio, sui mezzi pubblici (32,5%) e in spiaggia (30,1%).

I ristoratori

L’indagine ha poi voluto affrontare il tema del distanziamento sociale e delle riaperture dal punto di vista degli esercenti della ristorazione; se, come detto, a livello nazionale solo l’1,2% ha dichiarato di non sapere o di non essere sicuro di sapere cosa sia il distanziamento sociale, guardando le risposte fornite alla stessa domanda dal campione di ristoratori coinvolto nell’indagine, la percentuale arriva addirittura al 13%.

E se poi si entra nel dettaglio delle distanze che devono essere garantite all’interno del proprio locale, la percentuale degli esercenti che non sanno o non sono sicuri di sapere arriva al 19%; un dato preoccupante se si considera che sono proprio loro a dover applicare le regole per garantire il corretto distanziamento tra i clienti. Va detto che la rilevazione è stata fatta prima della pubblicazione del DPCM, pertanto non vi erano ancona notizie certe riguardo le distanze definitive cui attenersi.

Molti non hanno riaperto e alcuni non lo faranno più

Nonostante le oggettive difficoltà, gli esercenti della ristorazione stanno facendo di tutto per ripartire e hanno già messo in atto moltissime, e sovente costosissime, azioni per adeguarsi alle direttive nazionali.

Tra le più comuni, l’86% dei rispondenti ha detto di aver dotato il proprio personale dei necessari dispositivi di protezione individuale (mascherina FFP2 e guanti monouso), l’81% ha riorganizzato gli spazi interni del locale, il 72% ha dovuto procedere a modifiche della capacità ricettiva, il 71% ha dotato il proprio ristorante di dispenser automatici per l’erogazione di gel disinfettante.

Pochi, per ora, coloro che hanno optato per l’installazione di separatori in plexiglass (24%) e ancora meno i rispondenti che hanno previsto la misurazione della temperatura corporea dei clienti prima dell’ingresso al locale (17%). Solo il 6% degli intervistati dichiara di non aver ancora intrapreso alcuna azione.

Nonostante tutti questi sforzi, però, la situazione rimane molto preoccupante e il 22% degli esercenti intervistati pensa di non riuscire o comunque non è certo di riuscire, nel proprio locale, a rispettare le distanze malgrado le misure adottate.

 

Igiene a portata di bambini in bar, ristoranti, negozi e parchi

In vista di una graduale riapertura delle attività commerciali e dei parchi, Eurostands, azienda brianzola leader nel settore degli allestimenti fieristici, ha lanciato COVISTOP T Sanitizer Kids, un distributore automatico di gel igienizzante pensato per i bambini.

Grazie al design semplice e lineare e a un linguaggio chiaro ed efficace, la colonnina colorata dialoga con i bambini aiutandoli a capire l’importanza di un gesto semplice, come quello dell’igienizzazione delle mani, destinato a diventare parte della loro nuova routine quotidiana.

“Utilizzare i gel igienizzanti, disponibili all’ingresso e all’uscita di supermercati e negozi – commenta l’amministratore delegato di Eurostands Maurizio Cozzani  – è centrale per tutelare la salute della collettività, ma spesso i distributori si trovano ad altezze non raggiungibili per i bambini, anche in luoghi da loro frequentati come librerie e negozi di giocattoli. Da qui l’idea di rivolgersi anche ai più piccoli con prodotti ad hoc in grado di dialogare con loro e rendere più facile e divertente lo svolgimento delle numerose pratiche da seguire”.

COVISTOP T Sanitizer Kids è composto da un montante in legno e un basamento in acciaio, che lo rendono stabile e sicuro. L’apparecchio è dotato inoltre di un meccanismo automatico a fotocellula che permette di dosare il prodotto secondo le necessità dei più piccoli. Il cartonato in forex stampato permette di rivolgersi ai bambini con un linguaggio semplice e chiaro.

Design International Foundation: così ripensiamo gli spazi di socializzazione

Dal Covid-19 in poi (e chissà per quanto) il distanziamento sociale avrà un impatto a lungo termine sull’architettura e sulla progettazione di qualsiasi edificio che serva la propria comunità come luogo di incontro. Come i Centri Commerciali, per esempio. E’ per questo che la Design International Foundation sta collaborando con Design International per sfruttare la sua esperienza nella progettazione di Food Court e identificare delle soluzioni al problema più urgente: come adattare ciò che di solito è progettato per essere un’area affollata e vivace alle esigenze del distanziamento sociale, senza perdere l’attrattività e il divertimento che caratterizzano i luoghi di aggregazione?

“Poiché i luoghi di ospitalità, shopping, ristorazione e intrattenimento stanno gradualmente riaprendo le porte al pubblico, la chiave è massimizzare la sicurezza dei visitatori, senza compromettere l’esperienza del cliente e il coinvolgimento della comunità” commenta Gianluca Gerosa, Presidente in pectore  di Design International Foundation.

L’iniziativa è pensata per fornire una consulenza e degli schemi distributivi, creati dai team di Design International che lavorerà con i proprietari dei Malls per definire dei layout conformi al distanziamento sociale nelle Food Court di loro proprietà. Facendo propri la responsabilità sociale e i valori etici della Fondazione, Design International contribuirà con 300 giorni di progettazione gratuiti – l’obiettivo è produrre layout per 300 Food Court in 300 giorni; il numero non è casuale in quanto rappresenta i progetti realizzati da Design International nel corso dei suoi cinquantacinque anni di storia, una sorta di restituzione e ringraziamento al settore.

“Apprezziamo molto le relazioni strette che abbiamo instaurato con i nostri clienti nel tempo”, afferma Davide Padoa, CEO di Design International. “Questo è il motivo per cui sentiamo che dopo aver condiviso così tanti anni di progetti innovativi, visioni e collaborazioni produttive, è tempo di restituire qualcosa al settore. I nostri team di Londra, Milano, Shanghai e Dubai sono pronti a fornire un aiuto a qualsiasi proprietario in cerca di supporto in questo momento di crisi”.

Food Court Remastered è disponibile per tutti i proprietari di Malls dal 12 maggio 2020 all’indirizzo www.designinternational.com/giveback.

Covid-19: europei un po’ più tranquilli ma ancora stressati

Il Covid-19, non si è diffuso in maniera omogenea, né con la medesima tempistica. Ciò ha portato a reazioni diversificate da parte dei cittadini dei vari Paesi. Initiative, network di comunicazione internazionale, ne ha tracciato una mappa nella ricerca Covid-19 Impact

Dall’indagine è essenzialmente emerso come in tutti i Paesi coinvolti ci sia uno spirito di adattamento alla situazione molto forte – con un picco della Francia con il 62%. C’è collaborazione e impegno nel voler superare l’emergenza. Ma c’è anche tanta ansia per come sarà il domani. Una nota da sottolineare rispetto all’Italia è che il 15% degli intervistati dichiara di sentirsi un po’ più ottimista rispetto all’inizio perché “si vede la luce alla fine del tunnel”. La società sta pian piano scorgendo una via d’uscita dall’emergenza covid-19 e c’è una comune percezione che la situazione stia lentamente ritornando alla normalità. Accanto a questi dati, emerge anche uno stress non indifferente con cui le persone stanno facendo i conti: il 36% degli italiani di dichiarano di essere stressati dalla situazione, il 38% in UK, il 43% in US e in Francia il 45% delle persone si sentono stressate da quanto accade. In Italia questo dato è controbilanciato dagli effetti positivi del lockdown. Questo sta ad indicare che al progredire della pandemia, la gente si adatta a quanto sta accadendo anche con una nuova routine giornaliera. Il sentimento comune è il pensiero alla normalità, ad un ritorno alle nostre abitudini che abbiamo dato per scontate.

Come sono cambiate le loro giornate? La nostra routine quotidiana è stata completamente rivoluzionata: prendiamo meno i mezzi, non andiamo in luoghi pubblici, le nostre uscite sono limitate nonostante in Italia siamo passati alla Fase 2. Abbiamo ridefinito il nostro stile di vita in termini di strategie d’acquisto, gestione del tempo, cultura. Le strategie di acquisto sono mutate, le persone hanno ridotto l’acquisto di pacchetti vacanze, viaggi e abbigliamento. Lo shopping è prevalentemente via web e focalizzato sulla spesa e i prodotti di prima necessità in genere. Il cibo è la base che guida i nostri acquisti online, si evidenzia un nuovo target di persone che non era abituato a questa modalità di acquisto. Stiamo utilizzando il nostro tempo per svolgere attività inusuali, soprattutto ci si dedica al bricolage, ma anche al “fai da te” e, più in generale, a fare cose nuove, come dichiarato dal 15% degli italiani e degli inglesi. Questi ultimi si dedicano per il 25% all’allenamento, in Italia il 22%, in Francia il 21% e US solo il 20%. In una prima fase, in tanti si sono dedicati all’esercizio fisico a livello globale, ma in tutti i Paesi si è registrato un calo nella pratica dello sport, soprattutto in Italia. Proprio gli italiani sono il popolo che più si sta preoccupando di curare la salute attraverso l’alimentazione – il 21% – rispetto agli altri Paesi coinvolti. Per quanto riguarda la cultura, non essendoci più occasioni di socialità, gli italiani hanno scelto i balconi per comunicare e trovare un momento di condivisione. Questo era valido soprattutto in un primo momento della pandemia in Italia, ora meno. Initiative ha rilevato che gli italiani trascorrono sempre più tempo connessi ai propri dispositivi, le persone stanno molto più collegate ai loro smartphone e pc – soprattutto per via dello smart working – fruendo dei servizi di smart Tv e quant’altro. Il 54% degli italiani sente di essere fortemente connesso, gli inglesi per il 49%, la Francia si ferma al 45% e UK al 38%. Questo soprattutto per informarci e per leggere le news, oltre che per coltivare le relazioni che non possiamo intrattenere di persona. La ricerca evidenzia un incremento del consumo digitale, ma anche più relazioni familiari seppur in forma virtuale. Inizialmente anche il tempo trascorso in famiglia sembrava uno sforzo per via delle nuove abitudini familiari, nella gestione degli spazi ecc. ma con il tempo ci si è abituati anche a questo, anzi si sono riscoperti aspetti che erano passati nel dimenticatoio. Nella fase 2 le persone stanno riscoprendo modi e strumenti per migliorare la nuova routine quotidiana messa a punto dall’inizio della pandemia.

Cosa ci fa stare meglio?

Il 24% degli italiani ritiene di sentirsi meglio nell’essere aggiornati attraverso le news, il 17% in UK, il 15% in US e 14% in Francia. L’aggiornamento costante ha un effetto calmante per chi vive in Italia, insieme alla rassicurazione derivante dall’attivismo e alla presenza delle aziende private.Ancora, il 22% degli italiani dichiara che sentir parlare del contributo delle aziende e di come si siano attivate e riorganizzate in questo periodo per dare il loro contributo, è rassicurante. Il ruolo dei brand in questo momento è importante perché ha un certo peso nella vita e nel percepito delle persone. Le persone sono in un momento di fragilità e insicurezza e gran parte degli acquisti non sono più una priorità per cui per loro, qualunque comunicazione dovrebbe parlare sempre meno della marca e del prodotto ed impegnarsi in un aiuto concreto al crescere dell’emergenza. Il ruolo di un brand deve essere preciso e tangibile e assolutamente al di sopra di qualunque guadagno commerciale. In questo momento le persone vogliono avere i brand al loro fianco attraverso la comunicazione oltre che con iniziative solidali, si aspettano campagne pubblicitarie in grado di generare sentimenti di positività, felicità e sicurezza.

I marchi che cercano di inserirsi in modo improprio nelle conversazioni e nel dibattito attuale con l’evolversi della crisi e il lockdown arrivano alle persone in modo negativo – 41% in UK, 31% in US, 23% in Italia e 16% in Francia. L’approccio alla comunicazione deve tenere in considerazione il pensiero delle persone anche se la direzione è diversa rispetto al modo di comunicare a cui eravamo abituati prima che il covid-19 entrasse a far parte delle nostre vite

Metodologia della ricerca

Covid-19 Impact ha coinvolto 4 Paesi europei: US, UK, Francia e Italia ed è stata condotta in modalità CAWI.

Lockdown: come cambiano le abitudini degli italiani. L’analisi Facile.it

Il lockdown ha costretto milioni di italiani a stare in casa e di conseguenza a cambiare le proprie abitudini, non solo di consumo ma anche di acquisto. Esempio eclatante, in questo senso, la riscoperta dei piccoli negozi di vicinato da parte dei nostri connazionali, evidenza che emerge dall’indagine che Facile.it ha commissionato all’istituto di ricerca mUp Research in collaborazione con Norstat*

Negozi di quartiere vs grandi supermercati

Come anticipato, il 19,7% degli italiani, corrispondenti a 8.655.000 individui, ha modificato le proprie abitudini di acquisto, riscoprendo i piccoli negozi di quartiere, preferendoli alle grandi catene; a scegliere i market sotto casa anziché spostarsi verso centri commerciali o grandi supermercati sono stati soprattutto i residenti nei grandi comuni (23,6% fra chi vive nelle città con oltre 250.000 abitanti), i rispondenti del Sud e delle Isole (24%) e quelli con età compresa tra i 55 e i 64 anni (24,3%).

Nello specifico, quasi 1 rispondente su 5 (18,3%), pari a più di 8 milioni di individui, ha cercato di sostenere i negozi del proprio quartiere attraverso le consegne a domicilio, percentuale che sale al 24% fra i rispondenti con età superiore ai 54 anni, cioè una fetta della popolazione corrispondente a poco meno di 3.150.000 individui.

Boom di donazioni e volontariato

L’indagine ha messo poi in evidenza come gli italiani si siano dedicati a sostenere chi era in difficoltà e lo abbiano fatto in molti modi diversi. Tra le attività cui gli italiani si sono dedicati maggiormente per aiutare le persone in difficoltà ci sono proprio libere donazioni e volontariato; il 17% dei nostri connazionali (7.450.000 individui circa) ha contribuito economicamente a raccolte fondi promosse da enti pubblici o soggetti privati. Ad averlo fatto sono soprattutto i giovani appartenenti alla fascia d’età 18-24 anni (21,3%) e le donne (18,8% vs 15% fra gli uomini).  

Le donazioni, tuttavia, non sono state solo economiche, ma anche di beni di prima necessità dati direttamente a persone in difficoltà. Hanno scelto questa via il 13,6% degli intervistati, pari a 5.945.000 individui, percentuale che sale al 19,1% fra i rispondenti con un’età compresa tra i 65 e i 74 anni, fino a raggiungere il 20,2% nel Sud e nelle Isole.

Secondo l’indagine, poi, il 14,8% degli italiani (6.500.000 persone) si è offerto di fare personalmente la spesa al posto di anziani, di chi si trovava in situazione di bisogno o, anche, non poteva uscire di casa; ad averlo fatto sono state soprattutto le donne (17,9% vs 11,6% fra gli uomini) e i rispondenti appartenenti alla fascia di età 45-54 anni (18,3%).

Bello notare come l’emergenza Coronavirus abbia dato nuova linfa anche al volontariato; sono quasi 1,4 milioni (3,2%) gli italiani che hanno cominciato a farlo presso enti o associazioni impegnate nell’emergenza, valore che raggiunge il 5,2% fra i rispondenti con un’età compresa tra i 45 e i 54 anni.

Altrettanto bello vedere come ci sia, poi, un modo tutto nuovo di aiutare; il 10,5% dei rispondenti, dato equivalente a più di 4,6 milioni di individui, ha dichiarato di aver contribuito a rendere più leggera la situazione mettendo gratuitamente a disposizione del prossimo le proprie competenze personali o professionali. In particolare, sono i liberi professionisti ad essersi dati da fare: il 16,4% di costoro ha offerto le proprie competenze, anche se a distanza; c’è chi ha fatto ripetizioni via chat per aiutare i ragazzi che si sono trovati a gestire da soli necessità scolastiche; idraulici che hanno guidato via web persone che nemmeno avevano mai visto per aiutarli a riparare rubinetti che gocciolavano o elettricisti che, attraverso una videochiamata, sono riusciti a risolvere piccoli e grandi problemi che si sono verificati nelle case di vicini o….lontani.

* Metodologia: n. 1.504 interviste CAWI ad un campione rappresentativo della popolazione adulta, in età 18-74 anni, sull’intero territorio nazionale. Indagine condotta ad Aprile 2020.

Covid-19, fase 2 e moda: arriva l’algoritmo salva- negozi

L’assunto è: “La crisi del comparto moda si è aggravata col Covid19, per uscire dall’emergenza deve finire la guerra tra e-shop e spazi fisici”. Parola di Bassel Bakdounes, inventore di un algoritmo salva fashion retail (in qualità di guida di Velvet Media), che si ripropone di rispondere ad un annoso quesito: “In che modo la comunicazione realizzata da un negozio fisico permette di vendere un capo di abbigliamento nello shop online della griffe?”

E’ qui che entra in scena l’algoritmo. Ma come funziona? Semplice: dà un valore numerico ad ognuna delle attività che i negozianti possono fare per promuovere un brand, dall’ampiezza della vetrina allo spazio riservato al capo di abbigliamento sugli scaffali, fino all’iconicità della location (il centro di New York vale di più di quello di un comune di periferia). A questo si uniscono altre variabili, come il prezzo, la tipologia della collezione e l’autorevolezza del marchio. Questi dati vengono geolocalizzati con app di proximity marketing ed elaborati attraverso centinaia di variabili.

Alla fine, come output l’algoritmo definito da Bakdounes genera un “numero magico”, ossia la percentuale di vendite online che un determinato negozio fisico genera solo con la propria presenza comunicativa sul territorio. Il ruolo che avrà questo algoritmo nel mondo del fashion sarà dirompente, la partita è quella di trovare soluzioni possibili per evitare l’apocalisse dei retail che è stata ulteriormente accelerata dal Coronavirus. Velvet Media ha infatti ribattezzato il cervello artificiale che genera il numero magico “algoritmo salva-negozi”.

“Abbiamo risolto il dilemma del rapporto tra vendite online e negli store fisici”, è entusiasta il titolare di Velvet Media, Bassel Bakdounes. “Abbiamo chiarito in termini matematici come dare un peso specifico ai retail, che in questo momento stanno soffrendo una delle peggiori crisi che il comparto abbia mai avuto. Stando alle prime simulazioni, il nostro algoritmo ha già dimostrato che un negozio fisico può valere fino al 30% delle vendite online perfezionate in quel territorio. Va detto però che nella maggioranza dei casi il valore non supera il 5%”.

L’algoritmo brevettato da Velvet Media si basa sulle più recenti tecnologie di geolocalizzazione, sulla valorizzazione dei big data e sulle innovazioni in fatto di proximity marketing. In pratica, controlla i movimenti delle persone (ovviamente in modo aggregato, senza violare la privacy) nell’area attorno ai negozi di riferimento. Questo permette alle marche di abbigliamento di capire come la sommatoria di attività di comunicazione svolte dal negoziante incida in modo reale sulle vendite nel web. Semplificando: se una persona passa dieci volte vicino al negozio e poi compera quel capo online, sicuramente serve riconoscere un merito economico anche al retail.

“La nostra divisione specializzata nel fashion adesso avrà di fronte una nuova sfida”, commenta Bakdounes. “Dovremo mediare tra griffe e retail, diffondere questi dati perché ognuno abbia ciò che gli spetta nella commercializzazione della moda. Le vetrine virtuali sul web senza i negozi fisici non possono sopravvivere, la sfida per il futuro è quella di riconoscere ai retail il valore economico che producono a favore della griffe in termini comunicativi”.

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