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Italiani esigenti su spese di spedizione, lo studio di Sendcloud

Sembra che gli italiani stiano diventando consumatori sempre più esigenti quando si parla di spese di spedizione. Secondo uno studio condotto da Sendcloud, la piattaforma di spedizioni e-commerce, eseguito su un campione di 7.873 consumatori di 8 Paesi europei, per il 94% degli italiani i costi di spedizione sono un aspetto fondamentale quando si effettua un ordine online ma il trend di spesa degli acquirenti è in calo rispetto al 2020. Tra i consumatori italiani infatti, a fronte di un ordine di 50 €, la spesa massima che sono disposti a pagare per la spedizione è oggi di soli 4,30 € e non vogliono scendere a compromessi sui servizi: la consegna veloce e la flessibilità sono infatti ancora considerate delle assolute priorità di spedizione.

I costi di spedizione sono un deterrente allo shopping online
I costi di spedizione rappresentano ancora un importante deterrente allo shopping online. Ben due terzi dei consumatori italiani (70%) abbandona il carrello nel momento in cui i costi di spedizione vengono ritenuti troppo alti. Ma cos’è “troppo alto”? La cifra che gli acquirenti sono pronti a pagare dipende molto dal valore dell’ordine. Nel 2020, su una spesa di 15,00 € il consumatore italiano era disposto a pagare fino a 4,00 €, mentre per un ordine di 150,00 € arrivava a 5,90 €. Oggi, a parità di prezzo, le cifre che gli italiani sono disposti a spendere sono scese rispettivamente a 3,30 € e a 5,60 €.

I consumatori hanno standard di consegna sempre più elevati
Dalla ricerca di Sendcloud emerge che nonostante i consumatori vogliano pagare meno per le spese di spedizione, hanno però ancora grandi aspettative sull’esperienza di consegna. Dopo i costi di spedizione (94%), i tempi di consegna (86%) e la flessibilità (81%) sono considerati gli elementi più importanti nel processo di consegna di un ordine. L’82% dei consumatori italiani vorrebbe avere anche la possibilità di selezionare la fascia oraria di consegna del proprio ordine, di poterla cambiare (70%) e di poter modificare l’indirizzo di consegna (64%) anche dopo che il pacco è stato spedito. E ancora, quando si tratta di richiedere la spedizione in giornata, i consumatori italiani vogliono poter effettuare l’ordine fino alle ore 16:42 e ricevere comunque il pacco il giorno stesso; a differenza della media dei consumatori europei che è disposta a ordinare al più tardi alle 13:54 per la consegna veloce. Seppur richiedano questi servizi premium, i consumatori italiani si aspettano però di ottenere tutto a un prezzo più basso, dimostrando così di avere alti standard di consegna e complesse esigenze di mercato.

In merito ai risultati raccolti, Rob van den Heuvel, CEO e co-fondatore di Sendcloud, ha dichiarato: “L’esperienza di spedizione è senz’altro uno degli aspetti più importanti quando si parla di e-commerce. Quando un pacco non può essere consegnato in tempo o i costi di spedizione sono troppo alti, i negozi online rischiano di perdere i propri clienti. Il fatto che i consumatori abbiano elevate esigenze di consegna e allo stesso tempo non vogliano spendere per i servizi premium, rende davvero difficile per i retailer più piccoli competere con i giganti dell’e-commerce come Amazon e Zalando. Per rispondere a queste nuove sfide di mercato ed acquisire e mantenere i clienti a lungo termine, gli e-commerce possono applicare una strategia multi-vettore che gli permetta di aumentare gli standard di servizio riducendo comunque i costi di spedizione”.

Metodologia della ricerca
L’E-commerce Delivery Compass è stato condotto da Nielsen su 7.873 partecipanti di 8 Paesi europei (Paesi Bassi, Belgio, Francia, Germania, Austria, Italia, Spagna e Regno Unito) nel giugno 2021. Il rapporto completo fornisce una visione delle nuove tendenze della logistica dell’e-commerce.

Per scaricare l’ebook gratuito, accedendo all’intera ricerca e scoprendo ulteriori dettagli sui trend di consegna europei, è sufficiente un clic qui.

Pandemia e mondo retail negli Stati Uniti: l’analisi di Medallia

Medallia, leader globale nella gestione della customer ed employee experience, ha diffuso “The Future of Retail Consumer Behavior”, un report che traccia i cambiamenti negli Stati Uniti del comportamento dei clienti nei loro processi d’acquisto. Il rapporto è stato realizzato da Sense 360, la società di Medallia di analisi dei consumatori che ha combinato i dati provenienti tre fonti: dati sul traffico pedonale dalla geolocalizzazione dello smartphone di oltre 2 milioni di utenti americani che hanno aderito all’indagine, dati sulla spesa di oltre 6 milioni di consumatori e dati di sondaggi psicografici. L’integrazione di più set di dati ha permesso di fornire una visione più olistica del percorso del cliente.

“È evidente che il comportamento clienti nel mondo retail è cambiato drasticamente nel corso dell’ultimo anno e mezzo e si sta definendo una nuova normalità: è quindi importante per il trade definire quali trasformazioni saranno permanenti e quali tendenze potrebbero al contrario dissolversi”, afferma Andrew Custage, Analytics Head di Sense360 by Medallia.

Il report “The Future of Retail Consumer Behavior” ha inoltre tracciato in che modo sono stati impattati diversi settori della distribuzione – nel dettaglio food, sport e beauty – dall’emergenza Covid-19 e con quali ricadute. A livello generale dalla survey emerge che nonostante le recenti preoccupazioni sulla variante Delta, i livelli complessivi di paura nei confronti di Covid-19 sono diminuiti rispetto a un anno fa. Le analisi di Sense 360 confermano che è diminuita la percentuale dei consumatori che percepiscono il virus come una delle più grandi minacce e di coloro che credono che per il ritorno a una normalità piena serviranno ancora più di sei mesi. Al di là del livello di preoccupazione nei confronti del coronavirus, l’emergenza sanitaria ha modificato comportamenti dei clienti e i loro shopping jouney, in alcuni casi, in modo permanente. Nel dettaglio il passaggio agli acquisti online continua negli USA nonostante la pandemia abbia rallentato. Insegne come Walmart e Target, stanno continuando a registrare tassi di crescita sui principali kpi del loro canale digitale. Anche uno studio che ha coinvolto i 53 rivenditori che utilizzano i software di Medallia ha confermato tuttora un incremento del traffico digitale, come delle visualizzazioni del numero delle pagine e del tempo trascorsi sui siti ecommerce.

Il trend a segno più si continua a registrare anche nel settore delivery non solo nella consegna a domicilio di cibi e bevande, ma anche della spesa o di altri beni. Il settore food è quello che sembra maggiormente destinato a vedere perdurare dei più evidenti cambi di percorsi di shopping: ricorso ad acquisti online, servizi di delivery o di pick up in-store o a bordo strada, mentre quello degli articoli sportivi al contrario evidenzia che non tutte le abitudini pandemiche sono destinate a rimanere. La crescita della domanda a seguito dell’aumento delle attività sportive durante i periodi di lockdown si sta riducendo come il numero di persone che continuano a fare attività fisica presso la propria abitazione, con un ritorno, invece, alle attività all’aria aperta o in palestra. Trend con cui inevitabilmente i retailer di questo settore – sia generalisti sia specializzati del mondo sport – devono fare i conti. La pandemia, e in particolare le settimane di lockdown, hanno avuto diversamente un impatto negativo sul settore beauty con una percentuale a due digit di consumatori che hanno diminuito il numero dei prodotti/brand acquistati e/o modificato gli articoli selezionati. Tendenze che non sembrano destinate a vedere forti inversioni anche quando si tornerà alla piena normalità e che già oggi mettono i player di fronte alla necessità di confrontarsi con maggiori difficoltà per conquistare i clienti e per fidelizzarli, oltre a una migrazione dei clienti dagli shop specialisti a favore dei department store e delle grandi superfici.

“Credo che l’evidenza più chiara del rapporto sia che mentre il comportamento dei consumatori è stato costretto a cambiare dalla pandemia, alcune abitudini si confermano e lo saranno anche quando le restrizioni si allentano definitivamente, in particolare per quanto riguarda un’adozione sostenuta delle piattaforme digitali”, ha continuato il manager di Sense360. “Alcuni retailer e settori della distribuzione sono meglio preparati rispetto ad altri a questo cambio di paradigmi e a un contesto nel complesso fluido e ciò delinea un possibile forte divario in termini di performance. Quindi per affrontare il mondo instabile in cui viviamo ora, è fondamentale che i rivenditori utilizzino ricerche omnicomprensive e integrate per comprendere in profondità i propri clienti e il panorama competitivo”.

Per scaricare il rapporto completo: https://info.sense360.com/insights-report-the-futureof-retail-consumer-behavior

FederBio, il bio Made in Italy cresce del 5,1% ma meno del resto d’Europa

Superfici, operatori e consumi bio ancora in crescita. È questo il dato principale che emerge dalle analisi presentate alla 33esima edizione di SANA – Rivoluzione Bio 2021. I numeri forniti da SINAB per il Mipaaf, confermano che la superficie biologica nel 2020 è aumentata rispetto all’anno precedente di +5,1 punti percentuali, evidenziando tuttavia un trend di sviluppo più modesto rispetto ai maggiori Paesi europei. I terreni coltivati a biologico hanno attualmente superato i 2,1 milioni di ettari. In crescita, inoltre, il numero degli operatori del settore che ha raggiunto le 81.731 unità, con un incremento dell’+1,3%.

Anche gli andamenti del mercato confermano la rilevanza del biologico. Secondo i dati dell’Osservatorio SANA, promosso da Bologna Fiere e curato da Nomisma, nel 2021 (anno terminante a luglio) i consumi interni hanno registrato una crescita del 5%, rispetto all’anno precedente. La spesa delle famiglie italiane si è attestata a 4,6 miliardi di euro: 9 famiglie su 10 hanno acquistato almeno un prodotto biologico nell’anno in corso. Negli ultimi dieci anni i consumi interni hanno registrato un’impennata del 133%. Notevole l’incremento dell’export che, sempre nell’ultimo anno, è aumentato dell’11%, raggiungendo quota 2,9 miliardi di euro, con una crescita negli ultimi dieci anni del 156%. L’Italia si posiziona al secondo posto per export dopo gli Stati Uniti.

“Il biologico si conferma fondamentale per il rilancio del sistema agroalimentare italiano, anche se il tasso di crescita della SAU bio si è rivelato inferiore a quello dei maggiori Paesi Ue. Considerando che in questo momento si stanno definendo le scelte prioritarie del Piano strategico Nazionale della PAC post 2022 che determineranno lo sviluppo del settore agricolo e alimentare per i prossimi dieci anni, riteniamo che sia il momento ideale per intervenire e colmare il gap di crescita con gli altri Paesi. Crediamo dunque che sia imprescindibile un’immediata approvazione della legge sul biologico per avere a disposizione tutti gli strumenti necessari, a partire dal Piano d’Azione, per affrontare le sfide del settore. Il biologico è essenziale per l’affermazione di un modello agricolo che rispetti l’ambiente, contribuisca a mitigare l’impatto climatico, creando inoltre nuove opportunità di occupazione, in particolare per i giovani e le donne”, ha dichiarato Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio.

Rapporto Coop 2021: consumi e stili di vita degli italiani di oggi e domani

Presentata l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2021 – Economia, Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gfk, Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Npd, Crif, Tetra Pak Italia. L’edizione 2021 del Rapporto è tutta orientata a descrivere la situazione della nuova realtà post Covid e per fare questo, oltre alle fonti di solito utilizzate, si è avvalsa di due diverse survey intitolate “Reshaping the future” e condotte entrambe nello scorso mese di agosto.

La prima ha coinvolto un campione di 1.500 italiani rappresentativo della popolazione over 18 (18-75 anni). La seconda si è rivolta ad un panel della community del sito di italiani.coop e ha coinvolto 1.000 opinion leader e market maker fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 470 ruoli apicali (imprenditori, amministratori delegati e direttori, liberi professionisti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese. A tutti va il nostro ringraziamento.

Un mondo multipolare, una obbligata rivoluzione verde
Dopo la peggiore crisi di tutti i tempi, la migliore ripresa di sempre. Le variazioni del Pil mondiale tutte al rialzo si attestano su un +6% nel 2021 ma continuano in positivo anche negli anni a venire (+4,9% nel 2022 e +3,5% nel 2023). Corre più veloce di tutti la Cina in un mondo multipolare in cui gli Usa sembrano abdicare al loro storico ruolo di potenza egemone e offrono anche all’Europa la chance di diventare soggetto stabilizzatore nella costruzione dei nuovi equilibri geopolitici tra i molti protagonisti regionali emergenti. In Europa e nel mondo, l’Italia vive una seconda giovinezza; cresce più in fretta delle aspettative (il balzo in avanti del Pil potrebbe sfiorare il 6%), trascinata dall’export che ha già superato i livelli pre Covid e dalla riconversione digitale della propria manifattura. Gode, soprattutto, di un nuovo e inatteso momento di favore internazionale grazie ai recenti, molteplici successi sportivi e musicali, ma anche alla buona gestione della pandemia e soprattutto all’effetto autorevolezza generato dalla premiership di Mario Draghi. Durante gli Europei di calcio le ricerche on line associate alla parola “Italia” sono cresciute di un +211% e l’Italia resta in testa alle wish destination mondiali. Soprattutto, il 60% della business community internazionale si dichiara convinto di una maggiore attrattività del Paese nei prossimi 3 anni e il 48% lo ritiene una possibile destinazione dei propri investimenti futuri. Anche per questi nuovi riconoscimenti, l’86% degli intervistati si dichiara orgoglioso di essere italiano. E cresce anche la fiducia degli italiani nell’Europa e nell’Ue (oggi al 44% tra i valori più bassi nell’Ue ma il più alto fra gli italiani da marzo 2011, quindi negli ultimi 10 anni). Il ritorno alla crescita (in Italia e nel mondo) ripropone con forza la stringente necessità di una grande rivoluzione verde a livello globale (44 sono i paesi che si sono impegnati con leggi, protocolli, documenti nel 2021 rispetto ai 22 di appena 2 anni fa);sembra, anzi, oramai esaurirsi il tempo a disposizione, tanto da far temere nuove tensioni geopolitiche dovute alla diminuzione delle risorse naturali disponibili (lo teme l’80% degli executive intervistati). Lo scetticismo (il 77% del campione executive) nella possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati in fatto di inquinamento e cambiamento climatico va di pari passo con la consapevolezza che proprio il rispetto dell’ambiente e l’innovazione sono oramai le priorità irrinunciabili dello sviluppo futuro. La consapevolezza è ampia non solo tra i manager. Il 79% degli italiani si dichiara infatti, preoccupato del riscaldamento globale eil 75% degli executive affida lo sviluppo futuro all’innovazione tecnologica e digitale e sono gli scienziati e i medici a tornare in cima ai modelli di riferimento degli italiani (rispettivamente con il 49% e il 32% del campione).

Le inquietudini del presente e la nuova forma del futuro
“Io penso positivo” è comunque il nuovo mood post pandemia per quasi 7 italiani su 10 e, messo da parte il rancore, torna la fiducia nel prossimo (lo afferma il 41% rispetto al 19% di quattro anni fa), a partire dalla famiglia e dagli affetti più stretti. Nel rinnovato clima di benevolenza vengono assorbite con più elasticità anche le differenze. Così i nostri connazionali si definiscono pro eutanasia e aborto, accoglienti con i rifugiati e tra i più LGBT+ friendly del continente. E pur posizionandosi tra gli ultimi Paesi in Europa quanto a parità di genere, il 42% degli italiani mostra consapevolezza di questo triste primato. Sono proprio le donne ad essere le più convinte delle proprie capacità (già oggi sono più istruite degli uomini) e ritengono di essere la prima potenzialità inespressa di cui dovrebbe approfittare il Paese per il suo rilancio (tra gli italiani lo sostiene il 42% delle donne contro un ben più modesto 18% di uomini). Ma il nuovo “think positive” degli italiani dipende dalla rinnovata consapevolezza “delle cose importanti della vita” (45% degli intervistati) piuttosto che da un concreto cambiamento delle proprie condizioni di vita. Restano, infatti, profonde le ferite fisiche e mentali della pandemia, l’inquietudine da long Covid ha generato ansia, insonnia, depressione e disturbi alimentari. (si stima in 10 miliardi il costo totale solo per il trattamento delle sindromi depressive generate dalla pandemia). Inoltre, si moltiplicano le povertà, sono 27 milioni gli italiani che ancora nel 2021 hanno vissuto rinunce e disagi quotidiani, 18 milioni coloro che ne prevedono il perdurare nel tempo e 5 milioni coloro che temono il protrarsi di sacrifici, anche in ambito alimentare Anche per questo, al crescente ottimismo degli italiani e alla nuova fascinazione estera per il nostro Paese, non corrisponderà nell’immediato una altrettanto rapida ripresa dei consumi. Secondo la maggioranza degli esperti, l’Italia raggiungerà i livelli pre Covid solo nel 2023 (lo afferma il 43% degli executive ) e infatti nel 2022 il 28% degli italiani prevede di avere un livello di spesa ancora inferiore rispetto al 2019: sono soprattutto cassaintegrati, giovani e donne. D’altronde in quell’auspicato rimbalzo in avanti del nostro Paese, a rimanere al palo è proprio l’occupazione (è troppo lenta la sua crescita, nel primo semestre 2021 fa segnare un +1,8%) e anche se le previsioni sono migliorative bisognerà vedere che lavoro sarà: secondo il campione il rischio è che a crescere saranno soprattutto la sottoccupazione (59%), il lavoro in nero (50%), i gap generazionali (51%). E comunque nella speranza di affrancarsi presto dalle restrizioni del Covid, l’Italia e gli italiani escono dalla “bolla” che li ha imprigionati dall’inizio dello scorso anno e danno finalmente nuova forma al loro futuro, accelerando i cambiamenti e scegliendo nuove priorità. Dopo l’home working praticato durante la pandemia, il 69% degli smart worker (9 milioni di persone) vuole sperimentare i nuovi equilibri tra lavoro e vita privata permessi dall’hybrid work; è ibrida anche la mobilità (157mila e-bike vendute nel primo semestre dell’anno e continuano a crescere le immatricolazioni per auto ibride e elettriche). La digitalizzazione è diventata una abitudine e mette a proprio agio il 65% degli italiani a cominciare dall’e-commerce che pur rallentando continua la sua crescita (+18% nel 2021 rispetto al +45% di un anno fa). Anche dopo la pandemia, resta l’home nesting degli italiani. La casa non è più uno spazio di servizio, ma la nuova comfort area della vita quotidiana. Sono 1,2 milioni gli italiani che vogliono comprare casa e molti di più quelli che approfittando dei nuovi incentivi la vogliono ristrutturare (8 milioni) nel prossimo anno, 6 su 10 le famiglie che pensano di cambiare arredamento nei prossimi 3/5 anni; contemporaneamente, si riduce anche la forza attrattiva delle grandi metropoli e le città di piccole dimensioni/i borghi diventano i luoghi ideali di residenza per 1 italiano su 3 (sorprende più di tutti quel 67% di giovani che intende rimanere a vivere nei comuni delle aree interne dove attualmente risiede).

L’ambiente e la salute siedono a tavola
Specchio e metafora dei cambiamenti degli italiani, il cibo esce profondamente trasformato dalla pandemia e si colora di verde. 1 italiano su 2 ha cambiato le proprie consuetudini alimentari, chi indulgendo nel conforto alimentare (sono il 23% coloro che hanno preso peso – in media + 5,8 kg) e chi approfittandone per una dieta più equilibrata e salutare (15% quelli che hanno perso peso in media –7,1 kg). Se solo il 18% non si riconosce in alcuna cultura alimentare e il 24% fa riferimento solo alla dieta mediterranea, oltre la metà degli italiani si riconosce anche o esclusivamente in altre identità alimentari (bio, veg&veg, gourmet, iperproteici e low carbs), ma la vera novità del 2021 è la comparsa della nuova tribù dei climatariani, ovvero di coloro (1 italiano su 6) che dichiarano di adeguare il proprio regime alimentare per ridurre l’impatto ambientale. E comunque l’ambiente diventa riferimento di molti italiani; l’88% associa al cibo il concetto di sostenibilità che significa per il 33% avere un metodo di produzione rispettoso, per un altro 33% attenzione agli imballaggi, per il 21% è sinonimo di origine e filiera e per il 9% di responsabilità etica. Così, il 13% sta riducendo il consumo di carne (i cosiddetti reducetariani), si preferiscono prodotti locali e di stagione, i veg sono consumati anche da chi cerca solo una alternativa proteica alla carne e raddoppiano le vendite di proposte vegane di nuova generazione (le bevande, le besciamelle, i piatti pronti). E non è un caso che gli italiani riconoscano nel riscaldamento climatico il principale fattore di cambiamento del cibo del futuro, sia prevedendone una maggiore scarsità a causa del climate change (26%), sia immaginando che per salvare il clima occorrerà cambiare la nostra alimentazione (32%). Per gli italiani un aiuto verrà dalla scienza e dalla tecnologia (26%) e in questo senso tra le new entry sulle tavole degli italiani da qui a 10 anni ci sono cibi vegetali con il sapore di carne, a base di alghe, farina di insetti e anche la carne coltivata in vitro. In realtà la food revolution è già in corso. Gli investimenti nel solo 2020 in cibi e bevande di prossima generazione ammontano a 6,2 miliardi.

Un altro grande driver di scelta, anch’esso potenziato dall’effetto pandemia, è sicuramente la ricerca attraverso il cibo di un maggior benessere e l’83% dei nostri connazionali si dichiara disposto a spendere di più pur di acquistare prodotti con qualità certificata (dopo di noi l’80% dei cinesi e solo dopo europei e statunitensi). Non cessa d’altronde il successo di segmenti di mercato come il free-from, il rich-in, gli stessi dove è spesso il prodotto a marchio a rispondere meglio e con maggiore rapidità dei brand leader. Il crescente benessere spiega anche la maggiore attenzione che gli italiani prestano all’etichetta; così le indicazioni sull’origine e la provenienza del cibo sono determinanti per l’acquisto per il 39% degli italiani, per il 28% lo sono i valori nutrizionali e a seguire il metodo di produzione (per il 26%). In sostanza, gli italiani sembrano prestare attenzione crescente ai contenuti intrinseci dei prodotti e sempre meno delegano le loro scelte ad una incondizionata fiducia verso il brand e sono sempre meno disposti a pagare per i contenuti di pura immagine. Un fenomeno questo del progressivo declino della marca che continua da tempo, reso evidente non solo dall’avvento dei discount (oggi il 20% delle vendite Gdo) ma anche dalla crisi negli altri canali della distribuzione moderna (dal 2013 ad oggi la perdita di quota delle grandi marche è pari a un -9%) controbilanciato dalla Mdd (un +9% nello stesso lasso di tempo) e anche dai piccoli produttori (+3%), evidentemente più rapidi nell’intercettare le nuove mutevoli esigenze dei consumatori.

Tensioni e aspettative a casa della grande distribuzione
Come gli italiani, gli operatori della filiera alimentare vedono un futuro più rosa ma con accenti diversi fra industria e distribuzione. Se infatti entrambe hanno beneficiato della nuova centralità del cibo durante il lockdown, restano ampie le differenze sui rispettivi livelli di profittabilità, con l’industria alimentare che mantiene performance di redditività doppie rispetto alla distribuzione. Non a caso quasi 1 su 2 tra i manager della grande distribuzione intervistati nella survey di agosto prevede uno strutturale peggioramento dei risultati economici e/o di dover reinventare il proprio modello di business minacciato dalla coda lunga della recessione pandemica sui redditi delle famiglie, dall’affermazione dei discount che non conosce tregua (l’85% ne prevede un ulteriore incremento delle vendite) e dall’intensificarsi della tensione competitiva fra le insegne. Al centro delle strategie future per il 45% del campione occorre riprogettare i punti vendita, magari perseguendo una integrazione della rete fisica con i nuovi canali virtuali (39%) e lavorando per una riqualificazione del personale (34%). Solo dopo arrivano gli investimenti per potenziare le vendite online, un canale in crescita, ma anche dopo l’exploit del 2020 (+121%) l’e-grocery resta un segmento piccolo delle vendite alimentari complessive (poco sopra il 2% del totale Gdo). Peraltro, dopo una crescita nel primo semestre 2021 del 46% molti operatori ritengono nei prossimi 12-18 mesi che la progressione si fermerà o arretrerà (48%) o che sarà inferiore al 20% (per il 43%). Nello scenario immediato, ad essere più preoccupante per la Gdo è la dinamica dei prezzi all’acquisto e alla vendita. Vi è il concreto rischio che il retail alimentare resti schiacciato tra la diminuzione dei prezzi al consumo (-0,7% la deflazione del prezzo dei prodotti alimentari nel primo semestre 2021) e l’annunciato aumento dei prezzi delle materie prime e dei listini dei fornitori industriali. Un risiko da cui non sarà facile uscire.

COOP
“Lo scenario delineato nel Rapporto 2021 ci restituisce l’immagine di un’Italia indubbiamente trasformata dalla pandemia con aspetti positivi che incoraggiano, ma anche con segnali che rivelano ancora l’esistenza di pesanti incognite e di forti disuguaglianze. Il post Covid per molte persone coincide con il tempo delle rinunce su aspetti importanti dell’esistenza, i consumi sembrano essere l’ultimo dei comparti che ripartirà –commenta Maura Latini, amministratrice delegata di Coop Italia. In questo scenario un’organizzazione come Coop ha una grande responsabilità, quella di riuscire a trovare convergenze fra ciò che offriamo, e penso ai nostri prodotti, la qualità che ci sta dentro e l’accessibilità del prezzo. Responsabilità che è acuita, se possibile, dal progressivo declino della marca industriale. Toccherà ai retailer interpretare le esigenze dei vari segmenti di mercato. E’ su questo punto di equilibrio che concentriamo il nostro modo di essere Cooperative di Consumatori. Per quanto riguarda il prodotto a marchio, stiamo parlando di più di 5000 prodotti, quasi 3 miliardi di fatturato. Più di altri lavoriamo su versanti che anche dalla lettura del Rapporto Coop si rivelano sempre più urgenti come il grande tema della sostenibilità intesa come ambiente ma anche come etica. Siamo stati i primi a promuovere l’allevamento senza antibiotici e gli unici per ora a espellere il glifosato dalla coltivazione dei nostri prodotti freschi. Per citare un dato, la nostra scelta del non impiegare antibiotici in allevamento nelle filiere Coop con i nostri oltre 100 milioni di avicoli coinvolti complessivamente è stato uno degli acceleratori principali per portare il comparto dell’avicolo ad una riduzione complessiva degli antibiotici di quasi il 90% a livello nazionale nell’ultimo decennio. Non basta essere primi per numeri bisogna essere primi per azioni virtuose, noi intendiamo continuare così a muoverci, avendo come grande leva i nostri prodotti a marchio e le relazioni costruttive con i nostri fornitori partners. Aggiungo una ulteriore puntualizzazione sul tema dei prezzi e su questo voglio essere molto chiara. Si è appena avviata con gli inizi di settembre una nuova fase di negoziazione con l’industria di marca, sono già state avanzate richieste di rialzo. Lo voglio dire con chiarezza non sempre sono giustificate e noi non accetteremo rialzi che non hanno una rispondenza fattuale”.

“Ci lasciamo alle spalle un 2020 impegnativo che è stato affrontato da Coop con determinazione e comunque un anno che ha generato un miglioramento importante nella gestione caratteristica delle grandi e medie Cooperative, con un ritorno all’utile in quasi tutte – sottolinea Marco Pedroni Presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori). Continueremo a percorrere questa strada di miglioramento economico delle nostre cooperative in un 2021 che inevitabilmente con la riapertura dei consumi fuori casa rallenterà le vendite. Prevediamo di chiudere l’anno con un fatturato retail in linea con quello del 2020. Confermiamo la nostra volontà di essere un presidio e un punto di riferimento per tutti gli italiani qualunque sia la loro condizione sociale. Il nostro obiettivo è fornire un cibo buono, sicuro e sostenibile per tutti, accessibile a tutte le fasce di reddito. Abbiamo preso impegni importanti con le istituzioni europee; impegni non di facciata e tutti volontari come l’adesione alla “Pledging Campaign” volta a promuovere l’utilizzo della plastica riciclata e al “Codice di Condotta Responsabile” che ci spinge verso obiettivi sfidanti e da rendicontare in materia di cibo salutare e sostenibile. E poi c’è il PNRR e la grande occasione che un buon indirizzo di queste risorse può generare, a partire dal sostegno della domanda dei redditi più bassi. Si profila infatti una situazione in cui la domanda interna resta bassa, mentre si rischia di far pagare al consumatore i forti aumenti delle materie prime e dell’energia. L’inflazione da costi esterni può avere effetti depressivi importanti sulla congiuntura economica. C’è bisogno, come anche il Rapporto Coop mostra, di dirottare risorse e politiche più incisive a favore dei consumi agendo per esempio sulla defiscalizzazione di prodotti sostenibili e c’è bisogno di una legislazione di scopo per la riconversione dei centri commerciali. Stiamo parlando di superfici estese da riqualificare e da recuperare anche in funzioni diverse da quelle commerciali, per ruoli multifunzionali e di servizio (pubblico e privato) per la comunità; interventi di questo tipo sono anche utili a frenare l’espansione edilizia e il consumo di suolo che in Italia continuano a crescere, a dispetto delle direttive dell’Unione Europea”.

L’impatto del Covid sui centri commerciali in Italia

La pandemia ha avuto effetti su diverse asset class immobiliari, tra cui il mondo del retail, nel quale tutte le categorie merceologiche hanno registrato evidenti flessioni delle vendite, seppure con performance diverse. Dai dati emersi dal nuovo Snapshot “L’impatto del Covid sui centri commerciali” realizzato dal Dipartimento di Ricerca di World Capital, rispetto al 2019 è la ristorazione a segnare la contrazione maggiore con -45,8%, seguita dall’abbigliamento e calzature (circa -34,5%), da attività di servizio (-33,9%), servizi sanitari e alla persona (-30,9%), cultura e tempo libero (-29,1%), beni per la casa (-15,9%) ed elettronica di consumo (-13,5%).

Focalizzandoci sugli effetti pandemici registrati nei centri commerciali italiani, il CNCC (Consiglio Nazionale Centri Commerciali), insieme a Confesercenti, Confcommercio, Confimprese, Federdistribuzione, Coop, Conad ha stimato che le perdite di fatturato in questo specifico segmento si aggirano attualmente intorno ai 400 milioni di euro a settimana, con un calo degli ingressi di circa il 50% rispetto ai mesi del 2020 precedenti alla pandemia.

Dando uno sguardo ai dati relativi all’indice di affluenza, le continue chiusure e severe restrizioni a cui tutti i centri commerciali d’Italia sono stati sottoposti hanno generato una contrazione dei trend rispetto al 2019.
Sempre rispetto al 2019, le regioni italiane che hanno registrato le performance più incoraggianti (registrate nel mese di aprile) sono l’Emilia-Romagna e il Lazio, che si assestano rispettivamente al -29,6% e al -29,7%, mentre quelle più colpite sono state la Sardegna, con un -58,3%, e la Campania, che segna un divario pari al -56,9%.

“Con il protrarsi delle continue chiusure dettate della pandemia anche gli shopping mall hanno arrestato la loro crescita. Ad oggi, gli ultimi dati affermano come, rispetto al 2019, il comparto abbia fatto registrare un -15%. Tuttavia, vista la situazione di forte crisi globale, il segno meno risulta essere tutto sommato incoraggiante. Il nostro settore ha mostrato una forte resilienza, con i gestori e gli operatori che hanno affrontato il periodo più difficile della crisi senza arrendersi – ha commentato Roberto Zoia, Presidente del CNCC. Il trend emergente sarà quello di espandere sempre più lo share funzionale delle piattaforme commerciali rendendole dei veri e propri Hub territoriali con una propria identità; insistendo sempre più sul commercio di esperienza.”

“La ripresa delle attività commerciali e la riapertura dei negozi durante i weekend contribuiranno sicuramente a dare maggior respiro al settore del retail – dichiara Andrea Faini, CEO di World Capital. Un’asset class di grande appeal per gli investitori, che nel 2019 (primi 3 Q) si classificava al terzo posto della graduatoria delle tipologie di beni immobiliari che attirano maggiori investimenti con un volume pari a 7,2 miliardi di euro, ovvero +40% rispetto allo stesso periodo 2018. Focalizzandoci sul segmento dei centri commerciali, tale settore rappresenta in Italia una grande fonte occupazionale, annoverando al suo interno 700.000 lavoratori.”

Settima edizione del FutureBrand Index, la pandemia cambia i pesi

I risultati del FutureBrand Index 2021, lo studio annuale sulla percezione delle prime 100 aziende globali della classifica di PwC, svela cambiamenti drastici nella percezione delle aziende dall’inizio della pandemia. Oggi, è innanzitutto la disposizione verso l’innovazione e l’impegno a favore del benessere delle persone di quelle aziende a impattare sulla loro percezione. Ne risultano grossi cambiamenti ai vertici dell’Index di quest’anno: solo Apple mantiene il suo posto tra i brand della Top Five, seguita da ASML, Prosus NV, Danahere Nextra Energy. La fortuna delle aziende del settore Tech e Healthcare registrato dall’Index 2021 sottolinea il diffuso bisogno di connessione e il desiderio di migliorare la qualità della vita dopo un anno che ha messo a dura prova il mondo intero.
 
I principali insight
 

1. Guardare oltre la pandemia: Il FutureBrand Index di quest’anno dimostra come le aziende che vedono crescere la propria percezione, sono quelle che danno la priorità all’innovazione capace di produrre un impatto positivo sul benessere delle persone e innescare cambiamenti rilevanti. Ciò si traduce in una grossa opportunità per le aziende di creare piattaforme e infrastrutture attraverso cui la vita umana può prosperare e puntare al futuro.

2. I brand della Top Five:ASML Holdings (#1), Apple (#2), Prosus NV (#3), Danaher (#4) and Nextera Energy (#5).

3.
I 5 brand che salgono di più: SaudiAramco (#28, su di 63 posizioni), Tata Consultancy (#20, su di 45 posizioni), LVMH (#29, su di 37 posizioni), Berkshire Hathaway (#50, su di 33 posizioni), China Mobile (#45, su di 27 posizioni).

4.
La tecnologia la fa da padrona: il settore della tecnologia domina il FutureBrand Index con ben 3 aziende tra i primi 5 brand: ASML, Apple e Prosus NV.

5.
Il settore dell’Healthcare continua la sua ascesa: il settore dell’Healthcare continua a crescere con Pfizer e UnitedHealth Group spinti in avanti dalla pandemia.

6.
Un rinnovato interesse per il “pleasurefactor”: in un anno di incertezze e di crisi, sentirsi bene e godere di piaceri semplici e immediati è stato fondamentale per i consumatori. I brand del lusso come Apple e LVMH hanno capitalizzato su questo aspetto, ma lo hanno fatto anche Amazon e P&G.

7.
Le aziende B2B sono diventate brand: le aziende B2B che la precedente edizione del FutureBrand Index posizionava in basso come, per esempio, ASML e Danaher, sono risalite,mentre i marchi del Tech e del Pharma, che fin qui hanno operato dietro le quinte, diventano nomi “familiari”.
 
Jon Tipple, Global Chief Strategy Officer FutureBrand, ha detto: “La ricerca di quest’anno mette in evidenza un importante cambiamento nelle modalità con cui le aziende lavorano e concentrano i propri sforzi sui consumatori. In un anno per nulla facile, le aziende che rivestono un ruolo cruciale per le nostre vite hanno prevedibilmente dominato il FutureBrand Index. Abbiamo visto società farmaceutiche come, per esempio, Pfizer schizzare letteralmente in su grazie alla considerazione dei consumatori che le reputano determinanti per il loro futuro e impegnate a lavorare nell’interesse dell’umanità. Nel frattempo, i consumatori hanno ricercato anche il fattore “’feelgood’: in un arco temporale di 12 mesi in cui tanto ci è stato tolto, i brand del lusso come Apple e LVMH hanno ottenuto straordinari risultati”.
 
Giunto al settimo anno, il Future Brand Index è uno studio globale sulla percezione che rivede la posizione delle aziende della Top 100 per capitalizzazione stilata annualmente da PwC, riorganizzandole in base alla forza con cui sono percepite anziché rispetto alla loro forza finanziaria. Lo studio si basa su un impianto di ricerca rigoroso e coinvolge un campione di oltre 3.000 professionisti in tutto il mondo, esperti a vari livelli di almeno 7 delle 100 aziende in classifica nell’anno in corso.
 
Dati salienti per settore
 
Tecnologia:
 Il Tech ha fatto molto bene: tre dei primi 5 brand in ascesa dell’edizione 2021 provengono da questo settore. Tuttavia, a parte Apple, i marchi di tecnologia di consumo hanno perso posizioni nel FutureBrand Index, mentre le aziende che giocano un ruolo fondamentale dietro le quinte della tecnologia e su cui facciamo affidamento,hanno scalato posizioni. Ciò è probabilmente dovuto alla loro risposta alla pandemia e al bisogno delle società e delle economie di tecnologia per sopravvivere a lockdown e quarantene.
 
A discrezione del consumatore:
LVMH ha beneficiato dell’aumento della spesa dei consumatori in beni di lusso e dello shopping online, salendo di 29 posizioni nell’Index. I beni di consumo e i servizi che si affidano alla vendita al dettaglio fisico hanno ovviamente sofferto durante la pandemia: Walmart ha perso 34 posizioni e McDonald’s 32.
 
Beni di consumo:
I beni di consumo di base hanno beneficiato dei lockdown: PepsiCo e P&G ottengono i migliori risultati della categoria con 24 e 22 posizioni rispettivamente.
 
Come negli anni precedenti, il “piacere” resta l’attributo più rilevante di questa categoria, la cosa non sorprende in un anno in cui le nostre fonti di piacere sono rimaste confinate a alle nostre quattro mura domestiche.
 
Healthcare:
Le aziende del settore Healthcare hanno continuato a seguire la tendenza positiva registrata dal FutureBrand Index 2020, oggi sono percepite come indispensabili per l’innovazione che ci guiderà nel futuro.
Pfizer guadagna di 15 posizioni grazie al successo del vaccino e della consapevolezza globale del ruolo svolto dalle aziende farmaceutiche nel garantire la nostra capacità di operare in una società post-pandemica.
 
Servizi finanziari:
Quest’anno, il settore ha ottenuto il punteggio più alto dal 2014, è la conseguenza del crescente bisogno di fare affidamento sulle istituzioni finanziarie quando il lavoro e le attività vacillano, i redditi implodono e i posti di lavoro si contraggono.

Cosa ci ha lasciato in eredità il 2020? Il report di Osservatorio Non Food

Niente è più come prima. La pandemia ha sparigliato le carte e riaperto i giochi nel mondo dei prodotti non alimentari di largo consumo, determinando acquisti in pesante calo in alcuni settori merceologici e formati distributivi, ma anche spingendo lo sviluppo di altri prodotti e canali commerciali. Impossibile, quindi, pensare al futuro del Non Food senza approfondire, con la giusta distanza e la necessaria base numerica, quel che è successo in Italia nell’anno clou della pandemia. A riepilogarlo, raccontarlo e “misurarlo” è l’Osservatorio Non Food 2021 di GS1 Italy, che offre un patrimonio informativo unico perché rappresenta l’intero universo dei consumi extra alimentari sia sul fronte della domanda sia dell’offerta, dall’andamento degli acquisti all’evoluzione della rete commerciale, fisica e virtuale.

«Il 2020 è stato un anno caratterizzato dal protrarsi dell’emergenza legata al Coronavirus, che, attraverso chiusure forzate e timori sanitari, ha modificato molte abitudini di consumo soprattutto per i prodotti non alimentari» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Il Non Food ha subito un forte rallentamento in quasi tutti i comparti, ma alcune famiglie di prodotti hanno visto un’accelerazione delle vendite, altri una reale rinascita. Anche le modalità di acquisto sono cambiate. L’e-commerce è diventato il canale preferenziale, benché i negozi fisici siano rimasti un punto di riferimento insostituibile per molte tipologie di prodotti non alimentari. Alla luce di quanto accaduto nel 2020, qualcosa andrà ripensato nel grande mondo del Non Food, perché la realtà mutata con cui il consumatore ha dovuto fare i conti durante la pandemia ha lasciato una traccia profonda, spesso arricchita anche da una nota di soddisfazione, esperienziale e personale, nel confrontarsi con le nuove tecnologie digitali».

Le novità dell’edizione 2021 dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy
L’Osservatorio Non Food offre una visione unica di un anno di pervasiva discontinuità, qual è stato il 2020, perché integra, sistematizza e correla le rilevazioni effettuate da diverse fonti con la ricerca sul punto di vista del consumatore svolte da Metrica/TradeLab. Per monitorare in modo sempre più efficace il ruolo della distribuzione moderna (specializzata e non) nei 13 principali comparti merceologici del comparto non alimentare monitorati, la nuova release dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy ha potenziato il monitoraggio dei canali di vendita, rendendo visibile separatamente il canale degli acquisti online, e ha ampliato il censimento della rete dei gruppi della distribuzione moderna specializzata non alimentare. Maggiore spazio è stato dedicato all’approfondimento dell’e-commerce ed è stata introdotta l’analisi sull’utilizzo dei social network da parte delle principali insegne della distribuzione non alimentare come strumento di comunicazione. L’edizione 2021, la diciannovesima da quando è nato quest’Osservatorio, non poteva non approfondire l’impatto dell’emergenza Covid-19 sui consumatori. Per questo è stata condotta un’analisi del sentiment degli shopper di prodotti non alimentari finalizzata a monitorare i comportamenti di acquisto e di scelta del canale commerciale, e a comprendere se e quanto queste dinamiche stiano diventando strutturali.

2020: meno consumi, più povertà
Dopo anni di dinamica positiva, seppur molto lenta, i consumi delle famiglie (dato Istat a valori correnti) hanno registrato una pesante flessione (-11,8%) che sintetizza la grave crisi economica determinata dalle conseguenze della pandemia.

2020: un anno “bipolare” per l’universo Non Food. Chi scende, chi sale
Nel 2020 i 13 comparti monitorati dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy – che esclude i servizi Non Food e alcuni comparti minori compresi dall’Istat – hanno ottenuto 93,5 miliardi di euro di vendite, in calo di -9,5% rispetto al 2019. Questo risultato ha interrotto bruscamente l’andamento positivo, seppure lento, degli anni precedenti e il trend crescente di medio periodo, che, fino al 2019, aveva rispecchiato un clima di fiducia titubante, ma comunque positivo, grazie al processo di sostituzione di alcuni prodotti caratterizzati da tecnologie e design innovativi. Nel 2020 questo fenomeno di “upgrading” tecnologico domestico si è fermato e la rinuncia agli acquisti ha accomunato ben 11 dei 13 comparti merceologici rilevati nell’Osservatorio Non Food. Gli unici due ad aver chiuso il 2020 con una crescita delle vendite sono stati l’edutainment (il settore che raccoglie tutti i prodotti destinati alla formazione e all’intrattenimento, come film, libri, videogiochi e supporti musicali), avanzato di +9,4% sul 2019, e l’elettronica di consumo (che raccoglie telefonia, hardware, elettrodomestici, fotografia, multimedia storage) che ha ottenuto un +6,3% rispetto all’anno precedente. Tra gli 11 comparti merceologici in calo annuo, la forbice della riduzione del sell-out è stata piuttosto ampia, spesso a due cifre, con valori che vanno dal -2,0% dei prodotti di automedicazione al -17,5% degli articoli per lo sport. Il crollo più pesante del 2020 è stato quello di abbigliamento e calzature: non solo perché ha avuto il maggior calo percentuale degli acquisti (-26,5%) di tutto il Non Food, ma anche perché ha perso il maggior incasso in termini assoluti, vista la sua leadership storica per giro d’affari. Nel 2020 l’elettronica di consumo ha superato il mondo dell’abbigliamento e calzature diventando il comparto più importante nel Non Food per valore delle vendite.

2020: Factory Outlet, e-commerce e prossimità: la rete vendita si riconfigura
A fine 2020 la distribuzione moderna non alimentare contava in Italia 29 mila punti vendita appartenenti a poco meno di 300 gruppi (specializzati e despecializzati) presenti in 20 differenti comparti merceologici. L’Osservatorio Non Food li ha raccolti in sei tipologie di agglomerati commerciali, di cui cinque hanno chiuso l’anno con una rete vendita in calo: agglomerati centrali urbani, centri commerciali, parchi commerciali, aree urbane periferiche, nei luoghi di passaggio e di traffico (come stazioni e aeroporti). Unico agglomerato ad aver chiuso il 2020 con un aumento del numero dei negozi sono i Factory Outlet (+0,7%). Nel 2020 l’e-commerce ha avuto un balzo importante, avvicinando anche molti consumatori tradizionali che non avevano mai usato il canale virtuale. Le vendite via web sono risultate in crescita, sia per giro d’affari che per quota di mercato, in 12 dei 13 comparti analizzati dall’Osservatorio Non Food (unica eccezione i prodotti per la fotografia). Il risultato più eclatante è stato quello nell’elettronica di consumo dove l’e-commerce è stato il canale di vendita a maggior crescita annua in termini di fatturato (+55,5%) e di market share (26,0%).

L’altro fenomeno commerciale del Non Food nel 2020 è stata la forte crescita delle forme di distribuzione alternativa: le vendite a domicilio o per corrispondenza e di quelle realizzate nei distributori automatici e nell’e-commerce sono aumentate a valore del 13,9% rispetto al 2019.
Nel 2020 un consumatore su due ha affermato di aver cambiato permanentemente le proprie abitudini di spesa in seguito alla pandemia: se ne sono avvantaggiati soprattutto le forme di commercio di prossimità e l’e-commerce. I lockdown hanno fortemente penalizzato i centri commerciali, ora chiamati a riposizionarsi come luoghi di ristoro ed entertainment e non solo di shopping. La ricerca di comodità e convenienza, che restano driver importanti nel Non Food, uniti alla ricerca di una qualità accessibile, gioca a favore dei Factory Outlet e dei parchi commerciali. Così come il perdurare dello smart working, con la maggior presenza dei consumatori nei centri minori e nelle periferie urbane, può rappresentare un’occasione di rilancio per le polarità commerciali extraurbane.

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