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Annunciato l’aumento del prezzo delle patate

Il Centro di Documentazione per la Patata (CE.PA) ha annunciato l’aumento dei prezzi di listino delle patate, a seguito della diminuzione degli stock e all’aumento dei costi.

Nella riunione di venerdì scorso 16 settembre, gli operatori della Borsa Patate di Bologna si sono confrontati in merito ai dati produttivi e all’entità degli stock presenti nei magazzini. Tale analisi ha restituito uno scenario che desta forte preoccupazione. I quantitativi di patate raccolte e destinate al conto deposito risultano di oltre il 20% inferiori di quelli degli ultimi anni, in un contesto di vendite sostenute sin dall’inizio della stagione. I dati dei principali produttori europei confermano una situazione internazionale caratterizzata da minori rese e maggiori scarti.

La preoccupazione più viva presso gli operatori è l’aumento dei costi di produzione agricoli (fertilizzanti antiparassitari, meccanizzazione), di stoccaggio e confezionamento. I rincari dell’energia elettrica, del gas, degli imballaggi e dei trasporti incidono su tutte le fasi della filiera in maniera determinante. Per quanto riguarda alcune voci di spesa, l’aumento ha già toccato vette del 400%.

In questa fase di inizio della campagna di commercializzazione 2022-2023 gli operatori che aderiscono alla Borsa Patate sono, al pari dei loro colleghi europei, in forte apprensione per il futuro del settore: il rischio è quello di un notevole ridimensionamento delle superfici investite, con la prospettiva di un prossimo raccolto insufficiente a coprire le necessità del mercato interno.

L’organizzazione afferma pertanto l’inderogabile necessità di ottenere una migliore remunerazione per il prodotto, ricorrendo anche a significativi adeguamenti dei prezzi di vendita, in modo tale da non compromettere in modo irreversibile la futura disponibilità di un prodotto essenziale per i consumatori e, in particolare, di un’eccellenza produttiva fondamentale per il Paese, come la Patata di Bologna DOP e Selenella, oltre agli ingenti quantitativi di prodotto controllato e certificato destinato alle Private Labels.

Eurostat, da grano a pane il prezzo aumenta più di 10 volte

Dal grano al pane i prezzi aumentano più di dieci volte a causa dei rincari record di energia, mangimi e fertilizzanti scatenati dalla guerra in Ucraina e delle distorsioni all’interno delle filiere che impoveriscono le tasche dei cittadini e danneggiano gli agricoltori. A denunciarlo è la Coldiretti nel commentare l’analisi Eurostat secondo cui il costo del pane non è mai stato così alto nell’Ue, cresciuto ad agosto mediamente dell’Unione del 18% rispetto allo stesso mese del 2021. Il risultato è che in Italia le famiglie spenderanno nel 2022 oltre 900 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente per il prodotto più presente sulle tavole, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat dell’inflazione ad agosto.

Un chilo di grano viene pagato oggi agli agricoltori intorno ai 36 centesimi e serve per produrre un chilo di pane che viene venduto a consumatori a prezzi che variano dai 3 ai 5 euro a seconda delle città, secondo Coldiretti. L’incidenza del costo del grano sul prezzo del pane resta dunque marginale pari a circa il 10% in media, come dimostra anche l’estrema variabilità delle quotazioni al dettaglio lungo la Penisola mentre quelli del grano sono influenzati direttamente dalle quotazioni internazionali Se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,46 euro, a Roma si viaggia sui 2,92 euro, a Bologna siamo a 4,91 euro, a mentre a Palermo costa in media 3,89 euro al chilo, a Napoli 2,16 euro, secondo elaborazioni Coldiretti su dati dell’Osservatorio prezzi del Ministero dello Sviluppo economico a luglio.

Peraltro i prezzi al consumo – continua la Coldiretti – non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano, che per lungo tempo sono state al di sotto dei costi di produzione. Nonostante il crollo dei raccolti fino al -30% abbia limitato la disponibilità di prodotto in Italia, il grano viene, infatti, in questo momento sottopagato agli agricoltori.

La guerra ha dunque moltiplicato – sottolinea la Coldiretti – manovre speculative e pratiche sleali sui prodotti alimentari, che vanno dai tentativi di ridurre la qualità dei prodotti offerti sugli scaffali alle etichette ingannevoli fino al taglio dei compensi riconosciuti agli agricoltori, aggravando una situazione che vede il nostro Paese dipendente dalle importazioni straniere già per il 64% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci.

“Occorre ridurre la dipendenza dall’estero e lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “serve anche investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento di risposta ai cambiamenti climatici”.

L’inflazione condiziona anche il carrello della spesa online

L’inflazione c’è e colpisce anche gli utenti che usufruiscono del servizio di spesa on line per acquistare beni di consumo. ReStore, azienda specializzata nella realizzazione di piattaforme e-commerce per la GDO e la DO in Italia, grazie ai dati che gestisce giornalmente per i principali player italiani, ha effettuato un interessante monitoraggio relativo l’andamento dei prezzi nei mesi di giugno e luglio ed agosto di quest’anno, a confronto con lo stesso periodo nel 2021.

I dati sulle vendite nel settore dell’E-Grocery, confermano, infatti, un aumento generalizzato delle vendite a valore a fronte di una diminuzione dei volumi. Ad esempio, per quanto riguarda la categoria “pane e pizza”, si registra un aumento nelle vendite a valore del 36%, a fronte di un aumento dei volumi del 29%. Al secondo posto si trova la categoria dei gelati. Questo dato è condizionato dal caldo dei mesi estivi: l’incremento nelle vendite rispetto allo scorso anno è del 26%.

Piatti pronti (+24% di vendita, ma con un incremento del 10%), carni rosse (+ 23% di vendita, con un 10% in più dei volumi) e l’acqua che registra un aumento sia delle vendite che del prezzo medio, ma vengono rilevati volumi in diminuzione del 7%.

In base alle elaborazioni di ReStore, l’aumento complessivo delle vendite è di quasi il 3%, a fronte di una diminuzione dei volumi del 6%. Tutti elementi che confermano come l’inflazione abbia condizionato gli acquisti anche sulle piattaforme on line.

Un’ulteriore e interessante analisi dell’azienda guidata da Barbara Labate, riguarda gli aumenti del prezzo medio rispetto al 2021: i prodotti che hanno subìto il rincaro maggiore sono quelli per gli animali domestici (+38%), seguiti dall’acqua (+30%) e pasta, riso e zuppe (+ 21%). Prendendo in considerazione anche le altre categorie di prodotti più acquistate sulle piattaforme, si registra un aumento del prezzo medio del 10%.

I dati di ReStore confermano come nel nostro Paese il carrello della spesa (anche on line) sia decisamente più caro rispetto allo scorso anno. Stiamo assistendo, infatti, ad una “contrazione” dei consumi determinato dal calo del potere di acquisto che va così ad intaccare anche il variegato mondo dell’e-commerce e dei retailer online.

Rincari dei listini e dei costi energetici, gli effetti sulla Gdo

Cosa può esserci di peggio per la Gdo del 2022, cioè di un anno in cui i listini rincarano, i costi energetici triplicano, ma si fatica a trasferire a valle gli aumenti nel timore di perdere volumi? Forse una sola cosa: il 2023. Nel corso della presentazione del Rapporto Coop 2022, Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) ha dichiarato di attendersi per i prossimi mesi un’ulteriore crescita dell’inflazione, seppure a ritmi un po’ inferiori di quelli registrati finora. Il che vorrebbe dire complicare ulteriormente uno scenario da brividi per la grande distribuzione. Vediamo perché.

I prezzi dei beni alimentari venduti dall’industria alle catene della Gdo sono cresciuti del +14,9% rispetto allo scorso anno (var % tendenziale luglio-agosto 2022-2021), mentre l’inflazione alla vendita nello stesso periodo ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9,2%. Il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna -5,7% ed è a carico della grande distribuzione. Davvero impressionanti i rialzi dei prezzi all’acquisto dei prodotti basici, sui quali l’impennata delle materie prime incide molto: l’olio di semi segna +40,9%, quello di oliva +33,1% e ancora la pasta +30,9%, la farina +25,4%.

I discount non sono molto lontani dal recuperare quasi tutto l’aumento dei prezzi di acquisto – ha detto Pedroni – mentre il resto della distribuzione è partita dopo e noi di Coop particolarmente dopo”. Tradotto in numeri, lo scorso luglio il tasso di inflazione dei prezzi al consumo era del +14,4% nel discount contro il +9,1% dei super.

Capitolo costi energetici sopportati dalla Gdo: nel 2019 erano pari a 1.512 milioni di euro e pesavano l’1,7% sul fatturato; nel 2022 arriveranno a 5.022 milioni di euro, per un’incidenza del 4,7% sul fatturato che salirà al 5,2% nel 2023. Il Rapporto Coop sottolinea come questo incremento è tanto più preoccupante se si considera che il retail alimentare è un settore strutturalmente a bassa redditività, dove piccole variazioni dei margini possono seriamente compromettere la tenuta dei conti economici. In base ai dati Mediobanca, il valore aggiunto trattenuto in media dalle imprese della Gdo nel 2021 è stato pari al 14,7%, l’Ebitda del 5,3% e l’Ebit del 2,6%. Allo stesso modo, ogni 100 euro spesi dal consumatore l’utile netto per i retailer è stato appena superiore ad 1,5 euro.

Ma quali sono i risultati dei punti vendita Coop in una situazione così complessa? “I canali hanno performance diverse – ha dichiarato Maura Latini, Amministratore Delegato di Coop Italia – anche se tutti hanno beneficiato di un andamento positivo nei mesi estivi. In generale, l’iper perde volumi per via delle sue difficoltà strutturali, purtroppo accentuate dall’aumento del costo dei carburanti, che ostacola lo spostamento dei clienti. Il supermercato tiene, con un recupero importante dal lancio del nostro progetto sul prodotto Coop a cui si è aggiunta la positività del mercato nella stagione calda. Nel complesso, registriamo una crescita dell’1% a volume”.

Coop ha annunciato lo scorso maggio un piano che una volta a regime (entro il 2024) includerà circa 5.000 nuovi prodotti a marchio, che innoveranno l’offerta del 50%. “I primi dati non solo ci danno ragione – ha affermato Latini – ma riconfermano la straordinaria forza del nostro prodotto. Da giugno a metà agosto, abbiamo rilasciato circa 1.000 nuovi prodotti. Una valutazione sulla base delle vendite a valore è difficile per via dell’inflazione e quindi guardiamo ai pezzi. Ebbene, in una categoria che definirei ‘tranquilla’ o quasi in leggera flessione, come le merendine, in cui abbiamo rinnovato la nostra offerta completamente, abbiamo registrato da giugno a metà agosto un +30% nei volumi venduti di prodotto Coop e +5% di quota. Se prendo una categoria completamente diversa, cioè gli aperitivi, dove l’innovazione è stata di segmento, di offerta e di assortimento, i volumi del prodotto Coop sono cresciuti del +88% e la quota del +9%”.

Rapporto Coop 2022, il largo consumo alla prova dell’inflazione

A volte un’immagine vale più di tante parole. La foto di un tornado che apre l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2022 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”, presentata l’8 settembre a Milano, la dice lunga sulle tante criticità all’orizzonte. A cominciare dall’inflazione: il dato a doppia cifra del +7,8% nel 2022 ci fa ritornare indietro di 40 anni (era al +9,2% nel 1985) e da allora a oggi mai aveva toccato tale picco. L’effetto è presto detto: una perdita media del potere d’acquisto delle famiglie stimata in 2.300 euro per il 2022, cioè il 7,7% della spesa media annua.

Nei prodotti alimentari lavorati – ha spiegato Albino Russo, Direttore Generale Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) – la dinamica inflattiva è prossima alla doppia cifra, ma ancora inferiore rispetto ad altri Paesi europei (da noi un +10% a fronte del +13,7% della Germania o del +13,5% della Spagna, con la media Ue 27 al 12,8%). Allo stesso tempo in maniera inattesa, nonostante questa spinta dei prezzi, i volumi di vendita hanno tenuto (+7,8% primo semestre 2022 vs 2019), complice la calda e lunga estate italiana, il ritorno del turismo straniero e la capacità della distribuzione moderna di imporsi sugli altri canali di vendita specializzati. Il mercato italiano è però al momento l’unico a mantenere un trend positivo dei volumi: la variazione delle vendite a prezzi costanti di largo consumo confezionato è del +0,5% in Italia, contro -5,4% del Regno Unito, -3,7% della Germania, -2,3% della Francia e -1,3% della Spagna. Questa differenza, come il ritardo nell’incremento dei prezzi, sembra presagire ad una inversione di tendenza imminente.

Oltre al tornado, un’altra metafora utilizzata nel Rapporto redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop – con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Nomisma Energia, Npd – è assai indicativa: il carrello come un fortino da proteggere e non più una miniera da cui attingere per finanziare altri consumi. Cosa significa? Che gli italiani – per ora – non hanno operato il cosiddetto downgrading degli acquisti, cioè non hanno rivisto al ribasso il mix dei prodotti che comprano. Guardando ai dati dello scorso luglio, a fronte di un’inflazione del +9,4% nel largo consumo confezionato, la variazione dei prezzi medi dei prodotti acquistati è stata del +9,3% e lo 0,1% di differenza è appunto la variazione di mix.

Ma attenzione: già oggi il 57% delle famiglie in affitto dichiara di essere in difficoltà a pagare il canone, così come il 50% delle famiglie con mutuo fa fatica a pagare la rata e se restringiamo il campo a luce e gas, un italiano su 3 entro Natale potrebbe non coprire più le spese per le utenze. Mettendo a confronto il periodo ottobre 2020 – settembre 2021 e quello ottobre 2021 – settembre 2022, la spesa media delle famiglie per l’elettricità è passata da 560 euro a 1.100 euro (+91%), quella per il gas naturale da 990 euro a 1.700 euro (+70%).

Insomma, la situazione è tale da fare presumere che le conseguenze si scarichino anche sul carrello della spesa. Come? Sono 24 milioni e mezzo gli italiani che nonostante l’aumento dei prezzi non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari e nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità, ma non la qualità del loro cibo. Le stesse marche leader sembrano sacrificabili, rispetto al 2019 hanno registrato una contrazione della quota di mercato passando dal 14,9% di quell’anno al 13,1% 2022 (-1,8 pp), mentre la Mdd continua la sua avanzata, con una quota di mercato che nel 2022 sfiora il 30% (+2,0 rispetto al 2019). Ma questa forse è una delle rare note positive per la Gdo, visto che il 2022 (e forse ancor di più il 2023) potrebbe essere l’anno più difficile della sua storia.

Largo Consumo in Italia, inarrestabile la corsa dell’inflazione

Nell’analisi “Lo stato del Largo Consumo in Italia” NielsenIQ evidenzia mensilmente lo scenario dei consumi e delle abitudini di acquisto delle famiglie italiane nella Grande Distribuzione Organizzata. Il mese di luglio 2022 registra un fatturato della distribuzione totale in Italia pari a 9,5 miliardi € con un trend positivo del +10,4% rispetto all’andamento dello stesso periodo dell’anno scorso. In questo contesto, a luglio 2022 l’inflazione teorica nel largo consumo confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, si attesta in risalita e pari al +9,4%.

Il dato che sorprende è la variazione minima dell’impatto dell’inflazione sulla scelta di prodotti che gli italiani inseriscono nel carrello e la preferenza del canale di acquisto, che a luglio si è concretizzata in una riduzione minima, pari allo 0,1% del mix, portando la variazione reale dei prezzi al +9,3%. Dato ulteriormente in risalita di 2 p.p. rispetto a giugno, che già segnalava un +7,3% verso il mese precedente.

“I dati raccolti evidenziano ancora la scarsa propensione degli italiani al risparmio, nonostante il tasso d’inflazione sia in rapida ascesa con un valore quasi a doppia cifra. Infatti, ciò è dimostrato dalla crescita omogenea dei volumi complessivi dei diversi canali di distribuzione del largo consumo – commenta Luca De Nard, Amministratore Delegato di NielsenIQ Italia. Tuttavia prevediamo un autunno molto critico, data la continua corsa dei prezzi causata dall’aumento del costo di energia e delle materie prime che porterà l’inflazione a pesare ancor di più sul bilancio delle famiglie italiane, pertanto nell’ultima parte dell’anno i consumi potrebbero variare sensibilmente”.

Per il mese di luglio 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, l’indagine mensile di NielsenIQ, evidenzia l’aumento del fatturato di Discount (+11,9%), seguito da Supermercati (+10,8%), Specialisti Casa&Persona (+9,9%) e Liberi Servizi (+7,3%).

La percentuale delle vendite in promozione (totale Italia) si è attestata su un livello più basso rispetto allo stesso periodo del 2021 (21,7%, -2,7 pp).

Infine, il consumo di prodotti a marchio del distributore a luglio 2022 resta invariato rispetto al mese scorso, pari al 21,2% del LCC nel perimetro Iper, Super e Liberi Servizi (ovvero i supermercati di metratura minore) attestandosi al 29,8% sul totale Italia inclusi i Discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Le aree merceologiche che nel mese di luglio hanno registrato una significativa crescita riguardano soprattutto i prodotti dedicati agli Animali Domestici (14,6%) e Freddo (+15,1%).

Si conferma il trend positivo per il Fresco nella maggior parte dei canali distributivi, con Libero Servizio (+5,1%) e Discount (+9,6%) che registrano rispettivamente le tendenze peggiori e migliori. Le categorie più dinamiche sono state Pane & Pasticceria & Pasta (+17,1%), mentre continua la diminuzione della Pescheria (-5,2%). L’andamento dei prodotti confezionati, resta in aumento a valore del +10,1% (-0,7% a volume).

Su tutto il territorio nazionale, l’area merceologica del grocery, registra un incremento a valore sul mese di luglio pari al +11% (+1,6% a volume). A livello di prodotto guidano la classifica dei TOP10 di NielsenIQ il dessert fresco, l’olio di semi di girasole e l’acqua gassata.

Inflazione crescente: i tempi difficili alimentano nuovi business?

La pandemia, per necessità o nuovo interesse, ha motivato circa tre adulti su dieci ad avviare un’attività imprenditoriale. Infatti, già lo scorso anno, l‘indagine internazionale di Ipsos rivelava un aumento dello spirito imprenditoriale, soprattutto tra le donne e i giovani.

Il 2022 si sta mostrando un anno ricco di avvenimenti: il Covid-19 con un aumento dei contagi in tutto il mondo, lo scoppio della guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi e del costo della vita, l’inflazione e molto altro. In questo contesto esterno, difficile e ricco di sfide, quali sono le principali ripercussioni sull’imprenditorialità?

La nuova indagine Ipsos rivela che l’attività e le aspirazioni imprenditoriali variano ampiamente nei 26 Paesi esaminati. In media, a livello internazionale, tre intervistati su dieci (31%) hanno avviato un’attività imprenditoriale in passato e una percentuale analoga (29%) spera di farlo nel prossimo futuro.

In Italia si registrano percentuali minori: il 23% afferma di aver avviato un’attività imprenditoriale in passato e il 26% sta prendendo in considerazione di farlo, ma la maggioranza pari al 51% non ha mai avviato un business.

Al pari dell’attività, anche le aspirazioni imprenditoriali variano notevolmente nei 26 Paesi esaminati. La probabilità di avviare un’attività è più alta in molti Paesi dell’America Latina, in Sudafrica e in India ed è significativamente più bassa in Corea del Sud, Francia, Svezia, Belgio, Paesi Bassi e Giappone.

Anche in Italia non si registrano percentuali elevate, infatti, soltanto il 19% degli intervistati pensa di avviare un’attività imprenditoriale nei prossimi due anni e la principale barriera è rappresentata dai finanziamenti, citati dal 39% dei rispondenti.

Inflazione, tassi d’interesse e supporto del Governo: l’impatto sul successo di un’attività imprenditoriale
In media, a livello internazionale, il 29% degli intervistati avvierebbe un’attività imprenditoriale perché potrebbe contare sui programmi sociali del proprio Paese al fine di mitigare i rischi, percentuale che in Italia si abbassa al 22%. Allo stesso modo, il 35% dei rispondenti a livello internazionale si dichiara demotivata ad avviare un’attività imprenditoriale ritenendo preferibile lavorare per qualcun altro, percentuale che in Italia si alza al 41%.

Analizzando, invece, fattori come il supporto del Governo, i tassi d’interesse e l’inflazione, in che misura questi contribuiscono al successo di nuove attività imprenditoriali?

– Il 68% degli italiani considera il supporto del Governo il principale fattore nel determinare il successo di una nuova iniziativa imprenditoriale, percentuale molto più alta rispetto alla media internazionale del 56%. Al tempo stesso, però, soltanto il 30% dei rispondenti ritiene che il Governo del proprio Paese stia facendo un buon lavoro nel promuovere l’imprenditorialità e assistere attivamente gli imprenditori, percentuale che si abbassa al 19% in Italia.

– Subito dopo si posizionano i tassi d’interesse: il 47% degli italiani li ritiene un fattore di successo, una percentuale leggermente più bassa rispetto alla media internazionale del 50%.

– Infine, soltanto il 26% degli italiani -la quota più bassa tra tutti i Paesi esaminati- considera l’inflazione un fattore determinante per il successo di un’iniziativa imprenditoriale. Nel resto dei Paesi la media è pari al 40%.

Gdo in Italia, la ricerca di NielsenIQ su andamento del valore e volume delle categorie

NielsenIQ rilascia i dati aggiornati sullo sviluppo dei prezzi per categorie. Prendendo in considerazione le categorie più rilevanti, ovvero quelle che nelle ultime 5 settimane* sviluppano almeno 10 milioni di euro, l’85% evidenzia un trend a valore positivo se confrontato con l’anno 2021.

Pesa l’inflazione: sale il valore ma cala il volume
In termini di giro d’affari, sono i dessert freschi e gli integratori e acque aromatizzate, che crescono rispettivamente del 72,6% e del 35,1% a valore, complice l’ondata di caldo intenso che tiene in stallo il nostro Paese dall’inizio della stagione estiva. L’inflazione impatta in modo particolare, in quanto, se consideriamo gli stessi trend ma analizzando i volumi, la crescita è “solo” del 54%.

Secondo i dati di NielsenIQ, ad esempio, crescono a valore ma presentano trend negativi l’olio di semi e la pasta di semola. Categorie che invece crescono molto a volume e non particolarmente a valore sono quelle della pulizia dei servizi igienici e della cura del viso femminile, che progrediscono rispettivamente del +37,6% e del +19,5% a volume.

Il dato inflazionistico viene ulteriormente confermato se prendiamo i trend a valore e a volume delle singole categorie e le confrontiamo fra loro: il 90% cresce più a valore che a volume, di conseguenza il loro prezzo medio aumenta; il pollo, per esempio, cresce molto a volume (+25,4%), ma il trend delle vendite a valore risulta quasi doppio (+47,1%). In controtendenza, con una diminuzione del prezzo medio, troviamo categorie come l’acqua gassata (-7,3%) e l’alimentazione sportiva (-5,1%).

Meno promozioni sugli scaffali
Analizzando la pressione promozionale delle categorie più rilevanti, dalle analisi di NielsenIQ emerge come il 59% di esse presentino una pressione promozionale a valore inferiore rispetto all’anno precedente. Nonostante i consumatori cerchino di risparmiare per fronteggiare gli aumenti dei prezzi dovuti all’inflazione, infatti, solo il 41% delle categorie presenta un trend delle vendite promo positivo. Le variazioni più significative nell’incidenza delle promozioni sul giro d’affari complessivo delle categorie più rilevanti si riscontrano, ad esempio, per riso bianco (-9,1 PP), burro (-7,0 PP) e rotoli di carta (-4,9 PP).

I consumatori consapevoli si adattano a interruzioni supply chain ed inflazione

L’ultimo biennio ha messo alla prova la resilienza dei consumatori. Secondo la Global Consumer Insights Survey di PwC, che nell’edizione primaverile del 2022 ha raccolto il punto di vista di 9.069 consumatori su 25 Paesi e territori, i consumatori continuano ad adattarsi alle interruzioni della catena di fornitura e all’inflazione crescente.

Molti tra i consumatori che hanno vissuto problematiche a livello di forniture, come la carenza della disponibilità dei prodotti o le consegne in ritardo rispetto ai tempi prestabiliti, affermano di essere propensi a modificare i propri comportamenti d’acquisto. Più di un terzo (37%) valuta la possibilità di rivolgersi a un rivenditore diverso per soddisfare le proprie esigenze o di passare all’acquisto online, nei casi in cui prima acquistava in negozio, mentre quasi un terzo (29%) di chi acquista online dichiara di poter dare una chance all’acquisto in negozio per una maggiore soddisfazione, mente il 40% potrebbe usare siti comparativi per verificare la disponibilità dei prodotti.

Anche le incertezze globali e le problematiche della catena di approvvigionamento stanno spingendo molti consumatori a rivolgersi maggiormente ai mercati del proprio circondario; otto intervistati su dieci hanno espresso la volontà di pagare un prezzo più alto della media per prodotti di provenienza locale o nazionale.

Finora, la maggior parte dei consumatori intervistati si trova ad affrontare un’inflazione più elevata; per i prossimi sei mesi, oltre il 75% prevede di mantenere o aumentare gli attuali livelli di spesa nella maggior parte delle categorie. Nello specifico, il 47% di intervistati ipotizza di spendere di più nei generi alimentari, ma in quello che potrebbe essere un segnale degli accadimenti futuri, più di un quarto dei consumatori prevede di ridurre le spese in una serie di categorie, inclusi beni di lusso/premium (37% degli intervistati), ristoranti (34%), arte, cultura e sport (30%) e moda (25%).

Nel complesso, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari è stato il problema più diffuso, citato dai consumatori che acquistano in negozio (65%) e online (56%), circostanza che oltre la metà degli intervistati (57%) afferma di aver vissuto quasi sempre o di frequente. Con il 69%, Stati Uniti e Canada seguono solo Sudafrica (76%) e Brasile (74%) tra i paesi con il maggior numero di intervistati che ravvisa un’inflazione nei generi alimentari.

Anche gli intoppi della catena di approvvigionamento hanno influito sull’esperienza di acquisto, in particolare l’impossibilità di acquistare un prodotto a causa dell’esaurimento delle scorte (online, 43%; in negozio 37%). I consumatori citano anche tempi di consegna più lunghi per gli acquisti online (42%) e code più lunghe o negozi affollati (36%).

Erika Andreetta, EMEA Luxury Community Leader PwC Italia, dichiara: La fortuna dell’Italia è che abbiamo filiere produttive, sia nel settore alimentare che nel mondo dell’abbigliamento e del lusso, radicate nel nostro Paese. Gli imprenditori italiani stanno rafforzando gli stabilimenti produttivi in patria, congiuntamente ad azioni di reshoring, con l’intento di essere maggiormente reattivi ai cambiamenti che i consumatori impongono. È indubbio che abbiamo dei costi paese storicamente elevati – dal costo dell’energia al costo del lavoro- e pertanto è fondamentale lavorare sui tempi del Go-to-market, mantenendo alta la qualità di nostri prodotti e delle nostre filiere. Le aziende agili, quelle in grado di gestire interruzioni multiple mantenendo il focus sulla domanda dei propri clienti, si trovano attualmente nella migliore posizione per avere successo in questo scenario turbolento”.

I consumatori e le nuove abitudini che stanno prendendo piede

I consumatori hanno cambiato lo stile di vita e le abitudini di acquisto a seguito della pandemia e molte di queste sembrano essersi radicate e troveranno un consolidamento nei prossimi sei mesi.

A causa della pandemia, il 63% dei consumatori intervistati ha dichiarato di aver già aumentato i propri acquisti online, mentre il 42% ha diminuito gli acquisti nei negozi fisici. La metà degli intervistati cucinava di più a casa e il 50% aveva aumentato le attività ricreative/di tempo libero domestiche. In prospettiva, le previsioni sono:

  • il 50% prevede di acquistare di più online, dato più alto tra i millennial (58%), i giovani millennial (57%) e la Generazione Z (57%) e più basso tra i baby boomer (32%) e la Generazione X (42%); il 39% prevede di continuare a comprare online ai livelli attuali;
  • il 46% prevede di cucinare di più a casa;
  • il 41% organizzerà più attività ricreative/di tempo libero a casa;
  • il 41% comprerà di più da rivenditori che garantiscono consegne/ritiri efficienti;
  • il 22% acquisterà di meno nei negozi fisici; solo il 33% aumenterà i propri acquisti nei negozi.

I fattori ESG e la sicurezza dei dati hanno una forte influenza sulla fiducia nei brand

I fattori ESG continuano a influenzare le percezioni dei consumatori. Per circa metà degli intervistati, l’approccio delle aziende ai fattori ESG influenza spesso o sempre la fiducia in quest’ultima o la probabilità di raccomandarla (lo stesso vale per il suo marchio) ad altri. Per considerare l’acquisto, l’importanza dei fattori di governance (41%) e sociali (40%) supera quella dell’impegno ambientale di un’impresa (30%). I fattori ESG pesano di più per la Generazione Z e i giovani millennial intervistati e di meno per la Generazione X e i baby boomer, mentre i fattori più significativi identificati per promuovere la fiducia del marchio riguardano la sicurezza dei dati e l’esperienza del cliente. La protezione dei dati personali è al primo posto (58% degli intervistati) per aver influito in larga misura sulla fiducia nel marchio, in crescita di 11 punti negli ultimi sei mesi. Anche le risposte “soddisfa sempre le mie aspettative” e “garantisce un servizio clienti eccezionale” hanno ricevuto un punteggio alto da oltre la metà degli intervistati (rispettivamente 53% e 52%).

La realtà virtuale è ancora in fase di adozione ma sta già impattando il mercato

L’impatto della realtà virtuale (VR) e del metaverso come canale di consumo, seppur agli inizi, ha già implicazioni gigantesche per aziende e rivenditori. A livello globale, il 32% dei consumatori intervistati ha utilizzato la realtà virtuale negli ultimi sei mesi (i dati sono più alti in Cina, 56%; India, 46%; e Qatar, 45%; e tra Gen-Z e giovani millennial, entrambi al 39%). Di questi, più della metà ha utilizzato la VR per il gaming o per guardare film/spettacoli televisivi (51%) o entrare in un mondo virtuale; ma quasi un terzo (32%) degli utenti di VR afferma di aver acquistato prodotti dopo averli testati o aver visitato gli store in maniera virtuale, mentre quasi due su dieci (19%) hanno fatto ricorso alla VR per acquistare beni di lusso. Il 45% prevede altresì di aumentare la propria spesa futura nella VR in sei categorie.

Erika Andreetta aggiunge: “La convergenza dei negozi fisici con gli acquisti online su più dispositivi ha definito l’esperienza omnicanale dei consumatori. Oggi la realtà virtuale e il metaverso stanno aggiungendo una dimensione completamente nuova e, sebbene quest’ultimo sia ancora un canale emergente, le aziende e i rivenditori dovranno considerarlo sempre più come parte della propria presenza omnicanale. D’altro canto, l’Italia ha dimostrato di sapersi adattare alle nuove tecnologie, complici i mutamenti che il mercato richiede, come dimostra l’adozione progressiva dei sistemi di pagamento elettronici che, solo nell’ultimo anno, sono aumentati del 56%, con un incremento della modalità contactless del 53% e degli acquisti via smartphone del 37%. Una conferma della capacità crescente dei consumatori di cogliere positivamente nuove modalità di acquisto diverse e innovative”.

L’inflazione ridisegna i consumi degli italiani, l’inchiesta di Altroconsumo

L’inflazione dei prezzi dovuto al Covid, da fenomeno passeggero quale sembrava essere, si è trasformata in una situazione strutturale che non si vedeva da almeno trent’anni. Le cause dell’aumento generalizzato dei prezzi sono dovute all’incremento del costo dell’energia e delle materie prime, esacerbate dalla guerra in Ucraina. I rincari di spesa riguardano tutti i settori produttivi, le bollette, il prezzo del carburante e soprattutto il prezzo dei prodotti alimentari.

Altroconsumo, tramite un’indagine statistica, ha fotografato la situazione delle famiglie italiane in questo momento. L’inchiesta ha confermato che le abitudini degli italiani sono notevolmente cambiate in molti contesti: dai consumi domestici alla mobilità, dall’alimentazione allo shopping, dal tempo libero all’assistenza sanitaria. L’indagine statistica sugli effetti dell’inflazione del 2022 è stata presentata al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino, dove si è discusso di come sono cambiati i comportamenti alimentari degli italiani e quanto gli aumenti stiano impattando sul carrello della spesa.

CARO BOLLETTE: IL SETTORE DEI CONSUMI DOMESTICI È IL PIÙ COLPITO DALL’INFLAZIONE
Il settore dei consumi domestici (casa, energia e acqua) è l’ambito nel quale è più alta la percentuale di coloro che hanno cambiato abitudini all’insegna del risparmio: lo ha fatto l’80% dei rispondenti. Lo scorso inverno, infatti, il 52% degli italiani ha usato con più parsimonia l’impianto di riscaldamento e presumibilmente starà facendo lo stesso con quello di condizionamento.

4 rispondenti su 10, non solo decidono di limitare le temperature in casa, ma risparmiano anche sull’uso degli elettrodomestici (40% degli intervistati). Il 27% degli italiani, inoltre, dichiara di essere stato più parco anche nei consumi di acqua con meno bagni, docce più veloci e rubinetto chiuso mentre ci si lava i denti. Infine, il 43% degli italiani ha sperimentato, nell’ultimo anno, un peggioramento della propria situazione economica e il 25% dei rispondenti dichiara di avere difficoltà a pagare le bollette.

Emerge, dall’analisi, che l’inflazione sta velocemente deteriorando il potere di acquisto delle famiglie italiane. Per questo motivo Altroconsumo ha chiesto al Governo di rendere definitive le misure tampone finora adottate per frenare il caro-energia, come l’abbassamento dell’Iva e l’eliminazione dalle bollette degli oneri di Sistema e le accise sul carburante. Le risorse derivanti dall’extragettito Iva (conseguenza dell’aumento dei prezzi) e dalle tasse sugli extraprofitti dovrebbero essere impiegate per ristorare le famiglie in difficoltà, in quanto il bonus da 200 può essere un aiuto, non una soluzione.

CARO-CARBURANTE: IL 65% DEI RISPONDENTI CAMBIA ABITUDINI ALLA GUIDA
Secondo l’inchiesta, a preoccupare maggiormente gli italiani, è il caro-carburante: motivo che ha spinto a cambiare abitudini alla guida il 65% degli intervistati. Il 31% di loro usa l’auto solo quando è strettamente necessario. Il 26% mette in pratica accorgimenti salva-benzina, (come guidare a velocità moderata, non spingere troppo il motore ed evitare sorpassi). Molti italiani si sono convertiti alla mobilità verde: il 18% va di più a piedi o in bicicletta e il 10% prende i mezzi pubblici con più frequenza di quanto non facesse prima della crisi.

6 ITALIANI SU 10 CAMBIANO IL MODO DI FARE LA SPESA
I prodotti alimentari subiscono gli aumenti più salati e costringono il 63% degli italiani a cambiare abitudini in fatto di spesa, come emerge anche dall’analisi dettagliata dei prezzi di alcuni prodotti alimentari di Altroconsumo. Per salvaguardare il proprio potere d’acquisto il 33% di essi dichiara di acquistare maggiormente prodotti “primo prezzo” (cioè con il prezzo a scaffale in assoluto più basso della categoria), alimenti a marchio del supermercato e in generale quelli super-scontati. Inoltre, il 29% degli intervistati ha tagliato la spesa in cibo e bevande non essenziali (alcol, dolci, snack salati…) e, cosa più preoccupante, 1 italiano su 5 (cioè il 21%) rinuncia all’acquisto di alimenti importanti come il pesce e la carne. Si riducono anche i momenti di piacere come le pause caffè al bar e le uscite al ristorante, diventate più sporadiche per il 26% degli intervistati.

Da quanto emerge dall’indagine, infine, il clima di incertezza continua a spingere gli acquisti di prodotti a lunga conservazione (cibi in scatola, zucchero, pasta e farina): il 20% dei rispondenti ammette di averne acquistato di più negli ultimi mesi.

LE SPESE MEDICHE SONO CONSIDERATE UN LUSSO PER 1 RISPONDENTE SU 3
L’inchiesta di Altroconsumo sottolinea inoltre che per 1 italiano su 3 curarsi sia diventato un lusso, un dato davvero preoccupante. Il 33% di loro dichiara infatti di non riuscire a far fronte alle proprie spese mediche. Il 16% non può permettersi le cure dentistiche di cui ha bisogno, il 13% non riesce a sostenere i costi di una visita specialistica e l’8% ha dovuto cancellare o rimandare le sedute di psicoterapia. Per il 10% dei rispondenti è diventato proibitivo l’acquisto di dispositivi medici come gli occhiali da vista o l’apparecchio acustico.

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