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Inflazione in calo ma occorre sostenere i consumi per salvaguardare il Made in Italy

I dati diffusi da Istat relativi ai prezzi al consumo del mese di febbraio evidenziano un’inflazione in rallentamento rispetto a quella del mese precedente: l’indice generale segna +9,2%, mentre il carrello della spesa registra un +13%.

“Nonostante si inizino a rilevare i primi segnali di un rallentamento dell’aumento generalizzato dell’inflazione, per effetto del sostanziale calo dei costi dei beni energetici, permane un sentiment diffuso di incertezza sul piano economico e servirà ancora diverso tempo per attenuare gli effetti dell’aumento dei prezzi, che resta tra le preoccupazioni principali delle famiglie italiane” ha commentato Carlo Alberto Buttarelli, Direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione.

“Il potere d’acquisto è stato fortemente messo sotto pressione in questi ultimi mesi e oggi continuiamo a registrare una contrazione dei consumi nel comparto del food, con un calo a volume tra i 4 e i 5 punti percentuali rispetto a un anno fa. È una situazione alla quale si deve porre la massima attenzione, con l’obiettivo di sostenere i consumi ed evitare impatti significativi sulle tante filiere agroalimentari di qualità ed eccellenza del Made in Italy.

Nel corso dell’ultimo anno le aziende della distribuzione moderna hanno fatto uno sforzo economico significativo, assorbendo parte degli aumenti generalizzati sui beni di consumo, per attenuare l’impatto sui prezzi e tutelare il potere di acquisto degli italiani. Oggi da parte delle nostre aziende non ci sono le condizioni per assorbire nuovi incrementi dei prezzi, ci auguriamo che i chiari segnali di rallentamento sui costi dell’energia e delle materie prime di queste settimane portino anche il sistema industriale ad agire in questo senso e porre un freno alla spinta agli aumenti che ha caratterizzato il mercato in questi mesi”.

L’inflazione costringe le famiglie a risparmiare sul carrello della spesa

Anche a gennaio 2023 si conferma il trend positivo del fatturato della distribuzione in Italia, che ha registrato ricavi per 9,8 miliardi di €, un valore in crescita del +8,1% rispetto alla performance dello scorso anno. A inizio anno, l’indice d’inflazione teorica nel largo consumo confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, risulta pari al 15,4% in leggera risalita rispetto al valore di dicembre 2022 (15,1%). La variazione reale dei prezzi si attesta invece al 15%, con una riduzione dello 0,4% del mix del carrello della spesa.

Stando ai dati di NielsenIQ, a gennaio 2023 crescono – rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso – tutti i format distributivi e nello specifico gli specialisti casa & persona (+15%), i discount e gli iper>4.500mq (+9,7%), seguiti dai superstore (+9,3%), dai supermercati (+6,7%) e dai liberi servizi (+5,9%).

Per quando riguarda l’incidenza promozionale (a totale Italia), nel primo mese del 2023 è più bassa rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e si attesta al 21,7% (-1,2 punti percentuali vs 2022). Infine, l’indagine di NielsenIQ evidenzia nel mese passato un andamento crescente per i prodotti a marchio del distributore (MDD), che raggiungono la quota del 22,7% del LCC nel perimetro iper, super e liberi servizi fino a spingersi al 31% sul totale Italia omnichannel – inclusi i discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Il 2023 si apre con la continua crescita dei prodotti dedicati agli animali domestici (+18,2%) e il cibo confezionato (+11,8%) che rimangono, anche nel mese di gennaio, le aree merceologiche con l’incremento più significativo. Il fresco conferma il trend positivo nella maggior parte dei canali distributivi, con iper>4500 (+8,7%) e liberi servizi (+4,1%) che riportano rispettivamente il trend migliore e peggiore. Pane & pasticceria & pasta (+17,5%), formaggi (+14,5%) e macelleria e polleria (+9,6%) risultano essere le aree merceologiche più dinamiche mentre prosegue, come nei mesi precedenti, la crisi del comparto pescheria (-3,8%). In calo anche frutta e verdura (-2,6%).

A livello di prodotto, fazzoletti di carta (56,7%), carne fresca a peso fisso (54,2%) e zucchero (40,3%) sono i primi tre comparti merceologici nella top10 del mese di gennaio.

Agroalimentare italiano, tra inflazione, gap tecnologici e sostenibilità

Agricoltori afflitti dall’aumento dei costi di produzione a causa della guerra e consumatori in crisi per l’inflazione: è questa l’immagine proiettata dallo studio Nomisma per Cia “Le nuove sfide per l’agricoltura italiana”, con un’Italia più preoccupata della media Ue, dove il 51% dei cittadini è in difficoltà economiche contro il 45% del resto d’Europa.

Dopo la spinta nel post Covid, anche l’agricoltura è in fase di stallo e, pur confermandosi fra le principali dell’Ue (72,4 miliardi di valore della produzione), registra una variazione positiva solo grazie all’escalation dei prezzi agricoli (+21%). Le commodity, già cresciute nel 2021, sono schizzate nel 2022: riso (+69%), soia (+12%), frumento (+42%), mais (+39%). L’inflazione pesa su tutto il settore food (+13,1% annuo) con picchi per pasta (+20%), prodotti lattiero-caseari (+17,4%) e olio (+16,2%). Allo stesso tempo, tutti i settori agricoli sono stretti dall’aumento generale dei costi di produzione (+22%), guidati dal +55% della voce energia. Le maggiori tensioni si registrano nell’approvvigionamento degli input tecnici dall’estero, soprattutto fertilizzanti, che per il 62% sono extra-Ue.

Cambia la spesa, stop a beni voluttuari per il 46% dei consumatori
Il 98% degli italiani è preoccupato per la crescita dei prezzi alimentari. L’84% dei consumatori ha già modificato la spesa alimentare, con lo stop al superfluo per il 46% e la rinuncia ai beni voluttuari e di maggior costo: carni rosse tagliate (-14%), pesce (-9%), salumi (-8%) e vino (-6%). Lo testimoniano anche i canali retail che vedono un +12% dei discount. Anche la crescita dell’export agroalimentare (+16% sul ’21) è in parte legata all’inflazione. Parallelamente, l’aumento dell’import porta al netto peggioramento del saldo attivo della bilancia commerciale (da 4,9 miliardi del 2021 a soli 300 milioni per il 2022). La filiera ha, dunque, retto, di fronte alle difficoltà, ma potrebbe pericolosamente vacillare se la situazione si protrae per tutto il 2023.

Italia al 18° posto in Europa nelle tecnologie digitali in agricoltura
Pesa ancora parecchio il gap cronico di servizi e infrastrutture tra città e aree interne, dove sale al 28% il rischio di esclusione sociale per i giovani. L’Italia si distingue per un ampio digital divide, posizionandosi solo al 18° posto in Ue per le difficoltà che registra su questo fronte soprattutto in termini di capitale umano e servizi pubblici digitali. Anche sulla connettività, le aree rurali garantiscono l’accesso a internet con smartphone solo al 74% della popolazione, contro l’81% delle grandi città. Per quanto concerne le infrastrutture di trasporto, ancora grande disomogeneità che rende alcune parti del Paese vicine agli standard Ue e altre profondamente penalizzate.

Agriturismi italiani leader in Europa ma c’è divario tra nord e sud
C’è un’Italia agricola che è leader in Europa per le attività connesse come gli agriturismi, la prima trasformazione, le fattorie sociali e le agroenergie. Valgono 5,3 miliardi e incidono sulla produzione agricola per il 10% (in Ue solo il 4%) e si confermano elemento importante per preservare il capitale umano nelle aree rurali. Si registrano tuttavia due velocità, con il Centro-Nord del Paese che è molto più avanti in fase di integrazione della multifunzionalità (Nord-Ovest 12%, Nord-Est 10%, Centro 9%), rispetto al Sud (solo il 2%), che potrebbe potenziare specialmente gli agriturismi, nelle regioni a forte vocazione turistica

Il settore agricolo emette il 9% di gas serra ma ne riassorbe il 10%
L’Italia agricola è in corsa per il Green Deal con la riduzione del 55% delle emissioni di gas effetto serra entro il 2030 per arrestare il riscaldamento globale. A fronte di una crescita del 67% delle emissioni globali del pianeta nel 2021 in Europa, si è conseguito una riduzione del 27%. L’Italia è in linea, con una contrazione del 26%. Si ricorda, peraltro, che il 9% delle emissioni di gas serra arriva dall’agricoltura (il 6% dalla zootecnia) che però riassorbe il 10% di tali emissioni grazie a foreste, pascoli e colture permanenti. Gli obiettivi di minori emissioni sono funzionali a interrompere il riscaldamento globale, che sta portando a innalzamenti delle temperature generalizzati. In particolare l’area mediterranea, Italia compresa, rappresenta un “hot spot” per il cambiamento climatico. Gli ultimi anni sono stati, infatti, caratterizzati da numerosi eventi climatici avversi, in particolare la siccità, che ha investito il 10% delle aree agricole con colture erbacee e il 25% di quelle sommerse. Mais e riso hanno registrato un calo produttivo, rispettivamente pari al 23% e al 22%, il grano del 9% e la suinicoltura del 4,2%. La siccità si aggiunge al consumo di suolo, che nel biennio 2021-22 è tornato a crescere con una media di 19 ettari al giorno.

Le energie rinnovabili rappresentano il 20% del fabbisogno nazionale
Il 2022 sarà ricordato anche per la crisi energetica, innescatasi nel 2021 e poi acuitasi con il conflitto russo ucraino. Il petrolio ha registrato un +42% e il gas naturale, già cresciuto nel 2021, un ulteriore +150%. Le previsioni per il 2023 sembrano di maggiore stabilità, anche se i prezzi resteranno a livelli ancora elevati rispetto al pre-Covid. Si ridimensionano in parte i costi di trasporto, con un ritorno a fine 2022 del nolo dei container a valori prossimi a quelli del 2020 dopo un biennio impazzito (+79% annuo). L’Italia, fortemente sbilanciata sul gas nell’approvvigionamento energetico, ha ridotto l’import dalla Russia dal 40% del 2021 al 19% del 2022, aumentando del 39% l’import di gas naturale liquefatto con gli Usa primo fornitore. Nel mix energetico del Paese, le rinnovabili cubano il 20% con enormi potenzialità di sviluppo. In particolare, nella copertura del fabbisogno di energia elettrica per tipo di fonte, nel 2022 il 62,1% è rappresentato dalla produzione termica, il 10,4% da quella idrica, l’1,9% dalla produzione geotermica, il 7,4% da quella eolica e, soprattutto, l’11,2% dalla produzione agro-fotovoltaica e il 6,3% dalle biomasse, entrambe a matrice agricola.

Fitosanitari, rese in calo per riso e mais
Il 2023 si è aperto con l’avvio della nuova Pac, che ha per obiettivo la redistribuzione a favore delle aziende medio-piccole (solo il 4,5% ha superficie maggiore di 50 ettari) e interventi a favore dei giovani agricoltori (il 9,3% degli agricoltori è under 40), mentre il 25% delle risorse complessive (875 milioni) è destinato a incentivare le pratiche sostenibili necessarie alla transizione ecologica. Parallelamente, prosegue l’attuazione del PNRR che dedica 8,5 miliardi all’agroalimentare. Tutti questi fondi Ue sono orientati dalla strategia Farm to Fork; resta tuttavia l’interrogativo sugli effetti che potrebbe generare sulla produzione la proposta di nuovo Regolamento sull’Uso sostenibile (SUR) – decisione slittata di alcuni mesi – con cui l’Ue chiede all’Italia di ridurre del 62% l’uso dei fitosanitari e del 45% quelli più pericolosi. In assenza di difesa, però, si calcola un calo del 70% per le rese di grano duro, del 62% per l’olio e addirittura dell’81% per il pomodoro da salsa, dell’84% per il riso e dell’87% per il mais, indispensabile alla zootecnia da cui dipende il nostro Made in Italy. L’agricoltura tricolore, intanto, ha già avviato il percorso di riduzione dei fitofarmaci (-38%), impiega per il 45% prodotti ammessi nel bio e può centrare il target del 25% di superfici biologiche al 2030, con 2,2 milioni di ettari già convertiti e uno scarto di altri 900mila ettari per giungere all’obiettivo finale di 3,1 milioni di ettari.

A dicembre +3,4% per vendite al dettaglio ma resta l’incertezza

I dati recentemente diffusi da Istat relativi alle vendite al dettaglio del mese di dicembre segnano un incremento tendenziale a valore del +3,4% a cui tuttavia corrisponde un calo a volume del -4,4%.

“Nonostante il rallentamento dei prezzi dei beni energetici, il quadro economico rimane ancora caratterizzato dall’incertezza e da un elevato livello di inflazione di fondo, fattori questi che incidono sul potere d’acquisto degli italiani che da mesi stanno riducendo i consumi, in termini sia qualitativi che quantitativi”, commenta Carlo Alberto Buttarelli, direttore ufficio studi e relazioni con la filiera di Federdistribuzione. “Da mesi registriamo una frenata significativa dei volumi di vendita nel comparto alimentare che a dicembre è stata del -6,6% rispetto ad un anno prima. Un trend negativo che sta già mettendo in difficoltà alcune filiere agroalimentari.

Gli italiani continuano a essere preoccupati per la tenuta dei propri bilanci familiari, fortemente gravati negli ultimi mesi dalla crescente pressione dell’inflazione nelle diverse voci di spesa quotidiana. La distribuzione moderna ha rilevato, nel corso dell’ultimo anno, che le abitudini di acquisto delle famiglie si stanno orientando sempre di più verso un’ottica di risparmio e convenienza, soprattutto sui beni più essenziali del comparto alimentare.

Qualora la corsa dei prezzi non dovesse essere adeguatamente contrastata, si corre il rischio di una frenata della domanda interna. Come comparto distributivo, riteniamo urgente avviare un confronto costruttivo con tutti gli attori della filiera, in particolare con l’industria del largo consumo, con l’obiettivo di trovare tutte le soluzioni possibili per contrastare la spinta inflattiva ancora in atto”.

La distribuzione moderna tutela il potere d’acquisto degli italiani

In un anno caratterizzato da molte criticità – dall’inflazione più alta degli ultimi trent’anni alla guerra in Ucraina, dal caro energia alle problematiche in alcune catene di approvvigionamento – la Distribuzione Moderna ha investito notevoli risorse per tutelare il potere d’acquisto degli italiani, trasferendo solo in parte i rincari della filiera sui consumatori. Le aziende distributive hanno assorbito una parte molto significativa di aumento dei prezzi per un valore di 3,9 miliardi di euro, consentendo un risparmio medio per famiglia fino a 77 euro al mese.

Il dato emerge dal Position Paper L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico della Distribuzione Moderna, realizzato da The European House – Ambrosetti per ADM – Associazione Distribuzione Moderna, di cui è stata presentata un’anticipazione ieri a Milano nell’ambito della conferenza stampa dedicata al convegno che aprirà la fiera Marca by BolognaFiere 2023, in programma a Bologna il 18-19 gennaio. Il paper sarà presentato integralmente nel corso del convegno inaugurale di Marca mercoledì 18 gennaio a cui ha già confermato l’intervento in presenza il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, On. Francesco Lollobrigida, e, in videocollegamento, il Viceministro delle Imprese e del Made in Italy, On. Valentino Valentini.

L’analisi del paper delinea l’importanza fondamentale del settore distributivo italiano nella filiera agroalimentare: è responsabile dell’80% degli acquisti attraverso una rete di 25mila punti vendita e sui 600 miliardi di euro di fatturato complessivi della filiera (50 miliardi dei quali derivanti dall’export), 155 miliardi sono generati dalle aziende della Distribuzione Moderna, con un valore aggiunto diretto di 25,6 miliardi.

Nel complesso, la Distribuzione Moderna contribuisce al valore aggiunto italiano per oltre 52 miliardi di euro; questo dato include quello generato direttamente (25,6 miliardi), quello indiretto (21,3 miliardi), cioè derivante dalle filiere di fornitura e subfornitura, e il valore indotto (5,2 miliardi) generato dagli occupati nella Distribuzione Moderna e nelle filiere attivate.

Significativo anche il sostegno del settore all’occupazione in tutte le aree geografiche della Penisola, da Nord a Sud, dalle città ai piccoli centri, grazie alla presenza omogenea dei punti vendita su tutto il territorio nazionale. In particolare, nel Mezzogiorno il settore è al 4° posto per incidenza degli assunti, e in termini di lavoro femminile e giovanile registra rispettivamente un +32% e +67% degli occupati rispetto alla media nazionale. Complessivamente, con un aumento di oltre 58mila occupati dal 2013 al 2021 (6º settore economico su 245 in Italia per crescita occupazionale dal 2013), la Distribuzione Moderna ha circa 440mila occupati diretti (+3,1% vs 2019) e sostiene una rete di 3,3 milioni di addetti, considerando anche le filiere attivate.

“Negli ultimi anni, tra Pandemia e caro vita, la Distribuzione Moderna ha dimostrato di essere un asset strategico dell’economia del Paese, sia per il valore aggiunto che riesce a generare sia per il contributo occupazionale, in particolare di giovani e donne”, afferma Marco Pedroni, Presidente di ADM. “Ha dimostrato inoltre di essere un attore responsabile della filiera: nell’anno appena trascorso ha contribuito significativamente al contenimento della spinta inflattiva sui prodotti alimentari, assorbendo una parte dei rincari e tutelando così il potere d’acquisto delle famiglie a basso reddito, quelle su cui pesano maggiormente gli aumenti. Un ruolo di calmiere sociale che continua a svolgere per quanto possibile, ma che vista l’impennata inflattiva deve vedere l’impegno non solo di tutta le imprese del largo consumo, ma anche delle istituzioni. E’ innegabile la necessità di un’azione del Governo di sostegno dei consumi, a favore in particolare delle famiglie più fragili. Un Paese che vuole tornare a crescere è necessario adotti una adeguata politica di sostegno dei consumi che rappresentano oltre il 60% del PIL del Paese”.

Il Convegno sarà l’occasione per fare un punto sul mercato della Marca del Distributore (MDD), quest’anno anche grazie a una survey condotta tra alcuni dei principali business leader del settore e delle aziende MDD partner.

Dai dati elaborati emerge il ruolo determinante della MDD nel contenimento dei prezzi al consumo. Secondo le stime di The European House – Ambrosetti, sui dati messi a disposizione da IRI, a fine 2022 il fatturato della Marca del Distributore è pari a 12,8 miliardi di euro (+9,4% rispetto al 2021) con una quota di mercato del 20,8%, quasi raddoppiata rispetto al 2003. La MDD ha anche consentito un effetto di democratizzazione della spesa alimentare, coniugando la convenienza all’elevata qualità e a un approccio sempre più sostenibile, come confermato dal 72% dei consumatori (da survey IPSOS ai consumatori italiani, 2022).

“La MDD ha progressivamente conquistato la fiducia dei consumatori che la percepiscono come una risposta affidabile e soddisfacente alla ricerca di un buon rapporto qualità-prezzo – commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. Il progressivo apprezzamento ha favorito anche la crescita economica di molte medie e anche piccole aziende fornitrici, arrivando a determinare il 60% dell’incremento del fatturato dell’industria alimentare nel mercato domestico”.

Dall’analisi dei bilanci di 651 aziende espositrici a Marca, emerge che tra il 2013 e il 2021 le aziende MDD partner hanno avuto performance migliori rispetto alla media dell’industria alimentare e, secondo la survey realizzata da The European House – Ambrosetti e somministrata, in collaborazione con BolognaFiere, agli MDD partner espositori a Marca 2023, la tendenza si conferma per l’anno appena concluso: 7 aziende su 10 dichiarano un aumento di fatturato, di cui il 27,1% in un range tra il 10-20% e il 24,1% tra il 20-30%. Questo grazie anche alle relazioni di lungo periodo instaurate con le aziende della Distribuzione Moderna: oltre un terzo del campione dichiara di avere contratti di collaborazione superiori agli 8 anni.

La conferenza stampa è stata anche l’occasione per presentare il programma della diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere, organizzata in collaborazione con ADM e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio di Bologna. Marca by BolognaFiere è l’unica fiera dedicata alla marca commerciale in Italia, la grande vetrina dove si espongono i prodotti food e non food dell’eccellenza italiana a Marca del Distributore. La manifestazione è anche l’unica a livello internazionale a offrire un grande spazio espositivo alle 22 principali insegne della Distribuzione Moderna che siedono nel Comitato Tecnico Scientifico della fiera. Un’occasione importante per andare alla sostanza del business, toccare con mano i prodotti e chiudere i contratti tra aziende di qualità e i retailer interessati a proporre prodotti con il proprio marchio. La diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere si annuncia già in crescita, con oltre 900 espositori e centinaia di buyer di altissima qualità provenienti da tutto il mondo.

“Marca by BolognaFiere è la prima fiera dell’anno – afferma il Presidente di BolognaFiere, Gianpiero Calzolarie si sta ormai affermando come una delle fiere più importanti dell’agroalimentare. La sua formula molto smart e molto veloce, due giorni di business puro, continua a incontrare sempre più interesse nelle catene distributive e nelle aziende che producono. Siamo orgogliosi di offrire ogni anno la sede più autorevole dove stringere accordi tra chi compra e chi vende, favorire la crescita e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese grazie ai rapporti con le insegne della Distribuzione Moderna”.

 

Largo consumo in Italia, a novembre inflazione al 15,2%

Ne “Lo stato del Largo Consumo in Italia” NielsenIQ evidenzia mensilmente lo scenario dei consumi e analizza le abitudini di acquisto delle famiglie italiane nella Grande Distribuzione Organizzata. Stando alla ricerca realizzata da NielsenIQ, il mese di novembre 2022 registra un fatturato della distribuzione totale in Italia pari a 6,9 miliardi € con un andamento positivo del +12,2 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

In questo contesto, a novembre 2022 l’inflazione teorica nel Largo Consumo Confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, si attesta al +15,2%, in risalita rispetto al valore annuale. Dall’altra parte, il mix del carrello della spesa degli italiani ha subito una riduzione pari all’1%, con una variazione reale dei prezzi del 14,2%. Dato ulteriormente in risalita di quasi 2 p.p. rispetto ad ottobre, che già segnalava un +12,5%.

Per il mese di novembre 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, l’indagine mensile di NielsenIQ, evidenzia l’aumento del fatturato di Discount (+15,3%), seguito da Specialisti Casa&Persona (+15%), Superstore (+12,8%), Supermercati (+11,7%), Liberi Servizi (+10%), e Iper>4500mq (+7,3%).

La percentuale delle vendite in promozione (totale Italia) si è attestata su un livello più basso rispetto allo stesso periodo del 2021 (21,6%, -2,8 pp). Infine, il consumo di prodotti a marchio del distributore a novembre 2022 raggiunge la quota del 21,4%, in leggera crescita rispetto al mese scorso pari al 21,3% del LCC nel perimetro Iper, Super e Liberi Servizi (ovvero i supermercati di metratura minore), attestandosi al 30,1% sul totale Italia inclusi i Discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Le aree merceologiche che nel mese di novembre hanno registrato una significativa crescita riguardano soprattutto i prodotti dedicati agli Animali Domestici (+17,7%) e il Cibo Confezionato (+14,6%).

Si conferma il trend positivo per il Fresco nella maggior parte dei canali distributivi, con il Libero Servizio (9,0%) e i Discount (+15,4%) che registrano rispettivamente le tendenze peggiori e migliori. Le categorie più dinamiche sono state Pane & Pasticceria & Pasta (+22,8%) e Formaggi (+19,5%). Il comparto Pescheria invece registra un calo del -1%, ma ci si aspetta una ripresa in vista delle festività. Dall’indagine sugli acquisti natalizi , infatti, è emersa una significativa propensione degli italiani ad acquistare, tra i prodotti premium, soprattutto pesce fresco e frutti di mare (31%).

A livello di prodotto guidano la classifica delle TOP10 di NielsenIQ le categorie dell’Olio di Girasole, Maionese e lo Zucchero, che risultano essere quelle che crescono di più in termini di fatturato, grazie principalmente all’inflazione.

Inflazione alimentare: +16,6% rispetto al 2021

L’indagine condotta da Unioncamere con la collaborazione di BMTI e REF Ricerche prospetta una crescita dei prezzi pagati dalle Centrali di Acquisto della GDO all’industria alimentare del +2,2% nel bimestre ottobre-novembre, portando così i prezzi su di un livello atteso pari al +16,6%, rispetto allo stesso bimestre del 2021.

A settembre si è rilevato un aumento del +1,2% per la media dei 46 prodotti alimentari maggiormente consumati, con rincari evidenti per il tonno all’olio di oliva (+6,1%), la carne in scatola (+5,1%), la birra nazionale (+4,8%) e i biscotti (+4,0%). Su base annua l’incremento è del +15,3%, con i rialzi maggiori per la farina di grano tenero (+37,0%), il tonno all’olio di oliva (+31,9%), la pasta di semola (+29,1%). Marcata anche la crescita negli oli e grassi per burro (+22,7%) e olio extravergine di oliva (+19,8%).

Le indicazioni fornite dalle Centrali di Acquisto della GDO prospettano significativi aumenti anche per il bimestre ottobre-novembre. Nello specifico, ci si attende un aumento per l’olio extravergine di oliva (+8,2%), su cui pesano anche le attese di una netta contrazione produttiva, tonno all’olio di oliva (+7,6%), birra nazionale (+7,3%) e carne in scatola, cresciuta del +6,7%. In calo solo l’olio di semi vari (-1,7%), complice il rientro, negli ultimi mesi, dai picchi raggiunti dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino. Su base annua, l’inflazione attesa per il bimestre è pari al +16,6%, con i rincari maggiori previsti per olio di oliva (+43,6%), tonno all’olio di oliva (+37,9%), pasta di semola (+34,2%), farina di grano tenero (+33,8%) e olio extravergine di oliva (+29,0%). Significativi anche gli aumenti annui attesi per i formaggi freschi (+19,8% per la mozzarella di latte vaccino, +21,2% per lo stracchino) e i formaggi molli (+16,3% per il Gorgonzola, +17,4% per il Provolone), sulla scia dei rialzi del costo del latte e dell’energia.

Le anticipazioni raccolte sui prezzi pagati dalle Centrali d’Acquisto della GDO all’industria alimentare suggeriscono che l’inflazione alimentare al consumo, a causa dei rincari delle materie prime energetiche, rimarrà sostenuta su valori superiori al 10% sino alla fine del 2022. Per la media dell’anno 2022 la previsione è ora all’8,4%.

Nei dati preliminari di Istat per il mese di ottobre, l’inflazione alimentare al consumo, rispetto allo scorso anno, ha già raggiunto il +13,1%, in accelerazione dal +11,4% di settembre.

I morsi della crisi cambiano la spesa degli italiani

Rincari dei prezzi e delle bollette, inflazione in salita e timori per il futuro pesano sull’approccio degli italiani alla spesa domestica e si traducono in nuove strategie di shopping “saving oriented” in termini di scelta dei prodotti e dei canali distributivi. A delineare lo scenario del largo consumo è stato il workshop online “Largo consumo confezionato: evoluzione tra le rivoluzioni”, tenutosi ieri ed organizzato da GS1 Italy in ambito ECR e in collaborazione con IRI.

«Gli eventi degli ultimi due anni e mezzo hanno generato reazioni e conseguenze transitorie» ha spiegato Ilaria Archientini, ECR project manager di GS1 Italy. «Ma hanno anche evidenziato elementi più stabili nel tempo, a partire dalla grande capacità dei consumatori di affrontare le emergenze modificando il mix dei canali visitati, dei prodotti acquistati e l’adesione alle promozioni».

Diversi sono i fenomeni del 2022 rilevati dall’analisi di GS1 Italy e IRI come il calo del potere d’acquisto delle famiglie. L’esplosione dei prezzi delle materie prime, che si riflette sui prezzi finali dei prodotti (+5,8%) e l’aumento dei costi obbligati stanno determinando una forte diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, su cui pesano anche la salita dell’inflazione (+5,7%) e il minor ricorso della GDO alle promozioni (22,5% di quota sulle vendite, il 4,0% in meno rispetto al 2019).

Per risparmiare si cercano quindi canali commerciali più convenienti. L’e-commerce rallenta però la crescita (2,3% di quota, come nel 2021) in tutte le sue declinazioni, e in particolare nel click & collect (+0,5%). Le strategie di saving del consumatore spostano il mix dei consumi sempre più verso i discount (+12,2% il giro d’affari annuo), verso il libero servizio piccolo (+6,0%) e verso gli specialisti del drug – casa e persona (+4,4%). L’aumento generalizzato dei prezzi in tutti i canali commerciali (e in particolare nel discount) e la necessità di far fronte alle maggiori spese per le utenze domestiche incide pesantemente sulla spesa reale delle famiglie determinando un calo generalizzato e significativo dei volumi, soprattutto in ipermercati (-1,8%), supermercati (-1,3%) e superstore (-0,7%).

Il carrello della spesa è diventato più basic. La ricerca di convenienza da parte del consumatore è visibile anche analizzando la spesa per fascia di prezzo o di posizionamento del prodotto sullo scaffale con le vendite dei primi prezzi in crescita annua di +7,6%, quelle del mainstream di +6,7% e quelle dei prodotti premium in calo di -1,7%. L’aumento dei prezzi ha determinato un rallentamento del trading up del carrello della spesa, anche se i consumatori italiani hanno resistito finanziando gran parte dei rincari sino a fine agosto. È cambiata anche la scelta delle marche, perché i consumatori cercano un equilibrio tra prezzo e qualità. Nella GDO avanzano le private label, di cui cresce anche l’offerta a scaffale (17,4% di quota). I brand industriali, che sono tornati anche a fare innovazione e rinnovare la loro offerta, guadagnano spazio nei discount e negli specialisti casa e persona.

Infine emerge anche il dato degli scaffali più vuoti. Si registra una minor efficienza in termini di on-shelf-availability e, quindi, un aumento del tasso di Out-of-Stock in tutti i canali (3,8%) e in tutti i reparti, in particolare nelle bevande (acque minerali in primis) e nel pet care (+0,4% ciascuno). A causa della mancanza di prodotto a scaffale aumentano anche le vendite perse (5,2%), soprattutto nel cura persona.

Esselunga combatte l’inflazione, ma azzera gli utili

Esselunga paga cara la lotta all’inflazione: il primo semestre del 2022 si è chiuso con una tenuta delle vendite, ma un sostanziale azzeramento dell’utile netto per via del contenimento dei prezzi. Una circostanza piuttosto sorprendente – il gruppo di Limito di Pioltello si è sempre segnalato nell’ambito della Gdo per gli ottimi risultati finanziari – ma che bene esemplifica le tante insidie di questa fase economica. Esselunga rivendica, infatti, di aver difeso il potere di acquisto dei suoi clienti, con una riduzione tra il 6 e l’8% dei prezzi a scaffale di oltre 1.500 articoli. L’operazione, realizzata dall’11 novembre 2021 al 30 aprile scorso, ha comportato un importante investimento e di qui l’impatto assai pesante sui conti.

La semestrale si è chiusa con vendite per 4.322,1 milioni di euro, in lieve contrazione (-0,2%) rispetto al corrispondente periodo 2021 che era andato in archivio con +6,7%. Il margine operativo lordo è pari a 214,6 milioni di euro (5,0%), dimezzato rispetto ai 427,1 milioni di euro (9,9%) del 1° semestre 2021. Al già citato investimento sui prezzi si sono sommati il significativo aumento dei costi di energia elettrica, gas e combustibili e il venir meno di un effetto che aveva influito positivamente sul corrispondente periodo del 2021, cioè la chiusura della campagna Fìdaty quinquennale. Il risultato operativo si è attestato a 30,7 milioni di euro (0,7%), rispetto ai 241,8 milioni (5,6%) del 1° semestre 2021. Infine, l’utile netto: 2,7 milioni di euro (0,1%) e il confronto con l’analogo periodo 2021 – quando l’ultima riga del conto economico recitava +221,1 milioni (5,1%) – è davvero impietoso.

Ma qual è stata l’inflazione a scaffale in Esselunga? Per il primo semestre 2022, l’azienda dichiara un incremento medio dei prezzi dell’1,7% a fronte di un rialzo medio del 7,4% ricevuto dai fornitori, precisando che “assorbire il 5,7% dell’inflazione è stata una scelta strategica maturata proprio al fine di tutelare il potere di acquisto dei clienti”. In crescita l’indebitamento: la posizione finanziaria netta è negativa per 2.347,3 milioni di euro, in peggioramento di 630 milioni rispetto al 31 dicembre 2021, principalmente per effetto dell’acquisto da UniCredit del 32,5% del capitale sociale di La Villata – società immobiliare proprietaria di un’ottantina di superfici commerciali del gruppo, di cui Esselunga deteneva già le restanti quote azionarie – con un esborso di 444,2 milioni di euro. Va comunque ricordato che il primo semestre dell’anno ha visto anche investimenti per 151,9 milioni di euro e l’apertura dei punti vendita di Fino Mornasco (CO), Torino Porta Nuova e laEsse in Largo Augusto a Milano, portando così la rete a un totale di 180 negozi.

Alla luce dei dati del primo semestre, è presumibile che nella seconda parte dell’anno Esselunga stia trasferendo una percentuale maggiore degli aumenti di listino ricevuti dai fornitori e questo renderà ancora più interessante la chiusura dell’esercizio. Restano due domande in sospeso: i clienti hanno compreso e apprezzato lo sforzo fatto dall’insegna? E quali sono i risultati finanziari di altri operatori della Gdo che non hanno mai raggiunto performance comparabili in termini di marginalità a quelle di Esselunga?

Annunciato l’aumento del prezzo delle patate

Il Centro di Documentazione per la Patata (CE.PA) ha annunciato l’aumento dei prezzi di listino delle patate, a seguito della diminuzione degli stock e all’aumento dei costi.

Nella riunione di venerdì scorso 16 settembre, gli operatori della Borsa Patate di Bologna si sono confrontati in merito ai dati produttivi e all’entità degli stock presenti nei magazzini. Tale analisi ha restituito uno scenario che desta forte preoccupazione. I quantitativi di patate raccolte e destinate al conto deposito risultano di oltre il 20% inferiori di quelli degli ultimi anni, in un contesto di vendite sostenute sin dall’inizio della stagione. I dati dei principali produttori europei confermano una situazione internazionale caratterizzata da minori rese e maggiori scarti.

La preoccupazione più viva presso gli operatori è l’aumento dei costi di produzione agricoli (fertilizzanti antiparassitari, meccanizzazione), di stoccaggio e confezionamento. I rincari dell’energia elettrica, del gas, degli imballaggi e dei trasporti incidono su tutte le fasi della filiera in maniera determinante. Per quanto riguarda alcune voci di spesa, l’aumento ha già toccato vette del 400%.

In questa fase di inizio della campagna di commercializzazione 2022-2023 gli operatori che aderiscono alla Borsa Patate sono, al pari dei loro colleghi europei, in forte apprensione per il futuro del settore: il rischio è quello di un notevole ridimensionamento delle superfici investite, con la prospettiva di un prossimo raccolto insufficiente a coprire le necessità del mercato interno.

L’organizzazione afferma pertanto l’inderogabile necessità di ottenere una migliore remunerazione per il prodotto, ricorrendo anche a significativi adeguamenti dei prezzi di vendita, in modo tale da non compromettere in modo irreversibile la futura disponibilità di un prodotto essenziale per i consumatori e, in particolare, di un’eccellenza produttiva fondamentale per il Paese, come la Patata di Bologna DOP e Selenella, oltre agli ingenti quantitativi di prodotto controllato e certificato destinato alle Private Labels.

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