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Ridurre gli orari di apertura per risparmiare sui costi energetici

Una riduzione degli orari di apertura dei punti vendita: potrebbe passare anche da qui la strategia di contenimento dei consumi energetici a cui l’intero Paese è chiamato. A parlare di questa ipotesi è stato Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop, a margine della presentazione del Rapporto Coop 2022. L’idea a quanto pare raccoglierebbe consensi trasversali nel settore della grande distribuzione, ma per essere messa in pratica ha bisogno di un’iniziativa da parte del Governo, perché le imprese faticherebbero da sole a trovare un accordo. “Tornare alle chiusure domenicali sarebbe però un errore – ha precisato Pedroni. Per i supermercati non sarebbe un grandissimo problema, ma per molti consumatori sì. Inoltre, chiudere la domenica porrebbe un problema occupazionale molto serio, perché le imprese si sono strutturate per offrire questo servizio: pensate non solo alla Gdo, ma agli esercizi presenti nei centri commerciali che hanno nella domenica il primo giorno in termini di vendite. Cosa diversa sarebbe se il Governo stabilisse con un intervento temporaneo un numero di ore massimo di apertura, lasciando poi la flessibilità di adattare questo orario massimo alle esigenze del singolo negozio”.

Rivedere la catena del freddo, evitando l’eccesso di banchi frigo, ridurre l’illuminazione quando il negozio è chiuso e adottare i sistemi a Led aiuta sicuramente a contenere i consumi, “ma per quanto il lavoro sul risparmio energetico possa essere importante – ha osservato Pedroni – il taglio dei nostri costi energetici può arrivare al 20% massimo. Le imprese della distribuzione non sono considerate energivore, ma nella pratica lo sono ed è necessario un intervento di sostegno, perché anche questo contribuirebbe a tenere un po’ più bassa l’inflazione per i consumatori”.

Altro tema sottoposto dalla Gdo all’attenzione della politica è la rimodulazione dell’Iva sui prodotti di largo consumo, portandola all’aliquota minima per i prodotti che compongono il paniere fondamentale acquistato dalle famiglie. Una misura simile comporterebbe ovviamente dei costi, che secondo il Presidente di Coop Italia potrebbero essere coperti almeno in parte utilizzando l’extragettito derivante sempre dall’Iva a causa dell’inflazione.

Qualunque sia il Governo che guiderà il nostro Paese credo che dovrà mettere al centro l’emergenza primaria delle famiglie italiane – ha affermato Pedroni – promuovendo una politica di ridistribuzione dei redditi a beneficio della maggioranza, affrontando il nodo energetico con misure che permettano alle imprese di rimanere sul mercato e ai cittadini di non pagare costi insostenibili”.

Sulla nota di aggiornamento al documento economico e finanziario

“Il Consiglio dei ministri ha approvato la nota di aggiornamento al documento economico e finanziario. Fonti Ue sulla flessibilità: ‘Nessun negoziato in corso, valuteremo il documento entro le scadenze previste’. Per quest’anno le previsioni sono di una crescita dello 0,8%.

La crescita si fermerà allo 0,8% quest’anno e all’1% l’anno prossimo, e il rapporto deficit/Pil si attesterà al 2,4% quest’anno e l’anno prossimo al 2%, ma con una possibile estensione di un ulteriore 0,4%. Lo annuncia il premier Matteo Renzi, nella conferenza stampa sulla nota di aggiornamento del Def, il Documento economico e finanziario appena approvato, al termine di un Consiglio dei Ministri cominciato con oltre un’ora di ritardo, e finito dopo appena 50 minuti. Renzi ha precisato subito che per il 2017 ‘l’Italia chiederà un indebitamento ulteriore di 0,4 punti percentuali per il sisma e per la gestione dell’immigrazione’. E dunque anche l’anno prossimo il deficit potrebbe arrivare al 2,4%: non si tratta di chiedere nuova flessibilità, precisa il premier. E in effetti nel pomeriggio fonti della Commissione Ue avevano ribadito quanto già trapelato nei giorni precedenti, e cioè che non c’è alcun negoziato sulla flessibilità in corso con l’Italia, e che le cifre aggiornate del nuovo Def sarebbero state valutate ‘secondo le scadenze previste’. ‘Non c’è flessibilità in questa Nota di aggiornamento al Def – obietta però Renzi – perché con una decisione che non ci convince si è deciso che vale una sola volta e noi l’abbiamo utilizzata lo scorso anno. Per me è un errore, c’è uno 0,4% massimo di circostanze eccezionali che è altra cosa rispetto alla flessibilità e riguarda elementi che nessuno può contestare che sono sisma e immigrazione’. La stima del Pil per quest’anno è sostanzialmente allineata a quella delle principali istituzioni economiche internazionali (coincide con quella dell’Ocse) e nazionali (Prometeia stima poco meno, lo 0,7%, come Confindustria). Alcuni giorni fa il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva invece contestato le stime di Confindustria, ribattendo che il governo ‘ne aveva di migliori’. Ma oggi, ammette Renzi, ha prevalso invece ‘San Prudenzio, linea Padoan. Non è la linea del 7,8% di crescita proposta da Palazzo Chigi’, scherza il premier, aggiungendo però subito: ‘È una battuta’”.

(Fonte: www.confcommercio.it, “Via libera al Def, Pil all’1% nel 2017 e deficit fino al 2,4%”, 28 settembre 2016).

In margine, segnaliamo l’intervista a Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio, pubblicata oggi da Libero (“Se aumenta l’IVA bruciamo 12 miliardi”), dalla quale estrapoliamo un passaggio: “L’Europa deve concederci flessibilità sul deficit, altrimenti il rialzo dell’imposta sarà un boomerang. I consumi crolleranno e saranno penalizzate le famiglie povere”. E non è una battuta…

Stime sul Pil da rivedere al ribasso secondo Padoan

“Il Governo rivedrà al ribasso le stime sul Pil. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso dell’Euromoney Conference a Milano, confermando quanto i recenti dati dell’Istat avevano lasciato intendere sull’andamento della crescita italiana.

‘L’economia italiana sta crescendo non così velocemente come vorremmo. Le previsioni di crescita saranno riviste al ribasso anche nei dati che il Governo rilascerà ad ottobre’, ha spiegato il ministro, sottolineando che ‘comunque l’economia sta crescendo dopo tre anni di prolungata recessione e perdita di Pil e capacità produttiva e sta generando posti di lavoro. Se c’è una creazione di posti di lavoro più che proporzionale rispetto alla crescita economia e l’economia diventa a maggiore intensità di lavoro forse è perché c’è stato un benvenuto cambiamento di struttura’.

Analoga la considerazione di Matteo Renzi, che tuttavia guarda a quanto di positivo sta avvenendo nell’economia nazionale. ‘Oggi c’è una polemica perché il ministro Padoan ha detto che i dati del Pil sono più bassi di quel che speravamo. Noi diciamo la verità. È così’ afferma il premier alla cerimonia per la posa della prima pietra del nuovo quartier generale di Siemens a Milano. ‘Ma i dati che erano negativi fino qualche anno fa – aggiunge – sono tornati positivi, anche se non vanno ancora con la velocità che vorremmo. E il nostro governo non nasconde dati, non racconta barzellette’.

Secondo Renzi, ‘l’Italia è il Paese che forse 20 anni fa poteva dare qualche grattacapo, ma ora è il paese più interessante dove fare investimenti’”.

(Fonte: www.huffingtonpost.it, “Pier Carlo Padoan: ‘Le previsioni sul Pil saranno riviste al ribasso’. Matteo Renzi: ‘Ma Italia è paese migliore in cui investire’”, 13 settembre 2016).

Heri dicebamus: “‘Il punto vero in questa fase è riuscire a parlare un linguaggio di verità” (Renzi dixit, ndr). “Per il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli siamo di fronte a ‘una ripresa senza slancio, senza intensità e senza mordente’; e bisogna ‘intervenire sui nodi strutturali che bloccano la crescita’; il destino dipenderà da ‘riforme ed equità’”. Et cetera (si veda inStore, giugno/luglio 2016, pag. 35).

A proposito: “Già da qualche settimana Tesoro e Palazzo Chigi lavorano ad una manovra il cui saldo complessivo oscilla attorno ai 25 miliardi di euro. Gran parte di quella cifra dovrà essere impegnata per neutralizzare una clausola di salvaguardia da 15 miliardi, pena l’aumento dell’Iva. Per la manovra vera e propria resterebbero solo dieci miliardi. Il governo finora ha sperato di finanziarla con un po’ più deficit di quello promesso a Bruxelles nell’ultimo documento di finanza pubblica: invece dell’1,8 per cento, fino al 2,3, giusto un decimale in meno del livello di indebitamento fissato per quest’anno. Eppure oggi ottenere quei dieci miliardi non è scontato, anzi. ‘Gli spazi sono molto, molto stretti’, ammettono due autorevoli fonti di governo”. (Fonte: Alessandro Barbera, “Manovra in salita per l’Italia. Sfida aperta con Bruxelles per evitare l’aumento dell’Iva”, La Stampa, 13 settembre 2016).

Hic Rhodus, hic salta…

ref.Ricerche al convegno di Tuttofood: l’economia migliora, ma l’Iva è una minaccia

Il fantasma della clausola di salvaguardia e della riverse charge dell’Iva non fa dormire sonni tranquilli alle aziende del largo consumo. Tanto più ora che Il barometro dell’economia italiana segna un miglioramento. sono due temi emersi durante il convegno Consumi2015 organizzato da Tuttofood, mostra professionale dell’alimentare di Fiera Milano.

Fedele De Novellis (ref.Ricerche) - FotoZil
Fedele De Novellis (ref.Ricerche) – FotoZil

Nell’analisi di Fedele De Novellis Chief economista a re.Ricerche, «forse non si può ancora dire che si sia spostato sul bello stabile, ma quantomeno si interromperà quest’anno e nel prossimo la lunga serie di indicatori negativi che hanno scandito l’ultima lunga crisi. Unica ma rilevante eccezione, la disoccupazione, che resterà  elevata» .

Secondo ref.Ricerche il prodotto interno lordo aumenterà dello 0,7% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016, sostenuto da una ripresa dei consumi. Le esportazioni miglioreranno ulteriormente la loro ottima performance e le importazioni cresceranno trainate dalla ripresina, senza peraltro compromettere il saldo della bilancia commerciale, che si manterrà positivo ed elevato (intorno ai 70 miliardi) grazie alla discesa del prezzo del petrolio. Il vincolo del 3% nel rapporto deficit pubblico su Pil sarà rispettato e l’inflazione sarà zero quest’anno e 0,7% nel 2016. Unica nota dissonante, il tasso di disoccupazione che beneficerà in maniera contenuta del miglioramento del quadro economico rimanendo stabilmente al di sopra del 12%.

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La convergenza di fattori sistemici favorevoli recentemente emersi, dall’indebolimento dell’euro al crollo del prezzo del petrolio, dall’allentamento della convergenza fiscale al quantitative easing della Banca Centrale Europea (fattori rispetto ai quali ref.Ricerche si chiede nel titolo della sua analisi “Ultima chance per l’Italia?”), sembrano dunque aver creato un contesto più favorevole, contribuendo all’uscita dal tunnel in diversi modi: la discesa del petrolio ha un impatto rilevante su un’economia di trasformazione; il cambio favorevole euro-dollaro, insieme alla ripresa americana, è uno dei fattori trainanti delle esportazioni; l’allentamento monetario della Banca centrale europea agevola in credito e abbassa i costi di produzione.

Tutto bene dunque? Fino a un certo punto. In questo quadro complessivamente positivo – avverte il ref.Ricerche – non mancano rischi. Due particolarmente significativi sono la caduta delle aspettative di inflazione e il possibile aumento dell’Iva, in base alla clausola di salvaguardia già prevista nell’ambito della discesa del rapporto deficit/Pil dell’Italia, secondo quanto imposto dalle regole europee di finanza pubblica. Qualora l’Iva subisse aumenti, l’impatto sarebbe negativo per la domanda di consumo e – affermano compatti industria e distribuzione – in special modo per i consumi alimentari.

Oltre a ciò, vi è l’incognita sulla riverse charge, che, secondo Roberto Bucaneve direttore del centro studi Contromarca, avrà un impatto di 8 miliardi sull’intera filiera alimentare. Qualora non avesse il via libera da Bruxelles, sarebbe surrogata con un aumento elle accise sui carburanti per circa 800 milioni.

«La motivazione è corretta, ma il settore è sbagliato», commenta lapidariamente Marco Pedroni presidente di Coop Italia. E Valerio Di Natale, vicepresidente di Contromarca aggiunge che «si consolida l’idea che alcune porzioni dell’economia possano diventare creditrici a lungo termine dello Stato. È quantomeno strano che in um momento in cui le imprese dovrebbero investire, sono invece obbligate a pensare a come far fronte a una norma che ne aumenta le difficoltà».

 

a cura di Fabrizio Gomarasca

 

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