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Mareblu coinvolge i consumatori nel suo crowfunding

Mareblu lancia Dalla parte del blu, originale campagna di crowdfunding che da oggi chiama i consumatori a scegliere online come saranno ripartiti i 50.000 euro che l’Azienda conserviera mette a disposizione di Legambiente per sostenere quattro importanti progetti a difesa del mare:

la pulizia dei litorali e dei fondali marini della campagna Spiagge e Fondali Puliti,

le attività del Centro Recupero Tartarughe di Manfredonia (FG) per la cura e la riabilitazione di esemplari feriti,

la ricerca SOS Marine Litter sull’inquinamento dei mari italiani,

le iniziative didattiche del MuSea – Museo Vivo del Mare e della dieta mediterranea di Pollica (SA).
L’iniziativa: come funziona
Con Dalla parte del blu, la seconda azienda italiana nel mercato delle conserve ittiche si rivolge ai consumatori, facendone i protagonisti assoluti di un’innovativa campagna di sensibilizzazione ambientale capace di coinvolgere il grande pubblico e sviluppata in collaborazione con Legambiente e la piattaforma di CSR 1ClickDonation di CrowdM (https://www.1clickdonation.com/).
Collegandosi al sito www.dallapartedelblu.it, infatti, gli utenti hanno la possibilità di informarsi sui quattro progetti di Legambiente a salvaguardia dell’ecosistema marino e scegliere quello a cui “donare un click”. Questo gesto di preferenza semplice e gratuito, inoltre, potrà essere condiviso dagli utenti sui principali social network. A conclusione della campagna, che proseguirà fino al 22 maggio, Mareblu regalerà a Legambiente 50.000 euro: 25.000 euro saranno distribuiti in parti uguali fra i quattro progetti, mentre i restanti 25.000 saranno suddivisi in base al numero di click ricevuti da ciascuna iniziativa.

Una partnership per la sostenibilità
Dalla parte del blu rappresenta una significativa evoluzione e integrazione nella partnership che Mareblu ha stretto dal 2012 con Legambiente nell’ambito del suo percorso di sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Mareblu, infatti, ha individuato e condiviso con la più importante associazione ambientalista italiana iniziative e progetti finalizzati al consumo responsabile, alla riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti nel loro ciclo di vita e alla difesa dell’ambiente.
Thai Union, la multinazionale thailandese di cui fa parte Mareblu, si è infatti impegnata per far sì che tutto il suo tonno branded sia sostenibile e che entro il 2020 almeno il 75% del tonno branded sia certificato dal Marine Stewardship Council (MSC).

“Mareblu collabora con Legambiente già da qualche anno – ha dichiarato Matteo Scarpis, Direttore Generale Mareblu – “Questa collaborazione in Italia si inserisce in un più ampio e ambizioso piano strategico di sostenibilità del gruppo Thai Union, di cui Mareblu fa parte, chiamato SeaChange. Questo programma è articolato in 4 aree principali: l’Approvvigionamento Responsabile, i Processi di produzione sostenibile, la Legalità e sicurezza sul lavoro e l’attenzione per le Persone e le Comunità in cui Thai Union opera.”

Stefano Ciafani, Direttore Generale di Legambiente, ha commentato: “La partnership con Mareblu prosegue su un percorso di confronto e collaborazione fecondo per noi e per l’azienda, che in questi anni ha sviluppato un approccio alla sostenibilità sempre più proattivo, concreto e virtuoso anche per il suo business. Il lavoro messo in campo per migliorare le prestazioni ambientali della filiera produttiva di Mareblu è il risultato concreto e tangibile di questo lavoro comune.”

Big data e realtà aumentata: le nuove frontiere dello store

Big data, realtà aumentata  e tecnologia indossabile: l’esperienza d’acquisto si fa sempre più personalizzata sia online sia in negozio. Morale? Ci sono tutti i presupposti perché il futuro della vendita al dettaglio venga rivoluzionato.

Ecco quanto emerge da un nuovo studio europeo condotto da Epson (il principale produttore di POS in Europa) al quale hanno preso parte 17 esperti di settore provenienti da tutto il mondo e oltre 7.000 dipendenti full-time europei. Il 72% degli europei (il 77% degli italiani) attualmente impiegati nel settore retail & hospitality intervistati ritiene che le vendite diventeranno sempre più personalizzate e che il personale contribuirà a migliorare l’esperienza di acquisto, confermando il ruolo dei negozi fisici nel ciclo d’acquisto.
Vediamo più nel dettaglio quanto emerge della ricerca.

Big Data
Se da un lato circa la metà degli intervistati (49% europei; il 52% degli italiani) è dell’idea che i big data avranno un impatto positivo sull’intero settore, il 42% degli europei (il 36% degli italiani) teme che i clienti non rinunceranno alla protezione dei loro dati a favore di un’esperienza di acquisto più personalizzata (percentuale che raggiunge il 64% tra gli over 50 e si attesta invece sul 50% per i Millennial). Ciò solleva importanti questioni circa la relazione tra rivenditori e clienti.
 
Questo aspetto è molto importante e deve essere valutato attentamente affinché i punti vendita possano sfruttare appieno le opportunità offerte dalla tecnologia. Dallo studio è emerso che il 73% (e ben il 79% degli italiani) dei dipendenti nel settore in oggetto ritiene che mediante l’uso dei dispositivi personali sarà possibile intensificare la relazione tra clienti e rivenditori.

Brick and mortar store

I negozi fisici continueranno ad avere un ruolo prioritario: secondo le stime, in media il 56% (il 57% italiani) delle decisioni di acquisto continuerà, almeno per i prossimi anni, ad essere presa in negozio.
 
Tuttavia, subiranno probabilmente profondi cambiamenti. Verranno introdotte nuove iniziative, ad esempio il riconoscimento automatico dei clienti, per fornire un’esperienza di acquisto ultra-personalizzata, come previsto dal 72% degli intervistati (e ben il 77% degli italiani). Secondo il 46% (il 50% degli italiani), inoltre, i negozi non terranno più merci a magazzino e sfrutteranno la realtà aumentata per fornire ai clienti suggerimenti e servizi personalizzati (63% vs il 66% degli italiani), creando on-demand prodotti su misura all’interno del punto vendita.

Gli ostacoli non mancheranno e tra questi i i costi associati all’implementazione delle nuove tecnologie (considerati una problematica dal 63% degli intervistati, il 62% degli italiani) e la formazione dei dipendenti (necessaria secondo il 40%; il 32% degli italiani).
 
Le principali tendenze
Ecco le principali tendenze emerse dallo studio:
Nascita degli Augmented Shopper:  il 69% (77% degli italiani) sostiene che, attraverso la simulazione in qualsiasi ambiente (a casa, al lavoro o in negozio), i clienti potranno immaginare l’utilizzo di un determinato prodotto. Di conseguenza, la realtà aumentata fornirà loro un’esperienza sensoriale unica. Nello stesso tempo, il 57% (67% per gli italiani) ritiene che la realtà aumentata offrirà un’esperienza di acquisto sociale e divertente, creando un senso di comunità attorno al marchio. Inoltre, con l’evoluzione del POS, i tempi di attesa nei negozi verranno eliminati. Questo è ciò che afferma il 45% degli intervistati europei (il 42% degli italiani). Il riconoscimento automatico dei clienti nei punti vendita consentirà un’esperienza ultra-personalizzata con un servizio velocissimo: il 53% (60% degli italiani) ritiene, infatti, che le transazioni verranno effettuate automaticamente grazie ad appositi sensori.
 
Maggiore afflusso di clienti grazie alle driverless car: quasi la metà degli intervistati (46% e il 55% degli italiani) ritiene che l’utilizzo delle auto senza conducente potrebbe essere un fattore determinante, in quanto comporterebbe la riduzione del traffico nelle principali aree commerciali.
 
Consulenti di fiducia all’interno dei punti vendita: il 60% degli intervistati europei (58% degli italiani) ritiene che in futuro non ci saranno più responsabilità a livello di transazioni e di cassa, mentre il 74% (e ben l’81% dei rispondenti italiani) sostiene che i dipendenti diventeranno veri e propri esperti e “consulenti di fiducia” nel loro settore, capaci di fornire immediatamente informazioni aggiornate ai clienti per soddisfare le loro esigenze. Affinché il personale possa fornire valore aggiunto dove la tecnologia non arriva, è necessario acquisire nuove conoscenze seguendo più corsi di formazione.
 “Gli ambienti di lavoro e gli spazi in cui viviamo diventeranno sempre più interconnessi – ha commentato  Minoru Usui, Presidente di Epson -. La tecnologia, inoltre, sta trasformando negozi, fabbriche, uffici, case, ospedali e scuole, ovvero i luoghi che determinano il corso della nostra vita. Come azienda, Epson promuove il cambiamento tecnologico sviluppando soluzioni in grado di aumentare l’efficienza e la produttività di collaboratori e dipendenti. Le tecnologie Epson, tra cui i dispositivi indossabili, i robot, le stampanti e le soluzioni di visual imaging, sono progettate per offrire nuove opportunità nel settore retail secondo una prospettiva futura”.

Armando va con il vento in poppa: cresce del 28% il numero delle aziende aderenti

Armando, il progetto di filiera per la produzione di pasta di grano duro di alta qualità 100% italiana promosso dal pastificio campano De Matteis, procede con successo anche nel 2016/2017. Cresce infatti di un ulteriore 28% il numero delle aziende agricole aderenti, passate da 653 a 833, e aumentano del 21% le superfici dedicate alla filiera , distribuite in 20 Province di 9 Regioni, portate da 10.415 a 12.648 ettari.

La cerealicoltura italiana di qualità
Nato nel 2011 per iniziativa del pastificio De Matteis di Flumeri (Avellino), tra le pochissime aziende a ciclo integrato di trasformazione grano-pasta grazie al molino direttamente collegato al pastificio, il progetto “Armando” si consolida come una delle più grandi filiere di grano duro presenti in Italia.
I suoi progressi costanti (in 7 anni – agricoltori coinvolti +708%, superfici coltivate +1010%, produzione in tonnellate +1149%) confermano la validità di un patto di filiera stretto tra industria e agricoltori che valorizza la cerealicoltura italiana di qualità.
Il progetto è nato con l’obiettivo di produrre Pasta Armando, primo marchio italiano di pasta di grano duro ad aver messo l’accento non solo sull’eccellenza dei processi produttivi, ma anche sulla qualità e l’origine del grano duro utilizzato.
Pasta Armando è prodotta esclusivamente con grano duro italiano coltivato nel rispetto del rigoroso disciplinare di produzione per garantire il raggiungimento di un elevato contenuto proteico (14,5% vs. un valore minimo del 12,5% stabilito dalla legge) e un alto indice di glutine: due elementi basilari ai fini della produzione di una pasta di qualità, tenace, gustosa e genuina.

I vantaggi per i coltivatori
Gli agricoltori che aderiscono al patto di filiera usufruiscono di assistenza agronomica e beneficiano anche della garanzia che, al raggiungimento delle soglie di qualità previste nel contratto, il pastificio De Matteis acquisterà il loro raccolto a un prezzo minimo garantito; previste inoltre premialità ove le quotazioni superassero il prezzo minimo garantito. In altri termini, la garanzia finanziaria contenuta nel patto di filiera fornisce alla parte agricola una certezza di ricavi fondamentale a fronte della sistematica volatilità delle quotazioni di mercato del grano duro e dell’influenza di fenomeni speculativi.

L’apporto per il Centro-Sud
Lo spessore del progetto di filiera “ Armando” trova ulteriori conferme in dati significativi quali il +42% nelle rese produttive e il +123% nella redditività raggiunte dagli agricoltori italiani aderenti al patto.
Inoltre, le garanzie di stabilità economica offerte dal prezzo garantito, insieme alla valorizzazione del prodotto locale si riflettono sul mantenimento, specie nel Centro-Sud, di un tessuto imprenditoriale agricolo diffuso e competitivo, con la crescita dei livelli occupazionali diretti e nell’indotto e la permanenza dei giovani nelle aziende.
La filiera “Armando”, pertanto, sta contribuendo attivamente al rilancio economico e produttivo in atto nel Mezzogiorno evidenziato dai dati recentemente diffusi sul PIL 2015.
Con il +7,3%, infatti, l’agricoltura è la locomotiva che ha trainato il prodotto interno lordo delle regioni meridionali a una crescita del 0,8% contro lo 0,6% del Centro-Nord. Nel 2015, inoltre, il valore degli investimenti fissi lordi in agricoltura al Sud si è attestato in oltre 2,2 miliardi, pari al +9,6% rispetto al 2014.
Il mondo agricolo è protagonista anche nella creazione di posti di lavoro nelle regioni del Centro-Sud con un +3,9% di occupati rispetto al 2014, di cui il 12,9% rappresentato da giovani.
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“Siamo orgogliosi che i risultati raggiunti negli ultimi anni e il clima di fiducia nel futuro che anima gli agricoltori che aderiscono alla filiera “Armando” abbiano condotto altre aziende agricole ad aggregarsi al progetto, confermandolo come una delle più importanti filiere di grano duro nel nostro Paese” – ha dichiarato Marco De Matteis, Amministratore Delegato di De Matteis Agroalimentare. “Contribuire al rilancio dell’economia e dell’occupazione, specie giovanile, è un onore, anche se c’è ancora molta strada da fare per annullare gli squilibri del passato e assicurare un adeguato ricambio generazionale. Così come siamo orgogliosi di aver offerto al mercato una pasta 100% italiana, che racchiude in sé tutti i valori più genuini delle tradizioni agricole del nostro Paese.”
 

Per Consorzio Sun nel 2017 fatturato a 2,79 miliardi e 31 nuove aperture

Un 2017 di espansione attende Consorzio Sun: sono infatti 31 le nuove aperture previste, per arrivare a quota 626 (erano 296 nel 2011), e un fatturato di 2,79 miliardi (contro 2,66 miliardi previsti nel 2016). La crescita delle aziende del consorzio SUN – Supermercati Uniti Nazionali nel corso del 2017 che sono: Italmark di Brescia, Alfi (Gulliver) di Alessandria, Cadoro di Venezia, Gruppo Gabrielli di Ascoli Piceno e Gros Gruppo Romano Supermercati di Roma, centrale di acquisto con 40 anni di storia, riguardano in particolare due nuovi mini iper o superstore, 13 supermercati di grandi dimensioni, dieci supermercati, cinque superette ed un punto vendita di minore dimensione. Il programma di espansione prevede anche 18 ristrutturazioni di punti vendita già esistenti.

 

Obiettivo 3,5% di quota di mercato

Le aziende che compongono il Consorzio SUN contribuiranno con il piano di espansione ad attuare il processo di modernizzazione della rete distributiva italiana soprattutto nelle proprie aree di competenza. Secondo gli ultimi dati, a livello nazionale la quota di mercato del Consorzio SUN è del 3,3% , ma sulla base dei programmi di sviluppo previsti per il 2017 l’obiettivo è di raggiungere il 3,5% alla fine del prossimo anno. Particolarmente interessante appare, infatti, la quota di mercato del Consorzio SUN nelle aree di riferimento dove operano i diversi soci ovvero nelle regioni: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise. Ad esempio, nelle province di riferimento del Socio Alfi la quota di mercato è del 6,9%; nelle province di riferimento del Socio Cadoro raggiunge il 5,6%; nell’area di riferimento del Socio Cedigros è pari al 17,3%; nell’area di riferimento del Socio Gabrielli la quota è del 13,3% e nell’area di riferimento del Socio Italbrix si attesta al 13,3%. In tutte queste aree dove operano le aziende associate al Consorzio SUN la quota di mercato è del 12%.

«Nel corso del 2017 continuerà il presidio nelle rispettive aree di competenza e di operatività degli attuali soci del Sun ovvero nel nord e centro Italia – ha detto Marco Odolini presidente del Consorzio Sun – in quanto intendiamo presidiare le aree dove già operiamo e nel contempo ampliare la nostra penetrazione in nuove zone».

 

Consilia va palm-free

Uno sviluppo che tiene ovviamente conto dell’apporto che è in grado di assicurare la marca del distributore Consilia, il brand di proprietà del Consorzio SUN. La quota della MDD Consilia sulle vendite da parte dei soci del Consorzio Sun ha avuto un’incidenza del 15,2% con un incremento dell’8,5% rispetto al precedente anno. «Il 2017 – ha detto il direttore generale del Consorzio SUN Stefano Rango – sarà un anno di sviluppo significativo per Consilia. La crescita da sempre si coniuga anche con un costante innalzamento dei livelli qualitativi dei prodotti a marchio Consilia. In proposito vorrei anche sottolineare che dal primo trimestre 2017 i nostri prodotti saranno tutti realizzati senza l’utilizzo dell’olio di palma».

 

Gruppo Miroglio lancia il progetto “300 in 300 giorni” per la sua società Miroglio Fashion

300 in 300 giorni: questo l’ambizioso progetto del Gruppo Miroglio -per la sua società Miroglio Fashion – che si ripropone, entro il 2017  un grande piano di rinnovamento di 300 punti vendita su tutto il territorio nazionale. Il progetto, che tra restyling e nuove aperture coinvolge i punti vendita di 8 brand del Gruppo piemontese del tessile e della moda – da Motivi e Oltre a Elena Mirò, Fiorella Rubino, Caractère, Diana Gallesi, Luisa Viola e Per Te by Krizia – prevede un investimento pari a 15 milioni di euro.

La maggior parte dei punti vendita si trova in Lombardia (70 negozi), seguita dal Piemonte (31), ma anche in Emilia Romagna (23 punti vendita), Puglia (18), Calabria (17), Sicilia (15). Entro fine marzo saranno già 100 i cantieri aperti nei negozi Miroglio in tutta Italia.

Non solo Italia
Il piano riguarda anche i punti vendita del Gruppo negli altri Paesi europei: il rinnovamento di tre store in Francia, tra cui l’ampliamento e restyling del negozio Elena Mirò a Parigi, il rinnovamento di 7 punti vendita Elena Mirò in Spagna, la nuova apertura di Motivi a Brasov, in Romania, il rinnovamento di 3 punti vendita, sempre Motivi, in Russia.

hans_hoegstedt_“Questo piano straordinario di investimenti per valorizzare la nostra rete di negozi si inserisce nella più ampia strategia di rilancio di Miroglio Fashion” ha commentato Hans Hoegstedt, nuovo Ad di Miroglio Fashion. “In un mercato molto dinamico che va sempre più verso la massificazione, come quello della moda, è fondamentale saper essere sempre più vicini, sia online che offline, ai desideri delle clienti, e riuscire ad offrire loro un’esperienza nei negozi sempre più distintiva e personalizzata, unica per ogni marchio. Pensiamo sia questa la ricetta vincente, per un’azienda storica della moda italiana come Miroglio, per continuare a operare con successo nel mercato italiano ed internazionale”.

La tecnologia è amica o nemica del lavoro? Italiani ottimisti, manager e giovani preoccupati

Che le tecnologie stiano trasformando il mondo del lavoro è cosa evidente: macchine sempre più intelligenti e precise, veloci e in grado di eseguire ogni genere di compiti sono pronte a sostituire cuochi e cassieri, autisti e infermieri (anche nel retail, vedi I robot prenderanno il controllo del supermercato del futuro?). Per contro, la tecnologia rende più semplice svolgere varie mansioni, evitare di recarsi i ufficio ma lavorare da casa, analizzare i Big Data, organizzare il lavoro e programmarlo per prendersi spazi di vita, in tutti i settori. Ma qual è la percezione “sul campo”, delle persone, a proposito? Lo ha indagato uno studio condotto da Epson su oltre 7.000 lavoratori nei cinque principali Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Anche perché il mondo del lavoro sarà trasformato dalle nuove tecnologie in tempi più brevi di quanto si pensasse: molti infatti ritengono che non sia così lontano un mondo dove la produzione di massa appartiene al passato.

 

Il 64% di posti in meno, il 63% disposto a cambiare

Eppure, c’è poco spazio per l’ottimismo. Oltre la metà (57%) dei dipendenti europei – ma ben il 62% di quelli italiani – che lavorano nella sanità, formazione, retail e produzione ritiene che la tecnologia rivoluzionerà settori e modelli aziendali. Soprattutto, il 6% degli intervistati in Europa (e il 4% in Italia) crede che nel futuro la propria mansione non esisterà più: una previsione addirittura al ribasso, visto che stando ai modelli attuali si parla di una possibile riduzione dei livelli di occupazione in Europa al 64%, un valore inferiore a quello registrato nel 2005. Ciò nonostante, chi lavora mostra di essere cittadino a pieno titolo della learning society e gli italiani (86%) si dichiarano ancora una volta più ottimisti degli europei (72%), con il 63% disposto ad aggiornare le proprie conoscenze per poter svolgere nuove mansioni.

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Tuttavia, questo ottimismo potrebbe essere vanificato dal fatto che, nelle opinioni dei dipendenti, le aziende sembrano non voler trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie: infatti solo il 15% dei lavoratori italiani considera la propria organizzazione “eccellente” nel monitorare i nuovi sviluppi tecnologici e meno di un terzo (27%) la ritiene particolarmente abile quando si tratta di implementare nuove tecnologie. In questo scenario, sostanzialmente allineato ai valori europei, rimane quindi una certa sfiducia da parte dei lavoratori sulla capacità o volontà delle organizzazioni circa l’implementazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Lo studio che ha messo a confronto le opinioni fornite da 17 esperti di vari settori con quelle di oltre 7.000 dipendenti e manager, evidenzia come singoli individui, datori di lavoro e istituzioni debbano affrontare scelte non facili circa l’adozione delle nuove tecnologie. Le opinioni siano contrastanti sia sui potenziali vantaggi che sulle possibili minacce circa l’avvento dell’innovazione tecnologica nei vari settori e nelle diverse economie.

In ogni caso, il 75% dei lavoratori europei (e il 78% degli italiani) ritiene che l’utilizzo di nuove tecnologie potrebbe comportare una riduzione del numero di dipendenti nell’azienda. A tale riguardo, i più preoccupati sono gli spagnoli (80%) seguiti a ruota dagli italiani (78%), mentre i tedeschi (67%) lo sono molto meno.

Il settore manifatturiero, probabilmente perché già ampiamente colpito in passato dalla “caduta di teste” risultato della robotizzazione della produzione, si è rivelato particolarmente ottimista: qui il 75% prevede il passaggio a un modello di produzione più localizzato, con il 55% degli intervistati (57% in Italia) concorde sul fatto che i livelli di occupazione rimarranno invariati o aumenteranno.

Nel settore della formazione l’ottimismo è meno diffuso: mancanza di finanziamenti, formazione degli insegnanti e tecnologie obsolete vengono indicate come le principali minacce per il futuro della formazione. Il 61% a livello europeo (68% in Italia) degli intervistati, inoltre, ritiene che gli insegnanti non dispongano delle conoscenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie nei prossimi 10 anni, con conseguenti difficoltà nell’impartire lezioni agli studenti.

Oltre i tre quarti degli intervistati hanno dichiarato che la tecnologia potrebbe aumentare i profitti delle aziende e offrire nuove opportunità di crescita. Tuttavia, per le realtà che vogliono investire sulle nuove tecnologie con l’obiettivo di mantenere la loro competitività e trarre vantaggio dal cambiamento, lo studio ha evidenziato tre tendenze principali che non devono essere trascurate:

I maggiori timori di perdere il posto di lavoro provengono dai giovani e dai top manager.
Mentre in media solo il 6% dei dipendenti ha dichiarato di voler fermare o impedire di proposito l’introduzione della tecnologia qualora questa rappresentasse una minaccia per la mansione svolta, sorprendentemente questa percentuale aumenta tra i Millennials (giovani tra 18 e 29 anni) con il 12% e tra i dirigenti, con addirittura il 17%.

Le nuove tecnologie esercitano un forte fascino, ma sono poche conosciute.
In media, gli intervistati sono affascinati dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la realtà` aumentata, i dispositivi indossabili, le tecnologie per la collaborazione e la robotica, ma la loro conoscenza e` piuttosto limitata.

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C’è grande disponibilità a “rimettersi in gioco” per acquisire nuove competenze.
Quasi un terzo degli intervistati ritiene che la propria azienda non comunichi in maniera efficace quale possa essere l’impatto generato dai cambiamenti tecnologici sulle varie mansioni. Inoltre, benché il 65% (63% in Italia) degli intervistati ritenga che la propria azienda abbia la possibilità di formare i dipendenti nell’utilizzo di nuove tecnologie, crede anche che i datori di lavoro siano molto più propensi ad assumere nuovo personale già competente anziché formare e riallocare i dipendenti potenzialmente in esubero. Di questi, solo il 47% valuta positivamente la capacità del proprio datore di lavoro nel ricollocare i dipendenti in esubero. Ciò nonostante, ben il 72% degli italiani (il valore più alto registrato, con una media europea del 65%) si dichiara disposto ad acquisire nuove conoscenze per poter svolgere mansioni diverse qualora il proprio ruolo fosse minacciato.

«L’attuale preoccupazione legata al progresso tecnologico è del tutto comprensibile ma la tecnologia offre enormi opportunità, se gestita in maniera corretta. Indipendentemente dalla nostra attuale situazione lavorativa, essa è destinata a cambiare in futuro e, come evidenziato anche dai risultati dello studio, occorre intensificare il dialogo tra la Pubblica Amministrazione, le aziende e la società in generale affinché tutti possano acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per assumere nuovi ruoli e sfide. Le modalità con cui gestiremo l’evoluzione determineranno il nostro ruolo lavorativo – e non solo – per i prossimi 10 o 20 anni» ha dichiarato Minoru Usui, Presidente di Epson.

Lo studio in due fasi è stato condotto da FTI Consulting. Durante la prima fase (settembre – ottobre 2016) si sono svolte interviste telefoniche basate sul metodo qualitativo a 17 persone fra esperti di previsione di scenari futuri provenienti da vari Paesi ed esperti europei in vari settori, per ottenere informazioni e formulare ipotesi sull’ambiente di lavoro del futuro e su come cambieranno ruoli e funzioni dei dipendenti nei prossimi anni, fino al 2025. La seconda fase, che si è svolta online nel dicembre 2016, consisteva invece in un’indagine quantitativa condotta dal team Strategy Consulting &Research di FTI Consulting. All’intervista hanno partecipato i dipendenti full-time di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna impiegati in cinque settori principali (corporate, produzione, formazione, settore sanitario e retail) per un totale di 7.016 dipendenti.

Fiducia, per Nielsen italiani avanti pianissimo, ma uno su 5 è pronto agli acquisti

Cresce piano la fiducia degli italiani, con l’indice che, secondo la Global Consumer Confidence Survey di Nielsen effettuata a livello mondiale su un campione di 30mila individui in 63 nazioni, nel nostro Paese si colloca nel quarto trimestre 2016 a quota 58. Un dato molto inferiore alla media europea (81, con davanti a tutti la Germania, 101), ma comunque in aumento di un punto rispetto al trimestre precedente: un dato inferiore al 61 registrato un anno prima ma molto al di sopra rispetto alla soglia minima dei 39 punti del quarto trimestre 2012, e comunque tra i valori più alti dal 2010.

Insomma, un segnale tutto sommato positivo che si riflette anche sulla propensione al consumo. Un italiano su cinque (19%) dichiara che quello presente è il momento giusto per fare acquisti, sulla base di una valutazione positiva dello stato della propria situazione finanziaria. Il 25% è infatti convinto che quest’ultima migliorerà entro dodici mesi. Questo risultato si configura sensibilmente in crescita sia su base tendenziale (+2 punti) che congiunturale (+6 punti). Dall’altra parte c’è però chi pensa che il risparmio resti la migliore collocazione del denaro dopo le spese essenziali (39%), in calo di tre punti rispetto allo scorso anno (42%) ma in linea con il terzo trimestre 2016. Il 32% degli italiani dichiara anche che ha intenzione di spendere per le vacanze (due punti in più del quarto trimestre 2015), il 31% per l’abbigliamento (un punto più del 2015), il 25% per l’intrattenimento fuori casa (due punti più dell’anno precedente).

 

Un italiano su due ha cambiato i consumi per risparmiare

Sempre restando ai consumi, l’indagine Nielsen registra che il 52% degli italiani ha modificato le proprie abitudini di spesa per poter risparmiare, molto meno rispetto al 72% dello stesso periodo del 2015. Tra le azioni intraprese dagli intervistati per ridurre le spese nel budget familiare, lo studio di Nielsen evidenzia la decisione di ridurre i pasti take-away (62%, tre punti in più rispetto al dato di fine 2015), l’acquisto di nuovi capi di abbigliamento (57%) e l’intrattenimento fuori casa (53%). Al contempo, nel settore food, si cerca di scegliere i brand più economici all’interno dei supermercati (51%), di spendere meno per vacanze/weekend fuori porta (40%) e limitare i consumi di gas ed elettricità (37%).

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«Dall’ultima edizione della Survey di Nielsen sull’indice di fiducia dei consumatori, a livello globale e italiano – commenta l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – emergono segnali, seppure non eclatanti, tuttavia evidenti, di inversione del ciclo congiunturale. L’indice di fiducia tiene, anzi è in lieve crescita, la propensione ai consumi si configura in aumento, la tendenza al risparmio, seppure ancora consistente, ha imboccato la via del decremento. Un italiano su quattro ritiene che la propria posizione economica sia in miglioramento. Tali indicazioni, che vengono evidenziate nello studio, si possono leggere anche dal punto di vista dell’economia reale. Ci riferiamo, per esempio all’incremento dell’e-commerce, al rialzo delle vendite dei prodotti premium, al miglioramento, seppure timido, del mercato del lavoro, all’aumento costante delle immatricolazioni di nuovi veicoli, all’inversione dell’indice dei prezzi non più in contesto deflattivo. La sfida che quindi ci si pone è quella di investire in tutte quelle risposte che siano all’altezza delle attese del consumatore. Colpire i sensi, imprimere nei ricordi le offerte, offrire la possibilità di interagire costituiscono i passi per incrementare l’esperienza di valore che viene richiesta oggi da chi si accinge a perfezionare l’acquisto. La moltiplicazione dei touchpoint risulta un elemento fondamentale nel rapporto domanda/offerta. In sintesi – ha concluso l’amministratore delegato di Nielsen Italia – crediamo che sostenere la ripresa della domanda sia il primo compito che dobbiamo affrontare all’interno del presente quadro congiunturale, senza farci scappare l’occasione fornita da uno scenario socio-economico in lenta ma costante risalita».

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All’interno della Survey, il dato italiano della fiducia dei consumatori viene raffrontato con quello della media europea, che raggiunge un valore sensibilmente più alto (81 punti vs 58), trainato dalle performance di Germania (101) e Regno Unito che, nonostante la Brexit, detiene il primato nel Vecchio Continente (102). Germania e Regno Unito sono rispettivamente in crescita di 3 punti e 1 punto rispetto al quarto trimestre 2015. Rimane alto il gap che ci divide anche dalla Francia (66 punti) e dalla Spagna (86) e l’unico Paese con un livello di fiducia più basso del nostro resta la Grecia (53).

Rapporto Ancd Conad: concorrenza, legalità e semplificazione per far ripartire il Paese

Solo una nuova stagione di liberalizzazioni, il taglio della burocrazia e la garanzia della legalità potranno far ripartire l’Italia sostenendo la crescita del Pil oltre la soglia attuale, ferma a meno dell’1%: sono le conclusioni del X° Rapporto sulla legislazione commerciale di Ancd Conad, presentato alla Camera di Commercio di Roma.

A condizionare il mancato rilancio del sistema Italia secondo il rapporto non sono solo le componenti economiche internazionali – quali instabilità politica e finanziaria, emergenza immigrazione, prezzo delle materie prime – ma una serie di fattori endemici che da troppo tempo hanno reso ormai l’Italia un “malato cronico” di mancata crescita. Confindustria attribuisce alla burocrazia un costo del 4% del Pil e all’insufficiente concorrenza un altro 11%. Se poi la corruzione fosse “abbassata” al livello di quella spagnola, il Pil potrebbe crescere dello 0,6%.

In primo piano le responsabilità della politica, alla quale il mondo produttivo chiede di colmare quei gap strutturali che impediscono alle imprese di operare alle stesse condizioni dei competitor europei. Tra le misure possibili e necessarie per stimolare la concorrenza e la semplificazione, e per fare da antidoto alla corruzione e all’immobilismo: la concorrenza, la semplificazione, l’alleggerimento normativo. Punti su cui Conad ha lanciato le proprie proposte.

La nuova stagione delle liberalizzazioni Nell’Indice delle liberalizzazioni 2016 dell’Istituto Bruno Leoni l’Italia totalizza 70 punti su 100 a fronte dei 94 punti della Gran Bretagna, gli 80 della Spagna, i 79 dei Paesi Bassi. Mentre il Ddl concorrenza 2015 è fermo in Parlamento da più di due anni, alcuni settori economici restano imbrigliati da vincoli di natura corporativa, e attendono una spinta liberalizzatrice che elimini barriere alla vendita per liberalizzare i prezzi.

Un taglio alla burocrazia Nella relazione 2015-2016 sulla competitività globale del Forum economico mondiale l’inefficienza della burocrazia è considerata il principale ostacolo all’attività commerciale e imprenditoriale in Italia. L’eccesso di norme spesso in conflitto tra loro concorrono a rallentare i processi imprenditoriali, costringendo le imprese a continui stop&go. È necessario che l’Italia recuperi efficienza che le consenta di scalare le classifiche che la vedono al 65° posto nel rapporto “Doing business”.

Tornare alla certezza del diritto Con una media di 608 giorni, l’Italia è al terz’ultimo posto nell’Unione Europea per lunghezza dei processi di prima istanza civili e commerciali. Sono tempi incompatibili con la rapida definizione dei contenziosi che possono riguardare le imprese, e che scoraggiano gli investimenti. Ogni imprenditore ha necessità di operare in un sistema organizzato con regole certe e condivise, efficiente, semplice e fruibile, che garantisca a tutti le medesime condizioni per competere lealmente in un mercato libero. La mancanza di questi requisiti genera incertezza, ritardi nella definizione delle procedure burocratiche e rischia di alimentare fenomeni di illegalità diffusa.

«L’Italia è un Paese costituito da circa 8 mila comuni e 20 regioni, ma è indispensabile restituire a imprese e cittadini un quadro normativo di riferimento che sia il più omogeneo possibile. Occorre ridurre i centri decisionali e definire regole comuni, in attesa che si compia un nuovo riordino delle competenze a livello costituzionale – ha detto il segretario generale di Ancd Conad Sergio Imolesi  . Inoltre si registrano ancora alcuni comportamenti del legislatore nazionale non sempre in linea con le aspettative dei cittadini. È il caso del ddl Concorrenza: se approvato nell’attuale formulazione, rischia di disattendere le richieste formulate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di farmaci, carburanti e nel settore delle professioni».

Alla presentazione erano presenti hanno partecipato il presidente di Ancd Conad Marzio Ferrari, l’assessore allo Sviluppo economico del Comune di Roma Adriano Meloni, il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico Antonello Giacomelli, il segretario generale di Ancd Conad Sergio Imolesi, il responsabile dell’ufficio legislativo Ancd Conad Piero Cardile e Roberto Ravazzoni, professore ordinario presso il Dipartimento di Comunicazione ed Economia – UNIMORE. Sono intervenuti il presidente della V Commissione Camera dei Deputati Francesco Boccia, il presidente della X commissione Senato Massimo Mucchetti, il responsabile della Direzione Agroalimentare e Trasporti – (DG Concorrenza) dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Alessandro Noce e l’amministratore delegato Conad Francesco Pugliese.

 

Lidl alla conquista dell’America, il debutto quest’estate con 20 punti vendita

Con un anno e mezzo di anticipo rispetto a quanto annunciato in precedenza, l’insegna tedesca Lidl sbarcherà negli Stati Uniti la prossima estate aprendo i primi 20 dei 100 punti vendita entro il primo anno, iniziando dalla costa occidentale tra Virginia, North e South Carolina. Gli store americani dovrebbero essere più grandi del 35% rispetto agli europei.

Lidl, che possiede più di 10mila punti vendita in 27 Paesi europei, ha già iniziato a reclutare personale dal suo quartier generale di Arlington.

L’insegna tedesca non sarà il primo discount ad arrivare negli USA: Aldi (il cui debutto è atteso nel Nord Italia, e che ha già un quartier generale a Verona) ha aperto il primo store americano nel 1976 e ora ne ha 1.600 sotto il controllo di Aldi Sud, mentre l’insegna Aldi Nord gestisce 460 punti vendita Trader Joe in 41 stati. E secondo Reuters Aldi investirà 1,6 miliardi di USD per il restyling e l’ampliamento di 1.300 store entro il 2020.

Alcuni grandi attori come hanno deciso di correre ai ripari come Kroger, che ha inaugurato un suo format discount, Ruler Foods. In un articolo su Forbes dello scorso ottobre venivano elencati i i12 motivi per cui la Gdo americana (che in totale conta 38mila punti vendita) dovrà guardarsi da Lidl (e Aldi):

1) È grande: di fatto, la più grande catena discount europea con 10mila punti vendita e un fatturato di circa 62 miliardi di USD.

2) Ha una tradizione: azienda di famiglia, posseduta da Dieter Schwarz, il terzo uomo più ricco della Germania, figlio del fondatore Josef Schwarz. Ma l’attuale CEO è Klaus Gehrig, non il figlio.

3) Ma è semplice: secondo la classifica di Siegel+Gale è il terzo brand mondiale più semplice, ovvero trasparente e onesto, facilmente comprensibile, innovativo e capace di far sentire i suoi clienti valorizzati.

4) Preferisce la cautela alla rapidità: quando deve entrare nuovi mercati.

5) (Però) arriva in ritardo: avrebbe dovuto arrivare nel 2015, ma problemi nel management ne hanno posticipato l’ingresso.

6) Il suo maggior concorrente è il connazionale Aldi

7) È un “soft discounter”: ovvero ha un assortimento e un varietà di marchi maggiore rispetto a un hard discounter

8) La politica di etichettatura: a differenza della maggioranza dei supermercati Lidl mette i prezzi in alto rispetto ai prodotti invece che in basso. E i prezzi sono più alti negli scaffali superiori, il che secondo Forbes può ingenerare confusione nei clienti.

9) È medaglia d’oro: Nel 2015 è stato retailer dell’anno a Londra.

10) Ha un nuovo programma fedeltà

11) Vende latte, banane e abbigliamento: non solo pratico ma anche alla moda.

12) Accetta suggerimenti dai locali: per la scelta delle location negli USA l’insegna ha utilizzato il sito.

Un 2016 di crescita e un portale food innovativo per Coop svizzera

Un fatturato nel 2016 di 28,3 miliardi di franchi (26,5 miliardi di euro), con una crescita del 5,2%, e un nuovo portale, o “piattaforma gastronomica” chiamata Fooby: sono le ultime news dal Gruppo Coop svizzero.

Con un utile di 475 milioni di franchi e una crescita del 14,6% nel settore degli shop online, giunto a 1,4 miliardi di franchi, nonché l’aumento del 2,6% dei clienti nei supermercati il gruppo svizzero archivia un 2016 decisamente positivo.

A fine 2016, il Gruppo Coop impiegava 85.001 collaboratori (+5047), tra cui figuravano 3505 persone in formazione (+95), in aumento del 6,3%.  E sono 2.476 i punti di vendita sul territorio elvetico, 64 in più rispetto al 2015. Sono positivi i risultati di tutte le “anime” della cooperativa, dai carburanti all’elettronica di consumo al cash&carry (Transgourmet),  con un calo solo per i format Coop City.

 

E-commerce forte sostenuto dal nuovo portale

Andamento molto positivo anche dal commercio online del Gruppo Coop, con un ricavo netto di 1,4 miliardi di franchi e una crescita del 14,6%. Nel commercio al dettaglio online, il ricavo netto è cresciuto del 10,9% giungendo a 565 milioni di franchi. Il supermercato online Coop@home continua a conquistare quote di mercato e ha registrato una crescita del 7,2%; il ricavo netto per il 2016 è ammontato a 129 milioni di franchi. Il ricavo netto realizzato online dal settore Commercio all’ingrosso/Produzione è cresciuto del 17,2% raggiungendo 824 milioni di franchi.

Forse anche per cavalcare questo successo Coop svizzera ha deciso si inaugurare il suo ambizioso portale gourmet, Fooby. Completo di app con il ricettario personalizzabile, videoricette e magazine ricco di racconti culinari, schede con le ricette da realizzare con pochi ingredienti in 20 minuti (disponibili anche nei punti vendita vicino agli articoli per facilitare gli acquisti) e l’app Mondovino per trovare gli abbinamenti più adatti. Il sito è interattivo, con lista della spesa automatica e la funzione per ordinare direttamente su coop@home. In altre parole “un nuovo mondo di idee culinarie, senza più confini tra il supermercato, i servizi online e la cucina di casa”.

Innovativa l’app Fooby che consente una completa personalizzazione dei contenuti, compresa la possibilità, con una foto dello smartphone, di aggiungere al ricettario digitale di Fooby anche contenuti provenienti da altri siti, manuali di cucina e riviste, così da avere tutto a portata di mano. Grazie alla visualizzazione chiara e immediata dell’app, è possibile realizzare le ricette nella cucina passo passo, con tanto di timer integrato. E per facilitare la spesa, l’app suddivide gli ingredienti indicati nella lista in base al reparto in cui sono collocati al supermercato.

«Con Fooby vogliamo riportare il focus sulla passione e la curiosità per la cucina, le creazioni gastronomiche e il gusto ha spiegato Philipp Wyss, Vicepresidente della Direzione generale e capo della Direzione Marketing/Acquisti -. Per molti cucinare non rappresenta più una fastidiosa incombenza, ma un’esperienza multisensoriale e un modo per distrarsi dalla routine del lavoro. Fooby non vuole cucinare per i nostri clienti, ma proporre loro idee pratiche e sfiziose».

Infine, anche nel 2016 Coop è riuscita ad aumentare il già elevato fatturato degli assortimenti sostenibili portandolo a ben 3,9 miliardi di franchi (+8,8%). Con i prodotti bio, Coop ha registrato un fatturato di 1,3 miliardi di franchi (+6,8%), confermandosi così leader incontestato del mercato.

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