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Selex: i prodotti a marchio del distributore crescono del 3,5%

La segmentazione dell’offerta è alla base della crescita dei prodotti a marchio del distributore del Gruppo Selex, che, nonostante la crisi dei consumi hanno registrato un incremento del 3,5%.

«La Marca del Distributore è la migliore risposta che possiamo dare ai consumatori che ci chiedono qualità a prezzi sempre più accessibili. Per mantenere questa promessa è sempre più importante avere come partner produttori efficienti e capaci di innovare i prodotti» afferma Maniele Tasca, Direttore Generale del Gruppo Selex.

Per l’anno in corso l’impegno di Selex, presente con un suo stand alla Fiera Marca di Bologna (14 e 15 gennaio), prosegue nella direzione della segmentazione dell’offerta e della rivisitazione degli assortimenti esistenti perché corrispondano in pieno alle attese dei consumatori, in termini di qualità e aggiornamento delle proposte.

Da alcuni anni, infatti, Selex ha lanciato linee specialistiche rivolte a precisi target di consumo molto apprezzate dalla clientela, come le declinazioni del marchio Selex nelle linee Natura Chiama, Vivi Bene e Primi Anni, e del marchio Vale nelle linee Natura in Tavola e Le Specialità, e nuovi brand di fantasia di grande appeal.

Tra questi, la linea Saper di Sapori, firmata “Il meglio di Selex” che comprende prodotti di alta qualità e tipicità legate al territorio, frutto dell’esperienza di antiche lavorazioni artigianali.

Il mondo Vivi Bene Selex si è poi arricchito di una nuova linea, Vivi Bene Senza Glutine, composta dai prodotti più importanti per chi soffre di celiachia: dalla pasta al pane, dai cracker ai biscotti. In tutto una ventina di referenze certificate senza glutine dall’Associazione Italiana Celiachia e dal Ministero della Salute.

Importante anche l’ampliamento dell’offerta de Le Vie dell’Uva, selezione esclusiva dei vini più rappresentativi delle regioni italiane e di Atmosfera&Benessere, articoli di alta qualità dedicati alla cura persona.L’assortimento delle marche del distributore del Gruppo Selex copre oggi le più importanti categorie merceologiche, con oltre 5.000 referenze.

«Fattori di successo delle marche del distributore di Selex – sottolinea Luca Vaccaro, Direttore Marche del Distributore del Gruppo Selex – oltre al contenuto innovativo delle proposte, l’ottimo rapporto qualità-prezzo e la sicurezza garantita dalla selezione accurata dei fornitori e dai controlli effettuati dal Servizio Assicurazione Qualità della Centrale. Importante anche il coordinamento con il marketing, che ci permette di raggiungere la clientela con promozioni particolarmente interessanti nel corso dell’anno».

Granarolo: progetti e prospettive di un gruppo che mira all’internazionalizzazione

L'ingresso delle cisterne nel nuovo stabilimento Granarolo
L’ingresso delle cisterne nel nuovo stabilimento Granarolo

Granarolo S.p.A. presenta le strategie di crescita ed internazionalizzazione del Gruppo. E lo fa in un contesto molto speciale: l’inaugurazione del nuovo polo produttivo presso il caseificio di Bologna avvenuta alla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina e di molte istituzioni nazionali e locali.

«Abbiamo avviato il processo di internazionalizzazione del Gruppo due anni fa, a seguito del morso stringente della crisi e della significativa riduzione dei volumi di latte consumato»– ha dichiarato il presidente di Granarolo Gianpiero Calzolari.

«Nel giro di due anni Granarolo – ha continuato Calzolari – è passata dal 4% di export al 16%. Oggi è presente tramite la holding Granarolo International in Francia con due stabilimenti produttivi, in Spagna con una commerciale, in UK con una società commerciale, così come in Cina. Nel corso del 2014 il Gruppo ha partecipato a 8 tra le maggiori fiere mondiali specializzate (Singapore, Johannesburg, San Paolo, New York, UK, Melbourne, Parigi, Pechino).

Chiuderemo questo anno superando il miliardo di Euro di fatturato ma, per competere con i player internazionali, dobbiamo crescere ancora: dovremmo raggiungere nel 2016 un fatturato di circa 1, 5 miliardi di Euro».

Le anticipazioni

«In questa occasione – ha aggiunto il presidente di Granarolo Gianpiero Calzolari – sono lieto di comunicare due importanti operazioni tese a raggiungere questo obiettivo.

La prima riguarda l’importante accordo con Gennari S.p.A., società parmense con una lunga tradizione nella produzione di parmigiano reggiano, grano padano e prosciutto crudo di Parma che apporterà a regime un fatturato aggiuntivo di circa 42 milioni di Euro. Con la famiglia Gennari lavoreremo per portare queste eccellenze all’estero.

La seconda, invece, è relativa alla creazione di Granarolo Cile S.p.A. controllata da Granarolo International e prima piattaforma per approcciare il mercato sud americano. Granarolo Cile acquisirà il 90% della Bioleche Lacteos, storica cooperativa cilena di 300 allevatori con uno stabilimento di produzione di formaggio e un marchio ben posizionato sul mercato. L’operazione, finalizzata questa settimana, consentirà a Granarolo di raggiungere a regime, entro 4/5 anni, 27 milioni di Euro di fatturato attraverso la vendita di formaggi cileni e di prodotti importati dall’Italia.

Le richieste al Governo

Su questo punto Calzolari ha le idee chiare: in primo luogo la giusta considerazione dell’importanza strategica dell’agroalimentare per il nostro Paese. Ciò significa passare da politiche di sostegno dello status quo del comparto agricolo a politiche di profonda trasformazione, anche e prima di tutto, del comparto primario.

E poi è fondamentale un provvedimento sull’etichettatura di origine a tutela del consumatore.

Non basta: è imprescindibile pure il rispetto delle regole. E qui il pensiero corre all’art. 62 e alla sua applicazione- « Noi –recrimina Calzolari -lo stiamo applicando a monte, paghiamo il latte a trenta giorni, ma a valle alcune catene di distribuzione allungano le scadenze a propria discrezione».

Altra criticità su cui occorrerebbe una revisione è la norma che introduce il reverse charge alle vendite verso la GDO. Una norma fortemente penalizzante per le imprese che vendono prodotti alimentari. «Non dimentichiamoci – sottolinea Calzolari -che oggi un gruppo come il nostro è creditore verso lo stato di 50 milioni di Euro di IVA (e siamo arrivati anche a 90) e che mentre in Europa le imprese incassano entro il mese qui scontiamo 250 giorni medi».

Ma non finisce qui: servirebbero pure una semplificazione burocratico-amministrativa, un sostegno all’apertura dei nuovi mercati, politiche di sostegno alle integrazioni cooperative. In sintesi: la possibilità di fare impresa in un Paese che funziona.

I progetti per il 2015

Granarolo ha programmato di partecipare a 11 fiere nel mondo.

Winter Fancy Food: San Francisco 11-13 Gennaio

Gulfood: Dubai 8-12 Febbraio

Int’l Food Event: London 22-24 Marzo

Tuttofood: Milano 3-6 Maggio

Hofex 2015: Hong Kong 6-9 Maggio

Africa’s Big seven: Johannesburg 21-23 Giugno

Summer Fancy Food: New York 28-30 Giugno

FHT: Bangkok 2-5 Settembre

Fine Food: Sidney Settembre

Anuga: Colonia 10-14 Ottobre

FHC: Shanghai 11-13 Novembre

Sono poi aperti sul tavolo diversi dossier:

EXPO 2015: l’Esposizione Universale darà il via alla valorizzazione del patrimonio agroalimentare italiano e Granarolo vuole giocare un ruolo importante rappresentando la filiera italiana del latte all’interno di Padiglione Italia. È un’opportunità unica per il Paese e per aziende come Granarolo che crescono all’estero facendosi ambasciatrici del buon cibo italiano.

FICO, la Fabbrica Italiana Contadina di Bologna: chiusi i battenti di Expo si apriranno quelli di FICO il più grande centro al mondo per la celebrazione della bellezza dell’agro-alimentare italiano. FICO sarà un tassello importante della City of Food ma soprattutto l’affermazione del nuovo distretto della food economy. E Granarolo ci sarà.

Anno difficile per l’olio d’oliva italiano. Ci salverà il blending

Tra mosca olearia, grandine, estate piovosa e il batterio killer Xylella (in Puglia) la produzione di olio di oliva italiano ha accusato un duro colpo, con una riduzione della produzione del 35%, passando dalle 464 mila tonnellate di olio del 2013 all 302 mila tonnellate del 2014. Per contro il fabbisogno nazionale è di circa un milione di tonnellate: 600 mila per il mercato interno e circa 400 mila per l’export.

Da questo quadro risulta chiaro che l’Italia consuma ed esporta più olio di quanto produca, anche in annate normali, ma già da dicembre i prezzi degli oli Dop italiani sono in sensibile aumento, come rileva l’Ismea.

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La tabella che riprendiamo dal medesimo Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare sintetizza molto bene la situazione del settore dell’olio di oliva. In particolare l’ultima riga che si riferisce al tasso di autoapprovvigionamento (cioè il rapporto tra produzione e consumo apparente) è passato negli ultimi cinque anni dall’80% al 76% con una crescita delle importazioni e un andamento delle esportazioni a ritmo alternato tra crescita e riduzioni.

Biamcio Approvvigionamento Olio di Oliva

Giovanni Zucchi, ad Oleiicio Zucchi
Giovanni Zucchi, ad Oleiicio Zucchi

Poiché il peso delle denominazioni dal 2011 è praticamente stabile al 2,1-2,2%, ne risulta che il vero asset dello sviluppo del settore olivicolo italiano si chiama blending.

Così lo spiega Giovanni Zucchi, amministratore delegato dell’Oleificio Zucchi, autore del libro L’Olio non cresce sugli alberi (sottotitolo, L’arte del blending: come nasce un olio di grande qualità, edito da Lupetti) e anche presidente di Assitol, l’associazione dell’industri olearia: “Il blending è la capacità di combinare nelle giuste proporzioni oli con diverse caratteristiche, provenienze e disponibilità di anno in anno, ottenendo un prodotto superiore e diverso rispetto agli ingredienti di partenza, è un’arte antica, un saper fare artigianale ancora sconosciuto ai più e che contraddistingue i blendmaster (cioè i professionisti del blend) italiani”.

Come dire che se negli whisky il blend è un valore acquisito, nel caffè la miscela è una ricetta che esalta l’aroma e negli spumanti la cuvée è un must, anche nell’olio extravergine di oliva il blend di oli selezionati è un’arte che crea un prodotto che aumenta il proprio valore. Non a caso è proprio l’Italia il solo Paese al mondo ad avere  affinato nei secoli una vera e propria arte: quella nel selezionare e accostare oli da cultivar e provenienze diverse e nell’armonizzare profumi e gusti che variano di anno in anno per caratteristiche e disponibilità, ottenendo un prodotto superiore e diverso dagli ingredienti di partenza.

Il blending quindi è lo strumento attraverso il quale passa il successo  posizionamento e il successo degli oli da olive imbottigliati in Italia, in particolare dell’extra vergine di oliva, commercializzati attraverso le insegne nazionali ed estere della GDO.

Non a caso Oleificio Zucchi tra gli altri produttori, sarà presente a Marca by Bologna Fiere, la manifestazione delle private label che si apre mercoledì 14 gennaio a Bologna. «Attraverso la partecipazione a Marca 2015 e ad altri importanti appuntamenti fieristici nazionali e internazionali in calendario nell’anno – afferma Zucchi –  intendiamo coinvolgere i nostri interlocutori del comparto distributivo nel dare il giusto risalto al contributo del blending al gradimento nel mondo dell’olio extravergine di oliva prodotto in Italia. Siamo fermamente convinti, infatti, che veicolare le specificità che avvantaggiano i nostri prodotti rispetto all’agguerrita concorrenza estera sia il modo migliore per consolidare l’attuale momento di successo e per stimolare il rilancio della filiera dell’Evo nel nostro Paese».

Olio evoA salvaguardia del consumatore da frodi sempre in agguato sono arrivate fortunatamente le nuoveregole sull’etichettatura secondo il regolamento Ue 1169 entrato in vigore il 13 dicembre: per tutti gli oli imbottigliati dopo tale data è obbligatorio evidenziare anche sulla parte frontale dell’etichetta l’origine e la provenienza delle olive o delle miscele utilizzate.

 

di Fabrizio Gomarasca

 

Latterie Friulane passa sotto il controllo di Parmalat-Lactalis

Dal primo gennaio è diventata operativa l’acquisizione da parte di Parmalat del ramo d’azienda del Consorzo cooperativo latterie friulane con oggetto l’attività di produzione, commercializzazione e distribuzione di prodotti lattiero caseari (latte pastorizzato e UHT, yogurt, Montasio Dop, mozzarella, ricotta) compresi i marchi (Latterie Friulane, Latte Carnia, Silp, San Giusto, Castello, Cometa), lo stabilimento e la sede di Campoformido, gli immobili di Ponte Crepaldo, San Martino e Monfalcone ed i contratti in corso.

Nell’esercizio 2013 il fatturato della società è stato pari a circa 53,0 milioni di Euro, la stima di fatturato per il 2014 è in calo a circa 37,0 milioni di Euro.

L’operazione è stata conclusa con il trasferimento di un capitale netto pari a circa 5,75 milioni di Euro e l’accollo di debiti verso banche per pari importo.
“Parmalat intende proseguire e sviluppare – si legge nella nota diffusa dall’azienda di Collecchio – il marchio Latterie Friulane, realtà che ha un forte legame con il territorio, attraverso un piano di recupero della competitività consentendo, tra l’altro, la continuità dell’attività nel polo produttivo di Campoformido e di quelle relative alle produzioni DOP e mantenendo gli approvvigionamenti della materia prima latte friulana”.

Di fatto questa acquisizione è la proma operazione in Italia sotto la gestone dei francesi diLactalis.

La carica dei funzionali

Quello degli alimenti funzionali è un settore che si sta rivelando anticiclico perché molto apprezzato dai consumatori,  entusiasmati dalle promesse salutistiche, e più profittevole per i produttori.

La crisi, infatti,  non tarpa le ali alle scelte salutistiche dei consumatori italiani. Anzi, nel corso del 2013 le vendite di alimenti che possono entrare in questa vasta e innovativa famiglia sono cresciute, a conferma del bisogno dei nostri connazionali di fare scelte più sane a tavola e che tutte le preoccupazioni legate al connubio cibo/salute rimangono ben presenti a guidare le scelte di acquisto/consumo nonostante i pochi soldi in tasca.

Non a caso, secondo il Rapporto Coop Distribuzione & Consumi 2014, la metà degli italiani si è dichiarata a dieta, seguendo un regime alimentare particolare, non necessariamente corretto ma sicuramente “gratificante”, per migliorare benessere e forma fisica. Tuttavia la spending review in atto da parte dei nuclei famigliari italiani spinge i consumatori a rimodulare le scelte in virtù della maggiore convenienza, per esempio spostando il baricentro del mercato dal canale specializzato, come farmacie, parafarmacie, a ipermercati e supermercati, che stanno cogliendo la palla al balzo e stanno ampliando lo spazio dedicato a questi prodotti. Non più visti solo come nicchie rivolte a un’esigua percentuale dei clienti, più evoluti e altospendenti, ma come segmento “trasversale” del Lcc, con una forte e crescente capacità di attrazione per diversi cluster di consumatori. Inoltre, la “funzionalità”, ossia la promessa di questi prodotti di aiutare l’efficienza del nostro corpo, si sta allargando e sta coinvolgendo nuove famiglie merceologiche, da yogurt e altri derivati del latte a prodotti da forno, pasta, conserve vegetali, insomma i capisaldi dell’alimentazione all’italiana.

Continua a leggere sull’ultimo numero della rivista sfogliabile Schermata 2014-12-23 alle 10.11.09

Centri commerciali: consumatori in altalena, ma a novembre è stata crescita

Dopo tre anni di trend in calo, intervallato da schiarite a metà e fine anno, l’affluenza dei consumatori ai punti di vendita della grande distribuzione sembra essere entrata in una fase altalenante, che apre a più consistenti possibilità di ricupero. La nota positiva arriva da Experian Plc, leader mondiale nei servizi informativi per la prevenzione dei rischi di credito e di frode, il marketing e la protezione dei dati di aziende e consumatori, che elabora su base settimanale e mensile l’indice FootFall per la rilevazione dell’affluenza dei  consumatori ai centri commerciali e della grande distribuzione, di riferimento per il settore in tutta Europa (è utilizzato dal 25%n dei punti vendita della Gdo italiana con un bacino d’utenza del 30% della popolazione e da centinaia di superfici in Europa per un  bacino d’utenza di oltre 500 milioni di visitatori/mese).

Secondo l’indice Experian FootFall, l’affluenza dei consumatori italiani a centri commerciali, grandi magazzini, iper e supermercati ha avuto lo scorso novembre un balzo del 17,8% sul mese precedente, portandosi a più di 110 punti. Per Experian, il valore raggiunto non basata a evocare l’inversione di tendenza, ma ne alimenta l’attesa.

La performance di novembre arriva dopo che nei tre mesi precedenti l’indice (99,7 ad agosto, 98 a settembre e 93,7 a ottobre, e in calo sia su base mensile che annuale) aveva mostrato un andamento sotto tono anche rispetto alle attese stagionali. A novembre l’indice ha invece ripreso quota e, soprattutto, il calo rispetto all’anno prima è risultato molto contenuto (-0,8%) e in relativo in relativo ricupero.

indice FootFall

«I dati osservati riguardano il solo afflusso ai punti di vendita, ma non sono certo slegati dalle intenzioni d’acquisto e danno segnali predittivi agli addetti ai lavori. Da qui l’attesa innescata dagli indici di novembre. Ma la conferma per dire che siamo alla svolta non c’è ancora: siamo passati da un trend in calo a una fase in cui dati positivi e negativi si alternano, anche se poi questo, almeno in prospettiva, è già meglio di prima», ha commentato Nicola Fagnoni, Country Manager di FootFall per l’Italia, che ha aggiunto: «Certo è che ci vorrà ancora tempo per tornare ai livelli pre-crisi.  Nel frattempo gli operatori della Gdo hanno una ragione in più per mettere a fattor comune tutte le informazioni sulle dinamiche d’affluenza, per capirne meglio le ragioni e invogliare di più all’acquisto».

Rapporto Ismea-Qualivita: export si conferma traino per Dop e Igp

Al primo posto il Grana Padano DOP, seguito dal Parmigiano-Reggiano DOP e, in terza posizione, dalla Mela Alto Adige IGP. Sono i top seller della speciale classifica elaborata da Qualivita, che misura le performance economiche dei 269 prodotti italiani a denominazione di origine.

Seguono Prosciutto di Parma DOP, Pecorino Romano DOP, Aceto Balsamico di Modena IGP, Gorgonzola DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP, Speck Alto Adige IGP, Mela Val di Non DOP, Prosciutto di San Daniele DOP, Mortadella Bologna IGP, Bresaola della Valtellina IGP, Taleggio DOP e Toscano IGP.

Entrando nel dettaglio, il Grana Padano guida la classifica 2014 con circa 885 milioni di euro di fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale, 530 milioni all’export e il 30% della sua produzione che varca i confini nazionali. Poco distanziato è il Parmigiano Reggiano DOP: 809 milioni di euro il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. Anche in questo caso il 30% della produzione viene esportato. Terza classificata la Mela Alto adige IGP, principalmente riguardo alla quantità percentuale exportata (pari al 61%) ha comunque buone performance economiche.

Significativi i risultati anche del Prosciutto di Parma DOP (4°): 500 milioni di euro per il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 241 milioni all’export. Il Pecorino Romano (4° pari merito) primeggia soprattutto per la quantità di produzione certificata esportata.

prodotti dop e igp

Il Rapporto sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp e Stg, pubblicato da Ismea e Qualivita segnala una flessione del fatturato delle Dop e Igp, anche se cresce l’export, che si conferma fattore di traino.

Produzione in calo
Nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%. Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Passando ad analizzare i valori di mercato, si osserva un giro di affari potenziale di 13 miliardi di euro di fatturato al consumo – di cui 9 registrati sul mercato nazionale – e di 6,6 miliardi di euro di fatturato alla produzione – di cui 2,4 miliardi sono il fatturato all’export alla dogana (+ 5%).

Per numero di registrazioni, l’Italia si conferma leader con 269 prodotti (161 DOP, 106 IGP, 2 STG); seguono la Francia con 219, la Spagna con 180, il Portogallo con 125, la Grecia con 101. Per quanto riguarda la Germania, il numero totale delle sue denominazioni scende notevolmente a causa della cancellazione della categoria delle acque minerali. Si conferma anche nel 2014 il ruolo attivo dei Paesi dell’Europa dell’Est, che continuano ad aumentare il numero di prodotti registrati.

Il numero totale di denominazioni in Europa al 30 Novembre 2014 è di 1249, suddivise in 583 DOP (46,7% sulle denominazioni totali), 617 IGP (49,4% delle denominazioni) e 49 STG (che continuano ad avere un ruolo marginale con il 3,9%)

Molti prodotti, pochi vincitori
Le criticità dei prodotti a denominazione sta nei numeri rilevati dal rapporto Ismea-Qualiivita, che non cambiano i rapporti interni ai 269 prodotti. Vale a dire che osservando il fatturato alla produzione generato dai singoli prodotti, si continua a rilevare una forte concentrazione dei valori su poche denominazioni.

Nel 2013 la quota delle prime dieci DOP e IGP è pari all’81% del fatturato. Inoltre si registra per questo valore un calo dell’1,7%, generatosi a causa esclusivamente della flessione del mercato interno (-5,2%) che sconta ancora le conseguenze della crisi dei consumi. Per lo stesso motivo, il fatturato al consumo sul mercato nazionale registra una flessione del 3,8%. In termini assoluti, nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%.

Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Proprio nel comparto degli oli d’oliva (e degli ortofrutticoli) il rapporto Ismea-Qualivita rileva un’asimmetria nel peso sul totale in termini di numero di denominazioni e di fatturato. Tale asimmetria deriva dal fatto che, nonostante il grande numero di riconoscimenti, soltanto poche denominazioni sviluppano apprezzabili valori di mercato, mentre la gran parte dei prodotti realizzano fatturati estremamente limitati.

Per quanto riguarda i comparti, gli ortofrutticoli e cereali si confermano a livello europeo la prima categoria per numero di prodotti con il 27,3% del totale (341 prodotti), seguito a forte distanza dai formaggi con il 17,8% (223 prodotti), dai prodotti a base di carne con 12,4% (155 prodotti), dalle carni fresche 11,8% (147 prodotti) e dagli oli e grassi con 10% (125 prodotti).

La cartina al tornasole di questa situazione è il livello di concentrazione dei comparti.

Quello dei formaggi, che rappresentano il principale comparto delle DOP e IGP, con un’incidenza nel 2013 tra il 54 e il 58 % circa, rispettivamente sul fatturato al consumo nazionale e sul fatturato alla produzione, comprensivo dell’export, continua a essere molto concentrato: i primi due prodotti, Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP, rappresentano il 71% del valore totale alla produzione, i primi cinque quasi il 90% e i primi dieci circa il 97%. Nei prodotti a base di carne, i primi cinque per fatturato alla prima fase di scambio (nell’ordine: Prosciutto di Parma DOP e Prosciutto San Daniele DOP, Bresaola della Valtellina IGP, Mortadella Bologna IGP e Speck Alto Adige IGP) rappresentano oltre l’89% del valore totale. Per mon parlare degli ortofrutticoli nei quali le due principali mele coprono in termini di fatturato alla produzione quasi il 78% dei 451 milioni di euro complessivi (di cui 194 realizzati sui mercati esteri).

Questioni aperte
Secondo il presidente di Ismea Ezio Castiglione «Il sistema italiano dei prodotti agroalimentari a denominazione protetta mantiene un buono stato di salute. L’export, ancora in crescita sostenuta, resta tuttavia l’unico elemento trainante. Continua invece a drenare fatturato il mercato interno, anche se i consumi, in una situazione quest’anno un po’ meno critica, stanno tendendo gradualmente a stabilizzarsi. Il più 5% delle vendite all’estero – ha proseguito Castiglione – conferma il successo del Brand Italia oltre confine, dove gli spazi di crescita restano ampi e incoraggianti.

Sfruttare i potenziali significa però agire con maggiore determinazione sulle leve aziendali, in particolare sulla competitività, in un mercato reso nel frattempo più trasparente dal Pacchetto Qualità che, con la protezione ‘ex officio’,  impone agli Stati Ue la tutela delle denominazioni d’origine contro i falsi. Cruciale sarà anche l’esito dei negoziati nell’ambito dell’accordo bilaterale con gli Usa. L’inserimento della tutela dei marchi di origine tra i punti fondamentali della trattativa rappresenta un importante passo in avanti: bisognerà adesso tradurlo nei testi attuativi».

Alberto Mattiacci, processore alla Sapienza di Roma evidenzia a sua volta come il valore del sistema IG poggi su tre pilastri connessi: il contributo del food a formare l’identità del Paese e dei suoi cittadini, il rilevante peso che riveste nell’economia nazionale e la salubrità che conferisce alla popolazione. «Questi pilastri – evidenzia il docente – vanno consolidati, attraverso programmi, rispettivamente, di tutela, valorizzazione e controllo, così da innescare un ulteriore circuito virtuoso di sviluppo. In tale scenario, i temi aperti da risolvere attengono la ancora bassa e frammentaria consapevolezza e conoscenza delle DO da parte dei consumatori e gli ancora insufficienti sforzi distributivi (sia come penetrazione che merchandising) e comunicativi»

In particolare il rapporto rileva che il budget dichiarato che viene investito in comunicazione si aggira intorno ai 30 milioni di euro, per il 76% speso dal comparto dei formaggi a DO e per il 15% dei prodotti a base di carne a DO. La scelta preminente tra i media rimane quella della televisione, seguita dalla partecipazione a fiere (nazionali ed estere) e dalla stampa. Marginali gli investimenti sul web.

Da segnalare come i Consorzi di tutela non si avvicinino ancora alla comunicazione social, probabilmente la migliore soluzione comunicativa in termini di rapporto costi-efficacia. Solo il 43% degli organismi di tutela dichiara, infatti, di gestire un canale social per valorizzare la propria IG.

 

Fabrizio Gomarasca

Aspiag Service entra in ESD Italia

Anche Aspiag Service, la concessionaria Despar per il Nord Est si accasa dopo lo scioglimento di Centrale Italiana.“Ieri l’ assemblea dei Soci di ESD Italia ha deliberato un aumento di capitale sociale che è finalizzato all’allargamento della compagine sociale ad Aspiag Service Srl con decorrenza dal 1° gennaio 2015”.

Comicia così la nota diffusa da ESD Italia che, grazie alle ottime performance delle imprese ad essa associate, sviluppa già nel 2014 un volume di acquisti convenzionati pari a 5 miliardi di Euro, destinato a raforzarsi dopo l’ingresso di Aspiag.

«Con le decisioni assunte nel corso dell’Assemblea, ESD Italia prosegue nella propria strategia di rafforzamento, con l’obiettivo primario di divenire sempre più punto di riferimento e polo di aggregazione delle medie aziende d’eccellenza operanti nel nostro Paese – commenta Marcello Poli, Presidente di ESD Italia -. Il nostro è un modello ormai pressoché unico, un modello di Centrale “democratica”, dove ognuno dei Soci ha pari dignità e mette a fattor comune idee evolutive ed iniziative di sviluppo nella relazione con l’Industria».

Dal canto suo Harald Antley, Amministratore Delegato di Aspiag Service, spiega così le ragioni per l’ingresso della società in ESD Italia. «Chiusa l’esperienza pluriennale e positiva in Centrale Italiana, che cesserà la propria attività alla fine dell’anno, riteniamo di aver trovato in ESD Italia il contesto commerciale e strategico ideale per il futuro della nostra azienda: è una centrale in cui convergono imprese eccellenti, in grado non soltanto di generare una efficace sinergia sul mercato, ma anche di esprimere competenza e capacità di innovazione su ampia scala. Apprezziamo inoltre il fatto che ESD non sia una semplice “aggregazione”, ma un contesto democratico, come giustamente sottolinea il Presidente Poli, che favorisce il confronto e lo scambio di know-how tra i partner. Scelta premiante, vista la crescita che la Centrale ha vissuto dalla sua nascita ad oggi, non soltanto in termini di quota di mercato ma anche di qualità».
Nel 2015 la compagine potrà contare su un ulteriore progresso: la crescita del fatturato è prevista in misura del 15%, nonostante il contesto sfavorevole, grazie al contributo di Aspiag e anche alla prevista crescita dei soci storici, Selex Gruppo Commerciale (che da gennaio avrà Il Gigante come nuovo socio), Acqua e Sapone, Agorà Network e Sun.

Saldi invernali: Federdistribuzione chiede di anticiparli al 3 gennaio

Da Federdistribuzione arriva un grido d’allarme e una richiesta precisa: anticipare le date dei saldi invernali al 3 gennaio. In gioco ci sono circa 600 milioni di euro.

Il perdurare della crisi economica che attanaglia il Paese – si legge in una nota diramata dall’associazione della distribuzione moderna – ha reso quest’anno particolarmente carico di attese il momento dell’avvio dei saldi invernali, sia per i consumatori che per tutte le imprese del commercio interessate. I primi, con un potere d’acquisto costantemente in calo, stanno aspettando i prezzi vantaggiosi che garantiscono le vendite di fine stagione e le seconde vedono in quell’evento l’occasione per recuperare parte delle vendite che non sono riusciti a ottenere nei mesi precedenti, anche a causa del perdurare di una situazione climatica anomala, con temperature eccessivamente elevate rispetto alle medie stagionali, che ha disincentivato i consumatori dagli acquisti di capi invernali.

L’avvio dei saldi è stabilito, prosegue la nota, nella maggioranza delle Regioni, per il 5 gennaio, un lunedì. Ciò in seguito anche a un indirizzo espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ha recepito una regola condivisa dagli operatori.

Ma nel 2015 si verifica una situazione anomala, perché il 5 gennaio è un lunedì e, secondo Federdistribuzione, questo fatto rischia di penalizzare l’inizio delle vendite di fine stagione. Non includere il sabato 3 e la domenica 4 gennaio significa perdere uno dei più importanti fine settimana di vendita nel retail.

I calcoli sono presto fatti. I saldi invernali sviluppano vendite per 5,5 / 6 mld € e il primo fine settimana ne rappresenta storicamente il 20%, cioè  1,1 / 1,2 mld €. Un avvio dei saldi invernali come quello previsto per il 2015, tra vendite perse nel week end precedente ed avvio lento lunedì 5 gennaio, potrebbe comportare una perdita di fatturato tra 500 e 600 milioni di euro, che rischierebbe di non essere recuperata in seguito proprio per la mancata spinta iniziale e per il perdurare della grave crisi economica.

Viceversa partendo con quattro giorni utili (dal 3 al 6 gennaio) si potrebbero realizzare vendite pari a 1,7 miliardi di euro, con beneficio a un settore del commercio che non solo soffre per il calo dei consumi, ma anche per la concorrenza dell’online.

Per questo motivo Federdistribuzione ha portato la questione all’attenzione de della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha dimostrato disponibilità ad esaminare la questione.

Da Nestlé i nuovi gluten free corn flakes

Arrivano in Italia i nuovi Nestlé Gluten Free Corn Flakes, i primi cereali Nestlé per la prima colazione rivolti a chi è sensibili al glutine o, semplicemente, desidera cominciare la giornata in modo nuovo.

Ricchi di gusto e di preziosi nutrienti, i nuovi cereali Nestlé Gluten Free Corn Flakes segnano un’importante svolta nella disponibilità dei prodotti senza glutine: una nuova soluzione capace di andare incontro alle necessità di tutta la famiglia.

Quella dei prodotti senza glutine è un’area in grande crescita nella distribuzione italiana sia perché è una intolleranza in rapida diffusione, sia perché mole persone li privilegiano come stile alimentare e di vita (leggi qui).

Un celiaco ogni 100 adulti: è questa la media stimata in Europa (come negli Stati Uniti) elaborando i dati, molto diversi tra loro, dei vari paesi. “Nel vecchio continente infatti  – afferma Franca Marangoni, responsabile della ricerca in tema di alimentazione e salute per NFI- Nutrition Foundation of Italy – la prevalenza della malattia è massima in Finlandia, dove interessa il 2,4% della popolazione, e minima in Germania, dove i celiaci rappresentano lo 0,3%.

In Italia il Ministero della Salute, nella Relazione annuale al Parlamento del dicembre 2013 (relativa al 2012), ha stimato una frequenza di un caso ogni 150 adulti, con un rapporto uomini:donne di 1:2.  Il peso della celiachia è ancora maggiore tra i bambini: riguarderebbe infatti l’1,25% della nostra popolazione infantile (un bambino ogni 80). Si tratta di stime in costante crescita.

Secondo la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) l’aumento della prevalenza della celiachia (ovvero dei casi registrati) è raddoppiato nell’arco di 5 anni, dal 2003 al 2008. Informazioni più recenti confermano il dato: la già citata Relazione parlamentare del 2013 riporta un incremento dell’8% e più dei casi nel 2012 rispetto all’anno precedente”.

I nuovi cereali senza glutine contengono vitamine del gruppo B e una porzione di 30 grammi fornisce almeno il 28% dei Valori Nutritivi di Riferimento indicati dal regolamento 1169/2011 delle vitamine del gruppo B (riboflavina, niacina, vitamina B6, acido folico e acido pantotenico).

“Abbiamo creato i nuovi Nestlé Gluten Free Corn Flakes (certificati senza glutine a livello europeo) per offrire alle famiglie una valida alternativa che consenta di eliminare il glutine senza rinunciare alla bontà dei cereali a colazione. I nostri fiocchi di mais sono arricchiti da vitamine per assicurare il giusto apporto di questi importanti nutrienti in ogni porzione” commenta Samantha Selicato, nutrizionista Nestlé.

Secondo Giuliana Isolani, Country Business Manager di Cereal Partners Worldwide (CPW) Italia (la joint venture creata da Nestlé nel 1990 con General Mills) “lanciare sul mercato italiano i primi cereali senza glutine a marchio Nestlé significa cogliere i bisogni dei consumatori dando loro una risposta concreta: una valida offerta che soddisfa tutta la famiglia in termini di gusto ed esigenze nutrizionali.”

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