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Istat, le prospettive per l’economia italiana nel 2016-2017

 “Nel 2016 si prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) italiano pari allo 0,8% in termini reali, cui seguirebbe una crescita dello 0,9% nel 2017.

In entrambi gli anni, la domanda interna al netto delle scorte contribuirebbe in misura significativa alla crescita del Pil: 1,2 punti percentuali nel 2016 e 1,1 punti percentuali nel 2017; la domanda estera netta e la variazione delle scorte fornirebbero un contributo lievemente negativo.

Nel 2016 la spesa per consumi delle famiglie in termini reali è stimata in aumento dell’1,2%, alimentata dall’incremento del reddito disponibile e dal miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro. La crescita della spesa proseguirebbe ad un ritmo analogo nel 2017 (+1,1%).

Nell’anno in corso si prevede un rafforzamento degli investimenti (+2,0%) e una successiva accelerazione nel 2017 (+2,7%). Oltre che al miglioramento delle attese sulla crescita dell’economia e sulle condizioni del mercato del credito, gli investimenti beneficerebbero delle misure di politica fiscale a supporto delle imprese.

L’occupazione aumenterebbe nel 2016 (+0,9% in termini di unità di lavoro) congiuntamente a una riduzione del tasso di disoccupazione (11,5%). I miglioramenti sul mercato del lavoro proseguirebbero anche nel 2017 ma a ritmi più contenuti: le unità di lavoro sono previste in aumento dello 0,6% e la disoccupazione si attesterebbe all’11,3%.

Una ripresa più accentuata del processo di accumulazione del capitale potrebbe rappresentare un ulteriore stimolo alla crescita economica nel 2017. Tuttavia le incertezze legate al riaccendersi delle tensioni sui mercati finanziari potrebbero condizionare il percorso di crescita delineato. Le previsioni incorporano le misure descritte nel disegno di legge sul Bilancio di previsione dello Stato”.

(Fonte: www.istat.it, “Le prospettive per l’economia italiana nel 2016-2017”, 21 novembre 2016).

PIL in crescita dello 0,3% sul trimestre precedente (+ 0,9% sul 2015)

“Nel terzo trimestre del 2016 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,9% nei confronti del terzo trimestre del 2015.

Il terzo trimestre del 2016 ha avuto due giornate lavorative in più del trimestre precedente e una in meno rispetto al terzo trimestre del 2015.

La crescita congiunturale è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi e di una diminuzione nell’agricoltura. Dal lato della domanda, vi è un contributo ampiamente positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte), in parte compensato da un apporto negativo della componente estera netta.

Nello stesso periodo il PIL è aumentato in termini congiunturali dello 0,7% negli Stati Uniti, dello 0,5% nel Regno Unito e dello 0,2% in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 2,3% nel Regno Unito, dell’1,5% negli Stati Uniti, dell’1,1% in Francia. Nel complesso, il PIL dei paesi dell’area Euro è cresciuto dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed dell’1,6% nel confronto con lo stesso trimestre del 2015”.

(Fonte: www.istat.it, “Stima preliminare del PIL”, 15 novembre 2016).

Stime Ocse: nuova doccia fredda per il Pil tricolore

“Nuova doccia fredda per il Pil. Nel suo Economic Outlook, l’Ocse mette nero su bianco le nuove stime per il 2016 e il 2017: il prodotto interno lordo crescerà, in entrambi gli anni, dello 0,8 per cento. Le previsioni sono state riviste al ribasso rispettivamente di 0,2 e di 0,6 punti rispetto alle stime di giugno, quando era stata stimata una crescita rispettivamente dell’1 e dell’1,4 per cento. Il capo economista dell’Ocse, Catherine Mann, ha sottolineato che a pesare su questo quadro ci sono anche la scarsa ‘fiducia’ e ‘l’incertezza politica’ sull’esito del referendum costituzionale.

Guardando fuori dai confini italiani, l’Ocse ha tagliato le stime sulla crescita di gran parte delle maggiori economie mondiali a partire dagli Stati Uniti, che passano da un +1,8% nel 2016 e un +2,2% nel 2017 a, rispettivamente, +1,4% e +2,1% “a causa dei deboli investimenti” e ‘nonostante i robusti consumi e la crescita dell’occupazione’. Rispetto all’Economic Outlook di giugno, l’unico Paese a essere interessato da una revisione al rialzo è il Brasile, la cui economia è prevista in calo del 3,3% quest’anno e dello 0,3% l’anno prossimo, mentre tre mesi fa era stata stimata una contrazione del 4,3% nel 2016 e dell’1,7% nel 2017. Revisione al rialzo nel 2016, anche se contenuta, per il Regno Unito (da +1,7% a +1,8%), seguita però da un drastico ridimensionamento nel 2017 (da +2% a +1%).

Revisione più moderata per la Francia (da +1,4% a +1,3% nel 2016 e da +1,5% a +1,3% nel 2017) mentre le attese sulla Germania migliorano per l’anno in corso (da +1,6% a +1,8%) e peggiorano per il successivo (da +1,7% a +1,5%). L’economia dell’Eurozona è invece stimata in espansione dell’1,5% nel 2016 e dell’1,4% nel 2017 (+1,6% e +1,7% nel 2017). L’organizzazione di Parigi cita un ‘rallentamento nel secondo trimestre’ dovuto ‘alla frenata dell’effimera ripresa degli investimenti’. Il giudizio dell’Ocse è impietoso: ‘Nel complesso, l’economia mondiale rimane in una trappola di bassa crescita’”.

(Fonte: www.huffingtonpost.it, “L’Ocse rivede al ribasso le stime della crescita italiana: il Pil a +0,8% nel 2016 e nel 2017”, 21 settembre 2016).

Confindustria vede un futuro nerissimo per l’economia italiana

“Confindustria vede un futuro nerissimo per l’economia italiana. Il Centro Studi dell’organizzazione degli industriali, nelle sue nuove previsioni diffuse oggi, ha limato ulteriormente le stime di crescita del Pil del nostro Paese: + 0,7% nel 2016 e +0,5% nel 2017. Una correzione destinata a cambiare anche le stime sul deficit che dovrebbe attestarsi al 2,5% nel 2016 e al 2,3 % nel 2017. Complessivamente, per quanto riguarda il Pil, si tratta di una revisione al ribasso di 0,1 punti per entrambi gli anni rispetto alla previsione formulata lo scorso luglio. Dopo ‘un quindicennio perduto’, rileva Confindustria, il Paese ‘soffre oggi di una debolezza superiore all’atteso’: ai ritmi attuali di incremento del prodotto – indica quindi il Csc – l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007 è rinviato al 2028.

Aumenta inoltre il divario di crescita a sfavore dell’italia nei confronti degli altri paesi europei. Il centro studi di Confindustria rileva che tra il 2000 e il 2015 il Pil è aumentato del 23,5% in Spagna, del 18,5% in Francia e del 18,2% in Germania, mentre è calato dello 0,5% in Italia. E nel 2017, sebbene già del tutto insoddisfacente (+0,5), non è scontata e va conquistata. L’Italia ‘ha alle spalle un quindicennio perduto. Ai ritmi attuali, l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007 è rinviato al 2028, mentre non verrà mai riagguantato il sentiero di crescita che si sarebbe avuto proseguendo con il passo precedente, pur lento. La crisi ha comportato un netto abbassamento del potenziale di crescita, che nelle stime dell’Fmi è sceso dall’1,2% allo 0,7%’.

Nonostante una crescita del Pil piatta l’occupazione salirà dell’1% nel 2016 e dello 0,5% nel 2017. Confindustria sottolinea che si tratta di ‘un risultato stupefacente’ spiegato dal forte aumento di posti di lavoro che si è concentrato nei primi sei mesi del 2016 ma che da lì in poi, però, ‘si smorzerà’ in presa diretta con la bassa crescita del Pil. Il Csc stima infatti che le Ula torneranno alla fine del prossimo biennio a 23,9 milioni: 730 mila unità sopra al minimo di fine 2013 ma ancora 1 milione e 280 mila unità sotto il livello precrisi del 2008.

Intanto Bankitalia registra un nuovo record del debito pubblico italiano. A luglio il debito delle Amministrazioni pubbliche si è attestato a 2.252,2 miliardi, in aumento di 3,4 miliardi rispetto a giugno. È quanto emerge dal supplemento finanza pubblica al bollettino statistico della Banca d’Italia. Nei primi sette mesi del 2016, il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di 80,5 miliardi”.

(Fonte: www.huffingtonpost.it, “Confindustria: Pil 2016 a +0,7%, +0,5% nel 2017. Ritorno ai livelli pre-crisi nel 2028. Bankitalia: debito pubblico a 2252 miliardi”, 15 settembre 2016).

Stime sul Pil da rivedere al ribasso secondo Padoan

“Il Governo rivedrà al ribasso le stime sul Pil. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso dell’Euromoney Conference a Milano, confermando quanto i recenti dati dell’Istat avevano lasciato intendere sull’andamento della crescita italiana.

‘L’economia italiana sta crescendo non così velocemente come vorremmo. Le previsioni di crescita saranno riviste al ribasso anche nei dati che il Governo rilascerà ad ottobre’, ha spiegato il ministro, sottolineando che ‘comunque l’economia sta crescendo dopo tre anni di prolungata recessione e perdita di Pil e capacità produttiva e sta generando posti di lavoro. Se c’è una creazione di posti di lavoro più che proporzionale rispetto alla crescita economia e l’economia diventa a maggiore intensità di lavoro forse è perché c’è stato un benvenuto cambiamento di struttura’.

Analoga la considerazione di Matteo Renzi, che tuttavia guarda a quanto di positivo sta avvenendo nell’economia nazionale. ‘Oggi c’è una polemica perché il ministro Padoan ha detto che i dati del Pil sono più bassi di quel che speravamo. Noi diciamo la verità. È così’ afferma il premier alla cerimonia per la posa della prima pietra del nuovo quartier generale di Siemens a Milano. ‘Ma i dati che erano negativi fino qualche anno fa – aggiunge – sono tornati positivi, anche se non vanno ancora con la velocità che vorremmo. E il nostro governo non nasconde dati, non racconta barzellette’.

Secondo Renzi, ‘l’Italia è il Paese che forse 20 anni fa poteva dare qualche grattacapo, ma ora è il paese più interessante dove fare investimenti’”.

(Fonte: www.huffingtonpost.it, “Pier Carlo Padoan: ‘Le previsioni sul Pil saranno riviste al ribasso’. Matteo Renzi: ‘Ma Italia è paese migliore in cui investire’”, 13 settembre 2016).

Heri dicebamus: “‘Il punto vero in questa fase è riuscire a parlare un linguaggio di verità” (Renzi dixit, ndr). “Per il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli siamo di fronte a ‘una ripresa senza slancio, senza intensità e senza mordente’; e bisogna ‘intervenire sui nodi strutturali che bloccano la crescita’; il destino dipenderà da ‘riforme ed equità’”. Et cetera (si veda inStore, giugno/luglio 2016, pag. 35).

A proposito: “Già da qualche settimana Tesoro e Palazzo Chigi lavorano ad una manovra il cui saldo complessivo oscilla attorno ai 25 miliardi di euro. Gran parte di quella cifra dovrà essere impegnata per neutralizzare una clausola di salvaguardia da 15 miliardi, pena l’aumento dell’Iva. Per la manovra vera e propria resterebbero solo dieci miliardi. Il governo finora ha sperato di finanziarla con un po’ più deficit di quello promesso a Bruxelles nell’ultimo documento di finanza pubblica: invece dell’1,8 per cento, fino al 2,3, giusto un decimale in meno del livello di indebitamento fissato per quest’anno. Eppure oggi ottenere quei dieci miliardi non è scontato, anzi. ‘Gli spazi sono molto, molto stretti’, ammettono due autorevoli fonti di governo”. (Fonte: Alessandro Barbera, “Manovra in salita per l’Italia. Sfida aperta con Bruxelles per evitare l’aumento dell’Iva”, La Stampa, 13 settembre 2016).

Hic Rhodus, hic salta…

Germania, surplus attorno ai 310 miliardi di dollari

“L’Europa non converge. Anzi. Le divergenze strutturali – dell’economia reale – continuano ad aggravarsi. Ieri, l’Ifo, uno dei più prestigiosi centri di studi economici della Germania, ha pubblicato le sue previsioni sul conto delle partite correnti: dice che nel 2016, grazie alle esportazioni, il Paese raggiungerà un surplus record attorno ai 310 miliardi di dollari, dando la polvere all’altro campione di export e di surplus, la Cina.

In parallelo, l’Eurostat ha reso note le stime sull’andamento del Prodotto interno lordo nel secondo trimestre di quest’anno: una pattuglia di tre – Italia, Francia e Finlandia – ha registrato crescita zero rispetto ai tre mesi precedenti, un altro gruppo è cresciuto modestamente e i Paesi dell’Est Europa hanno invece dato segni di molto dinamismo.

Le divergenze sono un problema: per la gestione delle economie della Ue e dell’eurozona e per la gestione politica che viene così influenzata da percezioni diverse sullo stato di salute corrente. Il surplus tedesco non è una sorpresa: è l’accentuazione di una tendenza in corso da dieci anni. I conti correnti registrano le transazioni internazionali di un Paese, cioè importazioni ed esportazioni, trasferimenti, redditi.

L’economista dell’Ifo Christian Grimme ha spiegato che il surplus tedesco è dato dal commercio in beni: nella prima metà dell’anno, le esportazioni sono state superiori alle importazioni per 159 miliardi di dollari. Riportato ai 12 mesi del 2016, fa prevedere che si arriverà a 310 miliardi di dollari, l’8,9% del Pil tedesco. È una quota enorme, che eccede per l’ennesima volta il limite massimo del 6% raccomandato dalla Commissione Ue. L’ eccesso, infatti, è considerato negativo: se da un lato è il risultato della forza competitiva dell’industria tedesca, dall’altro crea sbilanci considerevoli.

Non ultimo quello puntualizzato in primavera da Mario Draghi, secondo il quale i tassi d’interesse bassi che la Banca centrale europea è costretta a tenere sono il risultato di grandi masse di risparmio che si accumulano, anche a causa del surplus tedesco, e non trovano domanda per essere investiti e quindi accelerano la caduta dei rendimenti. La questione è politicamente delicata: è difficile obbligare un Paese a non avere successo nell’export.

Una risposta sarebbe l’aumento dei consumi in Germania, attraverso una riduzione del carico fiscale e la liberalizzazione di una serie di settori protetti, soprattutto nei servizi: qualcosa di cui la Germania avrebbe grande necessità. Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble sostengono di avere mosso già dei passi in quel senso, alzando il salario minimo, aumentando gli assegni pensionistici e favorendo aumenti salariali significativi. Evidentemente, ancora poco. Tutto si scontra con la decisione di Schäuble e di gran parte dell’establishment del Paese di creare anche surplus del bilancio pubblico, per essere pronti ad affrontare le crisi.

Situazione politicamente complicata, insomma. Anche le divergenze nell’andamento dei Pil – Italia, Francia e Finlandia ferme e gli altri che si muovono a velocità diverse – inizia a riverberare nella politica. Ieri, Eurostat ha notato che la crescita maggiore è quella di Romania (1,5% sul trimestre), Ungheria (1%), Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia (queste tre allo 0,9%).

E proprio ieri il primo ministro ungherese Victor Orbán ha sottolineato, parlando anche di altro, le molte differenze tra i vecchi Paesi della Ue e i nuovi dell’Est. «Oggi – ha detto – si può dire seriamente a un ragazzo di studiare perché domani il suo futuro sarà migliore solo nei nostri Paesi dell’Est. All’ Ovest farebbe ridere. Il sogno europeo si è spostato da Occidente a Oriente». È con queste divisioni, che da economiche diventano subito politiche, che l’Europa si misura. È che le divergenze strutturali prima o poi hanno la meglio sul resto”.

(Fonte: Danilo Taino, “Export, Germania leader mondiale. Con 310 miliardi batte anche la Cina”, Corriere della Sera, 7 settembre 2016).

 

Eurostat (e Istat): crescita zero per l’Italia

“Rallenta la crescita del pil in Europa: dopo l’aumento di 0,5% registrato nel primo trimestre 2016, nel secondo la crescita è stata di 0,3% nella zona euro e 0,4% nella Ue-28. Lo comunica Eurostat, che per l’Italia conferma la crescita zero già diffusa dall’Istat. Su base annuale il pil dell’Eurozona è salito di 1,6% e quello dell’Ue-28 di 1,8%, rallentando anche in questo caso sull’1,7% e 1,9% del trimestre precedente. In Italia la crescita annuale è confermata a 0,8%. Italia, Francia e Finlandia sono gli unici Paesi europei con la crescita ferma nel secondo trimestre del 2016. Sotto la media Ue (+0,4%) anche Austria (+0,1%), Grecia e Lituania (+0,2%), mentre volano i Paesi dell’Est: Romania (+1,5%), Ungheria (+1%), Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca (+0,9%). Bene anche la Spagna (+0,8%), mentre rallenta anche la Germania (+0,4% dopo lo 0,7% del primo trimestre)”.

(Fonte: www.ansa.it, “Eurostat: crescita zero per l’Italia”, 6 settembre 2016).

“A livello internazionale prosegue la fase espansiva dell’economia statunitense mentre i paesi dell’area euro mostrano segnali di rallentamento nel secondo trimestre. L’economia italiana ha interrotto la fase di crescita, condizionata dal lato della domanda dal contributo negativo della componente interna e dal lato dell’offerta dalla caduta produttiva del settore industriale. L’indicatore anticipatore dell’economia rimane negativo a luglio, suggerendo per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza dell’economia italiana”.

(Fonte: www.istat.it, “Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana”, 5 settembre 2016: e consigliamo la lettura del documento, scaricabile dal sito).

Giudizio sintetico: chi si ferma è perduto…

Prodotto interno lordo invariato nel secondo trimestre

“Nel secondo trimestre del 2016 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente ed è aumentato dello 0,8% nei confronti del secondo trimestre del 2015.

La stima preliminare diffusa il 12 agosto 2016 scorso aveva misurato la stessa variazione congiunturale e una variazione tendenziale dello 0,7%.

La variazione acquisita per il 2016 è pari a +0,7%.

Dal lato della domanda interna, i consumi nazionali sono stazionari in termini congiunturali, sintesi di un aumento dello 0,1% dei consumi delle famiglie e di un calo dello 0,3% della spesa della PA, mentre gli investimenti fissi lordi hanno registrato una flessione dello 0,3%. Le importazioni sono aumentate dell’1,5% e le esportazioni dell’1,9%.

La domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto 0,1 punti percentuali alla variazione del PIL: si registrano contributi nulli per i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private (ISP) e per gli investimenti fissi lordi e un contributo negativo (-0,1 punti percentuali) per la spesa della Pubblica Amministrazione (PA). La variazione delle scorte ha contribuito negativamente per 0,1 punti percentuali, mentre l’apporto della domanda estera netta è stato positivo per 0,2 punti percentuali.

Il valore aggiunto registra incrementi congiunturali nell’agricoltura (0,5%) e nei servizi (0,2%) mentre diminuisce (-0,6%) nell’industria. All’interno dei servizi si rilevano settori in flessione e settori in espansione: incrementi significativi riguardano le attività professionali e di supporto (0,5%) e quelle del comparto del commercio, trasporto e alloggio (0,4%); all’opposto, il calo più marcato riguarda le attività finanziarie e assicurative (-0,6%)”.

(Fonte: www.istat.it, “Conti economici trimestrali”, 2 settembre 2016).

Le chiacchiere stanno a zero…

E il nostro Paese è in deflazione…

“Il nostro Paese è in deflazione e i dati relativi ai prezzi al consumo indicano un calo dello 0,2 per cento nel I semestre del 2016. Continuando di questo passo l’Italia farà registrare, per la prima volta dal lontano 1959, una variazione dei prezzi negativa. Solo che mentre nel 1959 il PIL italiano correva (+7 per cento), adesso, dopo una lunga fase di crisi, la crescita economica è ancora a rischio tant’è che i centri studi e gli organismi internazionali stanno rivedendo al ribasso le prospettive per il 2016 (tassi inferiori all’1 per cento).

 La deflazione prodotto per prodotto

 Secondo l’ultima analisi dell’Ufficio Studi della CGIA, su 200 voci di prodotto analizzate la deflazione si è verificata in ben 68 casi. E, al di là di settori particolari come l’hi-tech dove il progresso tecnologico consente, generalmente, la contrazione dei prezzi (computer fisso -12,7 per cento) e dei prodotti energetici (gasolio auto -12,5 per cento e benzina -7,6 per cento) che hanno beneficiato di un prezzo del petrolio basso e al di sotto dei 50 dollari al barile per tutto il primo semestre del 2016, la deflazione ha colpito anche altri comparti di spesa, in particolare molti prodotti alimentari.

Pomodori (-7,2 per cento), insalata (-2,4 per cento), zucchero (-2,4 per cento) e gelati (-2,0 per cento) sono i prodotti che hanno visto la riduzione dei prezzi maggiore ma la lista degli alimentari con il segno meno è lunga: pesche/nettarine (-1,8 per cento), cereali per colazione (-1,6 per cento), arance (-1,4 per cento), farina/altri cereali (-1,2 per cento), banane (-1,2 per cento), yogurt (-1,2 per cento); scorrendo la classifica dei prodotti alimentari con il segno meno se ne contano quasi trenta.

‘Il fatto che tanti prodotti alimentari abbiano subito un forte deprezzamento – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – è indice delle difficoltà in cui versano le famiglie italiane. Nonostante i consumi abbiano registrato una leggera ripresa, rimangono molto lontani dai livelli raggiunti prima della crisi. Dal 2007 ad oggi, infatti, sono diminuiti di circa 6 punti percentuali. Nonostante il rafforzamento del Quantitative Easing da parte della Banca Centrale Europea, la domanda è ancora fiacca e questo influisce sul livello dei prezzi che continuano a scendere, riducendo in misura preoccupante i margini di guadagno delle imprese’.

 E i maggiori rincari?

Tra i prodotti che hanno subito i maggiori rincari la lista si apre con i servizi postali (+9,8 per cento), i palmari/tablet (8,2 per cento) che godono di una domanda in continua crescita, ma include anche alcuni alimentari come patate +8,2 per cento, olio d’oliva +5,3 per cento, mele +3,2 per cento e pere +3,1 per cento (vedi Tab. 2).

Scorrendo la classifica dei primi 50 aumenti vi sono altri aspetti negativi per le famiglie alle prese con il pagamento delle bollette: fornitura d’acqua (+4,5 per cento) e fognatura (+4,2 per cento) rappresentano rincari che azzerano o quasi i vantaggi derivanti dalla riduzione dei prezzi del gas (-7,6 per cento) e, in parte, dell’energia elettrica (-0,2 per cento) avvenuti nel primo semestre del 2016. Tra l’altro, nel terzo trimestre del 2016 le tariffe di luce e gas potrebbero tornare ad aumentare (per il momento il TAR della Lombardia ha “congelato” gli aumenti ma per la decisione finale bisognerà aspettare il mese di settembre).

‘Inoltre – sottolinea il segretario della CGIA Renato Mason – non è da escludere che quest’estate, nonostante la domanda stagnante, si registrino alcuni aumenti dei prodotti ortofrutticoli che risentono anche della frammentazione del sistema distributivo e, spesso, della speculazione praticata dagli intermediari commerciali. Una cattiva abitudine che colpisce con elevata frequenza soprattutto i consumatori italiani’.

Mappatura territoriale della deflazione

La CGIA ha anche mappato l’andamento dei pezzi per comune capoluogo di provincia. È stato possibile verificare come su 70 casi per cui erano disponibili i dati, in 45 comuni gli indici dei prezzi sono stati in flessione”.

(Fonte: www.cgiamestre.com, “L’Italia in deflazione come il 1959”, 23 luglio 2016)

In margine: “E i taumaturgici tentativi della Bce di scaldare i prezzi, facendo risalire l’inflazione verso il 2%, come previsto dallo statuto, si sono sin qui rivelati infruttuosi. Mission impossible?” (Enrico Biasi, RE-Retail 119, Novembre 2015, pag. 96).

 

CSC su Brexit e Referendum

“Nello scenario globale la matassa dell’incertezza si è ancor più ingarbugliata. Agli alti rischi economici, acuiti dalle lunghe code della crisi, si sono sommati i ben più minacciosi e incombenti rischi di instabilità politica. Le sofferenze sociali derivanti da disoccupazione e impoverimento e la mancanza di risposte appropriate hanno fatto riemergere nei paesi avanzati (soprattutto europei) pulsioni profonde di xenofobia e nazionalismo. L’Italia appare come una piccola nave (con nocchiero) in un mare in gran tempesta. E con importanti riparazioni in corso mentre deve proseguire la navigazione. Nello scenario ordinario prosegue, benché azzoppata dalla Brexit, la modesta risalita del PIL, cominciata al principio del 2015, e dell’occupazione. Neppure questo risultato può essere, però, dato per scontato. Il passaggio chiave è costituito dal referendum in autunno sulla nuova Costituzione. La vittoria del fronte del ‘No’ avrebbe pesanti ripercussioni economiche. Secondo le stime del CSC, il costo per l’Italia della Brexit si traduce, nel biennio 2016-17, in 0,6 punti di PIL, 81mila unità di occupazione, 154 euro di reddito pro-capite e 113mila poveri. Ma sono stime prudenziali, che non incorporano alcune variabili qualitative, e il bilancio finale potrebbe risultare peggiore. Le nuove previsioni CSC sul PIL italiano sono di +0,8% nel 2016 e +0,6% nel 2017. Nel biennio sarà creata occupazione per 250mila unità di lavoro, che portano a +650mila il totale da quando sono ricominciate ad aumentare; ne mancheranno ancora 1,37 milioni per colmare la voragine causata dalla crisi. Questi risultati positivi, ma certo non entusiasmanti, sarebbero del tutto compromessi dalle conseguenze della bocciatura della riforma costituzionale al referendum confermativo. Il CSC ha delineato uno scenario alternativo che parte da tale responso delle urne. Rispetto alle tendenze in atto, l’economia italiana perderebbe in tre anni 4 punti percentuali di PIL, 17 punti di investimenti e quasi 600mila unità di lavoro; nel 2019 il debito pubblico sfonderebbe quota 144% del PIL.  Il reddito pro-capite diminuirebbe cumulativamente di 590 euro e ci sarebbero 430mila poveri in più. Si tratta di calcoli conservativi, che largamente sottostimano i veri effetti che si materializzerebbero. Il Paese, già estremamente provato, dovrebbe fronteggiare una nuova grave emergenza economico-sociale, con inevitabili spinte verso soluzioni populistiche. Proprio perché fuori minaccia tempesta, l’Italia dovrebbe puntare ad attrezzarsi e a diventare più solida, anziché confermare le proprie storiche debolezze”. (Fonte: www.confindustria.it, “Scenari economici n. 26. La risalita modesta e i rischi di instabilità”, 1 luglio 2016). Alles klar? Così è, se vi pare…

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