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Theresa May ha un piano per ridurre la plastica: ai supermercati propone “corsie free from”

Il Governo britannico lavorerà con le insegne della Gdo per “introdurre corsie senza plastica dove i prodotti sono venduti sfusi o imballati con materiale riciclabile o biodegradabile”. Lo ha dichiarato il primo ministro Theresa May in una sorta di discorso alla nazione sui temi dell’ambientalismo, in cui la riduzione della plastica ha avuto un forte peso. Anzi, la premier ha dichiarato di voler rendere il Regno Unito una sorta di “avamposto” della lotta alla eliminazione della plastica “evitabile” assumendo la “leadership globale” sul tema.

Tra le proposte del “25 Year Environment Plan”, il piano per ridurre spreco e inquinamento, anche l’estensione della tassa da 5 penny sui sacchetti introdotta nei supermercati (che nel Regno Unito viene reinvestita in progetti per la tutela dell’ambiente) ai piccoli negozi e ai retail in genere, ma anche alle scatole di plastica usate per l’asporto.

Non si è fatta attendere la replica del British Retail Consortium l’associazione dei distributori: “I retailer stanno costantemente riducendo il peso degli imballaggi e assicurandosi che gli imballaggi che usano siano riciclabili – ha detto il direttore delle politiche alimentari Andrew Opie –. Anche se ci sono aree libere da plastica in un supermercato, come quelle dei prodotti sfusi e freschi, l’imballo gioca ancora un ruolo importante nel ridurre lo spreco di cibo e deve essere visto nel contesto più ampio dell’impatto totale sull’ambiente e della nostra filira di distribuzione. Per esempio, i cetrioli avvolti nella plastica durano cinque volte quelli non avvolti.” In ogni caso l’industria “apprezza queso approccio strategico e a lungo termine. La distribuzione vuoel vedere un approccio olistico all’ambiente e alle risorse piuttosto che lo spostamento da un singolo problema all’altro”.

Sacchetti di plastica, è possibile portarli da casa? I dubbi di Federdistribuzione

Federdistribuzione prende posizione sulla querelle d’inizio anno scatenata dalla legge che impone di far pagare all’utente finale i sacchetti di plastica – bio o non – per la spesa. E lo fa commentando l’invito del ministero della Salute di portare da casa i sacchetti per riporre i freschi a peso, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti.

‘«Il fatto che si possano portare da casa sacchetti nuovi per la spesa di frutta e verdura è pura teoria, perché il consumatore per essere in regola dovrà trovare esattamente quelli che si usano nei punti vendita, dello stesso peso, biodegradabili e biocompostabili» ha spiegato all’ANSA è il presidente Giovanni Cobolli Gigli -. Quello che chiediamo ai tre ministeri coinvolti è più semplificazione e più chiarezza per non creare confusione nel consumatore e nei punti vendita».

Il Ministero dell’Ambiente ha inviato agli operatori della Gdo una circolare esplicativa delle norme previste in materia, ma secondo Federdistribuzione sono ancora tanti i nodi da scogliere, dai controlli al costo dello shopper ultraleggero.

I post di indignata protesta sono rimbalzati su Facebook e Instagram.

«Portando il sacchetto da casa – spiega infatti Cobolli Gigli – c’è il problema di verificare che sia integro e conforme a quelli distribuiti nei punti vendita, una cosa che ovviamente non possiamo fare noi; si andrebbe a creare un problema organizzativo incredibile e mille difficoltà per tutti».
Tra i lati non ancora chiariti della vicenda ci sarebbe anche quello del prezzo del sacchetto, dove ogni azienda può applicare il costo a patto che sia compreso nel range indicato dalla legge. A questo proposito Cobolli Gigli ricorda che il Mise, ministero dello Sviluppo Economico, ha permesso alle imprese di vendere il sacchetto sotto costo, e quindi chi compra maggiore quantità può spuntare un prezzo migliore, da qui le possibili differenze di prezzo che si possono trovare alle casse. E ancora sul prezzo il presidente precisa che ”le bilance da sempre sono tarate per pesare al netto la frutta e la verdura, con l’unica differenza che oggi il sacchetto si paga alla cassa”.

Considera “non praticabile” la possibilità di portare il sacchetto da casa anche Coop, che in un comunicato dichiara: “Siamo stati contrari a far pagare i nuovi sacchetti e ora siamo impegnati a contenerne il prezzo vendendoli sottocosto. Quello che è necessario è fare chiarezza: le ultime interpretazioni ministeriali sui sacchetti monouso rendono ancora più complicata la gestione dell’intera situazione. Coop presenterà a breve soluzioni effettivamente praticabili di riuso dei materiali di confezionamento dell’ortofrutta a minor costo per i consumatori e più sostenibili per l’ambiente.

Una soluzione è stata già escogitata dalla Coop svizzera che da qualche mese propone in vendita sacchetti di rete riutilizzabile. Come ricorda Legambiente, basterebbe una circolare ministeriale che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili. “In questo modo si garantirebbe una riduzione auspicabile dell’uso dei sacchetti di plastica, anche se compostabile, come già fatto coi sacchetti per l’asporto merci che grazie al bando entrato in vigore nel 2012 in cinque anni sono stati ridotti del 55%” ricorda l’associazione ambientalista. Guardando sempre all’Europa, Aldi, dal canto suo, ha bandito ogni tipo di sacchetto monouso dalla vendita.

E dalla protesta si è passati all’ironia.

Da sempre i cittadini pagano in modo invisibile gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno, la differenza è che dal 1 gennaio, con la nuova normativa sui bioshopper, il prezzo di vendita del sacchetto è visibile e presente sullo scontrino. «Le polemiche di questi giorni – ha detto Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – sono davvero incomprensibili: non è corretto parlare di caro spesa né di tassa occulta o di qualche forma di monopolio aziendale. Sarebbe utile che ci si preoccupasse dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento causato dalle plastiche non gestite correttamente, e che si accettassero soluzioni tecnologiche e produttive che contribuiscono a risolvere questi problemi,  senza lasciarsi andare a polemiche da campagna elettorale di cui non se ne sente il bisogno. È ora di sostenere e promuovere l’innovazione che fa bene all’ambiente, senza dimenticare di contrastare il problema dei sacchetti di plastica illegali. Circa la metà di quelli in circolazione sono infatti fuorilegge, un volume pari a circa 40 mila tonnellate di plastica, e una perdita per la filiera legale dei veri shopper bio pari a 160 milioni di euro, 30 solo per evasione fiscale».

Il problema dei sacchetti bio coinvolge sia i grandi punti vendita, sia 200 mila ambulanti e i dettaglianti che complessivamente, tra alimentari e non, sono quasi 700 mila.

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L’articolo è stato aggiornato alle ore 17:28 per inserire un estratto del comunicato di Coop.

Sacchetti bio per l’ortofrutta, da gennaio un must, e in Svizzera si usano già i riutilizzabili

Biodegradabili e compostabili, e a pagamento: è la richiesta che dovranno seguire a partire dal gennaio 2018 i sacchetti utilizzati per il trasporto di merci e prodotti, a fini di igiene o come imballaggio primario, in gastronomia, macelleria, pescheria, ortofrutta e panetteria. Inoltre, il contenuto minimo di materia prima rinnovabile dovrà essere di almeno il 40%. La nuova norma permetterà, secondo un comunicato di Assobioplastiche, di reprimere la pratica illegale di diciture quali “sacchetti a uso interno” messa in atto per eludere la legge sugli shopper.

Intanto in Svizzera la Coop elvetica, a partire dal 6 novembre, ha preso la strada, senz’altro interessante come opportunità, dei sacchetti per frutta e verdura riutilizzabili. Le cosiddette Multi-Bag sono realizzate in cellulosa certificata FSC e “rappresentano l’alternativa ecologica per tutti i consumatori che, quando acquistano frutta e verdura, vogliono rinunciare al sacchetto di plastica monouso”.
L’insegna rileva anche come, da febbraio 2017, abbia anche ridotto il consumo di sacchetti di plastica alla cassa di oltre l’85%.
 

«Per noi era fondamentale che i sacchetti fossero realizzati in materiali sostenibili. Inoltre ci interessava che le etichette dei prezzi si potessero rimuovere con facilità e che il sacchetto fosse lavabile in lavatrice – spiega Guido Fuchs, specialista in materia di sostenibilità da Coop -. La Multi-Bag disponibile nei grandi supermercati Coop soddisfa tutti questi requisiti. Il sacchetto è realizzato a partire da legno di faggio certificato FSC e proviene quindi da boschi gestiti in maniera sostenibile. Durante la produzione del sacchetto, inoltre, vengono impiegate quantità di energia e d’acqua notevolmente inferiori rispetto a quanto accade per i sacchetti in cotone. Per questi motivi la Multi-Bag è certificata con l’etichetta Oecoplan ed è consigliata dal WWF. La Multi-Bag è disponibile nel reparto frutta e verdura in confezione tripla a 4,95 franchi [4,3 euro]». 

Istruzioni per l’uso
Per evitare che il consumatore debba pagare il peso della Multi Bag (pari a 27 grammi) la frutta e la verdura devono essere pesate senza il sacchetto e imbustate solo in seguito. Naturalmente è possibile anche riporre diverse varietà di frutta e verdura nella stessa Multi-Bag e incollare tutte le etichette dei prezzi sul sacchetto.

Già da tempo i clienti delle Coop svizzerre possono portare il proprio sacchetto o contenitore anche per riporre i prodotti a peso. L’unico presupposto è che siano trasparenti, in modo da permettere al personale di cassa di vederne il contenuto. Il cliente potrà anche in futuro continuare a utilizzare i propri sacchetti o contenitori.

Sono già numerose le insegne che hanno eliminato i sacchetti di plastica dalla vendita: in Germania REWE, che ha anche smesso di vendere banane con un qualsiasi imballaggio di plastica e ha testato sia imballaggi per prodotti freschi fatti con il 40% di erba secca e per il 60% di legno e ha testato anche le etichette con codice a barre impresse con laser direttamente sulla frutta, e Aldi, in Australia quasi tute le insegne a partire da quest’anno. 

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Stop ai sacchetti monouso da Aldi (compresi carta e compostabili)

Se economia circolare dev’essere, che economia circolare sia: dice uno stop ai sacchetti monouso senza se e senza ma, con teutonica intransigenza, la tedesca Aldi (divisa in Sud e Nord, ma l’iniziativa vale per entrambe). L’insegna diventa così il primo rivenditore alimentare di rilievo in Germania ad offrire ai propri clienti solo borse riutilizzabili alla cassa.

«È una scelta consapevole e un passo ulteriore per rinunciare non solo ai sacchetti di plastica monouso, dannosi per l’ambiente, ma anche ai sacchetti di carta. Un’alternativa anch’essa non sostenibile, a causa del loro elevato consumo di energia e di acqua nella produzione e della durata ridotta» ha commentato Philipp Skorning, Direttore Assicurazione Qualità e Responsabilità d’Impresa di ALDI.

In alternativa Aldi proporrà borsoni esclusivamente riutilizzabile consegnati coni trasporto durevole e realizzati in Germania per oltre l’80 per cento con materiale riciclato. Il ricavato dalla vendita sarà utilizzato interamente per progetti ambientali. La nuova borsa riutilizzabile sarà inizialmente offerta nella regione di Monaco di Baviera e in Aldi Nord nella zona di Berlino, e da ottobre 2017 sarà introdotta progressivamente in tutti i negozi di ALDI. Contestualmente, tutti i sacchetti monouso saranno eliminati. Il passaggio completo sarà completato tenendo conto dei contratti di fornitura esistenti che terminano nel 2018.

 

Monouso no grazie, è così già in California

Una decisone forte che non mancherà di far discutere quella di Aldi, ma che segue ai numerosi gridi di allarme sul crescente inquinamento da plastica che colpisce in particolare il mare, tanto che la Gdo aveva già preso delle iniziative a proposito. Ma raramente così definitive. La britannica Tesco ad esempio a maggio ha fatto una prova in tre punti vendita per dieci settimane con l’idea di ritirare progressivamente i sacchetti monouso da tutti gli store. Nel Regno Unito a ottobre 2015 è stata introdotta una tassa che obbliga a far pagare 5 penny ogni sacchetto, e dopo meno di un anno il consumo di borse monouso era già calato dell’85%. Recentemente due grandi insegne australiane, Woolworths e Coles, hanno annunciato che entro 12 mesi non daranno più alla clientela i sacchetti monouso. La California è il primo stato che, dallo scorso novembre, ha bandito l’uso di sacchetti monouso dai grandi supermercati (con superficie maggiore a 20mila piedi – 1800 metri quadri – o a 2 milioni di fatturato annuo), dalle farmacie e dai chioschi e food truck.

Secondo il sito di news australiano ABC i sacchetti monouso per le insegne della Gdo sono un costo, tra acquisto, immagazzinamento e distribuzione nei negozi oneroso ed evitabile, che nel Paese potrebbe, ove venissero eliminate, portare a un risparmio di 170 milioni di dollari all’anno.

Obiettivo meno plastica, una delle sfide future. Le iniziative della Gdo

Un’isola grande come la Penisola iberica, al meglio, o come gli Stati Uniti secondo le previsioni più pessimistiche galleggia nell’Oceano. E la Great Pacific Garbage Patch o grande chiazza di immondizia del Pacifico, ed è solo una di cinque grandi isole formate da rifiuti di plastica trascinati dalle correnti e riunitisi in mezzo al mare. Un’altra, più piccola ma più densa, è stata rilevata quest’anno dal Cnr nel Tirreno, tra Toscana e Corsica. Stiamo soffocando in un mare di plastica. Oltre a danneggiare la fauna marina che ingerisce la plastica scambiandola per cibo, il rischio concreto e che questa plastica sotto forma di microparticelle arrivi con il pesce sulle nostre tavole, con conseguenze per la salute ancora tutte da determinare.

Il tema è scottante e di difficile soluzione, tanto che alcuni retailer stanno prendendo posizione. Obiettivo: ridurre l’utilizzo di plastica, quando è possibile.
Partendo da quei sacchetti con i quali ci portiamo a casa la spesa. Biodegradabili o meno, impiegano comunque anni a dissolversi nell’ambiente. Lo ha fatto Rewe in Germania, che ha bandito del tutto i sacchetti di plastica, sostituendoli con buste di carta, cotone, juta o scatole di cartone.

Tesco e Sainsburys nel Regno Unito invece entro il 2017 elimineranno dai loro prodotti a marchio i bastoncini per pulire le orecchie con asticella di plastica, sostituendoli con aste di cartone.

Abbiamo già parlato della questione delle microbiglie in cosmesi, dannosissime perché si disperdono nell’ambiente dove sono praticamente irrecuperabili, proprio per le loro dimensioni infinitesimali. Dopo le australiane Woolworths e Coles, ora anche Tesco ha annunciato che le eliminerà dai suoi prodotti a marchio (scrub e dentifrici soprattutto), mentre il Governo britannico si è impegnato a bandirle dai prodotti cosmetici entro la fine del 2017. Così faranno le multinazionali Johnson & Johnson e Proctor and Gamble.

 

Imballaggi: riduzione e riutilizzo

In Italia si sta lavorando soprattutto sul fronte della riduzione di imballaggi. Come ha fatto U2 Supermercati ridisegnando gli imballaggi delle bottiglie d’acqua da sei. I più “estremi” sono i negozi che li eliminano completamente perché tutti i prodotti, dai detersivi alle farine, sono venduti a peso. Sugli imballaggi si può lavorare fin dal primo livello, quello del design, perché dovrebbero essere concepiti in modo da poter essere meglio e prima che riciclati, riutilizzati più volte.

Un ottimo incentivo è stato provato essere il deposito su cauzione dell’imballaggio, specie nell’industria del beverage, anche per le bottiglie di Pet. Come spiega Silvia Ricci responsabile campagne dell’Associazione Comuni Virtuosi nel sito dell’associazione, «L’introduzione del deposito su cauzione degli imballaggi monouso garantisce ritorni economici ed ambientali importanti, diretti e indiretti. Rende possibile il ritorno quasi totale di materiale di qualità rispetto dell’immesso al commercio, sottrae all’ambiente e ai cestini stradali un 40% dei rifiuti totali costituiti da imballaggi di bevande, riduce le spese di gestione rifiuti dei Comuni, ma non solo. Come suggeriscono studi europei, se in abbinamento al cauzionamento si applicassero dei contributi ambientali per la gestione del fine vita degli imballaggi a perdere e si stabilissero degli obiettivi di riutilizzo per l’industria del beverage, si potrebbe arrestare il declino del sistema refill e ampliare la quota di imballaggi che vengono riutilizzati più volte. Se consideriamo che i modelli di business circolari sono essenzialmente locali, si aprono nuove possibilità di adozione del sistema refill dei contenitori per aziende che hanno una distribuzione diretta al consumatore finale (famiglia o esercizio commerciale che sia)». Un obiettivo più che possibile, visto che ad esempio in Olanda già più del 96% delle bottiglie grandi in PET viene raccolto per essere riutilizzato.
Negli USA infine la maggiore insegna della Gdo mondiale, Walmart, ha stilato, in collaborazione con l’associazione dei riciclatori americani, APR, ha stilato The Sustainable Packaging Playbook, un documento di 20 pagine indirizzato ai suoi fornitori contenente le linee guida per l’ecodesign del packaging. È già stato accolto da 3000 di essi, che assommano il 70% del volume di acquisti totale.

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