Obiettivo meno plastica, una delle sfide future. Le iniziative della Gdo

Un’isola grande come la Penisola iberica, al meglio, o come gli Stati Uniti secondo le previsioni più pessimistiche galleggia nell’Oceano. E la Great Pacific Garbage Patch o grande chiazza di immondizia del Pacifico, ed è solo una di cinque grandi isole formate da rifiuti di plastica trascinati dalle correnti e riunitisi in mezzo al mare. Un’altra, più piccola ma più densa, è stata rilevata quest’anno dal Cnr nel Tirreno, tra Toscana e Corsica. Stiamo soffocando in un mare di plastica. Oltre a danneggiare la fauna marina che ingerisce la plastica scambiandola per cibo, il rischio concreto e che questa plastica sotto forma di microparticelle arrivi con il pesce sulle nostre tavole, con conseguenze per la salute ancora tutte da determinare.

Il tema è scottante e di difficile soluzione, tanto che alcuni retailer stanno prendendo posizione. Obiettivo: ridurre l’utilizzo di plastica, quando è possibile.
Partendo da quei sacchetti con i quali ci portiamo a casa la spesa. Biodegradabili o meno, impiegano comunque anni a dissolversi nell’ambiente. Lo ha fatto Rewe in Germania, che ha bandito del tutto i sacchetti di plastica, sostituendoli con buste di carta, cotone, juta o scatole di cartone.

Tesco e Sainsburys nel Regno Unito invece entro il 2017 elimineranno dai loro prodotti a marchio i bastoncini per pulire le orecchie con asticella di plastica, sostituendoli con aste di cartone.

Abbiamo già parlato della questione delle microbiglie in cosmesi, dannosissime perché si disperdono nell’ambiente dove sono praticamente irrecuperabili, proprio per le loro dimensioni infinitesimali. Dopo le australiane Woolworths e Coles, ora anche Tesco ha annunciato che le eliminerà dai suoi prodotti a marchio (scrub e dentifrici soprattutto), mentre il Governo britannico si è impegnato a bandirle dai prodotti cosmetici entro la fine del 2017. Così faranno le multinazionali Johnson & Johnson e Proctor and Gamble.

 

Imballaggi: riduzione e riutilizzo

In Italia si sta lavorando soprattutto sul fronte della riduzione di imballaggi. Come ha fatto U2 Supermercati ridisegnando gli imballaggi delle bottiglie d’acqua da sei. I più “estremi” sono i negozi che li eliminano completamente perché tutti i prodotti, dai detersivi alle farine, sono venduti a peso. Sugli imballaggi si può lavorare fin dal primo livello, quello del design, perché dovrebbero essere concepiti in modo da poter essere meglio e prima che riciclati, riutilizzati più volte.

Un ottimo incentivo è stato provato essere il deposito su cauzione dell’imballaggio, specie nell’industria del beverage, anche per le bottiglie di Pet. Come spiega Silvia Ricci responsabile campagne dell’Associazione Comuni Virtuosi nel sito dell’associazione, «L’introduzione del deposito su cauzione degli imballaggi monouso garantisce ritorni economici ed ambientali importanti, diretti e indiretti. Rende possibile il ritorno quasi totale di materiale di qualità rispetto dell’immesso al commercio, sottrae all’ambiente e ai cestini stradali un 40% dei rifiuti totali costituiti da imballaggi di bevande, riduce le spese di gestione rifiuti dei Comuni, ma non solo. Come suggeriscono studi europei, se in abbinamento al cauzionamento si applicassero dei contributi ambientali per la gestione del fine vita degli imballaggi a perdere e si stabilissero degli obiettivi di riutilizzo per l’industria del beverage, si potrebbe arrestare il declino del sistema refill e ampliare la quota di imballaggi che vengono riutilizzati più volte. Se consideriamo che i modelli di business circolari sono essenzialmente locali, si aprono nuove possibilità di adozione del sistema refill dei contenitori per aziende che hanno una distribuzione diretta al consumatore finale (famiglia o esercizio commerciale che sia)». Un obiettivo più che possibile, visto che ad esempio in Olanda già più del 96% delle bottiglie grandi in PET viene raccolto per essere riutilizzato.
Negli USA infine la maggiore insegna della Gdo mondiale, Walmart, ha stilato, in collaborazione con l’associazione dei riciclatori americani, APR, ha stilato The Sustainable Packaging Playbook, un documento di 20 pagine indirizzato ai suoi fornitori contenente le linee guida per l’ecodesign del packaging. È già stato accolto da 3000 di essi, che assommano il 70% del volume di acquisti totale.