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Prodotti healthy: boom per avocado, caramello e mango, giù açai, goji e kamut

Sono quasi 14 mila i prodotti alimentari venduti in supermercati e ipermercati italiani che evidenziano sull’etichetta la presenza di un ingrediente benefico. Tuttavia questo non basta a spingerne i volumi di vendita, che nel 2023 sono diminuiti di -5,6% a fronte di un aumento di +9,4% a valore, superando i 4,4 miliardi di euro. A rilevarlo è la nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, lo studio semestrale che monitora i fenomeni di consumo nella Gdo incrociando le informazioni sulle etichette di oltre 139 mila prodotti digitalizzati dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi e i dati di NielsenIQ di venduto e consumo.

Complessivamente l’Osservatorio Immagino ha monitorato la presenza a scaffale e il trend di vendita di 40 ingredienti healthy, ripartiti tra superfruit, spezie, semi, cereali speciali/farine, superfood, dolcificanti e traditional. Tra questi, il cacao resta il n.1 per giro d’affari (3,2% di quota sul totale delle vendite in valore), seguito da nocciola, limone e mandorla. I top performer dell’anno a valore, invece, sono l’avocado (+33,5%), il caramello (+25,9%), il mango (+24,0%) e l’olio di riso (+21,0%).

L’Osservatorio Immagino ha poi individuato 12 ingredienti che hanno aumentato le vendite sia a valore che a volume:

Avocado: +24,1% a volume e +33,5% a valore
Burro di arachidi: +10,7% a volume e +15,7% a valore
Olio di riso: +5,3% a volume e +21,0% a valore
Anacardi: +5,2% a volume e +18,8% a valore
Avena: +4,1% a volume e +18,6% a valore
Spirulina: +4,1% a volume e +7,8% a valore
Tahina: +2,7% a volume e +7,3% a valore
Farina di riso: +1,6% a volume e +18,5% a valore
Ginseng: +1,4% a volume e +15,5% a valore
Pappa reale: +0,8% a volume e +6,8% a valore
Matcha: +0,7% a volume e +11,4% a valore
Acqua di cocco: +0,6% a volume e +4,4% a valore

A perdere, invece, terreno a valore sono stati açai (-36,1% a valore e -41,0% a volume), goji (-23,0% e -25,9%), germe di grano (-14,3% e -19,2%), kamut (-11,5% e -21,0%), curcuma (-8,1% e -17,0%), edamame (-7,9% e -13,8%), canapa (-7,9% e -11,9%), zenzero (-1,4% e -10,0%), cannella (-1,4% e -8,1%).

Supply chain: tra le sfide future c’è la modernizzazione tecnologica

Durante la scorsa primavera Manhattan Associates Inc., in collaborazione con Vanson Bourne, ha svolto la ricerca “State of Warehouse Operations” intervistando 2.000 professionisti della supply chain, dal senior management al personale di settori come quello manifatturiero e della produzione, logistico, farmaceutico, fino al retail, all’automotive e a quello dei beni di consumo – in Australia, Belgio, Brasile, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Messico, Spagna, Svezia e Regno Unito. Obiettivo: mettere sotto i riflettori i problemi di mantenimento del personale, di gestione di canali diversi e della tecnologia obsoleta.

Per quanto riguarda le sfide principali, quasi tutti gli intervistati (97%) ritengono che l’infrastruttura IT delle operazioni di magazzino richieda almeno una modernizzazione. L’84% ha riferito di avere difficoltà a trattenere il personale, mentre il 73% ha dichiarato che il volume delle merci che transitano nei magazzini è aumentato negli ultimi 12 mesi, aggravando le difficoltà che già stavano affrontando. Tuttavia, in ottica futura le organizzazioni sono rimaste fiduciose, dato che si aspettano che l’IA generativa e la robotica (rispettivamente con il 75% e il 72%) giochino un ruolo positivo nel migliorare la soddisfazione a lavoro, limitando le operazioni manuali e aumentando l’automazione, snellendo i workflow e riducendo la documentazione cartacea. Mentre le organizzazioni cercano modi per semplificare le operazioni, soddisfare l’aumento della domanda e migliorare l’esperienza del personale, sarà necessaria una continua innovazione della supply chain per affrontare i rischi emergenti e sfruttare al contempo le nuove opportunità.

La ricerca ha evidenziato tre elementi chiave, volti ad aiutare i professionisti della supply chain a pianificare un percorso verso i successi futuri:

1. Le operazioni nel warehouse stanno diventando sempre più impegnative per le organizzazioni e garantire che il personale si senta considerato, coinvolto e valorizzato è importante. Un numero consistente di intervistati ha citato le sfide legate al personale, tra cui l’assunzione e la formazione di lavoratori a breve termine (41%) e la garanzia di una produttività (40%) cresciuta in modo significativo negli ultimi 12 mesi;

2. Il 28% delle organizzazioni intervistate ha evidenziato che l’hardware e il software IT obsoleti rappresentano la sfida più urgente che stanno affrontando. Ciò si traduce in un notevole carico fiscale e tecnologico per quasi un’azienda su tre di quelle intervistate;

3. Il 26% degli intervistati ha dichiarato di avere difficoltà a gestire gli ordini provenienti da canali diversi, mentre il 23% ha affermato di avere difficoltà a soddisfare le crescenti aspettative dei clienti sui tempi di consegna.

“Affrontare le sfide evidenziate nel report è fondamentale per la competitività e il successo a lungo termine delle aziende. I risultati sottolineano l’importanza di guardare avanti e di continuare a incorporare nuove tecnologie come i microservizi e la GenAI, rendendo le supply chain a prova di futuro e consentendo loro di diventare motori per i ricavi e un servizio per il cliente a tutti gli effetti. In definitiva, una strategia per le supply chain più unificata crea efficienza e, a sua volta, sostenibilità, sia in termini economici che ambientali. E questo non può che essere un bene per i bilanci aziendali e per l’intero pianeta” ha commentato Henri Seroux, Senior Vice President EMEA di Manhattan Associates.

Italian sounding, il mercato del falso made in Italy vale più dell’export

La Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’italian sounding con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). A rivelarlo sono i dati della ricerca di The European House – Ambrosetti, realizzata in occasione dell’ottavo forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio, che inoltre evidenzia come l’imitazione all’estero di prodotti del territorio abbia precluso quasi 9 miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la Campania, e 3,5 miliardi di euro per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l’imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti. L’impatto dell’italian sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023.

“Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di italian sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania)” spiega Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti. “La tutela del Made in Italy è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia: nel 2023 il fenomeno dell’italian sounding nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”.

Come analizzato nel dettaglio da The European House-Ambrosetti, nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti tipici italiani “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export food&beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 126 miliardi di euro sommati ai 62 miliardi di export agroalimentare di vero Made in Italy. “L’italian sounding è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House – Ambrosetti.

C’è anche chi cerca il Made In Italy autentico
In Cina, Giappone e Canada mediamente 7 consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da The European House – Ambrosetti, anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa.

Ragù, parmigiano e aceto balsamico sul podio delle imitazioni
Ragù (61,4% italian sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero. Secondo i dati The European House-Ambrosetti, seguono pesto (59,8% italian sounding vs 40,2% vero prodotto italiano), pizza surgelata (59,3% vs), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% italian sounding vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).

“L’italian sounding si può contrastare attraverso iniziative economiche e industriali in sinergia con un cambiamento culturale soprattutto nella consapevolezza del consumatore estero. Certamente è prioritario realizzare investimenti produttivi, ma anche comunicare con efficacia il “Made in Italy” con iniziative di educazione del consumatore. Da un lato la riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti così come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione di ambasciatori del Made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto” conclude Valerio de Molli.

Giocattoli online: Subito svela le categorie più ricercate, dai Lego ai videogame

In occasione della Giornata Mondiale del Gioco tenutasi lo scorso 28 maggio, Subito ha offerto una panoramica delle ricerche e dei prodotti venduti e acquistati sulla propria piattaforma di e-commerce, sottolineando come il gioco influenzi positivamente la nostra società, promuovendo inclusione, innovazione e crescita personale.

Il gioco assume diverse sfaccettature nelle varie fasi della vita di una persona, evolvendosi con l’età e le esperienze e la second hand può accompagnare questa evoluzione, come dimostrato dalle oltre 37 mila ricerche per la keyword gioco effettuate su Subito tra il 2023 e i primi quattro mesi del 2024. Il gioco può essere essenziale per lo sviluppo cognitivo e sociale durante l’infanzia, nell’adolescenza evolve nei videogames e nelle attività all’aria aperta; mentre negli adulti, con i giochi da tavolo o con i Lego arriva a rappresentare una fuga dalla routine quotidiana. All’interno della piattaforma c’è un mondo che copre tutte le fasce d’età e tutti i desideri. Si alternano ricerche relative ai giochi da tavolo, che sono state oltre 15.000 solo nel periodo tra gennaio e aprile 2024, per riunirsi con gli amici di una vita; a quelle delle console e i videogiochi che sembrano essere punto d’incontro tra tutte le generazioni. I giochi da giardino invece, superano le 11 mila ricerche sulla piattaforma nei primi mesi del 2024, così come altalene, scivoli, biciclette con o senza le rotelle e perfino le macchinine elettriche per sfidarsi con i compagni dell’asilo. Su Subito si può trovare tutto ciò che serve per un momento di svago, grazie a un’abitudine sostenibile ed economica allo stesso tempo. E per i più esigenti… è possibile trovare tutti i Lego introvabili o i puzzle più particolari.

Il numero di utenti che utilizzano la second hand come scelta di vita è sempre crescente ed è proprio nella categoria Tutto per bambini che sono più di 270.000 gli annunci attualmente online, a rappresentare la forte domanda di giochi per i primi anni di vita. I famosi mattoncini colorati Lego si trovano al primo posto delle 10 parole più ricercate tra gennaio e aprile 2024 sia nella categoria Tutto per bambini che in quella Collezionismo a conferma che non esiste un’età per divertirsi. Dai giochi da tavolo ai videogiochi, passando per le action figures e i giochi di carte collezionabili, questo hobby affascina milioni di persone in tutto il mondo, creando una community appassionata e dinamica. Entrando maggiormente nel dettaglio delle categorie e dei prodotti più ricercati, vediamo che in Tutto per bambini nella Top 10 dei primi mesi del 2024 rientrano i giochi all’aria aperta, come ad esempio altalene e casette (rispettivamente la prima e la seconda parola più ricercata) e le miniature dei mezzi di trasporto, tra cui le bici alla quarta posizione, seguite dalle jeep elettriche (7°) per sfrecciare nel loro giardino e dai monopattini (10°). Non mancano tra le ricerche i giochi che possano stimolare la memoria ed essere allo stesso tempo educativi, come la torre montessoriana, peluche o pupazzetti con i quali arredare i letti e le camerette di figli, nipoti e amici.

I bambini crescono e diventano adolescenti e adulti, le passioni cambiano, ma la voglia di divertirsi e di avere con sé quei giochi o accessori che hanno segnato alcuni momenti della loro vita non passa. È qui che la categoria Collezionismo della piattaforma ha la meglio, un mondo vasto e variegato, dove il collezionismo dei giochi occupa un posto di rilievo. I giochi di carte collezionabili, al secondo posto della Top 10 delle parole più ricercate, sono un’area fiorente nel collezionismo, le carte rare delle prime edizioni o con errori di stampa, come quelle di “Yu-Gi-Oh!” e dei “Pokemon”, possono essere estremamente preziose. E per i più nostalgici non sembrano mancare le ricerche per i flipper, alla terza posizione della Top 10 delle keyword più cercate, seguiti dal subbuteo (4°), dal jukebox (5°) e dalle Barbie alla sesta posizione, fino alle actions figures e i personaggi di film e serie tv in miniatura che vanno a rappresentare una fetta significativa del collezionismo.

Inoltre, i veri amanti dei videogiochi non smettono mai di esserlo, la loro passione continua anche in età adulta che sia per motivo di gioco con gli amici o per conservare i cimeli d’infanzia, le consolle e i videogiochi segnano le ricerche in ogni fascia d’età e soprattutto in ogni categoria della piattaforma. La Play Station 5 occupa la prima posizione tra le 10 keyword dei primi mesi del 2024 all’interno della categoria Console e Videogiochi, seguita dalla PS4 (2°) e dal Nintendo switch (3°), alternativa per chi desidera giocare anche fuori casa. Nella classifica troviamo anche le console retrò come il Nintendo (4°) e il GameBoy (5°) tra gli oggetti più ricercati, così come i giochi che hanno segnato la storia di queste piattaforme. Titoli come “Call of Duty” e le diverse stagioni di “Fifa” sono particolarmente ambiti dai collezionisti e anche se non rientrano nella Top 10 delle keyword più cercate, occupano una parte significativa delle ricerche degli italiani sulla piattaforma.

La second hand è sempre più un’abitudine consolidata e non solo un trend di passaggio, riuscendo ad essere una costante nelle vite degli abitanti del Bel Paese e arrivando a rivoluzionare anche il settore dei giochi, offrendo ai consumatori un modo sostenibile ed economico per espandere le proprie collezioni. Acquistare giochi pre-loved non solo riduce gli sprechi, ma permette anche di trovare classici introvabili e scoprire titoli che potrebbero essere sfuggiti al radar. Un trend, in continua espansione, che dimostra come il passato possa influenzare positivamente il presente, a garanzia di quanto l’amore per i giochi sia da sempre al centro di uno scambio generazionale.

Omnichannel in crescita internazionale con lusso, elettronica e cosmetici

A livello globale, più della metà dei consumatori effettua acquisti omnichannel, ma alcuni mercati presentano tassi di utilizzo più elevati di altri, come mostrato dall’ultimo report Global Voices di ESW. Dato che i mercati internazionali con la maggiore propensione alla spesa sono anche quelli con l’indice più alto per quanto riguarda la domanda di esperienze omnichannel, il rapporto evidenzia la necessità per i brand e i retailer italiani di implementare infrastrutture commerciali unificate per soddisfare meglio le esigenze degli acquirenti transfrontalieri. La ricerca di ESW su oltre 18.000 consumatori in diciotto Paesi rivela che gli acquirenti omnichannel effettuano più acquisti e spendono il 15% in più all’anno rispetto ai consumatori che acquistano attraverso un solo canale. Inoltre, tra gli acquirenti globali che spendono online tra i 3.500 e i 4.999 dollari all’anno, due terzi (66%) sono acquirenti omnichannel.

“I consumatori internazionali passano da un canale di vendita all’altro di continuo, e i brand e i retailer di successo devono adeguarsi di conseguenza, al fine di soddisfare e superare le loro aspettative in ogni fase”, ha commentato Martim Avillez Oliveira, Chief Revenue Office di ESW. “Tuttavia, stabilire una presenza omnichannel nei mercati internazionali è più complesso del semplice lancio online: richiede una comprensione dei diversi clienti e la creazione di infrastrutture. I dati dimostrano che la mancata integrazione dell’omnichannel nell’espansione internazionale pone sin dall’inizio i brand in una posizione di svantaggio e lascia sul tavolo ricavi non goduti”.

L’omnichannel definisce sempre più non solo le preferenze di acquisto, ma riflette lo stile di vita condotto dai consumatori. La navigazione tra spazi digitali e fisici è parte integrante della nostra vita quotidiana, per cui non sorprende che gli intervistati che lavorano in modalità ibrida – a volte lavorano da casa e a volte da un ufficio – abbiano maggiori probabilità di essere acquirenti omnichannel. Implementare l’e-commerce omnichannel e quindi trovare e conquistare gli acquirenti omnichannel è cruciale per un’espansione internazionale redditizia. Dall’indagine di ESW è emerso che, nel complesso, il 52% degli acquirenti globali è orientato verso l’omnichannel. Inoltre l’indagine ha identificato due aspetti cruciali per attrarre un maggior numero di acquirenti omnichannel: la sostenibilità e la notorietà del brand. La sostenibilità, con processi responsabili dal punto di vista ambientale come la consegna a zero emissioni di anidride carbonica, attira significativamente gli acquirenti omnichannel. Parallelamente, i nomi dei brand sono considerati sinonimo di qualità e valore, giocando un ruolo fondamentale nel conquistare la fiducia e la fedeltà dei consumatori.

Non sorprende che i consumatori più giovani siano più propensi ad acquistare in modalità omnichannel, soprattutto i millennials. Il 58% dei millennials infatti utilizza più canali durante il percorso di acquisto, rispetto al 53% della Gen Z, e il 51% della Gen X e il 46% dei baby boomers optano per l’omnichannel. I millennials rappresentano la fascia demografica che guida la crescita complessiva dell’omnichannel, con un aumento del 22% rispetto all’anno precedente, seguiti dalla Gen X (con un aumento del 13% rispetto all’anno precedente). Anche gli acquisti omnichannel nelle varie categorie sono aumentati su base annua, evidenziando ulteriormente la necessità di dare priorità alle aspettative dei clienti cross-channel. Gli acquirenti internazionali sono stati più propensi a effettuare acquisti multicanale per l’elettronica di consumo (60%), seguiti da cosmetici (58%), hobby, giocattoli e giochi (58%), calzature (56%), abbigliamento (55%) e lusso (49%). Ogni categoria di prodotto ha registrato un aumento a due cifre rispetto allo scorso anno, con il lusso (+36%) che ha registrato i maggiori guadagni, seguito dall’elettronica di consumo (+30%), dai cosmetici (+26%), dalle calzature (+22%) e dall’abbigliamento (+19%).

Spesa al supermercato: per gli italiani conta più la qualità che il prezzo

Nonostante i rincari superiori al 10% in un anno percepiti da oltre 9 italiani su 10 (90,8%), per fare gli acquisiti alimentari si guarda anzitutto alla qualità (71,3%) e sempre meno al prezzo (58,6%, 7,6 punti in meno dell’anno scorso) con crescente attenzione verso provenienza e certificazioni dei prodotti, così come si compra di più nei mercati rionali e direttamente dai produttori. A dirlo è una ricerca sui cambiamenti nelle abitudini dei consumatori italiani realizzata da The European House – Ambrosetti, in preparazione dell’ottava edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” che si terrà a Bormio il prossimo 7 e 8 giugno.

“Le famiglie più numerose subiscono maggiormente la pressione dell’aumento dei prezzi: tra gli intervistati, il 30% di chi ha un nucleo familiare composto da 3 o 4 persone ritiene di impiegare per la spesa oltre il 25% in più rispetto a un anno fa” commenta Valerio De Molli – Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti. “Un contesto complesso per un Paese come l’Italia dove i consumi privati rappresentano il 60% del Pil, 7 punti percentuali oltre la media degli altri Paesi europei: un loro rilancio rappresenta oggi una priorità per l’intero tessuto economico del Paese”.

Nonostante la flessione di 5,8 punti percentuali rispetto al 2023, il supermercato rimane la prima scelta per la spesa di quasi il 60% dei consumatori, e i nati dopo il 1995 (generazione Z) preferiscono soprattutto quelli vicino a casa. La ricerca TEHA che verrà presentata in versione integrale al prossimo Forum Food&Beverage di Bormio, evidenzia come i discount (in calo di 1,2 p.p. rispetto a 2023) rappresentano il canale abituale per il 15% dei consumatori e tra loro sono sempre di più i nati tra il 1980 e il 1994 (+8,3 punti percentuali rispetto alla media). “Una generazione, la Y, che apprezza sempre più (+12,3 p.p. rispetto alla media) gli acquisti fatti direttamente dal produttore o nei mercati rionali: canali che insieme rappresentano il 17% delle preferenze degli italiani (in aumento rispetto al 2023) e utilizzati soprattutto per l’acquisto di olio e vino (produttori) e frutta e ortaggi (mercati rionali)” aggiunge Benedetta Brioschi, partner di The European House-Ambrosetti.

La generazione Z (nati dopo il ’95) è più attenta all’impatto del prodotto sull’ambiente rispetto alla media (23,9%), mentre il prezzo guida maggiormente le scelte dei nati tra l’80 e il ‘94 (generazione Y al 61,5%) rispetto ai Baby Boomers (55,8%).

Mangiare in compagnia fa bene alla salute: a confermarlo è la scienza

La convivialità è l’ingrediente segreto che rafforza i legami familiari e riduce lo stress portando benessere psico-fisico: a confermarlo sono due studi scientifici presentati in occasione dell’ultimo appuntamento del ciclo di “Let’s Talk About Food & Science” promosso dal Gruppo Barilla. Il primo è una ricerca dell’Università del Minnesota pubblicata sulla rivista Family, System and Health, che fotografa l’attuale “stato di salute” della convivialità analizzando abitudini e riti quotidiani in Italia, Germania e Stati Uniti, con oltre 1.000 partecipanti per ciascun Paese; il secondo invece è uno studio italiano pubblicato sulla rivista “Nutrition Research”, che analizza la più recente letteratura per confermare quanto mangiare insieme faccia bene alla salute, renda più felici e meno stressati.

Lo studio dell’Università del Minnesota rivela che chi mangia più spesso in compagnia dichiara di essere meno stressato – specie tedeschi e italiani – e, a fine pasto, di avere un umore migliore per il resto della giornata, soprattutto americani e tedeschi. Inoltre sono state riscontrate correlazioni positive significative tra la frequenza dei pasti condivisi e il rafforzamento dei legami sociali in tutti e tre i Paesi analizzati. Un’altra notizia positiva è che la convivialità è un fenomeno globale e non solo mediterraneo, pur con qualche differenza: il 50% degli intervistati dichiara di consumare sei o più pasti a settimana in famiglia o con gli amici, con punte del 74% in Italia, dato che conferma il nostro Paese leader della convivialità. All’altro estremo di questa classifica ci sono gli Stati Uniti: un americano su 10 ammette di non mangiare mai assieme ad amici o familiari e 3 su 10 non fanno più di 2 pasti a settimana in famiglia. E la tecnologia? Le tavole sono sempre più digitali: il 20% degli italiani condivide sui social media foto del pasto, tanto quanto gli americani e più spesso dei tedeschi, un’abitudine tollerata dai commensali purché non ci si intrattenga in videocall o telefonate.

Mangiare insieme aggiunge anni felici alla vita
Condividere un pasto vuol dire farsi del bene. Un’ulteriore riprova della correlazione positiva tra convivialità e una inferiore prevalenza di malattie cronico-degenerative, e maggiore benessere psicologico e longevità arriva dalla scientific review italiana realizzata da Elisabetta Bernardi e Francesco Visioli, secondo cui l’analisi delle risposte infiammatorie, dei livelli di pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e dei livelli di cortisolo evidenziano una relazione diretta tra felicità, salute e longevità, seppur i meccanismi che regolano una tale relazione non siano ancora del tutto chiari. Secondo Francesco Visioli, Professore Associato di Nutrizione Umana, Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Padova, “il modello alimentare mediterraneo, che si fonda proprio sul valore della convivialità, fa bene e lo provano numerosi studi, tra i più recenti, un’indagine condotta sulla popolazione spagnola che ha dimostrato una correlazione tra dieta mediterranea, condivisione dei pasti e minore insorgenza di malattie cardiovascolare. Il contesto sociale esercita dunque una profonda influenza sul comportamento alimentare: quando le persone condividono il past danno priorità alla salute e al benessere, prediligendo una sana alimentazione e aumentando il consumo di frutta e ortaggi”. Inoltre, stando allo studio, i nuclei familiari che consumano insieme i pasti tendono ad avere una dieta più sana e i loro membri hanno meno probabilità di essere in sovrappeso o obesi. In particolare i bambini che sin dalla tenera età sono cresciuti con genitori abituati al consumo di frutta e ortaggi saranno più propensi a integrare questi alimenti nella propria dieta quotidiana. Non solo: i due studiosi riportano evidenze secondo cui i bambini che consumano i pasti in famiglia hanno un rischio minore di obesità, migliori risultati scolastici e sono meno stressati e ansiosi. La partecipazione ai pasti con amici e familiari crea anche un ambiente favorevole allo scambio di esperienze, migliorando così la qualità della comunicazione.

La convivialità dunque, caratterizzata da interazioni sociali gioiose e armoniose, sarebbe alla base del benessere individuale e collettivo. “Queste evidenze ci ricordano l’importanza di trovare il tempo per i pasti in comune. Non serve rimpiangere modelli conviviali che fanno parte di un passato lontano: che si tratti di un piacevole brunch nel fine settimana o di una cena veloce in settimana, i benefici del riunirsi intorno alla tavola ci sono e sono innegabili. Favorendo i legami e promuovendo emozioni positive, i pasti condivisi, in particolare se ispirati alla dieta mediterranea, hanno il potenziale per migliorare la qualità della vita degli individui e rafforzare i legami all’interno delle comunità. Infine, i ricordi positivi di precedenti interazioni sociali con parenti o amici stretti influiscono sulla decisione di perseguire ulteriori legami con queste persone” conferma Elisabetta Bernardi, Nutrizionista dell’Università di Bari e divulgatrice scientifica.

Pasta, simbolo della convivialità
Se la dieta mediterranea è il modello alimentare della convivialità, a maggior ragione il suo piatto simbolo non può essere che la pasta. Dal pranzo della domenica, alla cena della Vigilia di Natale, alla spaghettata di mezzanotte non c’è ricorrenza o occasione condivisa – canonica o improvvisata – in cui questo piatto non sia protagonista. Secondo il Prof. Vincenzo Russo, “Mangiare pasta provoca nell’individuo uno stato emotivo-cognitivo positivo con dei risultati uguali, se non addirittura superiori, rispetto a quelli registrati, con tecniche neuroscientifiche, ascoltando la musica preferita o assistendo a una manifestazione con lo sportivo che si tifa. Uno studio realizzato dal nostro Centro di Ricerca di Neuromarketing “Behavior & Brain Lab” dell’Università IULM ha dimostrato che l’esperienza emotiva vissuta durante la degustazione della pasta preferita è pari a quella generata dalla rievocazione di ricordi felici, in particolare quelli legati alla famiglia. I partecipanti al nostro test hanno infatti legato il consumo di pasta a momenti di condivisione familiare (5,10 su una scala Lickert da 1 a 6) e amicizia (5,07)”.

Italiani fedeli ai surgelati: 9 su 10 li portano in tavola preferendoli ai freschi

Gli italiani amano i prodotti surgelati: il 99% dichiara di consumarli e il 53% lo fa abitualmente. I frozen food dimostrano di essere apprezzati su tutto il territorio nazionale, con percentuali leggermente più elevate al Nord-ovest (55%) e tra la Generazione X (57%). Positivo anche il trend di consumo dei surgelati negli ultimi cinque anni: è aumentato per 4 italiani su 10 (39,3%), in particolare uomini (43%), giovani (50% GenZ e 45% Millennials) e famiglie con figli piccoli (48%). Un consumo consapevole, avvalorato dall’elevato livello qualitativo riconosciuto oggi ai frozen food: al palato, oltre la metà degli italiani apprezza i prodotti surgelati per bontà, consistenza e percezione di freschezza. E i dati confermano anche la loro convenienza economica: se si considera il costo totale – che comprende prezzo del prodotto, tempi e costi di preparazione e valore del cibo sprecato – i surgelati consentono rispetto ai freschi un risparmio notevole (dal 12% delle patate fritte al 246% di differenza per preparazioni più complesse come la paella). Sono questi gli highlights dell’indagine condotta da AstraRicerche per IIAS (Istituto Italiano Alimenti Surgelati), che ha fotografato il rapporto tra italiani e surgelati, analizzando anche la reale percezione di questi prodotti in termini di gusto e calcolando per la prima volta il loro effettivo “valore economico”, non solo in termini di costi ma anche di tempo risparmiato e lotta allo spreco alimentare.

Surgelati: quali, quando e perché gli italiani li scelgono
Secondo i dati AstraRicerche, il 39,3% degli intervistati ha incrementato negli ultimi 5 anni l’acquisto di frozen food. Ma perché ne consumiamo sempre più? Per la loro comodità (lo dichiarano quasi 8 italiani su 10, soprattutto donne e baby boomers), cioè perché pratici da conservare (66,4%) o sempre disponibili in freezer (49,7%); ma anche per variare l’alimentazione (34%) e per la forte valenza antispreco (27,3%). Sono i prodotti ittici la tipologia di surgelati che gli italiani dichiarano di acquistare più spesso (30,2%), scelti soprattutto al sud e seguiti dai vegetali (27,4%), apprezzati dalle donne baby boomers; poi pizze e snack (15,4%) con un picco tra i giovani gen Z, e patate (13,6%). I pasti a casa, nella quotidianità familiare di pranzi e cene, restano la principale occasione di consumo di surgelati per la maggioranza degli italiani (68,7%), ma c’è chi li sceglie anche nel weekend o per il ‘pranzo della domenica’, per portare in tavola qualcosa di buono e diverso in poco tempo (14,7%).

I consumatori preferiscono “al buio” i surgelati
Sfatata anche una vecchia credenza che attribuiva ai surgelati un sapore meno gustoso rispetto a quello degli analoghi prodotti freschi: oggi, pure in termini di gusto, consistenza e percezione di freschezza, oltre la metà degli intervistati preferisce gli alimenti surgelati ai freschi. È quanto emerso dal “blind taste test”, condotto per IIAS da AstraRicerche su un campione di 180 comuni consumatori, ai quali è stato sottoposto l’assaggio “al buio” di tre prodotti: minestrone, filetti di merluzzo e fagiolini, nelle due versioni (fresco e surgelato), preparate in modo identico per renderle non distinguibili a livello visivo, e presentate in ordine casuale bilanciato, per non condizionarne il giudizio. In termini di gusto e piacevolezza al palato, il 61% degli intervistati ha preferito il minestrone surgelato rispetto al fresco; il 64% ha trovato più gustoso il merluzzo surgelato del fresco e il 66% ha ritenuto i fagiolini in versione frozen migliori dei freschi. In generale, tra il 48% e il 68% del campione ha espresso voti superiori per il surgelato rispetto all’analogo prodotto fresco assaggiato. A testimonianza del fatto che quasi due terzi degli intervistati – non sapendo cosa stessero consumando – hanno preferito il surgelato per qualità, gusto, freschezza o consistenza.

“Gli ottimi risultati emersi dal blind test a favore dei frozen food – sottolinea Giorgio Donegani, Presidente IIAS – stridono in modo eclatante anche con l’immotivata persistenza, nella legislazione italiana, dell’obbligo di apporre un asterisco accanto agli alimenti surgelati nei menù dei ristoranti. L’asterisco è di fatto un’informazione retaggio di un mondo passato che non esiste più, che poggiava sull’implicita convinzione che un alimento surgelato fosse un prodotto di qualità inferiore rispetto al fresco. Una concezione ormai palesemente superata e anacronistica che finisce solo per penalizzare questi prodotti, che invece i consumatori prediligono”.

Surgelati, campioni di convenienza… anche economica
AstraRicerche ha analizzato per IIAS anche l’effettivo “value for money” dei surgelati rispetto agli analoghi freschi, prendendo in esame 5 prodotti specifici rappresentativi delle principali categorie del comparto dei surgelati: i fagiolini, le patate fritte, i filetti di merluzzo, la pizza margherita e la paella. I risultati emersi confermano, in linea generale, la convenienza dei prodotti surgelati, considerata la somma del tempo e del cibo risparmiato nonché i costi per l’acquisto e la preparazione dei prodotti. I dati AstraRicerche mostrano che i filetti di merluzzo freschi “costano” il 49% in più dei surgelati, percentuale che tocca il 60% se si considera anche il valore dello spreco alimentare. Analogamente, i fagiolini – che nella versione fresca, necessitano di essere puliti e tagliati alle estremità – superano del 53% il “valore economico” del surgelato (se non tenessimo conto dello spreco, sarebbe comunque +44%). Per quanto riguarda le patate fritte, se è vero che il prodotto fresco ha un prezzo più basso di acquisto rispetto al surgelato, è altrettanto sicuro che richiede impegno e tempo per la pelatura e il taglio e un maggiore dispendio di energia per la cottura; ne deriva, a conti fatti, che il fresco costa l’8% in più del surgelato, che arriva al 12% se si considera lo spreco alimentare, piuttosto comune nel caso delle patate. Per la pizza margherita, si ottiene un sostanziale pareggio tra surgelata e “fatta in casa”, considerando tempi e costi complessivi di entrambe; il vantaggio è invece netto rispetto alla versione delivery. Infine, per preparazioni più complesse come la paella di pesce e verdure, la convenienza del surgelato vs. fresco è inequivocabile: tenuto conto del costo degli ingredienti e dell’impegno e del tempo richiesto per la preparazione, il fresco costa il 246% in più del surgelato (se non considerassimo il valore dello spreco, sarebbe comunque +229%).

Consumatori informati, ma non su tutto
Cresce, dunque, la consapevolezza dei consumatori sull’elevato valore qualitativo dei frozen food e sulla loro “convenience” anche economica, ma permangono ancora alcune credenze erronee sul comparto, su cui è necessario fare corretta informazione. Oggi la maggioranza degli italiani (68,4%) ha imparato che ‘congelato’ e ‘surgelato’ indicano due prodotti differenti, ma circa 2 italiani su 10 li considerano ancora la stessa cosa, in particolare i più giovani (26% GenZ e 28% Millennials). Circa 1 italiano su 2 non sa che non è possibile acquistare prodotti surgelati sfusi, perché devono sempre essere pre-confezionati e il 35,5% non sa che è a casa è possibile solo congelare, non surgelare. Quanto ai metodi migliori di scongelamento, circa 1 italiano su 3 – a torto – considera corretto lasciare scongelare il prodotto a temperatura ambiente e solo il 15% degli italiani sa che un prodotto scongelato può essere ricongelato solo a patto che prima venga cotto. Sul pesce surgelato ci sono più certezze: il 36% del campione sa che i prodotti ittici surgelati mantengono inalterate le caratteristiche nutrizionali dei freschi e sono addirittura più sicuri, perché accuratamente controllati; a questi si aggiunge un ulteriore 26,3% che sostiene non ci siano differenze tra pesce fresco e frozen in termini nutrizionali. Parlando, invece, di verdure surgelate, il 56,3% sa che hanno caratteristiche analoghe a quelle fresche; ma solo il 40,1% afferma che non contengono conservanti.

“In realtà in nessun alimento surgelato, per legge, è possibile aggiungere conservanti allo scopo di prolungarne la vita” precisa ancora Giorgio Donegani. È proprio il freddo a garantire la lunga conservazione di questi prodotti. Parlando di additivi aggiunti, altra fake news da sfatare riguarda la credenza per la quale le verdure surgelate avrebbero un colore brillante grazie all’uso di coloranti. Questo avviene solo perché, prima della surgelazione, gli ortaggi vengono sottoposti ad un adeguato trattamento termico (blanching) necessario per disattivare gli enzimi che ne potrebbero causare il deterioramento ed è così che si fissa il colore naturale, che risulta ancora più brillante. Su questo tema registriamo un dato davvero positivo: finalmente oggi circa la metà del campione che abbiamo intervistato dimostra di esserne a conoscenza”.

Più occupati nel retail: addetto vendite e specialista food le figure maggiormente ricercate

Sono oltre 440 mila gli occupati nel settore distributivo del retail con un trend in crescita del +7% tra il 2018 e il 2022 e con un aumento degli addetti over 50, che rappresentano quasi il 24% del totale. Il numero degli occupati under 30 è pari al 19,5%, maggiore della media italiana (13%); la tipologia contrattuale più diffusa nel settore è il tempo indeterminato (86%) mentre l’incidenza del part-time è del 44%; l’occupazione femminile raggiunge il 63%, superiore alla media nazionale del 42%. Cresce il turnover, passato dall’8,2% del 2021 al 13,3% del 2022. Sono alcuni dei dati emersi dalle elaborazioni di PwC e dalle ricerche condotte in collaborazione con ADAPT su un campione rappresentativo delle aziende associate a Federdistribuzione, presentate in occasione del convegno “Il lavoro nel settore retail 2030. La sfida del lavoro sostenibile per i lavoratori e imprese”, organizzato da Federdistribuzione e ospitato e patrocinato dal CNEL, con la partecipazione di politici, organizzazioni sindacali ed esperti.

Dai dati raccolti dalle aziende risulta che nel 2024 i profili più ricercati nel settore retail riguardano l’area dei servizi operativi (90,3%), in particolare l’addetto alle vendite (61,6%) e lo specialista settore food (14,3). Lato recruitment, si rileva come i canali gestiti direttamente dalle aziende, in particolare i profili social e le agenzie per il lavoro, siano quelli più efficaci. Emerge inoltre l’impegno delle imprese per nuovi progetti nell’area attraction, recruitment e retention e per iniziative mirate alla conciliazione vita-lavoro e a una organizzazione del lavoro più vicina alle esigenze dei lavoratori.

Un lavoro attrattivo
Il tema della percezione del mondo del lavoro nel settore retail è stato oggetto di una rilevazione presentata dal Prof. Nando Pagnoncelli, Presidente di Ipsos. In un contesto caratterizzato da una forte influenza dell’ingresso delle nuove generazioni nel mercato del lavoro, lo studio mette in luce come 4 italiani su 10 reputino la distribuzione moderna attrattiva dal punto di vista lavorativo. I più interessati al settore dal punto di vista occupazionale sono coloro che danno molta importanza all’ambiente di lavoro, alla costruzione di una relazione basata sulla fiducia e sulla collaborazione. Il report evidenza alcuni punti di attenzione nella percezione del lavoro nel settore distributivo, legati principalmente al tema della conciliazione vita-lavoro e ai ritmi di lavoro richiesti. Allo stesso tempo emerge come le persone che hanno già lavorato nel retail esprimano verso il settore un giudizio reputazionale sensibilmente più elevato, evidenziando una professionalità ricca che include la propensione al lavoro di squadra, il problem solving, la capacità di ascoltare e di comunicare, oltre alla gestione di situazioni di stress. La ricerca sottolinea anche le opportunità di sviluppo per il settore sul piano reputazionale attraverso la valorizzazione dei punti di forza come la crescente presenza territoriale, l’evoluzione tecnologica, il dinamismo, la capacità di adeguarsi alle esigenze della clientela, così come il valore del ruolo svolto dalle aziende della Distribuzione Moderna a vantaggio dell’economia del Paese, considerando in particolare le ricadute occupazionali e il portato in termini di innovazione tecnologica.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale
Tra le nuove sfide per il mercato del lavoro si affaccia anche quella posta dall’intelligenza artificiale: le sue implicazioni nel settore retail, assieme all’analisi del regolamento UE sull’IA, sono stati i temi al centro dell’intervento di Michele Faioli, Professore associato del Dipartimento di Diritto privato e pubblico dell’Economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha messo in luce le potenzialità di utilizzare l’intelligenza artificiale per migliorare il processo di matching, ossia di allineamento, fra le competenze richieste a livello aziendale e quelle offerte dai potenziali candidati, così come per supportare le politiche di sviluppo del personale mediante la costruzione di percorsi formativi mirati alle necessità aziendali e dei lavoratori (es. reskilling/upskilling), in un’ottica di maggiore sostenibilità complessiva del mercato del lavoro.

“Oggi il settore retail si confronta con sfide cruciali, legate alle transizioni digitali e demografiche, ai processi di profondo cambiamento e di innovazione a cui assistiamo. Dalla risposta che saprà dare a queste sfide ne va del benessere del Paese, perché la rete della distribuzione moderna è elemento fondamentale per la tenuta e la coesione del tessuto sociale. Il recente rinnovo del contratto collettivo nazionale siglato da Federdistribuzione e sindacati va quindi accolto con particolare soddisfazione. È stata una bella notizia, che conferma il buono stato di salute del sistema di relazioni industriali”, ha dichiarato Renato Brunetta, Presidente del CNEL.

“L’evoluzione del mondo del lavoro emerge con forza dall’esperienza quotidiana delle imprese e le ricerche ne fotografano gli aspetti più rilevanti che riguardano le nuove generazioni, ma che investono anche la dimensione intergenerazionale dei lavoratori nelle organizzazioni. Interpretare questi cambiamenti, interrogarsi su quali possano essere le possibili soluzioni, sostenibili sia per le persone sia per il sistema economico e imprenditoriale, sono priorità che richiedono il confronto attivo e la collaborazione tra le parti sociali, le aziende con le proprie associazioni datoriali di categoria e le istituzioni pubbliche. Solo attraverso il dialogo costante, supportato da un osservatorio del mondo del lavoro basato sulle evidenze dei dati, può alimentare nuove progettualità da parte delle imprese, favorite anche dall’introduzione di politiche e strumenti normativi specifici, per la creazione di luoghi di lavoro in sintonia con le dinamiche di progressivo cambiamento tecnologico, demografico e dei bisogni delle persone”, ha aggiunto Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione

Il convegno ha ospitato anche due tavole rotonde moderate da Mariangela Pira, giornalista di SkyTg24. Nella prima Fabrizio Russo, Segretario Generale di Filcams – CGIL, Vincenzo Dell’Orefice, Segretario Generale Aggiunto di Fisascat – CISL e Paolo Andreani, Segretario Generale di Uiltucs – UIL, hanno dialogato sulla conciliazione vita-lavoro, sull’utilizzo di nuovi strumenti di welfare in linea con i bisogni emergenti dei lavoratori, oltre che su argomenti quali formazione, mismatch delle competenze e percorsi di carriera. Le politiche di welfare pubblico, gli interventi normativi per favorire politiche fiscali e gli incentivi a vantaggio dei lavoratori e dell’occupazione sono stati invece al centro del dibattito della seconda tavola rotonda, a cui hanno preso parte Nunzia Catalfo, già Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’On. Walter Rizzetto, Presidente della XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) della Camera dei Deputati, Maurizio Sacconi, Presidente dell’Associazione Amici di Marco Biagi, nonché ex Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, e la Sen. Cristina Tajani, membro della VI Commissione (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica.

E-commerce: crescono arredamento, ricambi auto e food, recupera l’informatica

Nel 2024 gli acquisti online B2C (Business to Consumer) risultano in crescita per un valore di circa 38,6 miliardi di euro (+6% vs 2023): il settore arredamento e home living è il più performante (+12%), seguito da quello di auto e ricambi (+10%) che tocca quota di 3,1 miliardi di euro, e quello food&grocery (+8%) che torna a salire dopo il calo registrato nel 2023. A presentare questi dati è l’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano, in occasione del convegno “L’eCommerce B2C in Italia: i principali comparti di prodotto”, che analizza il mercato eCommerce B2C di prodotto e approfondisce le linee di evoluzione dei comparti merceologici abbigliamento, arredamento e home living, auto e ricambi, beauty&pharma, food&grocery e informatica ed elettronica di consumo.

Tra i settori rappresentativi del Made in Italy, l’arredamento e home living (arredo da interno e da esterno, oggettistica e decorazioni, accessori per la cucina, tessile, illuminazione) registra una crescita (+12%) e tocca quota 4,4 miliardi di euro. I progetti più innovativi in via di sperimentazione si concentrano soprattutto sul miglioramento della customer experience grazie a strumenti basati sull’utilizzo dell’extended reality per progettare online i propri spazi e l’offerta di servizi logistici di valore aggiunto come servizi di consegna al piano. Segue auto e ricambi con +10% sul 2023 toccando quota 3,2 miliardi di euro per quanto riguarda la vendita di automobili e pezzi di ricambio online.

Il comparto del food&grocery nei tre i segmenti – food delivery (piatti a domicilio), grocery alimentare (spesa online da supermercato) ed enogastronomia (cibi e bevande di nicchia) – riscontra una crescita del +8% sul 2023 e vale 4,6 miliardi di euro. Anche nel 2024 cresce la percentuale di comuni italiani coperti da almeno un servizio di food delivery (+2% rispetto al 2023) permettendo così al servizio di raggiungere il 76% degli abitanti nel 2024. Inoltre prosegue l’attivazione del servizio di delivery, con una copertura del 30% nei piccoli comuni con meno di 20.000 abitanti. Nel 2024, continua il processo di razionalizzazione dell’offerta di servizi di food delivery: i ristoranti affidano il delivery, infatti, alle grandi piattaforme dedicate a questa tipologia di servizio, mentre gestiscono in-house il take-away con ordine ricevuto online e ritiro nel locale. Per quanto concerne il grocery alimentare la percentuale di abitanti potenzialmente coperti dal servizio di spesa online da supermercato rimane costante rispetto al 2023 (94%): nel 2024 tra le oltre 60 iniziative di spesa online da supermercato attive in Italia, la maggior parte (87%) sono iniziative lanciate da retailer della Gdo.

Il comparto beauty&pharma, che riunisce al suo interno sia i prodotti farmaceutici che quelli destinati alla cura e l’igiene della persona, raggiunge i 2,8 miliardi di euro, +8% rispetto al 2023. Entrambi i segmenti sono sempre di più impegnati a fornire ai clienti assistenza all’acquisto e consulenza personalizzata, anche in ottica di sostenibilità dell’esperienza stessa. L’informatica e elettronica di consumo registrano una crescita del +6% sul 2023 e vale 9 miliardi di euro, mentre chiude la classifica l’abbigliamento (capi di vestiario, scarpe e accessori) che cresce del +5% rispetto al 2023 e raggiunge un valore di 5,8 miliardi di euro. Le principali aree di lavoro per gli operatori del comparto riguardano in particolar modo l’ottimizzazione del second-hand market e il lancio di nuovi marketplace.

“Nel corso di questi primi mesi del 2024, l’eCommerce di prodotto mostra aspetti diversi. Da un lato proseguono gli investimenti nell’ottimizzazione di attività e processi per rimanere competitivi in un contesto altamente instabile. Dall’altro lato si sperimentano progetti più audaci e sofisticati: i retailer più innovativi osano con le innovazioni tecnologiche di frontiera e riscoprono il valore del negozio fisico al fianco dell’iniziativa eCommerce”, dichiara Valentina Pontiggia, Direttrice dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – Politecnico di Milano. “Da segnalare come particolarmente positiva la crescita del comparto food & grocery: un piccolo passo in un comparto così rilevante (principale voce di spesa delle famiglie italiane) e poco maturo (bassa penetrazione) come il food&grocery genera un grande contributo nell’eCommerce totale. Per concludere, dovrebbe crescere molto bene anche il settore auto e ricambi sotto la spinta degli incentivi attesi per l’acquisto di auto elettriche”.

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