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Tag: spesa

Carrefour testa lo scanner per la spesa (in Belgio)

Dopo Izy, il sistema adottato da Chronidrive/Auchan, Carrefour Belgio testa la sua versione dello scanner per fare la spesa online, da casa, e averla consegnata o ritirarla in store: Connected Kitchen. La “cucina connessa” permette di fare la lista della spesa in tempo reale scansendo il codice a barre o dettando il prodotto al dispositivo. Il data base ha a disposizione 1,3 milioni di codici compresi quelli della “concorrenza”, per i quali verranno proposte delle alternative tra i 17mila articoli presenti nel paniere dell’e-commerce Carrefour. Il dispositivo, in fase di test da aprile, sarà poi messo a disposizione della clientela.

La spesa con gli smartglass, un esperimento Intermarché

Si parla tanto di wearable, i dispositivi che, indossati, promettono di cambiare la nostra vita quotidiana potenziando i nostri sensi e le informazioni che riceviamo dall’esterno. Ma come sarà la tradizionale spesa al supermercato indossando gli smartglasses? Ce lo dimostrano Digitas e l’insegna francese Intermarché in questo video: geolocalizzazione all’interno dello store per segnare un percorso, scanning del prodotto con contenuti vari, evidenziazione delle promozioni, ricette ad hoc e cross-selling. Infine, pagamento tramite smartphone, senza passare dalle casse o estrarre carte o portafogli.

Dall’orto alla cucina di Simply con Giorgione del Gambero Rosso

Parte dal Simply Store di Piazza Maestri del Lavoro a Siena domenica 22 febbraio il tour La cucina Simply di Giorgione, al secolo Giorgio Barchesi, romano “quasi veterinario” e volto noto di Gambero Rosso Channel che darà preziosi consigli per fare la spesa e preparerà all’interno del punto vendita alcune delle sua storiche ricette.

«Le mie ricette – spiega “Giorgione” – seguono la stagionalità dei prodotti. Sono piatti pensati per una cucina semplice e gustosa da mettere in tavola ogni giorno. Protagonisti indiscussi sono i prodotti del territorio, per questa ragione è importante saperli scegliere e quindi fare la spesa. Nel rapporto con Simply ritrovo la genuinità e la semplicità della mia filosofia in cucina, che intende divertire, unire le persone e recuperare la centralità dello stare bene a tavola».

Carrefour sperimenta la shopping experience con lo smart watch

L’ipermercato Carrefour di Villeneuve-La-Garenne, presso Parigi, è dall’aprile scorso una vero e proprio laboratorio in cui l’insegna francese sperimenta il supermercato del futuro. Al cuore di tutto c’è un’App, C-où, che consente di accedere  a una serie di contenuti innovativi quali l’ubicazione dei prodotti sulla propria lista nel punto vendita, e l’individuazione del percorso più breve per fare la spesa. Ciò è reso possibile dalle etichette elettroniche con tecnologia NCF. Ora C-où è collegabile anche allo smart-watch, per ora solo il Samsung Gear S (ma nei prossimi mesi sarà abilitata anche per altri smart-watch Android), dove è anche possibile caricare la propria carta fedeltà per un accesso immediato alle casse. Partner dell’operazione sono Publicis Shopper e la start-up francese Think&Go.

Le prime sperimentazioni sono avvenute nel mese di dicembre, ed ora la tecnologia è a disposizione di tutti i clienti che posseggano il suddetto “orologio intelligente”. Secondo il mensile Linéaire sono ancora pochi i clienti che utilizzano queste funzioni avanzati. Ma nel campo tecnologico le acquisizioni di nuove tecnologie procedono a salti, e restare fuori può essere molto dolorosi, mentre gli early adaptors potranno assicurarsi un vantaggio competitivo almeno inizialmente non indifferente.

Good Appetito fa spesa e menù con i prodotti in promozione

Cosa cucino stasera? Tra i servizi più richiesti alla GDO ci sono le ricette, perché pensare a cosa cucinare nel quotidiano e di conseguenza a cosa acquistare è un compito oneroso, specie dopo una giornata di lavoro. Da qui l’idea di GoodAppetito, portale che ha avuto un’idea geniale: abbinare i prodotti in promozione dei supermercati con le ricette che spiegano come cucinarli.

Attivo inizialmente nelle province di Treviso, Padova e Venezia si è allargherà al resto del Veneto, Friuli, Emilia Romagna e da fine febbraio in Lombardia, e in seguito punterà su Roma. Startup nata nel 2014 all’interno della piattaforma digitale H-FARM Ventures, si basa su un sistema che suggerisce ricette relative ai prodotti in promozione che generano in automatico la lista della spesa da utilizzare sia che si scelga di andare al supermercato sia che si acquisti online, lista che può anche essere spedita a chi si vuole.

Grazie a rapporti di partnership con le principali insegne in corso di finalizzazione, a breve sarà possibile anche concludere l’acquisto della spesa direttamente dal sito di GoodAppetito.

“Sono partito dal concetto del volantino cartaceo delle promozioni, fino a creare un sistema per generare ricette ad hoc in base alle promozioni in quel momento presenti nei supermercati della zona selezionata dall’utente – spiega Tommaso Magnani, fondatore di GoodAppetito -. Il modello di business è relazionato alla trasformazione indotta dal mobile sulle abitudini dei consumatori, che impone a sempre più aziende (Brand & GDO) un ridisegno completo dei punti di contatto con il cliente, dal punto vendita all’online passando per i canali promozionali. Un modello in grado di generare una comunicazione ipertargettizzata, non invadente e vantaggiosa per l’utente”.

Non solo, esiste anche il grande tema degli ‘insights’, le analisi delle abitudini di consumo del cliente, che dà la possibilità di “comprendere in modo puntuale i bisogni del cliente “cucendo” su di lui promozioni e iniziative ad hoc. Un modo per sedurre, conquistare e fidelizzare il cliente, al fine di generare engagement” conclude Magnani.

Pagamenti con carte: dicembre positivo con il traino dell’e-commerce

Dicembre è stato un mese favorevole per le spese con carte di credito. Lo rileva il Barometro Cashless dell’Osservatorio Acquisti Cartasì, secondo cui il mese si è chiuso con un +7,6% sul dicembre 2013.

Osservatorio Acquisti Cartasi

Due gli elementi determinanti per il sostegno ai trend di spesa. Il primo – evidenzia l’Osservatorio – ha a che fare con la fiducia, che, pur con dinamiche non elevate, è riuscita a canalizzarsi verso gli acquisti “stagionali”, ma soprattutto verso le spese turistiche, cogliendo al balzo le opportunità di calendario. L’Istat infatti registra un andamento complessivamente non positivo delle aspettative dei consumatori, ma con indicatori in crescita riguardo alla situazione specificamente famigliare, sia economica sia di bilancio domestico. Il secondo è un fattore più tecnico, ed è legato ai flussi che uffici postali e tabaccherie (in particolare per i bollettini) stanno veicolando con livelli elevati e crescenti di utilizzo della carta: tale contributo è quantificabile in circa 1,2 punti percentuali.

A livello di canale, l’e-commerce, che vale 1,4 miliardi di euro  sulla spesa totale con carta di 8,4 miliardi, ha replicato il dato di novembre (+28,6%) e consacra il proprio ruolo ormai determinante anche per lo shopping di Natale. Anche il “mondo fisico” però evidenzia uno spunto positivo: complessivamente +4,2% (che si riduce al 3% depurato dai fattori tecnici di cui sopra) a fronte di un’inflazione piatta. Un progresso che si ripartisce in quote simili fra Alberghi e ristoranti, Alimentari e Dettaglio non alimentare.
Tutte le voci turistiche hanno fortemente beneficiato del vantaggio di calendario che ha riguardato sia un ponte dell’Immacolata ben accessibile, sia una collocazione favorevole delle festività natalizie. Risultato: Alberghi e Ristoranti +10,4% e Viaggi e Trasporti +8,5% (con Agenzie: +29,6%, Noleggi; +20,1%, Trasporti persone: +13,2% a controbilanciare il calo disinflazionistico dei carburanti: -9,8%). A ciò si aggiunge l’andamento di Attività ricreative: +8,6%.
L’Alimentare – spiega l’Osservatorio – ha mostrato una buona vivacità (+4,3%), segnale positivo nel periodo di Natale. La tendenza ha premiato i negozi specializzati (21,3%), on e offline, più che le catene, operanti quasi esclusivamente nel fisico (+0,8%). Parliamo di generi che si erano già segnalati in crescita negli ultimi mesi, ma che in dicembre hanno avuto un ruolo importante: cialde da caffè, specialità gastronomiche, ortofrutta a domicilio. Attività in grado di captare da un lato gli spazi di nicchie crescenti di bisogni, dall’altro i canali più adeguati a questi target (format distributivo innovativo, web).

Il Dettaglio non Alimentare (+11,7%) ha visto un concreto contributo dal web (+36,6%). E tuttavia le dinamiche settoriali sono complessivamente interessanti: Profumerie (+19,8%), Gioiellerie (+5,2%), Grandi magazzini (+4,5%) hanno ritrovato l’impulso, ma anche, su volumi decisamente più ridotti, Animali e accessori (+23,7%) e Piante e fiori (+10,6%) fanno da contraltare a Giocattoli (-21,9) e Pelletterie e Valigerie (-18,0%), tipologie distributive che non riescono a tenere il passo dei nuovi trend di consumo.

Da questo punto di vista, un fenomeno interessante riguarda l’elemento tecnologico. L’andamento di Informatica e beni digitali (+6,2%), in particolare questi ultimi (+7,3%), ha infatti proseguito la fase interessante, ma riducendo le esplosioni degli anni più recenti. Segno dunque che la diffusione di strumenti evoluti, in particolare mobili, ha ormai superato una soglia di massa critica ed è ben inserita nel sistema dei consumi, che permea atteggiamenti e comportamenti, ampliando le scelte e le decisioni di acquisto.

Lista della spesa, avanzi, pasto in comune strategie di risparmio degli italiani

Foto Desi @Flickr licenza CC https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/legalcode

La crisi non è finita, e gli italiani, che lo sanno, al momento di fare la spesa attuano una serie di strategie per risparmiare destinate probabilmente a resistere anche al di là della congiuntura economica. Ma quali sono queste stratagemmi? Ce lo rivela un’indagine Coldiretti/Censis. Che parte da un’usanza intramontabile: la lista della spesa. Vuoi con carta e matita o su una ipertecnologica app per smartphone, l’usanza di scrivere a casa i prodotti da comprare al supermercato è seguita regolarmente dalla metà degli italiani (49,8  per cento), ai quali si aggiunge un 34,5 per cento che la fa solo qualche volta per non essere travolto dagli acquisti di impulso, e quindi soprattutto per risparmiare. Dunque spazio per le insegne che vogliano creare applicazioni utili e accattivanti per la clientela e magari con contenuti discreti (nel senso di non invadenti) ma strategici c’è, eccome.

Poi ci sono le scorte di prodotti alimentari, fatte sapientemente con gli articoli in promozione: una pratica operata da una famiglia italiana su tre.

Ma “il ritorno al passato – spiegano a Coldiretti/Censis – si avverte anche tramite forme di sapiente sobrietà nell’utilizzo dei cibi acquistati e cucinati come, ad esempio, l’utilizzo di cibi avanzati preparati per precedenti pasti praticato da 22,8 milioni di famiglie, e regolarmente da 9,9 milioni”.

Aspetti positivi dunque che vanno nel senso della riduzione dello spreco alimentare che vede ogni anno andare in fumo la metà delle derrate alimentari e che, secondo il protocollo di Milano, se azzerato potrebbe risolvere il problema della fame nel mondo. Ma non è l’unico aspetto “virtuoso”: la crisi infatti, sempre secondo l’indagine, terrebbe più unite le famiglie, quanto meno all’ora dei pasti, importante momento di socializzazione. Sono 10,6 milioni le famiglie italiane che, anche per contenere le spese, ogni giorno della settimana fanno almeno un pasto insieme a colazione, a pranzo o a cena: il 61,8 per cento dei nuclei familiari, se si escludono le famiglie con un solo componente. Circa 2,5 milioni di famiglie italiane (il 14,3 per cento) fanno addirittura insieme tutti e tre i pasti per tutti e sette i giorni della settimana, mentre solo 342mila famiglie fanno al massimo un pasto insieme due volte a settimana. I momenti in cui più facilmente ci si trova insieme sono, non a sorpresa, la cena (con 8,8 milioni di famiglie che cenano, 5,2 milioni pranzano e 4,6 milioni di famiglie fanno colazione insieme tutti e sette i giorni della settimana) e il week-end, con 8,1 milioni di famiglie che fanno colazione, 12,8 milioni che pranzano e 11,4 milioni che fanno la cena sempre tutti insieme il sabato e la domenica. Anche in questo caso, rendere disponibili contenuti e soluzioni per diversificare il pranzo in comune potrebbe essere una buna chiave per giungere al cuore e al portafoglio (attentamente “sorvegliato”, come abbiamo visto) di un cliente sempre più sfuggente.

GDO UK: è già iniziata la guerra dei prezzi 2015

Trecento milioni di sterline per ridurre nei primi tre mesi dell’anno il prezzo di 2.500 prodotti di prima necessità: freschi compresi latte, carne e pesce, cereali e pannolini: con questa mossa l’insegna britannica Asda entra a gamba tesa in quella che è già stata definita la guerra dei prezzi 2015. Impegnate sono le quattro grandi insegne principali: oltre ad Asda, Sainsbury’s, Morrisons e Tesco. Il taglio dei prezzi è un obiettivo anche per Sainsbury’s, che ha già annunciato tagli per 150 milioni di sterline nel corso del 2015. L’ex leader Tesco, in grosse difficoltà dopo lo scandalo dei bilanci truccati dell’anno scorso ma che gli analisti vedono in ripresa, seguirà certamente con altre strategie. Obiettivo comune: conquistare il mercato di fascia media, schiacciato nella fascia alta da Waitrose e in quella bassa dalle catene discount Lidl e Aldi.

Questo del resto è il periodo dell’anno in cui tradizionalmente le catene cercano di attirare nel pdv clienti recalcitranti e spossati dalle spese natalizie con la promessa di grandi affari, non sempre mantenute.

Già tre mesi fa Morrisons aveva fatto parlare per l’iniziativa della propria carta fedeltà Match and More, un sistema che assicura il miglior prezzo sulla piazza oppure un guadagno in punti su ogni prodotto più caro in confronto ai competitor: Lidl e Aldi compresi.

Certo i tempi sono grami. Se Waitrose ha incassato 728 milioni di sterline di vendite nelle cinque settimane prima del 3 gennaio con un incremento del 2,8%, +26,3% di vendite online, Sainsbury’s nell’ultimo trimestre 2014 ha registrato perdite sugli incassi dello 0,4% (vendita di benzina esclusa) e 2,5% (benzina inclusa).

Una corsa al massacro? Secondo Mark Price, managing director di Waitrose “probabilmente puoi trovare dei gamberi che costano meno dei nostri in altri supermercati ma non sono uguali. Alcuni clienti vogliono comprare le cose migliori: con un gusto, una qualità e un’etica superiore”. Intanto però anche Waitrose ha investito 45 milioni di sterline l’anno scorso per ribassare i prezzi e rendere l’insegna più competitiva…

Anna Muzio

Click and collect: è davvero più veloce della spesa tradizionale?

Si fa un gran parlare del click and collect, ovvero della possibilità di acquistare prodotti online e ritirarli in negozio. Obiettivo dichiarato è quello di risparmiare tempo naturalmente, tra gli scaffali e alle casse. Ma è davvero così? Proprio nel momento in cui questa modalità sta arrivando nel nostro Paese (Tigros, alcuni Auchan e Carrefour) una società americana specializzata in servizi al cliente, Stella Service, ha calcolato cosa avviene nella realtà confrontando 11 retailer di vari settori che offrono il servizio click and collect (o BOPIS all’americana, acronimo di Buy Online Pickup in Store): Best Buy, Home Depot, Lowe’s, Macy’s, Nordstrom, Office Depot, Sears, Staples, Target, Toys ‘R Us e Walmart, facendo la spesa nelle due modalità e confrontando i tempi.

I risultati sono sorprendenti. Con le dovute differenze tra le insegne, sembra in realtà che il punto debole della catena sia proprio il “pick-up” ovvero la permanenza alle casse (compreso il tempo impiegato per orientarsi nel pdv e capire dove ritirare la spesa) e soprattutto il pagamento, che sarebbe mediamente più lungo che acquistando normalmente in negozio, con una media di 7 minuti. I tempi della scelta dell’articolo del resto non sarebbero poi così più lunghi in negozio rispetto all’online (5,4 minuti contro 7 minuti), tranne in alcuni casi “virtuosi” come Office Depot (2 minuti, forse per siti particolarmente user-friendly?) e addirittura in tre casi la spesa tradizionale è stata più veloce di quella online.

Altre “zone d’ombra” riguardano i tempi di preparazione del “pacco” o della spesa: se per alcuni è di 10 minuti (giusto il tempo per scendere in negozio), in altri casi è decisamente più lungo, fino a oltre due ore, il che rende il processo meno interessante.

Il vero vantaggio di questa modalità di spesa riguarderebbe insomma la sicurezza di trovare il prodotto desiderato, nella taglia e nel colore richiesto, evitando il classico viaggio a vuoto. Un fattore determinante per alcuni settori (abbigliamento, elettronica), molto meno per la GDO, che però, va detto, registra tempi più lunghi di permanenza in negozio dato il numero di prodotti acquistati maggiore.

Certo consentire di scegliere l’orario esatto del passaggio in negozio con la sicurezza di trovare tutto già pronto potrebbe risolvere vari problemi. Vedremo come andrà in futuro, e quale sarà la percezione degli utilizzatori del servizio: saranno loro a decidere se decretarne il successo o meno. È anche vero che, come ha commentato Kevon Hills, StellaService vice president per l’area ricerca, “Queste iniziative sono ancora relativamente nuove per molti retailer che stanno ancora lavorando per perfezionare il processo. Se il click and collect dovesse prendere piede tra i consumatori, ci aspettiamo che i retailer investiranno tempo e denaro per rendere il processo più efficiente”.

Anna Muzio

La private label non è più “povera” (tranne a Est)

Secondo l'indagine Nielsen un consumatore su due ha "sdoganato" anche il packaging delle private label considerandolo pari a quello delle grandi marche.

“Un punto di non ritorno nella GDO e un allineamento dell’Italia agli altri Paesi europei”: così ha commentato Giovanni Fantasia, AD di Nielsen Italia i dati della Nielsen Global Survey on Private Label and Premiumization Trends condotta su un campione di 30 mila persone in 60 Paesi, tra i quali l’Italia, tra il 17 febbraio e il 7 marzo 2014.

L’Italia, per anni fanalino di coda in Europa, sta guadagnando fiducia nella marca commerciali e lo confermano le statistiche. Nei supermercati italiani è ormai un testa a testa con le grandi marche, il 47% degli italiani ritiene che alcune di queste siano superiori ai marchi più famosi e il 64% dichiara che le marche private possano essere una buona alternativa a quelle tradizionali (nel 2010 era solo il 37%). Il 42% degli italiani è disposto a pagare di più per una marca privata di qualità. Sono un ricordo del passato anche le sdrucite confezioni no logo di un tempo: solo il 25% dei consumatori ritiene che la confezione sia inadeguata, mentre il 50% pensa che abbia raggiunto gli standard di packaging delle grandi marche. Infine, e per tagliare la testa al toro, il 56% della popolazione italiana (rispetto al 23% del 2010) considera le marche private di qualità assimilabili ai prodotti di marca. Una percezione che non necessariamente si traduce nelle vendite, anche se pure queste sono in aumento: le marche private rappresentano il 18% del giro d’affari del largo consumo (vs. 13% nel 2007).

 

Asia e Americhe anche sotto il 5%

La percezione delle private label nel mondo, Nielsen.
La percezione delle private label nel mondo, Nielsen.

Nell’indagine Nielsen i tre quarti degli intervistati (71%) pensa che la private label sia migliorata nel tempo. Alcune percezioni restano invariate indipendentemente dal Paese di residenza. Ad esempio se il prezzo resta comunque un aspetto fondamentale nella scelta della marca commerciale (7 intervistati su 10 la sceglie proprio perché costa meno), ormai contano anche qualità e convenienza. Il 70% pensa che la marca commerciale offra un buon rapporto prezzo-qualità e il 62% nell’acquistarla si sente un consumatore “smart”.

Per quanto riguarda le vendite invece il mondo si divide i due, tra Paesi sviluppati (Europa, Nord America e Oceania) con quote di mercato dal 15 al 45% (in Europa), e quelli in via di sviluppo (America Latina, Asia, Africa e Medio Oriente) con quote di mercato sotto il 10% che scendono sotto il 5% in mercati chiave quali Cina, India e Brasile.

L’Europa è pero ancora divisa tra Est e Ovest nella percezione delle private label come prodotti “per poveri”: in Italia solo il 36% degli intervistati considera i prodotti a marchio privato rivolti a chi ha un budget ridotto (percentuale comparabile a Germania ,39%, e Gran Bretagna, 37%), mentre nei paesi dell’est, quali Bulgaria e Romania, le PL sono considerate prodotti rivolti a chi si trova in ristrettezze economiche dal 60% dei consumatori.

 

Quattro caratteristiche delle private label secondo Nielsen

  • Il successo delle private label è maggiore nei beni di consumo che si acquistano frequentemente o tra quelli per i quali i consumatori percepiscono poche differenze
  • Le private label crescono a spese dei marchi piccoli e medi mentre i leader della categoria sono relativamente al sicuro
  • Il consolidamento dei retailer e del format discount sono le chiavi principali per la diffusione delle private label nei mercati sviluppati/maturi
  • Le private label fanno fatica a guadagnarsi la fiducia dei consumatori in Asia e Medio Oriente dove i consumatori sono ancora devoti sostenitori della marca

 

Anna Muzio

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