Solo meno dell’8% del peso dell’inflazione è attribuibile al largo consumo

L’aumento dei prezzi ha portato a una maggiore focalizzazione sui volumi di vendita nel largo consumo confezionato concentrando l’attenzione sulla recente contrazione degli stessi negli ultimi sei mesi. Tuttavia, nel settennio compreso tra 2015 al 2022, l’LCC segnato una crescita dei volumi di oltre 9 punti.

Un’analisi di OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) mostra come l’impatto generato dall’inflazione del settore sia decisamente minore del percepito. Nello specifico lo studio rileva l’indice dei prezzi al consumo di dicembre 2022 all’11,6% e indica come il traino dell’inflazione siano i costi di mutui e utenze che da sole generano oltre il 50% dell’inflazione. Mentre il largo consumo confezionato pesa solo il 21%, che nell’esame OECD coinvolge anche altre categorie tra cui il tabacco.

Riportando i valori a livello nazionale, partendo dalle rilevazioni ISTAT e incrociandole coi dati NielsenIQ, risulta che il differenziale medio mensile per famiglia, dovuto all’inflazione, è di 446 euro, quindi in media le famiglie italiane spendono quasi 500 euro in più rispetto all’anno precedente. Tuttavia approfondendo questo dato, emerge che il differenziale generato dal largo consumo è di soli 35 euro ovvero meno dell’8%.

“Il percepito del peso degli aumenti nel largo consumo penalizza eccessivamente la nostra filiera che negli anni, al contrario, ha dimostrato di essere virtuosa, lasciando per sua natura al consumatore la possibilità di effettuare delle scelte. Ciò non accade per altre spese che, oltre ad aver un maggior impatto sulle tasche degli italiani, non permettono rapide sterzate come per il carrello della spesa. L’analisi svolta non intende sminuire il fenomeno inflazionistico nel largo consumo ma ne fotografa in modo più oggettivo l’impatto” commenta Luca De Nard, Amministratore Delegato NielsenIQ Italia.