È partita il 28 febbraio e durerà tre settimane su tv, stampa e web la campagna di comunicazione istituzionale della neonata Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile con l’obiettivo di difendere uno degli ingredienti più controversi dell’industria alimentare degli ultimi anni, oggetto di innumerevoli campagne web e raccolte firme che ne chiedono il bando.
La neonata unione, di cui fanno parte aziende “consumatrici” quali Ferrero, Unilever Italy Holdings, Nestlé Italiana e Unigrà (che opera nel settore della trasformazione e vendita di oli e grassi alimentari) ha l’arduo compito di convincere un consumatore piuttosto riottoso (capitanato dalla agguerrita compagine delle mamme salutiste e preoccupate) che l’olio di palma non è alimento dannoso.
“Con questa campagna vogliamo far arrivare un messaggio semplice e rassicurante ai consumatori italiani – spiega Giuseppe Allocca, Presidente dell’Unione – , raccontando questo ingrediente per quello che è: un olio vegetale di origine naturale, conosciuto e utilizzato da cinquemila anni, ricavato dalla spremitura della sola polpa del frutto della palma da olio, che non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata e che, se prodotto in modo sostenibile, aiuta a rispettare la natura e le comunità locali .In linea con quanto accaduto in altri Paesi dell’Unione Europea (Francia, Belgio, Olanda, Germania, Svezia), l’Unione intende diventare in Italia un punto di riferimento per i consumatori, i media e le istituzioni che desiderano maggiori informazioni sul tema, con l’obiettivo di portare l’attenzione del dibattito sull’importanza della sostenibilità di questo ingrediente, intesa sia in termini di sicurezza nutrizionale che di impatto sociale e ambientale. Questa campagna di comunicazione vuole presentare dunque L’Unione al grande pubblico e spiegare in 30 secondi alcune semplici caratteristiche dell’olio di palma sostenibile.”.
Questione di quantità secondo l’Istituto superiore di Sanità
In effetti le critiche verso l’alimento da sempre prendono due direzioni: una è quella della sostenibilità ambientale, dati che ampi tratti di foresta tropicale primaria è stata abbattuta per far posto a piantagioni di olio di palma in Paesi quali l’Indonesia, recentemente messa sotto accusa da Greenpeace. Su questo punto la Malesia ha lavorato molto e presenta il 25% di olio di palma certificato dall’organizzazione internazionale Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil), che garantisce la sostenibilità di tutta la filiera in termini di salvaguardia delle foreste, tutela della biodiversità, condizioni di lavoro e qualità del prodotto. produzione nazionale come certificata dal punto di vista ambientale.
L’altro punto, ancor più controverso, riguarda le ricadute dell’olio di palma sulla salute. L’Iss, Istituto superiore di Sanità, ha ammesso che la letteratura scientifica non riporta l’esistenza di componenti specifiche dell’olio di palma capaci di determinare effetti negativi sulla salute, ma riconduce questi ultimi all’elevato contenuto di acidi grassi saturi (pari al 50%) rispetto ad altri grassi alimentari (ma comparabile, ad esempio, al burro). L’eccesso di acidi grassi saturi nella dieta è stato correlato a un aumento del rischio di patologie cardiovascolari. L’istituto consiglia però prudenza per certe fasce di popolazione quali bambini, anziani, dislipidemici, obesi, pazienti con pregressi eventi cardiovascolari, ipertesi, “poiché possono presentare una maggiore vulnerabilità rispetto alla popolazione generale”. “Per tale ragione, nel contesto di un regime dietetico vario e bilanciato, comprendente alimenti naturalmente contenenti acidi grassi saturi (carne, latticini, uova), occorre ribadire la necessità di contenere il consumo di alimenti apportatori di elevate quantità di grassi saturi” sostiene il rapporto.
Consumo in crescita
Nel 2015 sono stati prodotti nel mondo circa 62 milioni di tonnellate di olio di palma, che, con il 35% del mercato mondiale, è l’olio vegetale più prodotto al mondo. Coltivato in 43 Paesi, si ottiene per spremitura della polpa del frutto della palma. Indonesia e Malesia da sole totalizzano l’87% della produzione mondiale. Il suo consumo in Europa si attesta intorno al 12% del totale mondiale, in USA al 3%. In Europa, l’olio di palma è utilizzato dall’industria alimentare per il 45% e da quelle energetica, farmaceutica, mangimistica e cosmetica per il restante 55%.
In Italia nel 2014, sono stati importati circa 1.600.000 tonnellate di olio di palma (Fonte Coeweb ISTAT): il 21% viene impiegato dall’industria alimentare, mentre il rimanente 79% viene usato per altri usi. Dal 2008, la quantità importata in Italia è andata progressivamente aumentando. Nel 2015 le importazione di olio di palma dalla Malesia in Italia sono raddoppiate. Secondo l’agenzia governativa Malaysian palm oil board (Mpob) tra gennaio e ottobre sarebbero arrivate 307.000 tonnellate di olio malese, contro le 184.000 tonnellate del 2014.