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Anna Muzio

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Ferrero compra Willy Wonka (e l’intero business dolciario Nestlè USA)

Il gruppo Ferrero acquisirà  il business dolciario statunitense di Nestlé per 2,8 miliardi di dollari. Il che significa più di 20 storici brand americani, tra cui marchi di cioccolato iconici come Wonka, che evoca il mitico personaggio di Roald Dahl, ma anche Butterfinger, BabyRuth, 100Grand, Raisinets, Crunch, Chunky, OhHenry!, SnoCaps, e i brand di caramelle SweeTarts, LaffyTaffy e Nerds, FunDip, PixyStix, Gobstopper, BottleCaps, Spree e Runts. Con questo accordo Ferrero diventa la terza azienda di cioccolato del mondo. Una nota della multinazionale elvetica colloca la chiusura della transazione intorno alla fine del primo trimestre 2018.

Nel 2016 l’attività dolciaria negli Stati Uniti di Nestlé ha generato un fatturato di circa 900 milioni di dollari: rappresenta circa il 3% delle vendite del gruppo negli USA. 

«Con Ferrero abbiamo trovato una casa eccezionale per il nostro business dolciario statunitense dove prospererà. Allo stesso tempo, l’operazione consente a Nestlé di investire e innovare in una serie di categorie che prevediamo in forte crescita in futuro e dove deteniamo la leadership come il cibo per animali, l’acqua in bottiglia, il caffè, i pranzi surgelati e gli alimenti per l’infanzia» ha dichiarato il CEO di Nestlé Mark Schneider.

Giovanni Ferrero, presidente esecutivo del gruppo, ha detto: «Siamo entusiasti di aver acquisito il business dolciario di Nestlé negli Stati Uniti, che porta con sé un portafoglio eccezionale di marchi iconici ricchi di storia e di incredibile riconoscibilità. Insieme alla attuale presenza di Ferrero sul mercato statunitense compresa l a recente acquisizione del marchio Fannie May Confections e Ferrara Candy Company, aumenteremo in maniera sostanziale la nostra presenza e l’offerta di prodotti di qualità nel più grande mercato dolciario del mondo».

Secondo vari commentatori americani la decisione di Nestlè deriva dalla volontà di focalizzarsi su categorie più salutiste: il business dolciario ha infatti negli ultimi anni avuto un andamento inferiore al previsto proprio in seguito alle nuove istanze per la salute. Per Ferrero l’acquisizione significa invece l’entrata in forze nel mercato americano, da tempo tra i suoi obiettivi.

L’accordo riguarda solo i marchi specificamente per il mercato americano e non comprende i prodotti da forno Toll House, brand strategico che la compagnia continuerà a sviluppare. Quello degli USA è il primo mercato per Nestlé che vanta prodotti nel 97% delle famiglie americane con brand come Purina, Nestlé Pure Life, Coffee-Mate, Gerber e Stouffer’s. Nestlè ha 50.000 dipendenti in oltre 120 locations across degli Stati Uniti comprese 77 fabbriche e 10 centri di sviluppo e ricerca.

Cosa temono le imprese nel 2018, da sicurezza informatica e clima i rischi futuri

Quali sono i principali rischi che deve affrontare una impresa nel 2018? Una risposta viene come ogni anno dall’Allianz Risk Barometer 2018 realizzato da Allianz Global Corporate & Specialty, giunto alla settima edizione, basata sull’analisi di 1.911 esperti di rischio provenienti da 80 Paesi.

 

Da nuove tecnologie e catastrofi naturali i pericoli maggiori

In cima alla lista a livello globale l’interruzione di attività (il timore numero 1, con il 42% delle risposte, anche nel 2017) e al secondo posto i Rischi informatici (che raccolgono il 40% delle risposte, in salita di un posto rispetto all’anno scorso).

Anche le maggiori perdite dovute alle Catastrofi naturali (n° 3 con il 30% delle risposte, al 4° posto del 2017) sono una preoccupazione crescente per le aziende, con il 2017 che si è distinto come anno peggiore; questo ha anche fatto sì che il Cambiamento climatico si collochi per la prima volta tra i primi 10 rischi più importanti. Mentre, l’impatto del rischio delle Nuove tecnologie (n° 7 nel 2018, al 10 nel 2017) è uno di quelli in maggior crescita, con innovazioni come l’intelligenza artificiale o la mobilità autonoma sentite come portatrici in futuro di nuove responsabilità e perdite su larga scala, oltre che di opportunità. Al contrario, le imprese sono meno preoccupate degli Sviluppi del mercato (n° 4 nel 2018, era al secondo posto nel 2017) rispetto a 12 mesi fa.

«Per la prima volta, l’interruzione di attività e il cyber risk hanno la stessa importanza secondo quanto emerge dall’Allianz Risk Barometer, e questi rischi sono sempre più interconnessi – afferma Chris Fischer Hirs, CEO di AGCS -. Che si tratti di attacchi come WannaCry, o più frequentemente di guasti di sistema, gli incidenti informatici sono oggi una delle principali cause di interruzione di attività per le aziende collegate in rete, i cui principali asset sono spesso i dati, le piattaforme di servizio o i loro gruppi di clienti e fornitori. Tuttavia, i gravi disastri naturali dello scorso anno ci ricordano che l’impatto dei pericoli dell’ambiente o del clima non dovrebbe essere sottovalutato. I risk manager dovranno affrontare in futuro un ambiente estremamente complesso e imprevedibile, caratterizzato sia dai rischi aziendali tradizionali che dalle nuove sfide tecnologiche».

 

In Italia avanza il danno di immagine

Classifica molto simile anche in Italia, con le aziende preoccupate in primis dall’Interruzione di attività (indicata dal 51%, in crescita rispetto al 36% della precedente rilevazione) e da Rischi informatici (con il 38% su di due posizioni) e Catastrofi naturali (30%).

Ma il balzo maggiore lo fa il Danno reputazionale o d’immagine, che passa dalla 10a alla 4a posizione.

Il barometro ha rilevato anche i timori principali nei vari settori. L’unico cambiamento di rilievo nella top 5 riguarda proprio il cambiamento nei mercati, che comprende l’arrivo di nuovi operatori e l’aumento della competizione) mentre per le aziende di food and beverage spiccano al terzo posto le Catastrofi naturali (tempeste, inondazioni, terremoti)

 

Tante cause per il rischio maggiore: l’Interruzione di attività

Se l’Interruzione di attività è il rischio più sentito per il sesto anno consecutivo e si colloca ai primi posti in 13 Paesi e nelle aree di Europa, Asia Pacifico, Africa e Medio Oriente, varie sono gli scenari che possono causarlo. Dalle esposizioni tradizionali come incendi, disastri naturali e interruzioni della supply chain, ai nuovi fattori scatenanti derivanti dalla digitalizzazione e dall’interconnessione, che in genere non causano danni fisici, ma comportano ingenti perdite finanziarie. Un guasto ai principali sistemi informatici, il terrorismo o gli eventi socio-politici, gli incidenti legati alla qualità dei prodotti o un cambiamento normativo inatteso possono portare le aziende a un blocco temporaneo o prolungato con un effetto devastante sui ricavi. Ad esempio, secondo Cyence l’impatto sul costo medio di un blackout del cloud della durata di oltre 12 ore per le aziende dei settori finanziario, sanitario e retail potrebbe ammontare a 850 milioni di dollari in Nord America e 700 milioni di dollari in Europa.

 

Sicurezza informatica principale rischio del futuro

I rischi informatici continuano la tendenza al rialzo nell’Allianz Risk Barometer, arrivando in cinque anni dal 15° posto al secondo posto. globale e al primo in 11 Paesi intervistati e nella regione delle Americhe e al 2° posto in Europa e Asia Pacifico. È anche considerato il rischio più sottovalutato e il principale pericolo a lungo termine.

Eventi recenti come gli attacchi WannaCry e Petya hanno causato notevoli perdite finanziarie a un gran numero di imprese. Altri, come Mirai, il più grande attacco DDoS (Denial of Service) mai sferrato contro le principali piattaforme e servizi internet in Europa e Nord America alla fine del 2016, dimostra i rischi dell’interconnessione e della dipendenza che esiste, visto il condiviso utilizzo delle infrastrutture e dei fornitori di servizi Internet. A livello individuale, le carenze di sicurezza recentemente individuate nei chip dei computer in quasi tutti i dispositivi moderni rivelano la vulnerabilità informatica delle società moderne. Nel 2018 continuerà a crescere il potenziale di eventi cosiddetti “uragani informatici”, in cui gli hacker attaccano un numero sempre maggiore di imprese, concentrandosi sulle dipendenze delle infrastrutture comuni.

Il rischio privacy è di nuovo sotto i riflettori a seguito di grandi violazioni dei dati negli Stati Uniti. L’introduzione del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) in tutta Europa nel maggio 2018 intensificherà ulteriormente il controllo, con la prospettiva di ulteriori e maggiori sanzioni per le imprese che non si adeguano. Il tempo sta per scadere ed è necessario essere pronti al GDPR. «Rispetto agli Stati Uniti, dove le leggi sono già rigide, in Europa le imprese non sono altrettanto consapevoli dei rischi per la privacy. Molte aziende si renderanno rapidamente conto che le questioni relative alla privacy possono creare costi elevati una volta che il GDPR sarà pienamente implementato – spiega Emy Donavan, Global Head of Cyber di AGCS -. L’esperienza passata ha dimostrato che la risposta di un’azienda a una crisi informatica, come una violazione, ha un impatto diretto sui costi, sulla reputazione e sul valore di mercato dell’ azienda. Ciò diventerà ancora più vero nel quadro del GDPR».

A ciò si aggiunge l’impatto del rischio delle Nuove tecnologie, al secondo posto tra i maggiori rischi per il futuro a lungo termine dopo gli incidenti informatici, con i quali è strettamente interconnesso. La vulnerabilità e i guasti di macchine automatiche o addirittura autonome o auto- apprendenti, gli atti cyber dolosi come estorsioni o spionaggi, aumenteranno in futuro e potrebbero avere un impatto significativo qualora venissero coinvolte infrastrutture critiche, come le reti IT o l’alimentazione elettrica. «Anche se potremo assistere ad un numero inferiore di perdite grazie all’automazione e al monitoraggio che minimizzano il fattore di errore umano, persiste un grande potenziale di perdite su larga scala a seguito del verificarsi di un incidente”, spiega Michael Bruch, Responsabile di Emerging Trends, AGCS. Le aziende devono anche prepararsi ad affrontare nuovi rischi e obblighi, in quanto le responsabilità passano dall’uomo alla macchina, e quindi al produttore o al fornitore di software. La copertura e il trasferimento della responsabilità diverranno in futuro molto più impegnative».

 

Anche dal clima minaccia crescente

Dopo un record di 135 miliardi di dollari di perdite a causa delle sole catastrofi naturali del 2017 – le più alte mai registrate – causate dagli uragani Harvey, Irma e Maria negli Stati Uniti e nei Caraibi, le Catastrofi naturali tornano ad occupare la classifica dei primi tre rischi aziendali a livello globale. «L’impatto delle catastrofi naturali va ben oltre i danni fisici alle strutture delle zone colpite. Man mano che le industrie diventano più snelle e interdipendenti, le catastrofi naturali possono coinvolgere una grande varietà di settori in tutto il mondo che a prima vista potrebbero non sembrare direttamente interessati» dice Ali Shahkarami, responsabile della Catastrophe Risk Research, AGCS.1

Non a caso i fattori di Cambiamento climatico / aumentata instabilità metereologica sono un nuovo elemento nella top 10 del Risk Barometer del 2018. Il potenziale di perdita per le imprese è ulteriormente aggravato dalla rapida urbanizzazione delle zone costiere.

Vino, svolta verso la qualità, e a guadagnarci sono le enoteche

È stata un’onda lenta e costante, ma inarrestabile quella che ha portato una sempre maggiore attenzione alla qualità del vino: ma a guadagnarci sono state, nonostante gli sforzi fatti dalla Gdo (peraltro assai contenuti e spesso poco convinti), le enoteche che stanno vivendo un vero e proprio boom. Secondo un’analisi di Coldiretti e della Camera di commercio di Milano sono infatti cresciute del 13% in cinque anni fino ad arrivare a 7.300 in tutta Italia.

Una crescita diffusa: se infatti i tre capoluoghi con il più alto numero di punti vendita sono Napoli con 546, Roma con 482 e Milano con 264, la crescita maggiore si registra a Bologna (+170%), Foggia (+68%), Verona (+66%), Cuneo (+65%), Messina e ancora Milano (63%). Con una peculiarità: la presenza femminile con le donne alla guida di più di una enoteca su quattro (27%) mentre il 12% sono gestite da giovani soprattutto al Sud con un punte del 25% a Taranto e del 20% a Catania e Palermo.

 

I giovani cercano la qualità

La storia recente del rapporto degli italiani con il vino  è emblematica. Dopo aver raggiunto il minimo a 33 litri pro capite nel 2017, la tendenza si è invertita proprio l’anno scorso con un aumento degli acquisti delle famiglie del 3%, trainato dai vini Doc (+5%), dalle Igt (+4%) e degli spumanti (+6%) mentre sono calati gli acquisti di vini comuni (-4%). Numeri che confermano una decisa svolta verso la qualità con il vino che è diventato l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol. Lo dimostra il boom dei corsi per sommelier, ma anche il numero crescente di giovani che ci tiene ad essere informato sulle caratteristiche dei vini, mentre cresce tra le nuove generazioni la cultura della degustazione consapevole con la proliferazione di wine bar. Ma anche con la partecipazione ad eventi, sagre, feste locali legate in qualche modo al vino, che nell’ultimo anno ha visto la partecipazione di 16,1 milioni di italiani. E da qui si capisce anche il successo delle enoteche, ancor più forse che per l’assortimento per la presenza di un consiglio quanto mai richiesto e apprezzato.

Eppure il modo per vendere vino di qualità c’è: un esempio è la catena francese Nicolas (vedi articolo e gallery: Nicolas, l’enoteca di prossimità francese che spiega come si vende il vino). Per lo studio di un caso “nostrano” leggi Signorvino, la sfida interamente italiana e low cost del patron di Calzedonia.

Ai saldi invernali sempre più acquisti con la carta, +23% online, +11% in negozio

Seppur più lentamente che altrove, anche in Italia si stanno affermando i pagamenti digitali, e una buona cartina al tornasole sull’uso delle carte sono i saldi invernali: da venerdì 5 a sabato 13 gennaio sono state effettuate 59,3 milioni di operazioni con carte di debito, credito e prepagate emesse in Italia e gestite da SIA, che gestisce circa la metà delle operazioni di pagamento con carta in Italia. Tra queste, 12 milioni sono avvenute online.


L’incremento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, la prima settimana dei saldi invernali, è a due cifre: +13,4%. Gli acquisti online hanno contato per oltre il 20% del totale, in crescita del 23,1% rispetto al 2017 quando erano stati 9,7 milioni.
Ma anche nei negozi tradizionali i pagamenti con carta sono aumentati, dell’11,3% raggiungendo quest’anno i 47,4 milioni contro i 42,6 milioni del 2017.
Il maggior numero di pagamenti fisici (oltre 7 milioni) è stato registrato venerdì 5 gennaio 2018, il giorno in cui hanno preso il via in tutta Italia le vendite di fine stagione, mentre il picco di acquisti su siti di e-commerce (quasi 1,5 milioni) è avvenuto martedì 9 gennaio.

Sacchetti di plastica, se l’articolo è di lusso farli pagare è un imbarazzo

È questa la posizione di Aires, Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati, che in una nota ha preso posizione sulla legge che impone ai negozianti di far pagare i sacchetti di plastica al cliente finale, evidenziando nello scontrino l’importo al momento dell’acquisto del bene..

“L’obbligo  – si legge nella nota Aires – ha certamente generato alcune perplessità, anzitutto perché il costo viene applicato anche a buste che, in quanto potenzialmente riutilizzabili a tempo indeterminato, nella stragrande maggioranza dei casi verranno conservate a casa dopo l’acquisto non generando quindi rifiuti. Vi è in particolare da parte dei rivenditori specializzati di prodotti elettronici – e di molti commercianti di beni costosi – l’imbarazzo nel vedersi obbligati a chiedere ai clienti, che hanno magari speso più di 1000 Euro per uno smartphone di ultimissima generazione, il pagamento dei pochi centesimi relativi al costo di un sacchetto di plastica”.

L’associazione ricorda inoltre come il sacchetto sia necessario a rendere sicuro il trasporto di un bene di rilevante valore, in modo che non cada e si danneggi.

«Alla luce di tutto questo, abbiamo fatto alcune valutazioni ed è da ritenere auspicabile – dichiara Davide Rossi, Direttore Generale e Consigliere Aires – la facoltà di inserire nello scontrino uno sconto sul prezzo del bene che sia equivalente al costo di un sacchetto di dimensioni coerenti con quelle del prodotto acquistato, fermo restando che altre eventuali buste in plastica o sacchetti di dimensioni sproporzionate dovranno essere pagati».

Questa interpretazione risponde anche alle sollecitazioni pervenute da Massimiliano Dona, Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, che nei giorni scorsi aveva invitato le imprese della distribuzione a farsi carico di questi costi e tenere i clienti indenni dagli oneri ecologici, ferma restando l’attività di sensibilizzazione derivante dalla indicazione del valore del sacchetto nello scontrino.

Aires, Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati, costituita nell’ottobre 2005, riunisce le principali aziende e gruppi distributivi specializzati di elettrodomestici ed elettronica di consumo, e aderisce a Confcommercio Imprese per l’Italia. 

Theresa May ha un piano per ridurre la plastica: ai supermercati propone “corsie free from”

Il Governo britannico lavorerà con le insegne della Gdo per “introdurre corsie senza plastica dove i prodotti sono venduti sfusi o imballati con materiale riciclabile o biodegradabile”. Lo ha dichiarato il primo ministro Theresa May in una sorta di discorso alla nazione sui temi dell’ambientalismo, in cui la riduzione della plastica ha avuto un forte peso. Anzi, la premier ha dichiarato di voler rendere il Regno Unito una sorta di “avamposto” della lotta alla eliminazione della plastica “evitabile” assumendo la “leadership globale” sul tema.

Tra le proposte del “25 Year Environment Plan”, il piano per ridurre spreco e inquinamento, anche l’estensione della tassa da 5 penny sui sacchetti introdotta nei supermercati (che nel Regno Unito viene reinvestita in progetti per la tutela dell’ambiente) ai piccoli negozi e ai retail in genere, ma anche alle scatole di plastica usate per l’asporto.

Non si è fatta attendere la replica del British Retail Consortium l’associazione dei distributori: “I retailer stanno costantemente riducendo il peso degli imballaggi e assicurandosi che gli imballaggi che usano siano riciclabili – ha detto il direttore delle politiche alimentari Andrew Opie –. Anche se ci sono aree libere da plastica in un supermercato, come quelle dei prodotti sfusi e freschi, l’imballo gioca ancora un ruolo importante nel ridurre lo spreco di cibo e deve essere visto nel contesto più ampio dell’impatto totale sull’ambiente e della nostra filira di distribuzione. Per esempio, i cetrioli avvolti nella plastica durano cinque volte quelli non avvolti.” In ogni caso l’industria “apprezza queso approccio strategico e a lungo termine. La distribuzione vuoel vedere un approccio olistico all’ambiente e alle risorse piuttosto che lo spostamento da un singolo problema all’altro”.

Sequestro Gm Catania, le agromafie, business in crescita da 21,8 miliardi, anche nella Gdo

Un business in crescita addirittura del 30% nel 2017, e che va ormai dal controllo dei supermercati a quello della distribuzione dei prodotti agroalimentari: è quello delle agromafie, che ormai secondo Coldiretti gestisce un volume d’affari di 21,8 miliardi di euro, con attività che riguardano l’intera filiera agroalimentare. Lo conferma l’ultimo fatto di cronaca che ha visto il maxi-sequestro a Catania di beni per 41 milioni di euro a Michele Guglielmino, di 48 anni, personaggio vicino al clan Cappello-Bonaccorsi., tra cui l’intero patrimonio aziendale della catena di supermercati Gm con 13 supermercati “G.M.” tra  Catania provincia.

Secondo Coldiretti le mafie condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. “In questo modo la malavita si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy”.

Sarebbe proprio l’agroalimentare una delle aree prioritarie di investimento della malavita, settore strategico “perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone”. All’interno di questa logica i supermercati sono ideali coperture, con una facciata di legalità dietro la quale non è sempre facile risalire ai veri proprietari e all’origine dei capitali. 

«Le agromafie vanno contrastate nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi, nell’opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -, ma anche con la trasparenza e l’informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto».

 

Mani anche sulla ristorazione

Anche la ristorazione è bersaglio della criminalità organizzata, e sarebbero cinquemila i locali nelle mani della criminalità. Secondo il presidente Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi Lino Enrico Stoppani «La Ristorazione è vittima di un sistema malavitoso che impone ricatti ed estorsioni e che acquisisce locali, completando la sua filiera criminale, inquinando il settore e distorcendo le dinamiche concorrenziali, producendo danni aggiuntivi, anche di natura reputazionale per tutto il comparto, fatto per la stragrande maggioranza di operatori perbene, che lavorano e faticano valorizzando la filiera agro-alimentare».

Sempre secondo Fipe “va ripreso e rafforzato il controllo del territorio, tenuto monitorato lo sviluppo delle imprese, individuando indici di allerta (socio effettivo, importo degli avviamenti pagati, corrispettivi incassati, concentrazione di attività) che evidenzino anomalie sulle quali intervenire, proteggendo i veri imprenditori del settore che devono poter svolgere il loro lavoro liberamente, senza ricatti o distorsioni”.

 

 

Al via il bando alle microplastiche nel Regno Unito, in Italia stop dal 2020

La plastica è un problema sempre più pressante per l’ambiente, e si moltiplicano le azioni per cercare di limitarne l’uso, anche a livello normativo: dopo la legge sui sacchetti in Italia, è il Regno Unito a prendere posizione contro un tipo particolare, la microplastica o microbiglie, bandendone l’uso. Presenti in alcuni cosmetici come gli scrub e in prodotti per l’igiene come alcuni dentifrici, sono risultate estremamente dannose per la fauna marina, perché, oltre che non biodegradabili, date le piccole dimensioni si depositano sui fondali e sono facilmente ingerite da pesci e molluschi, diffondendosi e inquinando l’ecosistema, per arrivare anche nei nostri piatti tramite i prodotti ittici, ma sarebbero presenti anche nell’acqua che beviamo. In Australia, come avevamo anticipato,  nel 2016 è stata la Gdo a prendere posizione contro il loro uso, mentre negli Stati Uniti sono già proibite da una legge del 2015 e l’Oréal ha deciso di rinunciare all’impiego di microbiglie di polietilene nei suoi scrub entro il 2017. 

La legge britannica prevede la proibizione all’uso di microplastiche nella produzione dal 9 gennaio, mentre da luglio sarà proibita anche la vendita dei prodotti contenenti questi componenti.

Il commento della premier Theresa May domenica scorsa è stato: «Nel 2015 abbiamo introdotto la tassa da 5 pence sui sacchetti di plastica e ad oggi abbiamo visto una riduzione di 9 miliardi di sacchetti usati. [La legge] ha cambiato realmente le cose. Vogliamo che lo stesso accada anche con le plastiche usa e getta».

 

In Italia bando dal 2020, legge salvata in extremis dalla Finanziaria

In Italia il divieto di usare le microplastiche nei cosmetici partirà dal 2020, mentre dal 2019 è previsto lo stop ai cotton fioc in plastica. Lo prevede l’emendamento alla legge di Bilancio, approvato con riformulazione in V Commissione alla Camera, concordato con il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e sottoscritto dall’on. Enrico Borghi e da altri deputati di maggioranza e opposizione, che riprende alcuni punti del disegno di legge “Disposizioni in materia di composizione dei prodotti cosmetici e disciplina del marchio italiano di qualità ecologica”, a prima firma del presidente Pd della Commissione Ambiente alla Camera Ermete Realacci che, dopo essere passato alla Camera a ottobre 2016, era rimasto fermo per oltre un anno al Senato.

Secondo l’associazione Marevivo “Ci sono voluti quindici mesi di attività e pressione affinché si raggiungesse questo risultato, particolarmente importante per l’Italia perché, in merito alle microplastiche, il nostro Paese produce il 60% del make up a livello mondiale”.

Marevivo insieme a Legambiente e alle associazioni Greenpeace, Lav, Lipu, MedSharks e WWF avevano lanciato l’appello #Faidafiltro che aveva raccolto il sostegno di vari sostenitori del mondo scientifico, accademico, dello spettacolo, dello sport.

Un’analisi dell’Istituto per lo studio delle macromolecole del Cnr (Ismac-Cnr) di Biella ha rilevato che circa l’80% delle microplastiche – per la maggior parte costituite da polietilene (PE) –  si trova in prodotti da risciacquo, come esfolianti per corpo e viso, saponi struccanti e un prodotto antiforfora. Il polietilene è presente anche in creme per donna e per uomo: in metà di questi prodotti, il polietilene è inserito nelle prime quattro posizioni degli ingredienti, dopo l’acqua. Alcuni fra i prodotti con la maggior concentrazione di polietilene sono in vendita anche negli scaffali dei prodotti naturali ed esaltano una particolare attenzione per l’ambiente.

 

Alternative possibili

Nel frattempo si stanno già studiando delle alternative alla dannosissima e non biodegradabile plastica. La Bath University ad esempio a creato microbiglie dalla cellulosa,  materiale che si degrada facilmente. Mentre una azienda americana, Silk Therapeutics ha pensato di ricavare dai bachi già utilizzati una “seta liquida”, che viene introdotta nei cosmetici per un effetto “scrub” simile alle microbiglie.

Carrefour punta ancora sulle filiere locali e va con i produttori latte di Genova

Alla presentato del progetto c'erano le istituzioni locali: Stefano Mai, Assessore regionale alle Politiche Agricole, Marco Scajola, Assessore regionale all’Urbanistica e Giovanni Berrino, Assessore regionale al Turismo.

Punta ancora sulle filiere locali e il chilometro zero Carrefour Italia: dopo la partecipazione della prima ora al progetto Piemunto e a alla filiera del riso con Piemondina, annuncia la sua adesione al “Progetto di Filiera con i Produttori Latte di Genova” promosso dalla Confederazione Italiana Agricoltori Liguria. 

In seguito all’accordo, i prodotti realizzati con latte proveniente da allevamenti liguri saranno valorizzati in oltre 100 punti vendita di Genova e provincia e del Levante Ligure. I prodotti realizzati attraverso la filiera ligure saranno particolarmente riconoscibili dal cliente finale grazie al marchio presente sulle confezioni e attraverso uno speciale posizionamento e valorizzazione sugli scaffali Carrefour.

“Progetto di Filiera con i Produttori Latte di Genova” è l’ultima in ordine di tempo tra le collaborazioni che Carrefour Italia ha stretto con Istituzioni in tutto il Paese con l’ottica di valorizzare una produzione locale di qualità, rispettosa della tradizione e con i più alti standard di sostenibilità a livello ambientale e di benessere animale. Oltre a “Piemondina e a Piemunto, dedicato al latte, Toscafour riguarda i prodotti toscani. Progetti che hanno avuto la capacità di rilanciare il tessuto economico legato alla filiera zootecnica e di diffondere una cultura d’acquisto sempre più responsabile e attenta.

“Come Carrefour Italia già da tempo lavoriamo al fianco di chi opera quotidianamente per realizzare prodotti di qualità e attenti alle proprie radici in termini ambientali e di rispetto della tradizione. Il nostro impegno è quello di sostenere la filiera di eccellenza proponendo al cliente una scelta d’acquisto responsabile che possa portare valore aggiunto al proprio territorio d’appartenenza e sostenere in modo concreto i suoi produttori. La Liguria è una Regione di primaria importanza per Carrefour Italia che anche in quest’occasione dimostra il suo impegno verso il territorio” ha spiegato l’insegna in una nota.

Due nuove linee e nuove referenze per le private label Pam Panorama nel 2018

Nuove referenze e soprattutto due nuove linee ai nastri di partenza, nella prima parte del 2018: lo annuncia Pam Panorama facendo il punto sulla propria proposta MDD.

Pam Panorama negli ultimi anni ha incrementato sensibilmente gli investimenti nelle linee a marchio, in particolare nel biologico, nel benessere e nei prodotti premium. Al momento sono cinque:

  • La linea mainstream Pam Panorama, la prima linea di prodotti a marchio del Gruppo Pam. Nata nel 2006 con l’obiettivo di offrire i prodotti essenziali per tutti giorni, caratterizzati da un ottimo rapporto qualità – prezzo;
  • La linea i Tesori è arrivata sugli scaffali nel 2010 e oggi conta oltre 170 referenze. È composta da prodotti gastronomici di alta qualità, in particolare specialità regionali certificate DOP e IGP, prodotti da materie prime d’eccellenza con lavorazioni artigianali;
  • La linea Bio Pam Panorama è presente sul mercato dal 2015 e conta più di 150 referenze, tutte da agricoltura biologica. Ogni prodotto è realizzato nel rispetto dell’ambiente;
  • La linea Arkalia è stata introdotta nel 2015 e comprende oltre 70 referenze dedicate alla cura e all’igiene del corpo. A luglio 2017, la linea si è arricchita con i 20 prodotti di Arkalia Bio rivolti sia agli adulti sia ai bambini e caratterizzata dal 97% di ingredienti di origine naturale, certificati BIOS Nature Cosmetics, con oli ed estratti di origine biologica e dermatologicamente testati;
  • La linea Semplici e Buoni, ultima arrivata nel 2016, conta già più di 80 referenze ed è pensata per chi soffre di intolleranze alimentari o è attento alla linea, senza rinunciare al gusto. È suddivisa in cinque famiglia di prodotti: senza glutine, meno grassi, senza zuccheri aggiunti, ricchi di fibre e funzionali.

«Ad ottobre 2017, la nostra private label ha registrato la quota più alta dell’anno: un risultato che ci stimola a innovare la nostra offerta in modo continuativo e a continuare nella selezione di fornitori italiani che lavorano con materie prime di qualità – commenta Claudia Carvalho, Responsabile Private Label & Market Analysis Pam Panorama -. Siamo felici di annunciare che nel 2018 introdurremo nuove referenze e nuove linee di prodotto al fine di rispondere efficacemente alle richieste dei clienti».

Il 17 e il 18 gennaio, Pam Panorama sarà presente alla fiera Marca 2018 di Bologna dove presenterà le sue linee di prodotto a marchio privato e le relative novità.

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