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Carmela Ignaccolo

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LCC: quanta plastica c’è a scaffale? Lo studio di IRI

Forse ci si sarebbe dovuti svegliare prima. Ad ogni modo, meglio tardi che mai. Il vento ambientalista, infatti, si sta rapidamente diffondendo. Non possiamo che augurarci che duri.

Tra i principali nemici  contro cui si è intrapresa battaglia, c’è la plastica. L’obiettivo è ridurne nel medio-lungo periodo sia la produzione che l’utilizzo e  (soprattutto) la dispersione nell’ambiente. Dalla UE un importante assist: la direttiva 2019/904 che ha stabilito come, a partire dal 2021, non potranno più essere immessi sul mercato posate, piatti, cannucce, aste per palloncini, recipienti per alimenti e per bevande in plastica. Al loro posto dovranno essere usati oggetti compostabili. Sulle bottiglie di plastica la Direttiva ha previsto una regolamentazione diversa, fissando un obiettivo di raccolta del 90% entro il 2029 e l’utilizzo di materiali riciclati al 30% entro il 2030.
Al di là della parte strettamente normativa, l’UE, ha attivato iniziative sotenibili come il progetto «Bio-plastics Europe» che per 4 anni vedrà coinvolti 10
pesi dell’Unione, tra cui l’ Italia, nella progettazione di prodotti innovativi e nello
sviluppo di modelli di business che facilitino efficienza, riutilizzo e riciclo,  compresa la garanzia della sicurezza dei materiali riciclati quando utilizzati per la realizzazione di giocattoli o imballi per alimenti.
In questo scenario viene da chiedersi, però, quale sia lo stato dell’arte in termini di volumi di plastica in circolazione e in vendita in GDO.

Dallo studio di IRI, effettuato tramite IRI Liquid Data®, integrando le  informazioni di vendita con i dati Immagino GS1 Italy, è emerso che circa il 33% dei prodotti confezionati di Largo Consumo venduti in Ipermercati, Supermercati e Libero Servizio è offerto in confezioni di plastica rigida o a base di materiale plastico rigido. Se nel computo si volessero includere anche i filler o le buste di plastica, le percentuali crescerebbero sicuramente, in particolare nel reparto del Fresco Confezionato.
Questo dato, tradotto in denaro, indica che per ogni 100 euro spesi in media dalle
famiglie per la spesa di tutti giorni, 28 sono destinati a comprare prodotti  confezionati con la plastica.

Comparto che vai plastica che trovi

L’incidenza varia però molto a seconda dei reparti di consumo. Infatti al primo posto troviamo Detersivi e Detergenti (90% dei prodotti pari al 94% della spesa) e i Freschi Confezionati (69% delle referenze che raccolgono il 46% della spesa), mentre fanalino di coda è il mondo delle Bevande Alcoliche (1% dei prodotti, trascurabile la quota di spesa).

Ma veniamo alla nota (più) dolente: quanta di questa plastica è riciclabile?

Stando a quanto dichiarato (scritto) dai produttori sulle confezioni, solo il 4% dei plastic-packs segnala al consumatore che l’involucro è riciclabile. Una  comunicazione purtroppo ancora carente, ma che però ha una sua efficacia nei confronti degli acquirenti. Infatti questa piccola percentuale di prodotti sugli scaffali cattura ben il 14% della spesa per prodotti con confezioni di plastica.
Questo atteggiamento è più evidente nelle Bevande Analcoliche dove il 49% degli
acquisti (a valore) di prodotti confezionati in plastica è costituito da referenze che
comunicano la riciclabilità della plastica in cui sono contenuti.

Conclusioni
Da un lato, la quota parte di plastica riciclabile è più ampia di quanto viene
comunicato e sarebbe quindi necessario migliorare l’aspetto della comunicazione
delle aziende produttrici. Dall’altro lato però, sul mercato ci sono ancora molti pack non riciclabili e spesso per le aziende cambiare le modalità produttive e reinventarsi non è semplice. Alcune realtà aziendali hanno iniziato a seguire processi di diversificazione utilizzando altri materiali come le bioplastiche (le più affini alle plastiche tradizionali per lavorabilità), oppure, in alcuni casi, le fibre vegetali. Si tratta però di processi industriali molto diversi che presuppongono forti investimenti e lunghi tempi di realizzazione. Inoltre, convertirsi al compostabile significa andare a competere su terreni già presidiati, non tanto da produttori nazionali ed europei, quanto piuttosto da importatori dall’estremo oriente, dato che molti prodotti in fibra naturale e in bioplastica sono oggi di loro produzione.

Algoritmi, realtà virtuale e AI: a tu per tu con Stefania Bandini

Tra assistenti vocali, robot sempre più autonomi e realtà virtuale diffusamente implementata, l’impressione è che l’Intelligenza Artificiale sia materia prettamente contemporanea, tema di rottura netta con il passato. E invece…

“E invece – sorride paziente Stefania Bandini – costretta dai sui doveri di docente universitaria a fare la spola tra l’Ateneo di Milano Bicocca  e l’Università di Tokyo – sarà proprio il caso di sfatare un mito.

L’intelligenza Artificiale ha sì una data di nascita, ma non è certo recente: per trovarla dobbiamo andare indietro nel tempo, e precisamente   all’ agosto del 1956 (Conferenza di Dormouth), per l’esattezza, quando un pool di ingegneri, psicologici, linguisti e informatici, decise di partire da là: dalle possibilità offerte dai neonascenti computer, metterlo in condizioni di eseguire performances tipiche del problem solving umano, soprattutto nel ragionamento logico. L’ambizione, insomma, era quella di avere macchine che, in modo ingenuo, potremmo definire ‘pensanti’”.

Obiettivo mancato, però…

“Infatti. Negli anni del suo sviluppo l’Intelligenza Artificiale ha vissuto alti e bassi. Ad esempio, c’è stato un momento di grande interesse verso questa disciplina negli anni ’80, con il fiorire dei cosiddetti Sistemi Esperti, che, invece di trattare del ragionamento in generale (che opera su tutti i settori del sapere) si sono concentrati verso ambiti circoscritti del problem solving umano (diagnostica, configurazione di sistemi complessi, pianificazione automatica, etc.) .

Come si spiega allora il boom di oggi?

Semplice: nasce dal combinato disposto di un’enorme mole di dati, delle fitte reti sociali e dell’evoluzione tecnologica. Algoritmi già messi a punto, per esempio, nell’apprendimento automatico oggi possono essere applicati perché abbiamo a disposizione una grande quantità di dati digitali (Big Data). A questo vanno aggiunti i progressi tecnologici (velocità e memoria) e telematici. Senza questo tipo di progresso generale del mondo dell’informatica l’Intelligenza Artificiale rischiava di rimanere all’interno del laboratori di ricerca.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Con un pizzico di marketing, magari…

Beh, in qualche caso. Specialmente quando le implementazioni di AI sono settoriali, relative ad un singolo settore, ad un aspetto specifico (per esempio, la visione automatica, o la profilazione dei clienti). A quel punto è chiaro che si punti a dargli il massimo della visibilità, per ottenerne i maggiori ritorni possibili.

In quest’ambito, in che ruolo gioca il nostro Paese?

Senz’altro primario. Siamo molto avanti nel campo della ricerca e siamo molto richiesti all’estero. Il problema è sempre lo stesso: chi esce non sempre è incentivato a ritornare. La mancanza di fondi per la ricerca è ormai molto congenita e bisognerà pensare in modo più sistemico per valorizzare al massimo le potenzialità che il nostro Paese esprime.

In prospettiva, quali saranno le prossime frontiere dell’Intelligenza Artificiale?

Il ventaglio di possibilità è ampio e ricco di prospettive: di queste, ne abbiamo diffusamente discusso durante la settimana dell’International Summer School “Advances in Artificial Intelligence”. Di fatto sono emerse 5 tracce operative verso cui si aprono le nuove frontiere dell’Intelligenza Artificiale:

–        Combinare le tecniche di apprendimento automatico con quelle di ragionamento, per essere sempre più aderenti all’operare umano;

–        Sviluppare algoritmi e tecniche di rappresentazione per il trattamento della “conoscenza incerta”, altra peculiarità del problem solving quotidiano negli esseri umani;

–        Studiare e creare nuovi modelli di Intelligenza Collettiva, come i fenomeni di aggregazione sociale fisica (crowd) e virtuale (reti sociali);

–        Coniugare l’Intelligenza Artificiale con la realtà virtuale e i sistemi adattivi (robotica umanoide, tecnologia sensoristica) fino ad arrivare a una conoscenza più profonda dei fenomeni emozionali;

–        Promuovere l’ingegnerizzazione applicativa di risultati promettenti verso il mondo produttivo.

Queste le macro tematiche. Ma quali saranno i prossimi traguardi dell’AI nell’ambito dell’industria e del retail?

Diciamo che in questo settore l’ambito applicativo più ricercato oggi è quello relativo alla profilazione dell’utente, in modo da assecondarne gusti, preferenze e bisogni, personalizzando e indirizzando al massimo l’offerta.

E la privacy?

Purtroppo molto spesso è a rischio. Della questione si dibatte da tempo. Se ne è parlato al G20 di Osaka due anni fa, quando fu redatto un decalogo sull’AI, e se ne continua a parlare in sede UE, con la pubblicazione di documenti di indirizzo. A parte questi embrionali tentativi di regolamentazione, il rischio di un’automazione deresponsabilizzata non è stato disinnescato, e quindi siamo all’alba del disegno di nuovi scenari nell’interazione tra uomo e macchina.

Tra le branche di sviluppo lei ha citato l’intelligenza collettiva, che poi è lo specifico ramo di studio che l’ha condotta in Giappone. Ce ne può parlare?

Studiare l’intelligenza collettiva mi ha portato ad osservare gli aggregati sociali (siano essi fisici o virtuali) per trarne dati e strumenti predittivi e poi proporre soluzioni “confortevoli o sicure” da cui la massa numerica possa trarre giovamento. In Giappone stiamo lavorando all’accoglienza dei visitatori previsti per le prossime Olimpiadi, e che – inevitabilmente – andranno ad impattare (con il rischio di sovvertirli) sui ritmi quotidiani degli abitanti locali. Il nostro obiettivo è quello di trovare algoritmi in grado di ottimizzare l’offerta e garantire il massimo del comfort.


Photo by Moose Photos from Pexels

Le criticità maggiori fino ad oggi riscontrate nel suo lavoro?

Per quanto riguarda la specifica ricerca della realizzazione di strumenti di supporto alla gestione delle folle, manca una figura professionale di riferimento come il “crowd manager “ (a livello nazionale e internazionale), in modo da mettere a disposizione strumenti e competenze per attivare una sinergia tra esperienza umana e analisi provenienti da tecniche come sentiment analisys e machine learning. Attualmente abbiano a disposizione una gamma molto ampia di possibilità combinatorie delle tecnologie esistenti: per usare una metafora, abbiamo in “frigorifero” tanti ingredienti, ma solo le capacità di  combinarli da parte di uno “chef” permette di realizzare pietanze eccellenti. Oggi noi abbiamo a disposizione una grande quantità di dati e le tecnologie per trattarli, ma occorre un piano strategico “naturalmente intelligente” per il loro uso efficace, su tutti i settori dello sviluppo sociale ed economico.

Vino italiano ed export: superati a valore i 3 miliardi di euro

Mai successo prima: nel primo semestre 2019 le esportazioni di vino italiano hanno superato i 3 miliardi di euro. Significa che la crescita in valore è pari al +3,1% rispetto al primo semestre 2018 (2,9 miliardi di euro), che a sua volta aveva segnato un +4,1% sull’analogo periodo del 2017 (2,8 miliardi). Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Qualivita Wine su dati Istat, in termini di valore, le esportazioni hanno segno positivo per i due principali mercati di destinazione USA (+1,9%, per un valore di oltre 736 milioni di euro) e Germania (+3,7% per 514 milioni di euro), mentre mostrano un calo per i due Paesi successivi Regno Unito (-1,9%, 342 milioni di euro) e Svizzera (-0,8%, 186 milioni di euro). Confermano trend particolarmente buoni, la Francia (+9,3%, per un valore che sfiora i 100 milioni di euro) – che aveva già fatto registrare un +10,1% sull’export totale annuo nel 2018 – i Paesi Bassi (+14,2%) e il Giappone (+15,0%), che recupera così lo stallo mostrato nel 2018 e supera i 91 milioni di euro. Fra i grandi mercati extra europei, la Cina continua a coprire una fetta dell’export ridotta (2,1%) ma con un buon trend (+4,9%) nei primi sei mesi del 2019, mentre sembra più consistente la crescita nel mercato russo (+14,7%). Fra gli altri mercati di destinazione si sottolineano trend importanti in Polonia (+20,7%) e Corea del Sud (+14,6%) – che confermano la crescita mostrata già nell’anno 2018 rispettivamente pari a +23,3% e +14,6% – in Repubblica Ceca (+20,2%), Spagna (+17,1%) e Ucraina (+17,4%). Il 60% dell’export vinicolo italiano in valore è destinato in Europa (+3,3%), il 31% in America (+1,4%), il 7,7% in Asia (+8,0%).

 

A proposito di volumi

Si registra una crescita del +8,8% del totale export vinicolo made in Italy nei primi sei mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo 2018. La crescita in quantità è da registrare soprattutto in Europa (+11,2%) e in Asia (+19,5%), mentre in America si ha una leggera flessione nei volumi esportati (-0,8%) a fronte di un aumento in termini di valore (+1,4%), segno che in queste piazze si è riusciti ad affermare un prezzo più alto del prodotto esportato.

Le principali regioni esportatrici

In crescita l’export per le prime quattro regioni italiane per export vinicolo – Veneto (+3,6%), Piemonte (+4,9%), Toscana (+4,3%) e Trentino-Alto Adige (+2,4%) – che insieme sfiorano i 2,3 miliardi di euro di esportazioni nei primi sei mesi dell’anno, pari al 76,1% del totale italiano. Sopra i 100 milioni di export anche Emilia-Romagna e Lombardia che registrano entrambe un leggero calo (-0,7%) rispetto al primo semestre 2018.

Largo Consumo: bilanci e previsioni di Nielsen

Photo by Tim Mossholder from Pexels

E il gradino più alto del podio, nel ranking del largo consumo delle principali economie, spetta all’Italia. Parola di Nielsen. Nel secondo trimestre 2019, infatti, il fatturato del largo consumo nel nostro Paese è cresciuto del +4,0%, grazie a un aumento dei volumi del +3,3% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente e da un incremento del +1,4% dei prezzi.
Alla Germania (fatturato +2,4%, volumi +1%, prezzi +1,4%), va l’argento, terzo gradino alla  la Spagna (fatturato +2,3%, volumi +0,5%, prezzi +1,8%),seguono poi la Francia (fatturato +1,3%, volumi -0,7%, prezzi +2%) e il Regno Unito (fatturato +0,7%, volumi – 0,4%, prezzi +1,2%).

L’ammontare della spesa nel largo consumo nel continente europeo in generale cresce del +3,4% nel secondo trimestre del 2019 rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, una percentuale spiegata da una crescita in volumi del +0,5% e in prezzi del +2,9%.
Rispetto alla media europea, l’Italia dunque si colloca al di sopra per fatturato complessivo (+4,0% vs. +3,4%) e per volumi acquistati (+3,3% vs. +0,5%) mentre è al di sotto della media dell’aumento dei prezzi (+0,7% vs. +2,9%).

Lo scenario che verrà
“A fronte di nove mesi positivi per l’Italia, con una crescita in valore del +2% dall’inizio dell’anno (1 Gennaio-22 Settembre 2019), nei prossimi mesi – dichiara Laurent Zeller, amministratore delegato di Nielsen Italia – si prevede che in Europa si verifichi un rallentamento economico dovuto alla Brexit e alle dispute sui dazi internazionali. In uno scenario così incerto, è probabile che la domanda si riduca lievemente soprattutto per i prodotti di largo consumo. A fronte di un primo semestre positivo”.In generale l’economia europea sta già mostrando i primi segni di rallentamento: la crescita del PIL nell’Unione arriva a quota +0,2% nel secondo trimestre 2019 rispetto al primo trimestre 2019, mentre la crescita su base annua è del +1,4%, rispetto al +1,6% nel primo trimestre 2019.
“Il tasso d’inflazione annuo nell’Eurozona è all’1% – dichiara Romolo de Camillis, Retailer Services Director di Nielsen Italia -. Se il costo dell’energia è in calo, quello di cibo, alcol, tabacco e servizi stanno crescendo rapidamente. Produttori e distributori dovrebbero tenere a mente che questo impatterà sia l’ammontare della spesa dei consumatori nella GDO, sia la scelta dei brand nel momento dell’acquisto, risultando in consumi più prudenti. Occorrerà sostenere la domanda con rinnovate strategie promozionali.” A livello di contintente, il Paese più in crescita è ancora la Turchia, anche grazie all’inflazione più alta (trend
anno su anno +19,4%), mentre si rileva un calo nell’andamento dei volumi (-5,4%). Gli altri Paesi che presentano tassi di crescita elevati sono Ungheria (+7,7%), Polonia (+7,1%), Repubblica Ceca (+6,6%), Slovacchia (+4,6%) e Portogallo (+4,2%). La Finlandia, con +0,3%, ha l’incremento più modesto.

FrescoFrigo installa uno dei suoi frigo intelligenti a NewYork

FrescoFrigo, startup italiana dedicata all’healthy food close to you, porta a NewYork, uno dei suoi frigoriferi intelligenti, installandolo direttamente nella 43th strada di Manhattan all’interno del quartier generale di un’importante realtà statunitense che opera nel settore Real Estate.

“New York e gli USA in generale, rappresentano il palcoscenico più innovativo e dinamico, quando si parla di tecnologie per il retail, qui i consumatori sono ormai abituati ad user experience digitali e a soluzioni evolute anche per ordinare il caffè mattutino. – ha dichiarato Nino Lo Iacono, Co-Founder, COO & Head of Tech di FrescoFrigo – Ed è proprio in questo tipo di mercato, che desideravamo dimostrare la scalabilità e l’incisività di FrescoFrigo come canale di vendita, in grado di offrire comodità ai consumatori finali e capillarità ai food vendor. Comodità e capillarità che rappresentano proprio ciò che il mercato cerca oggi e ciò che FrescoFrigo è in grado di offrire in modo efficace, attraverso un business model profittevole e sostenibile sia per noi che per i nostri partner.”

“Sono proprio questi i plus che ci hanno consentito di chiudere una partnership di questo calibro in pochissimo tempo, sia con la location sia con il partner ristorativo” – ha concluso Lo Iacono.

Il partner ristorativo

FrescoFrigo ha infatti siglato un’importante collaborazione con la catena di ristoranti Proper Food, una realtà salutare, che propone piatti e snack in modalità take away attraverso 13 punti vendita distribuiti tra San Francisco e New York. Il menù, realizzato giornalmente da Proper Food con prodotti freschissimi e stagionali, nel periodo invernale si arricchirà di squisite zuppe, deliziose insalate e gustosi sandwich, mentre nel periodo estivo troveranno posto freschissime macedonie, salutari yogurt guarniti, estratti di frutta e verdura, il tutto esclusivamente “home made”.

‘Abbiamo ideato Proper Food perché crediamo non si debba mai scegliere se mangiare bene o mangiare in fretta; per questo il nostro obiettivo è quello di rendere facilmente accessibile il cibo di alta qualità e FrescoFrigo promuove questa mission portando i nostri prodotti salutari e cucinati da zero ogni mattina direttamente negli uffici, così le persone potranno gustare pasti freschi preparati dallo chef anche nei luoghi di lavoro’ – ha dichiarato Dana Bloom, co-fondatrice di Proper Food, concludendo poi – ‘Non è necessario compromettere la qualità per la praticità, neppure nei giorni più impegnativi. Non vediamo l’ora di espandere questa collaborazione con FrescoFrigo per promuovere la nostra missione di fornire cibo salutare, sostenibile e delizioso a tutti’.

Il partner per i pagamenti

Come già avviene per il mercato italiano, anche per quello americano sarà Stripe ad accompagnare e supportare FrescoFrigo nella gestione dei pagamenti via internet. ‘Siamo estremamente felici di vedere una realtà di così recente fondazione, realizzare le proprie ambizioni internazionali con l’innovativa soluzione di “food delivery da ufficio” da loro ideata’ – dichiara Alessandro Astone, Country Manager Italia di Stripe – ‘Il nostro obiettivo è quello di permettere alle aziende di ogni dimensione di gestire i pagamenti in modo rapido e semplice: in questo caso specifico fornire ai propri clienti un’esperienza di pagamento piacevole e seamless via mobile, garantendo allo stesso tempo a FrescoFrigo di poter smistare automaticamente l’incasso ai propri partner e punti vendita’.

I clienti potranno visionare i prodotti dalla grande vetrina frontale del frigorifero intelligente, sbloccare e aprire il frigo tramite una mobile app, scegliere i prodotti che preferiscono e concludere l’acquisto semplicemente chiudendo la porta del frigo. La tecnologia RFID con connessione in cloud di cui è dotato il frigo rileva l’operazione e addebita elettronicamente al cliente il costo dei prodotti scelti.

 

Abbigliamento: perdite inventariali pari a circa 375 milioni di euro

Differenze inventariali: quanto incidono sul retail? E quanto spendono i retailer in misure di sicurezza? Le risposte ce le fornisce la ricerca Retail Security in Europe. Going beyond Shrinkage”, realizzata da Crime&Tech, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems.

E fa riflettere.

Nel 2017, infatti, il loro ammontare è stato dell’1,5% del fatturato complessivo dei retailer coinvolti e provenienti da 11 Paesi europei.  Limitatamente al settore dell’abbigliamento, poi, è emerso che la percentuale di perdite è stata pari all’1,4%, seguita dall’1,3% dei retailer specializzati in accessori. La buona notizia? L’89% dei rispondenti ha comunque registrato un drastico calo rispetto al biennio precedente.

Ciò non toglie che il costo è comunque molto alto: le perdite annue per i retailer dell’apparel ammontano infatti a 375 milioni di euro, che sommati alle cifre dei settori che si occupano di scarpe e accessori arriva a 464 milioni. Inoltre la cifra aumenta ancora di più se si prendono in considerazione anche tutte le altre divisioni del retail, raggiungendo i 49 miliardi di euro l’anno.

Gli articoli più rubati

Al primo posto ci sono i pantaloni, seguiti dai pullover e dalle camicie: tutti prodotti facilmente rivendibili online. L’80% dei retailer intervistati dalla ricerca e coinvolti nel settore dell’apparel, ha inoltre individuato dei periodi di maggiore incidenza del fenomeno dello shrinkage, come il lancio di nuove collezioni, le festività e i fine settimana.

L’abbigliamento risulta anche essere il settore maggiormente soggetto ai furti definiti “interni”, come ad esempio l’appropriazione indebita di beni e di denaro. Una fetta importante delle perdite nell’apparel è poi dovuta a motivazioni di natura non criminale, come le restituzioni di prodotti difettosi (da non confondersi con il sempre più dilagante fenomeno del wardrobing, ossia i resi fraudolenti).

La spesa in sicurezza

In Europa i retailer spendono in media lo 0,62% del fatturato in misure di sicurezza e l’abbigliamento è tra i settori che investono più risorse, utilizzando lo 0,7% del proprio fatturato in tecnologie e mezzi per la protezione della merce. In quest’ambito le soluzioni protettive proposte da Checkpoint Systems sona varie.

Come la recente S20, che si adatta al design dello store, garantendo contemporaneamente un’esperienza di acquisto sicura e senza ostacoli, caratteristica che nel settore dell’abbigliamento si rende primaria per un maggiore appeal verso la clientela. Diverse anche le soluzioni di etichettatura dei capi d’abbigliamento con cartellini intelligenti, adatti a tecnologie sia RFID sia EAS e applicabili direttamente in negozio o in fase di produzione: un esempio in questo senso sono le etichette rigide e la recente R-Turn Tag, studiata appositamente per contrastare i resi fraudolenti dei “wardrobers”.

Checkpoint Systems fornisce inoltre soluzioni per il controllo preciso e sicuro degli inventari anche lungo la supply chain: l’RFID Hanging Garment Tunnel , studiato appositamente per il settore apparel, permette di scansionare capi di abbigliamento appesi, nei centri di distribuzione, per un controllo delle merci più veloce, preciso e completo in entrata e in uscita. L’hardware può essere anche connesso ad HALO, la piattaforma software di Checkpoint Systems che fornisce soluzioni intelligenti uniche nel loro genere e incentrate su suggerimenti di azioni mirate, provenienti da dati raccolti da sensori presenti in ogni punto della supply chain.

 

 

Roadhouse Restaurant: prosegue a Rovereto il suo piano di aperture

Roadhouse Restaurant prosegue nel festeggiamento dei suoi primi 18 anni di vita con il piano importante di nuove aperture annunciato a inizio 2019, con un nuovo locale a Rovereto, il 2° in Trentino Alto Adige, e il 144° della catena. Nei primi otto mesi dell’anno sono stati 14 i nuovi ristoranti aperti: i più recenti, prima di Rovereto, sono stati inaugurati a San Martino Buon Albergo (VR), Milazzo (ME), San Rocco al Porto (LO), Monza, Noventa di Piave (VE) e Roma Salario Center.
 
Il locale di Rovereto si trova negli spazi di un precedente distributore Agip, oggi demolito, e si va ad inserire nel tessuto urbano della città e a fianco del nuovo piano di intervento di riqualificazione dell’ex area Marangoni Meccanica. Si tratta di una struttura di nuova costruzione interamente occupata da Roadhouse, con 170 posti a sedere e un ampio parcheggio per oltre 60 posti auto e dove lavorano 30 giovani, tutti neoassunti del territorio. Il locale  ha il WIFI gratuito e offre la possibilità, tramite l’APP Roadhouse, di utilizzare la fidelity card per ottenere sconti e promozioni esclusive, oltre a pagare tramite smartphone evitando la fila in cassa. Inoltre per tutti i bambini sono a disposizione le innovative aree kids, con giochi interattivi dove divertirsi in tutta sicurezza.

Il negozio del futuro? Se è troppo intelligente fa paura. La ricerca Ipsos per Axis

Cosa cercano i consumatori oggi? Personalizzazione e contatto umano. E’ per questo che il punto vendita fisica non ha perso il suo appeal.

E continuerà ad avere un suo fascino anche in futuro. Purché, ovviamente, non rinunci a queste sue ambite prerogative. Per questo il negozio intelligente, appassiona, ma con misura…

Ecco alcuni degli spunti emersi dalla ricerca Ipsos commissionata da Axis.

Fisico vs on-line

Il retail si evolve. Dalla grande catena al piccolo franchising le esigenze cambiano, ma sempre in nome della customer experience, che non deve mai essere penalizzata, ma al contrario rimanere sempre centrale. Da qui  – puntualizza  l’esigenza di migliorare la sicurezza in store, ridurre le code in cassa, gestire i picchi d’affluenza e ottimizzare l’allocazione del personale.

Si deve insomma lavorare sul mix per rendere piacevole la permanenza in negozio e incentivare gli atti d’acquisto.

Anche perché il grande (minaccioso) concorrente – l’e-commerce – incombe sempre più da vicino.

Ad oggi – ci svela la ricerca Ispos – il negozio tradizionale ha ancora la meglio, aggiudicandosi la preferenza del 90% del campione.

Cosa piace di più? Essenzialmente la possibilità di avere subito a disposizione il prodotto, di poterlo provare in loco e di poter chiedere direttamente consiglio agli addetti. Ma non basta, lo store brick and mortar viene vissuto anche come un luogo in cui raccogliere informazioni e in cui poter svagarsi. E questo specialmente tra i giovanissimi.

Una caratterizzazione che i distributori non devono trascurare in quanto può trasformarsi in una grossa opportunità.

Valutazione del negozio fisico in ottica futura

La pagella oggi è un po’ ondivaga: se sono apprezzati aspetti come cortesia, competenza e disponibilità, ci sono invece ancora margini di crescita in altri settori come quello della personalizzazione, dello svago, della consegna a domicilio e delle tecnologie.

Voci che dovranno essere capitalizzate nella concretizzazione dello store futuro.

Ma come lo vedono oggi i consumatori il negozio che verrà?

Essenzialmente – ci racconta la ricerca Ipsos – conta l’atmosfera (82%): ciò che importa, cioè, è sentirsi a proprio agio. A cascata, poi, l’attenzione del campione si focalizza su vari altri elementi: la musica adatta (75%), un trattamento personalizzato (65%), la possibilità di essere riconosciuto all’ingresso nel negozio e quindi di essere inserito in un programma di fidelizzazione (65%).

Questione di atmosfera

Veniamo allora al dunque. Cosa dovrà esserci nel negozio del futuro?

Beh, il campione apprezzerebbe molto che fosse totalmente ecologico, per cominciare. E poi non disdegnerebbe delle implementazioni tecnologiche come un pavimento interattivo utile ad orientarsi. Attenzione però, a non esagerare perché un negozio totalmente digitalizzato, invece, non sarebbe affatto gradito.

 

 

E ancora: promossa a pieni voti la personalizzazione (sia che si tratti di articoli su misura, sia che si tratti di  realizzare proprie creazioni), bocciata invece l’idea di avere robot guida che informino la clientela o ologrammi che sostituiscano gli assistenti di vendita.

 

 

Il cliente vuole essere unico, e venire riconosciuto nella propria identità. Da qui allora da una parte l’apprezzamento per una profilazione tramite smartphone o per un personal shopper, dall’altra il rifiuto per un coach virtuale che offra consigli in base al riconoscimento facciale: troppo spersonalizzante e generalizzante!

 

 

 

No alla massificazione dunque. Per questo il campione promuove un’atmosfera sonora intelligente, capace di diversificarsi nei vari reparti e in base al profilo del cliente. ma boccia la musica live di un DJ o quella di un concerto (troppo di massa).

 

E no anche all’astrazione: se vanno bene le  attrezzature che permettono di provare prodotti in condizioni simili a quelle reali e di proporre un’esperienza immersiva, non altrettanto positivamente – invece – il campione giudica caschi e occhiali di realtà virtuale.

 

 

Infine un ok incondizionato a quelle implementazioni in grado di far risparmiare tempo come il selfscanning in cassa e il click and collect.

Metodologia

La ricerca è stata effettuata tramite un questionario online interattivo su un campione rappresentativo di 505 clienti retail nei settori fashion, sport e beauty.

Davide Cavalieri e il suo desiderio chiamato retail

“Il retail non è morto, signori! A essere morto è il retail noioso, stanco, povero di immaginazione e avaro di parole. Il retail denso, originale e spregiudicato, che parla al cuore delle persone e ne stuzzica la fantasia, gode invece di ottima salute.”

E’ questo l’assunto di “Un desiderio chiamato Retail” la nuova fatica letteraria di Davide Cavalieri, fondatore e General Manager di Cavalieri Retailing.

Per rivitalizzare questa passione, ricorda l’autore, servono pochi  ma basilari ingredienti: la passione, un target di riferimento, degli obiettivi ben precisi, un’organizzazione sistematica e una comunicazione vincente.

Pensato per gli operatori di settore e aspiranti tali che sono interessati a conoscere le strategie e i segreti del retail, il libro di Cavalieri si rivolge, in generale, a tutti coloro che desiderano diventare artefici del proprio destino professionale, confrontandosi con un mondo che cambia continuamente. Ai curiosi di ogni settore, fede e passione, a quelli che non si arrendono e che affrontano la vita di petto, con fiducia e un pizzico di follia. Ai sognatori che non fuggono dalla realtà, ma ci entrano dentro e provano a migliorarla.

Il libro è disponibile nelle librerie, nei canali digitali oppure direttamente nella sezione e-commerce del sito Cavalieri Retail www.cavalieriretail.com/un-desiderio-chiamato-retail, dove la spedizione è gratuita.

 

Prima colazione, un mercato che vale oltre 10 miliardi di euro

La situazione migliora. Almeno per quanto concerne la colazione. Rispetto  a sei anni fa, infatti, aumenta la percentuale di chi la consuma abitualmente, passando dall’86% all’attuale 88%. Molto bene anche le famiglie con figli sotto i 14 anni.

Rimane un problema con i più giovani: tra i 15 e i 24 anni il numero di chi la salta sale infatti al 18%. Ma perché rinunciano? Per la difficoltà a mangiare appena svegli (29%), la preferenza nel consumare qualcosa a metà mattina (25%), perché ci si alza troppo tardi (16%) o per mancanza di tempo (15%).

Sono questi alcuni dei dati emersi da una ricerca a cura dell’Osservatorio Doxa/UnionFood “Io Comincio Bene” presentata nel corso di un incontro organizzato da Unione Italiana Food,  insieme alla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) e la Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione (SISA).

I gusti degli italiani

L’indagine Doxa/UnionFood conferma un crescente interesse per i prodotti salutistici: oggi 1 italiano su 2 si dichiara favorevole, e lo sono il 70% degli under 44. Negli ultimi 10 anni lo zucchero presente in biscotti, merendine e cereali da prima colazione è diminuito del 29%. Nei biscotti è stata dimezzata la presenza di grassi saturi, mentre i cereali da prima colazione hanno oggi più fibre (+145%) e meno sodio (-61%).

I prodotti preferiti? Ai primi posti della classifica si confermano pane e fette biscottate, con o senza marmellata, miele e creme spalmabili alla nocciola o al cacao (43%) e biscotti classici o ai cereali, ricchi o salutistici (40%). Al terzo posto troviamo merendine e brioches confezionate (16%) – molto amate soprattutto dagli under 34 – e yogurt (12%): due scelte in crescita rispetto al 2013. Resta stabile il consumo di muesli e cereali da prima colazione (8%), molto amati dai giovanissimi: sono consumati dal 19% degli under 24. Il consumo di frutta fresca si ferma al 6%.

Tra le bevande si conferma caffellatte o cappuccino in cima alle preferenze (33%), seguito da caffè (32%) e latte (31%). Quarto posto invece per tè e tisane (12%). Cresce il numero di chi sceglie un caffè espresso a colazione, passando dal 19% del 2013 al 24% del 2019. A farne il maggior consumo è la fascia di età tra i 25 e i 34 anni. I giovani preferiscono soprattutto latte (56%) e succhi di frutta o spremute (26%).

L’andamento del mercato

Una volta visto cosa piace e a chi, vediamo adesso come performa il mercato.

Esclusi latte e yogurt, nel 2018 la produzione a valore dei prodotti usati anche per la prima colazione è stata di circa 10 miliardi e 440 milioni di euro. Il comparto biscotteria cresce a valore del +2,6% tra 2018 e 2017, positivo pure l’andamento di merendine e torte (+0,8% di crescita a valore). Volumi in ascesa anche per il caffè: giunto a quasi 6 kg l’anno pro capite. Bene anche succhi e nettari di frutta e ortaggi,che hanno toccato nel 2018 gli oltre 660 milioni di euro di fatturato (per un consumo domestico che arriva a oltre 90% del totale). Andamento a due facce per tè, infusi, tisane e camomilla, dove a volumi di produzione sostanzialmente stabili (2.620 milioni di filtri immessi sul mercato pari a un -0,4%) fa da contraltare una buona crescita a valore (+1,8%).

In linea con il trend della naturalità, assistiamo anche al successo di alcune categorie specifiche.

Come muesli e cereali, per esempio, il cui consumo pro-capite è giunto a 1,6 kg. Stessa cosa per le marmellate, con una forte spinta delle varianti dietetiche, e il comparto della produzione di miele: alle circa 148 milioni di vendite a scaffale si sono aggiunti i circa 17 milioni di prodotto usato come ingrediente dall’industria di seconda trasformazione, per un totale di 165 milioni di euro.

Discorso un po’ più articolato, invece, per il latte che rivela un andamento un po’ ondivago.

Stando ai dati di Assolatte, infatti, si evince che non va molto bene il prodotto a durabilità minore: l’ESL (Extended shelf life) ha infatti chiuso il 2018 con un calo del -3,9% in volume e del -2,4% in valore, mentre il Fresco ha evidenziato perdite pari a -7,6% a volume e -6,6% in valore. Cresce invece del +4,0% in volume e del +6,5% in valore il Latte ESL (microfiltrato ad alta pastorizzazione). Performance non positiva per il latte a lunga conservazione, quello UHT (-5,8% in volume e -5,5% in valore). Di contro, yogurt e latti fermentati mostrano una leggera ripresa (+0,7%) dei consumi che, nel canale Gdo (discount esclusi), arriva a 326mila tonnellate. A spingere i consumi sono i prodotti santé (+1,6%), che valgono più di 1/4 delle vendite e sono la seconda categoria preferita dagli italiani, dopo gli yogurt interi. Performance positive nel 2018 anche per gli yogurt da bere, i bi-comparto e lo yogurt greco (+2,7%).

 

 

 

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