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Carmela Ignaccolo

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Cushman & Wakefield advisor nella vendita di Barberino Designer Outlet

Il Team di Retail Capital Markets di Cushman & Wakefield ha assistito European Outlet Mall Fund, (gestito da Nuveen Real Estate) nella vendita di Barberino Designer Outlet, situato a Barberino del Mugello, Firenze.

Barberino Designer Outlet è un outlet consolidato, aperto nel 2006 e con GLA di circa 27.000 mq, dal design distintivo che ne riflette lo status di destinazione fashion di primo livello.

Il design del complesso è infatti ispirato alle ville nobiliari rinascimentali che caratterizzano la regione storica del Mugello; la struttura si configura in due piazze aperte principali con viali che percorrono i lati dello splendido corso d’acqua che attraversa l’outlet e che sono collegati tra loro da cinque ponti pedonali.

Barberino Designer Outlet beneficia, oltre ai 2.400 parcheggi, di un eccellente merchandising mix di circa 130 punti vendita caratterizzato da brand premium e luxury e da una ottima offerta di food & beverage.

L’outlet ospita marchi come Michael Kors, Dolce & Gabbana, Liu Jo, Hugo Boss, Tommy Hilfiger, Polo Ralph Lauren e Nike. L’ottima offerta merceologica di Barberino Designer Outlet lo qualifica come destinazione di riferimento per lo shopping sia per gli abitanti dell’area, sia per i turisti.

Andrea Orsa, Head of Retail Capital Markets Cushman & Wakefield Italia, commenta: “Grazie al merchandising mix d’eccellenza con brand premium e luxury, ma anche al design elegante ed accogliente, Barberino Designer Outlet è una destinazione di riferimento sia per i quasi 3 milioni di abitanti che risiedono nel bacino a 60 minuti d’automobile, sia per il grande e sempre crescente numero di turisti che visitano la Toscana e Firenze in particolare. Inoltre, l’apertura nel 2016 della Variante di Valico, il nuovo tratto autostradale che collega la provincia di Bologna e Barberino del Mugello, ha reso Barberino meta più comoda da raggiungere per gli abitanti della provincia di Bologna e rappresenta un’opportunità importante per un’ulteriore crescita dell’attrattività dell’outlet.”

Carlo Vanini, Head of Capital Markets Cushman & Wakefield Italia, commenta: “Gli Outlet Centers sia in Italia che in Europa hanno dimostrato in questi anni di essere un prodotto particolarmente resiliente con ottime performance soprattutto per i centri di fascia alta come Barberino Designer Outlet, molto apprezzati dai consumatori. Tali caratteristiche rendono l’asset class particolarmente interessante per investitori di lungo periodo.  In un mercato immobiliare nazionale ed europeo che sta vedendo un rallentamento degli investimenti Retail Out of Town, la transazione di Barberino Designer Outlet dimostra come ci sia ancora forte interesse da parte degli investitori per quegli immobili che hanno solidi fondamentali e che sono ben consolidati nelle loro aree di riferimento e non può che essere un segnale positivo e di fiducia per tutto il mercato.”

Coop: ulteriore 5% di sconto ai titolari del reddito di cittadinanza

Coop attiva una campagna solidale, per venire incontro a chi si trova in condizioni quotidiane di difficoltà, sfruttando lo strumento che attualmente è in vigore, ovvero la carta del reddito di cittadinanza.  In questo modo in tutte le cooperative di consumatori presenti in Italia (una rete di oltre 1100 punti vendita) – a chi si presenta con la card del reddito di cittadinanza – verrà riconosciuto uno sconto ulteriore pari a un 5% sulla spesa effettuata. Stando agli ultimi dati presentati dall’Inps una platea di circa 840 mila nuclei familiari pari a un potenziale di circa 2 milioni di persone, per il 60% residenti al Sud.  Per Coop un investimento stimato di oltre 7 milioni di euro all’anno, in linea con analoghe operazioni precedenti. La carta del reddito di cittadinanza infatti si inserisce nel percorso di carte di solidarietà a favore di fasce economicamente deboli inaugurato con la Social Card nel 2008 dall’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti e proseguito con il Reddito di Inclusione varato dal Governo Renzi. Nel primo caso venne sollecitata dal Governo allora in carica e poi stipulata una convenzione per riconoscere ai possessori delle social card uno sconto ulteriore nelle spese effettuate. Nella situazione attuale invece la campagna Coop è puramente volontaria e un unicum al momento nel panorama della moderna distribuzione italiana.

Tecnicamente lo sconto coinvolge anche i detentori della pensione di cittadinanza, è applicato da subito da ciascuna delle cooperative aderenti a tutti i clienti, fatta eccezione per Coop Alleanza 3.0 che, per motivi tecnici, applica lo sconto solo ai soci e socie dal 1 agosto.

“La carta del reddito di cittadinanza è lo strumento che permette il nostro intervento –spiega Luca Bernareggi, Presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) nessuno ci ha obbligato a investire in tal senso, ma siamo convinti di operare così facendo in linea con ciò che devono fare delle cooperative di consumatori quali noi siamo, ovvero andare incontro a quelle famiglie che vivono sulla loro pelle gli effetti di una crisi da cui non siamo ancora usciti. Non risolveremo così facendo i problemi di nessuno, ma riteniamo comunque di dare un aiuto concreto”.

 

Il Largo Consumo Confezionato nella seconda parte del 2019. Le stime di IRI

Come sarà per il Largo Consumo Confezionato la seconda parte dell’anno in corso? All’interno di uno scenaro economico alquanto delicato, tuttavia IRI prevede una leggera ripresa innescata dai trasferimenti pubblici alle famiglie.

Vediamo nel dettaglio.

Come anticipato, la cornice socio economica non è (per usare un eufemismo) esaltante: nel 2019, infatti, l’economia italiana procede verso la stagnazione. Le turbolenze geo-politiche continuano ad influenzare negativamente il commercio mondiale impattando principalmente sull’Export delle economie a larga base industriale (fra cui l’Italia). E anche sul fronte interno non è tutto rose e fiori:  cresce ulteriormente la pressione sui conti pubblici con il conseguente sforamento dei parametri di finanza pubblica concordati a livello comunitario. Eppure… qualche barlume, si intravede.

Nonostante infatti la congiuntura economica delicata, IRI   prevede per l’anno in corso uno scenario moderatamente positivo dei consumi, che contrasta con un atteso peggioramento a medio termine dove probabilmente saranno non più rimandabili le manovre di aggiustamento dei conti pubblici, necessariamente di orientamento restrittivo (in primis il rischio di aumento dell’IVA). Anche lo scenario del Largo Consumo è influenzato dalla stagnazione economica che comunque comprime la domanda della maggior parte dei mercati di consumo. Tuttavia questo effetto sarà contrastato dalle politiche espansive a favore delle famiglie,  che dovrebbero compensare la caduta dei volumi acquistati. E non basta: ci sono anche altri elementi che stanno determinando l’andamento del comparto.

– Una dinamica dei prezzi in rallentamento, coerentemente con l’inflazione generale. Ciò aiuterà a sostenere la domanda a volume.

– Il rinnovo dell’offerta (che segue i nuovi trend valoriali consolidatisi negli ultimi anni) che, benché in rallentamento, continuerà a portare una moderata spinta ai consumi.

– Un calendario favorevole. (Parte degli acquisti di Capodanno sono confluiti nella contabilità dell’anno commerciale 2019. Ciò ha portato in eredità all’anno corrente un paio di decimi di punto di crescita della domanda).

– L’effetto climatico. Il giugno “bollente” ha consentito di recuperare i contraccolpi negativi sulle categorie di stagionalità estiva causati da una primavera eccezionalmente fredda e piovosa.

In sintesi il 2019 si prospetta un anno di recupero dei volumi per la maggior parte dei comparti del Largo Consumo Confezionato (+0,6% il dato complessivo). Vengono perciò riviste al rialzo le previsioni espresse all’inizio di quest’anno. La crescita più elevata si registrerà per le Bevande che comunque non recupereranno appieno i livelli di consumo registrati nel 2017 (due anni fa). Riprendono a salire anche gli acquisti degli Alimentari grazie soprattutto al contributo di Freschi ed Ortofrutta. Ancora aspettative di flessione per il Cura Casa. Il Cura Persona segnerà invece un parziale recupero del calo subito l’anno scorso. Resta l’incognita dell’evoluzione climatica che potrebbe modificare anche di molto (in positivo o in negativo) le performance soprattutto di Bevande e di molti mercati stagionali dell’Alimentare.

Le attese sono positive anche per i ricavi, sostenuti dai volumi. Il rallentamento dei prezzi, più marcato rispetto alle attese espresse in precedenza, stimola la crescita della domanda a volume che diviene perciò il primo contributore al trend delle vendite in valore. Queste ultime si attesteranno al +0,9% rispetto all’anno precedente. In controtendenza il Cura Casa che soffre ancora di una domanda debole in presenza di prezzi sostanzialmente fermi.

Note: Le previsioni IRI sono aggiornate a giugno 2019 e sono realizzate considerando il Totale Largo Consumo Confezionato in Italia nei seguenti canali di vendita: Ipermercati + Supermercati + Libero Servizio Piccolo + Specializzati Cura e Persona + Discount. L’andamento prospettico dei driver esterni macroeconomici attinge alle previsioni elaborate da REF Ricerche (edizione aprile 2019).

WOMO sbarcherà in India con un flagshop a Mumbai

WOMO, il brand di cosmetica per l’uomo di proprietà di Percassi sbarca in India, grazie a un accordo di distribuzione in esclusiva a lungo termine siglato con  Genesis Luxury, società che fa capo a Reliance Brands Limited.

L’accordo prevede entro il primo semestre del 2020 l’apertura di un flagship store a Mumbai, in cui verranno offerte le linee di prodotto WOMO e i servizi di taglio e rasatura di Bullfrog, il barbershop fondato da Romano Brida e acquisito da Percassi nel 2014. Questa partnership prenderà in esame anche altre possibili opportunità multicanale nel Paese nel prossimo futuro.

L’ingresso di WOMO nel mercato indiano si inserisce in una strategia di espansione a livello globale, che prevede anche un consolidamento della presenza del brand in Italia, attraverso l’apertura di nuovi store monomarca.

 

Stefano Percassi, Fondatore e Presidente di WOMO, ha dichiarato: “L’accordo siglato con Reliance Brands per il lancio di WOMO in India è per noi motivo di grande soddisfazione. Questa partnership ci permetterà di sfruttare al massimo le opportunità multicanale nel mercato indiano, che ben si adattano alla nostra offerta, e sono certo che darà un impulso determinante all’internazionalizzazione del brand”.

Sanjay Kapoor, Fondatore e Presidente di Genesis Luxury ha aggiunto: “Gli uomini indiani sono diventati sempre più consapevoli della propria immagine e non esitano a prestare attenzione al loro benessere personale e al proprio aspetto fisico. Per i marchi WOMO e Bullfrog è quindi il momento perfetto di fare il loro ingresso in India, rappresentando una scelta perfetta per i moderni gentlemen. Credo che nessun altro brand sia in grado di capire meglio di WOMO e Bullfrog le esigenze di un uomo moderno dalla vita frenetica”.

La rete di WOMO

WOMO conta attualmente sette store, di cui sei in Italia (a Milano, Riccione e Bolzano) ed uno in Svizzera (a Zurigo), oltre ad essere disponibile in 29 Paesi europei attraverso il canale e-commerce. Bullfrog, che unisce l’arte della rasatura dei barbieri italiani con le atmosfere delle barberie di strada nordamericane, è presente in tutti gli store WOMO e ha sei punti vendita in franchising (di cui 5 in Italia ed uno a Monaco di Baviera).  I suoi prodotti sono anche disponibili in 250 negozi (di cui 200 in Italia e 50 in Europa) tramite accordi di distribuzione in esclusiva.

Free from: c’è chi rallenta. Ma anche chi cresce

Foto di kalhh da Pixabay

Il free from rallenta. Non tutto, certo ma alcuni segmenti sì.

Vediamo quanto emerge dalle rilevazioni dell’Osservatorio Immagino.

Si configura uno scenario dinamico, con due fenomeni opposti che si compensano tra loro, dando come risultato una “somma zero”. Da un alto vediamo infatti ancora il segno più su prodotti con i claim “senza zuccheri aggiunti” (+5,4% di vendite), “pochi zuccheri” (+5,1%), “senza glutammato” (+4,8%), “senza additivi” (+3,6%) e “poche calorie” (+2,5%) e (occhio al fenomeno!) “senza antibiotici”.

Dall’altro si nota invece l’andamento penalizzato dei claim più tradizionali del “free from” (in particolare “senza conservanti”, “senza coloranti” e “senza grassi idrogenati”). Le cause di questa situazione?

Probabilmente la maturità del mercato sostanzialmente fermo.

I settori: l’andamento

Il più importante in termini di incidenza sull’assortimento e sul sell-out resta senza
conservanti, che accomuna il 6,5% dei prodotti alimentari analizzati e genera il 10,5% delle vendite totali del food. Ma sembra ormai maturo, tanto da aver chiuso il 2018 con calo del -4,0% delle vendite. Un altro fenomeno che si va attenuando è quello del “senza olio di palma”: sebbene il 2018 si sia chiuso con
un trend positivo delle vendite (+3,8% rispetto al 2017), sembra che la spinta
evidenziata nei 12 mesi precedenti si stia esaurendo.

Euronics Dimo apre il suo 33esimo store

Euronics Dimo apre il suo 33esimo store a San Salvatore di Cogorno nelle vicinanze dello svincolo autostradale di Lavagna.
Grazie a questa nuova apertura il progetto di crescita di DIMO S.p.A. prosegue portanto a 33 il numero dei punti vendita di DIMO S.p.A ubicati in sei regioni: Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Lombardia e Sardegna.
Il nuovo store ligure si sviluppa su 850 metri quadrati totali, di cui oltre 600 destinati alla vendita che accolgono un’ampia proposta commerciale di novità tecnologiche e prodotti selezionati dal socio Euronics.
Il negozio sviluppa un layout appositamente studiato per un negozio che presenta una superficie commerciale in linea con il contesto territoriale in cui si trova. I clienti troveranno un punto vendita dall’offerta completa, composta da prodotti fisicamente presenti nel negozio e molti altri disponibili in pochi giorni grazie all’acquisto tramite le postazioni “digital store” presenti nello store.
Oltre ai tradizionali servizi di finanziamento, consegna e installazione, nonché ritiro e smaltimento dell’usato, il nuovo store offre i nuovi servizi di assistenza e riparazione di smartphone, configurazione PC e di altri prodotti hi-tech.
Tra i servizi offerti anche la possibilità per i clienti possessori di auto elettriche di effettuare la ricarica gratuita della propria autovettura. Nel parcheggio privato situato di fronte all’ingresso è stata installata una colonnina con doppia presa (potenza massima erogabile pari a 22KW per presa).
Altro elemento centrale, l’attenzione dedicata alla formazione dei 17 nuovi addetti che opereranno nel punto vendita: professionisti preparati che si presentano come veri e propri consulenti orientati alla soddisfazione del cliente.
Fabrizio Vergassola, responsabile del punto vendita, dichiara: “Il nostro obiettivo è quello di far diventare questo nuovo store un importante riferimento per piccoli e grandi acquisti, attraverso il massimo impegno del team e continue proposte di novità, offerte e sconti promozionali come da tradizione dei punti vendita della rete Dimo S.p.A.”.

Fashion renting: dagli Usa con furore il fenomeno arriva in Italia

Il pensiero corre immediatamente a Louise, la dinamica e provvidenziale segretaria di Carrie Bradshow (leggete pure: la protagonista di Sex and the City).

La ricordate Louise? Amante di Lois Vuitton, ma un po’ a corto di fondi, lei le borse le affittava. Il risultato? Perfettamente appagata del suo look brandizzato.

E sull’onda di questo fenomeno (il fashion renting, appunto) ormai da tempo diffuso negli USA (ma parecchio in voga pure in Cina e nel Regno Unito), anche in Italia si comincia a cambiare modus operandi. Tanto che si parla di una vera e propria rivoluzione da qui al 2023, quando il fashion renting, specialmente nella sua formulazione online, potrebbe arrivare a valere secondo Allied Market Research fino a 1,9 miliardi di dollari. 

Ed oltre a fare bene all’organizzazione degli armadi e al contenimento dello stress (secondo il The Telegraph, infatti, le donne spendono in media 287 giorni per scegliere il giusto outfit) il fashion renting potrà dare un grosso aiuto pure all’ambiente. Visto uno dei grandi attentatori alla salute del Pianeta è proprio la produzione eccessiva e indiscriminata di indumenti a basso prezzo “usa e getta”. Come riporta El País, infatti, negli ultimi 15 anni la durata dei capi di abbigliamento è diminuita del 36% e oggi i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi, una situazione che genera ogni anno 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nella sola Unione Europea. E a questo proposito  The Guardian lancia il suo monito: se nei prossimi anni non ci sarà un cambio di passo di qui al 2050 l’industria del tessile sarà responsabile di un quarto del consumo del carbon budget, causando un aumento della temperatura di ben 2°C. 

“Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio d’indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale – spiega Caterina Maestro, fondatrice di DressYouCan (startup milanese protagonista del fenomeno “fashion renting”) – o semplicemente risolvere il quotidiano problema dell’outfit da ufficio, affidandosi completamente alle competenze di esperte fashion renter. Il noleggio di abiti rappresenta un asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un guardaroba illimitato che non alimenti sprechi e inquinamento. L’idea della nostra startup è l’esatto opposto della moda low cost: punta sulla qualità e rende l’abbigliamento di classe alla portata di tutti con prezzi accessibili e con un sistema di noleggio online e offline molto semplice che sta riscuotendo grande successo”.

 

Il noleggio di abiti e accessori è un trend la cui crescita è confermata anche dagli esperti accademici come il prof. Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda presso il Politecnico di Milano: “Il fashion renting rappresenta un nuovo modo di consumare soprattutto per Generazione Z e Millennial, i target più attenti alla sostenibilità. Da tre anni a questa parte il concetto di sharing si è allargato e andiamo verso un consumo che non è più originato dal possesso, ma dalla possibilità di poter utilizzare, anche solo per poche ore, un oggetto: probabilmente non è più il tempo di possedere, ma di potersi permettere un’esperienza”.

 

 

CIRFOOD: iniziative sostenibili e progetti per l’ambiente

CIRFOOD, pubblica il Bilancio di Sostenibilità 2018, promuovendo le sue iniziative per la diminuire il proprio impatto ambientale, prevenire gli sprechi e ridurre l’inquinamento. Vediamo neello specifico.

CIRFOOD ha realizzato investimenti finalizzati all’uso di fonti rinnovabili (+71,7% di energia rinnovabile acquistata rispetto al 2017) e messo in atto azioni di efficientamento che hanno permesso di evitare il 7,4% in più di emissioni di CO2. L’impresa inoltre è intervenuta sui consumi di acqua ottenendo un contenimento dei consumi idrici (-3,4%).

Inoltre nel 2018 l’azienda ha realizzato un progetto di quantificazione dei rifiuti prodotti, indentificando in umido, plastica, cartone le frazioni più rilevanti su cui avviare studi di modelli di economia circolare, con l’obiettivo di verificare la possibilità di impiego in progetti di riuso o riciclo.

Lotta allo spreco

Sul tema del contrasto agli sprechi alimentari, CIRFOOD da anni stipula accordi con realtà per il recupero e la donazione di alimenti non consumati a enti caritatevoli, perseguendo il duplice obiettivo di recuperare cibo ancora commestibile e al tempo stesso generare valore sociale. Nel 2018 sono state donate 39.000 porzioni e circa 4700 kg di alimenti (pane e frutta).

Supply chain

Grande attenzione viene riposta anche alla sostenibilità della supply-chain: nel 2018 sono aumentati del 64,6% i fornitori selezionati sulla base di criteri di sostenibilità e del 69,5% quelli che presentano requisiti di carattere sociale. L’impresa si pone l’obiettivo di centralizzare quanto più possibile gli acquisti attraverso una piattaforma dedicata, con l’obiettivo di rendere la propria logistica sostenibile.

Selezione dei prodotti e sana alimentazione

L’impresa privilegia prodotti BIO, DOP, IGP, STG, equosolidali, a filiera corta e a km zero, che oggi rappresentano il 23,4% delle materie prime alimentari totali impiegate. In crescita del 26,6% i volumi di acquisto da Libera Terra, che si impegna a valorizzare le terre confiscate alla criminalità organizzata. In aumento del 6% anche i prodotti ittici provenienti da pesca sostenibile.

Inoltre nel 2018, CIRFOOD ha dato il via ad importanti progetti dedicati alla sensibilizzazione sulla sana e corretta alimentazione dedicati agli utenti della ristorazione scolastica e aziendale.

Per gli alunni delle scuole elementari l’impresa ha ideato Food Shuttle, laboratorio edu-tech multisensoriale, pensato per far scoprire attraverso il gioco e l’esperienza il valore degli alimenti e del territorio, l’origine dei prodotti, la biodiversità, la lotta agli sprechi e l’educazione al gusto e alla salute.

Inoltre nel 2018, 70 dipendenti di CIRFOOD hanno partecipato alla fase pilota di MovEat!, programma di welfare pensato per promuovere una corretta alimentazione e sani stili di vita in azienda. Già a un mese dall’introduzione del programma, i piatti MovEat! selezionati dagli utenti sono stati 3.284. In tutto, sono stati percorsi 17 milioni di passi, pari a 13.000 km, e bruciate oltre 2 milioni di kcal.

Sostenibilità sociale

Infine, CIRFOOD conferma il proprio impegno per l’occupazione: la larga maggioranza dei dipendenti lavora con un contratto a tempo indeterminato (oltre il 92%), inoltre la quota femminile in azienda è pari all’89%. Nel corso del 2018 l’impresa ha inoltre valorizzato l’occupazione giovanile, attraverso l’attivazione di contratti di apprendistato, che hanno registrato un aumento del 112% rispetto all’anno precedente. L’impresa inoltre ha erogato nel 2018 100.585 ore di formazione, in crescita del 3,5%, con una media di 13,8 ore a dipendente e investito 6,5 milioni di euro in welfare attraverso il programma NoixNoi. Infine, per CIRFOOD la responsabilità nei confronti dei dipendenti è legata anche agli investimenti e formazione per una maggiore sicurezza sul lavoro, che si sono tradotti nel 2018 in una diminuzione del 17,5% degli infortuni.

Vino: l’Australia sorpassa la Francia nell’export verso la Cina

Foto di Wokandapix da Pixabay

L’export di vino versa la Cina, non marca bene. Almeno per quanto riguarda gli storici leader (in materia enologica) europei: francesi (-31,5% a valore), spagnoli (-16,9%) e italiani (-12,5%).

Fuori dal vecchio continente, invece, le cose vanno in direzione opposta. Specialmente per australiani e cileni che crescono rispettivamente del 4,8% e 8,4%.

Le cause

Il calo nell’import cinese di vini francesi ha riguardato i vini fermi imbottigliati – che rappresentano a volume il 95% del totale – diminuiti a valore di quasi il 34%, mentre ha risparmiato gli spumanti (principalmente Champagne) che all’opposto sono cresciuti di oltre il 24%. La stessa cosa, nel suo piccolo, ha riguardato l’Italia: mentre si sono ridotti gli acquisti a valore del 15% in seno ai vini fermi, quelli relativi agli spumanti hanno fatto registrare un +5%.

Il prezzo gioca un ruolo fondamentale negli acquisti dei vini da parte dei cinesi e gli accordi di libero scambio di cui godono australiani e cileni (che permette loro di entrare in Cina a dazio zero) li favoriscono rispetto ai competitor, anche nei confronti dei più blasonati francesi che fino a qualche anno fa sembravano immuni da queste logiche concorrenziali”, dichiara Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine Monitor.

Ne è riprova quanto accaduto all’import di vini statunitensi in questi primi cinque mesi: la guerra commerciale combattuta da Trump con la Cina a colpi di aumenti tariffari alle frontiere ha portato le vendite di vini Usa sul mercato cinese a -54% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: una bella botta per i produttori americani!

E’ invece fuori di dubbio come l’Australia abbia deciso di investire pesantemente sul mercato cinese, tanto da farlo diventare il primo mercato di sbocco dei propri vini. Oggi il 40% dei ricavi derivanti dalle vendite oltre frontiera dei vini fermi imbottigliati australiani deriva proprio dalla Cina quando dieci anni fa tale incidenza non arrivava al 4%.

“Ma il sorpasso australiano ai danni della Francia può anche essere interpretato come un cambiamento nelle modalità di consumo dei vini da parte dei cinesi, un segno di maturità e maggior consapevolezza negli acquisti, non più dettati solo dalla ricerca di status e notorietà, ma di qualità al giusto prezzo. E, in questo caso, il vino italiano può giocare la sua partita, a patto di farsi conoscere dal consumatore cinese” ha aggiunto Pantini.

La riduzione che ha interessato l’import dei vini italiani sul mercato cinese non ha fortunatamente trovato analogie sugli altri principali mercati mondiali. Restando in tema di mercati terzi, l’import di vini dall’Italia è cresciuto infatti – sempre a valore e nei primi cinque mesi del 2019 – di quasi il 10% in Giappone, del 2% in USA, Svizzera e Norvegia e dell’1% in Canada. Percentuali significative di incremento in Corea del Sud (+18%) e Brasile (+4%).

Le nuove tecnologie danno sicurezza. Ma quante aziende le utilizzano?

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Le nuove tecnologie piacciono. E rassicurano. Peccato però che le aziende del Food & Beverage, pur percependone l’importanza per la sicurezza alimentare, non siano ancora del tutto consapevoli di come applicarle. Ecco in estrema sintesi una delle principali evidenze emerse dall’indagine Il futuro della sicurezza alimentare: quale il prossimo passo? condotta da DNV GL e GFSI (The Global Food Safety
Initiative) su oltre 1.600 professionisti del settore in tutto il mondo. Lo studio ha infatti evidenziato come soltanto 1 azienda su 10 utilizzi già oggi le nuove tecnologie per garantire la sicurezza alimentare. Migliori gli scenari futuri: da qui a 3 anni si prevede infatti che il rapporto salga a quasi 4 su 10.

Ma quali sono le nuove tecnologie più diffuse?
I dati indicano sensori e beacon (44% oggi, 56% fra tre anni) seguiti dalla blockchain (15% oggi, 40% fra tre anni). Il problema è che in mancanza di idee chiare in materia, gli investimenti sono anch’essi fluttuanti: più di un quarto delle aziende intervistate dichiara di non sapere quanto investirà in soluzioni digitali nei prossimi 12-18 mesi, mentre il 14% risponde che non effettuerà alcun investimento.

Unrecognizable female supermarket customer reaches for fresh oranges while shopping for produce. Focus is on a shopping basket filled with leafy greens and fresh oranges.

“Le tecnologie digitali come la blockchain hanno già trasformato molti settori, specialmente nel mondo retail, ma la nostra indagine suggerisce che per molte aziende queste tecnologie devono ancora passare dall’essere oggetto di discussioni teoriche, a possibilità di applicazione concreta,” commenta infatti Luca Crisciotti CEO di DNV GL – Business Assurance.

A intuire il valore della blockchain sono soprattutto le aziende asiatiche, il 57% delle quali prevede di utilizzare questa tecnologia entro tre anni, una percentuale significativamente più alta che nelle altre regioni.

Se poi andiamo a guardare le motivazioni che portano le azuiende a implementare la sicurezza alimentare, vederemo che sl primo posto svetta la salvaguardia della salute dei consumatori (88%), seguita da leggi e normative (69%) e dalle esigenze/richieste dei consumatori (60%). I benefici commerciali ottengono invece un punteggio più basso (30%), a suggerire che la sicurezza alimentare sia percepita più come un prerequisito che come un differenziale competitivo.
E quali sono le paure peggiori?
I rischi operativi (76%), come le contaminazioni, sono percepiti come la minaccia più evidente, seguiti dai rischi associati alla mancanza di una cultura della sicurezza alimentare (30%) e alla conformità con le normative (28%). I timori per i rischi operativi sono particolarmente sentiti in Europa (82%) rispetto alle altre regioni.

Ma come disinnescare (o quanto meno ridurre la minimo) i rischi?

A questo scopo, le aziende si concentrano sui sistemi di sicurezza alimentare: HACCP (85%), procedure per garantire la sicurezza nelle fasi iniziali di progettazione di un prodotto (68%) e un sistema di gestione (es.ISO 22000) che copra i requisiti di produzione e permetta al contempo di ottenere un miglioramento continuo (66%).

Infine, è stato chiesto al campione, perché ricorrere alle certificazioni.
Una netta maggioranza di aziende ha risposto di vedere la certificazione come un requisito per fare business (79%) mentre, più di metà (53%) ha detto di considerarla anche come un modo per migliorare ulteriormente la sicurezza alimentare.Metodologia dell’indagine

L’indagine è stata condotta tra novembre e dicembre 2018 e ha interessato 1.643
specialisti di aziende Food & Beverage lungo tutta la catena del valore in Europa,
Nord America, Centro-Sud America e Asia.

Il campione è costituito da clienti di DNV GL – Business Assurance e da aziende certificate secondo almeno un programma di certificazione riconosciuto da GFSI.

Nel campione sono state considerate come LEADER 241 aziende in totale, che rappresentano il 15% di tutti i rispondenti e l’analisi delle loro risposte offre spunti di approfondimento sulle buone pratiche e la filosofia delle aziende che presentano un approccio più maturo alla sicurezza alimentare.

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