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MediaWorld lancia il servizio di noleggio per i privati

Noleggiare un dispositivo elettronico è meglio che acquistarlo? Difficile dare una risposta, ma intanto ora le due alternative esistono anche per i privati. La partnership tra MediaWorld e Banca Ifis estende alla clientela privata la possibilità di prendere a noleggio device tecnologici di ultima generazione (smartphone, laptop, tablet, ecc). Nel dettaglio, il nuovo servizio – disponibile presso tutti i 144 negozi dell’insegna presenti in Italia – è erogato da Ifis Rental Services, società controllata dal Gruppo Banca Ifis. MediaWord elenca una serie di vantaggi per il cliente:

  • Nessun esborso iniziale e zero costi di istruttoria/incasso rata: permette di accedere subito ai prodotti desiderati senza alcun costo anticipato.
  • Copertura assicurativa inclusa: protezione completa contro furto e danni accidentali.
  • Durata flessibile: possibilità di scegliere tra contratti da 12 a 36 mesi, adattandosi alle diverse esigenze di utilizzo.
  • Firma digitale al 100%: un processo completamente dematerializzato e veloce, senza documenti cartacei.
  • Diritto di ripensamento: entro 14 giorni dalla sottoscrizione, il cliente può esercitare il diritto di ripensamento.
  • Accessori di proprietà del cliente a fine noleggio: al termine del periodo di noleggio, solo i device principali vengono restituiti, mentre gli accessori rimangono di proprietà del cliente. Il cliente potrà inoltre avere un nuovo contratto per una tecnologia successiva più evoluta, proseguendo la logica “pay-per-use” del prodotto.
  • Importo minimo: il servizio è disponibile per noleggi a partire da 350 euro Iva inclusa.

DALLA PROPRIETÀ AL PAY PER USE
Il nuovo servizio si affianca alle soluzioni di noleggio già consolidate per il mondo business, cioè il Noleggio B2B AFS (riservato ai prodotti Apple) e il Noleggio B2B, per aziende e partite Iva con almeno 2 anni di attività (durata 12-60 mesi e accesso alle relative detrazioni fiscali).
Siamo estremamente orgogliosi di annunciare il lancio del servizio di noleggio operativo, innovativo e inedito, interamente dedicato all’utenza privata – dichiara Vittorio Buonfiglio, COO MediaWorld –. Questa iniziativa, infatti, incarna la nostra visione strategica di trasformazione di MediaWorld da rivenditore tecnologico a ecosistema omnicanale di servizi e soluzioni”.
Il rapido progresso tecnologico e l’elevata frequenza di aggiornamento dei software chiedono ai consumatori un significativo sforzo economico per avere sempre a disposizione i device digitali di ultima generazione. Per questo motivo – afferma Raffaele Zingone, Condirettore Generale e Chief Commercial Officer di Banca Ifis – abbiamo voluto mettere a disposizione della clientela privata di MediaWorld la nostra quarantennale esperienza nel campo del noleggio con la prima soluzione in Italia dedicata al rental di strumenti digitali. In questo modo, puntiamo a diffondere un nuovo concetto di utilizzo che superi la logica della proprietà per adottare una metodologia più flessibile e basata sul pay per use”.

Formaggi freschi di bufala avanti tutta

È un buon momento per i formaggi freschi a base di latte di bufala, che nel primo semestre 2025 segnano +12% a volume e a valore, con un prezzo medio stabile. A dirlo sono i dati NielsenIQ, che fotografano nel +26% la crescita a volume della ricorra di bufala, ben superiore al +1,8% della categoria aggregata. Performance positive anche per la mozzarella di bufala, a +12% (vs +2,5% delle varianti miste), e per la burrata di bufala, a +10,3% (vs +5,6% della categoria totale). Una tendenza che avrà favorito il debutto della stracciatella di Fattorie Garofalo, interamente realizzata con latte di bufala. Lanciata nei mesi scorsi, la nuova referenza ha mosso i primi passi in Gdo e sta presidiando progressivamente il mercato, confermando le aspettative dell’azienda in termini di gradimento e rotazione. Il gruppo stima per il prodotto una quota potenziale del 20% del mercato di categoria, sulla scia dei successi già ottenuti da burrata e ricotta.

UN VALORE AGGIUNTO SENSORIALE E COMMERCIALE
Abbiamo scelto di introdurre la stracciatella 100% bufala in un contesto favorevole alla valorizzazione dell’autenticità e della qualità – commenta Alfio Schiatti, Chief Commercial Officer di Fattorie Garofalo (nella foto in basso) –. È un prodotto pensato per il segmento premium, con una texture unica e un gusto distintivo che solo il latte di bufala può offrire”.
Schiatti sottolinea anche la crescita della ricotta bufalina soprattutto nei comparti industriale e food service: “Il latte di bufala è un vero valore aggiunto: innalza la qualità reale e percepita, migliora la resa delle preparazioni e conferisce ai prodotti finiti una riconoscibilità gustativa che oggi fa la differenza. È un fattore decisivo sia sul piano sensoriale sia su quello commerciale. La sua crescita esponenziale negli ultimi mesi lo conferma”.
Fattorie Garofalo è il più grande allevatore di capi bufalini di razza mediterranea italiana (con oltre 12.50 bufale), il primo produttore di latte di bufala e il primo produttore di Mozzarella di Bufala Campana Dop. Ogni anno lavora circa 38 milioni di litri di latte bufalino, produce 10.000 tonnellate di formaggi di bufala, esporta in oltre 40 Paesi e punta alla completa autosufficienza energetica entro il 2025. Il gruppo opera attraverso una filiera completamente integrata, circolare e sostenibile, con controllo diretto su tutte le fasi produttive: dall’allevamento alla trasformazione fino alla distribuzione.

Conserve Italia punta ad aumentare del 19,5% i volumi di pomodoro trasformato

È entrata nel vivo da alcuni giorni la campagna di trasformazione del pomodoro da industria di Conserve Italia, gruppo cooperativo agroalimentare che nell’esercizio 2023-24 ha raggiunto un fatturato gestionale consolidato di 1,2 miliardi di euro ed è attivo nel settore delle conserve rosse con i marchi Cirio, Valfrutta, Jolly Colombani e Pomodorissimo – Santarosa (in licenza). Quest’anno Conserve Italia, che riunisce 36 cooperative agricole e presidia i mercati di oltre 80 Paesi in tutto il mondo, punta a trasformare 515.000 tonnellate di pomodoro 100% italiano (in aumento del 19,5% rispetto al 2024), coltivato dai soci su più di 6.000 ettari nei principali areali di Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Puglia e Basilicata. Quasi 1.400 lavoratori stagionali sono stati assunti per garantire la piena operatività dei cinque stabilimenti coinvolti in una campagna che, avviata nella seconda metà di luglio, proseguirà fino a fine settembre. Più di 550 addetti sono stati assunti nel sito di Pomposa (FE) dove quest’anno è prevista la lavorazione di 260.000 tonnellate di pomodoro; 70 lavoratori stagionali nello stabilimento di XII Morelli (FE) dove si punta a trasformare 38.000 tonnellate di pomodoro, 120 a Ravarino (MO) con un programma di trasformazione di 80.000 tonnellate (comprese 18.000 di pomodoro biologico), 200 ad Albinia (GR) per un programma di 84.000 tonnellate e 450 lavoratori stagionali a Mesagne (BR) con l’obiettivo di 53.000 tonnellate, prevalentemente di pomodoro lungo per la realizzazione delle gamme di pelati.

INVESTIMENTI IN IMPIANTI E LOGISTICA
La campagna 2025 segna un passaggio chiave per Conserve Italia: per la prima volta entrano infatti in funzione tutti e cinque i nuovi evaporatori a ricompressione meccanica ribattezzati “Thor” (nella foto a sinistra), un investimento strategico da 25 milioni di euro che rientra nel piano da oltre 86 milioni di euro. Questi impianti assicurano una riduzione di 12.000 tonnellate di emissioni di CO₂ ogni anno, un ulteriore miglioramento qualitativo delle passate e delle polpe, maggiore efficienza energetica, minore consumo idrico, digitalizzazione dei processi e migliori condizioni di lavoro per gli operatori. Inoltre, nello stabilimento di Pomposa, il principale del Gruppo e tra i più grandi in Europa per la trasformazione delle conserve vegetali, è in corso l’ampliamento del magazzino automatico fino a 120.000 posti pallet, mentre sono già stati implementati sistemi di automazione per la movimentazione interna delle merci con l’impiego di 23 mezzi a guida autonoma per migliorare i processi in termini di tracciabilità, efficienza e sicurezza.
Conserve Italia continua a investire per valorizzare al massimo la materia prima conferita dai soci produttori italiani. La nostra forza è una filiera cooperativa autentica, che promuove un’eccellenza del Made in Italy come il pomodoro generando valore e reddito per il sistema agricolo nazionale – dichiara Maurizio Gardini, Presidente di Conserve Italia –. L’avvio di questa campagna del pomodoro è stato condizionato dalle conseguenze delle piogge primaverili che in alcuni casi hanno fatto ritardare i trapianti e quindi ci hanno portato a rivedere alcuni programmi”.
Pier Paolo Rosetti, Direttore Generale di Conserve Italia, aggiunge: “Le innovazioni industriali, logistiche e agronomiche che stiamo mettendo in campo ci consentono di portare sui mercati di tutto il mondo un pomodoro sempre più sostenibile e rispettoso dell’ambiente, oltre che buono, sicuro e tracciato. Dal seme al prodotto finito, investiamo per garantire e migliorare qualità e sostenibilità”.

Gruppo Amadori archivia l’esercizio 2024 con 1,7 miliardi di ricavi

È in linea con gli obiettivi prefissati nel Piano Strategico 2024-2028 il bilancio consolidato dell’ultimo esercizio del Gruppo Amadori. Il 2024 va in archivio con ricavi per 1.721 milioni di euro, Ebitda di 148,5 milioni di euro e un risultato netto pari a 37,6 milioni di euro, per il 70% reimpiegato a sostegno del piano di sviluppo e di crescita, con gli investimenti che hanno raggiunto i 65 milioni di euro. Amadori sottolinea che questi dati, conseguiti in un contesto segnato da eventi di grande rilevanza e incertezza globale che hanno avuto un impatto diretto sui mercati di riferimento, confermano la capacità di adattarsi e reagire a scenari macro-economici in evoluzione, per effetto della diversificazione delle fonti di approvvigionamento e a una cultura di filiera solida, integrata e italiana. Grazie all’attività di oltre 9.000 persone, questa filiera vede attivi 18 tra stabilimenti e siti produttivi e circa 800 allevamenti, sia a gestione diretta che in convenzione, per la produzione di più di 3.100 referenze da fonti sia animali che vegetali: proteine “bianche” (carni avicole), “gialle” (uova e ovoprodotti), “rosa” (carni di suino) e “verdi” (a base di legumi).

NELL’AVICOLO BENE IL SEGMENTO PREMIUM
Con una quota di mercato di circa il 30% nel settore di riferimento, Amadori segnala di aver ottenuto risultati particolarmente positivi nel segmento alta qualità e premium della category pollo, ad esempio con un +5,3% per “Il Campese”, la prima filiera italiana del pollo allevato all’aperto e la seconda in Europa. Le realtà entrate a far parte del gruppo, prosciuttificio Lenti e Forno d’Oro, hanno registrato tassi di crescita in doppia cifra.
Il raggiungimento nel 2024 degli obiettivi del Piano Strategico rappresenta una tappa fondamentale, a conferma della solidità del percorso intrapreso – dichiara Denis Amadori, Amministratore Delegato del Gruppo –. Soprattutto è la testimonianza di un impegno collettivo fatto di idee e innovazione, così come di attenzione all’ambiente e cura per le comunità in cui operiamo. Questo risultato ci mette nelle condizioni di pianificare il nostro futuro con ambizione e ottimismo, rafforzando la volontà di continuare ad investire perseguendo una strategia volta a creare valore con responsabilità, investendo su ciò che conta: persone, innovazione e sostenibilità a 360°”.

San Benedetto, 10 anni da leader nel beverage analcolico

Il Gruppo San Benedetto si conferma, per il decimo anno consecutivo, leader assoluto in Italia nel mercato del beverage analcolico. A certificare questo risultato è GlobalData, società internazionale di ricerca e consulenza di mercato, con sede principale a Londra, accreditata come “specialista” per lo studio e l’analisi dei mercati globali relativi all’industria delle bevande. Con una quota del 17,1% a volume, San Benedetto guida la classifica dei gruppi nel beverage analcolico in Italia. Il primato si consolida anche in diversi mercati specifici: l’azienda è infatti brand leader a volume nei segmenti dell’acqua minerale (11%) del thè freddo (27,9%), delle bibite gassate no cole low calorie (30,2%) e delle enhanced water (40,7%). Inoltre, con il brand Energade, si conferma al primo posto anche nel mercato degli sport drinks, con una quota del 34,7%.
Essere ancora una volta il punto di riferimento per milioni di italiani è per noi motivo di grande orgoglio e una responsabilità che ci spinge a fare sempre meglio – commenta Enrico Zoppas, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Acqua Minerale San Benedetto –. Questi risultati confermano la solidità della nostra visione, fondata su qualità, innovazione e sostenibilità, e la straordinaria passione delle nostre persone. Continueremo a lavorare ogni giorno per offrire prodotti che uniscono benessere, gusto e cura per le persone e per l’ambiente, restando vicini alle esigenze dei consumatori”.

SITI PRODUTTIVI E BRAND
Nato nel 1956 a Scorzè (Venezia), il Gruppo Acqua Minerale San Benedetto ha un fatturato di 1,1 miliardi di euro e conta sette stabilimenti in Italia – Scorzè (VE), Pocenia (UD), Popoli Terme (PE), Donato (BI), Nepi (VT), Viggianello (PZ), Atella (PZ) – e quattro siti produttivi internazionali: due in Spagna, uno in Polonia e uno in Ungheria. Presente in oltre 100 Paesi nei cinque continenti, San Benedetto è attiva in tutti i segmenti del beverage analcolico: dalle acque minerali (San Benedetto, San Benedetto Millennium Water, Acqua di Nepi, Guizza, Pura di Roccia, Fonte Corte Paradiso e Cutolo Rionero Fonte Atella) a quelle addizionate (Aquavitamin, San Benedetto SKINCARE, Aquaprotein), dalle bibite gassate (San Benedetto e Schweppes) al thè (San Benedetto) e ai prodotti per bambini (San Benedetto Baby), dagli sport drink (Energade), alle acque toniche (Schweppes) alle bibite piatte a base di succo (San Benedetto Succoso) e gli aperitivi (San Benedetto) fino agli energy drink (San Benedetto Super Boost e San Benedetto Fruit & Power) e le bevande vegetali (San Benedetto Avena).

Foster Clark Products acquisisce Preziosi Food

Passa di mano Preziosi Food, produttore di snack salati per insegne della distribuzione organizzata in Italia ed Europa e con il proprio marchio Salati Preziosi. Foster Clark Products, gruppo industriale della Holding Francis Busuttil & Sons e attivo nel settore alimentare con il brand Foster Clark’s, ha completato l’acquisizione del 100% del capitale sociale. L’operazione comprende i marchi e lo stabilimento di Melfi, in Basilicata, che impiega circa 200 persone e produce ogni anno oltre 130 milioni di confezioni tra patatine, popcorn e altri snack salati. Preziosi Food ha generato nel 2024 ricavi superiori a 86 milioni di euro con un Ebitda pari al 13%. L’azienda era partecipata in maggioranza dai fondi di investimento Vertis SGR e HAT Sicaf e in minoranza da Grani & Partners (gruppo Promotica).
L’operazione, la prima in Italia di Foster Clark Products, si inserisce nella strategia di crescita per linee esterne avviata dal gruppo per rafforzare la propria presenza in Europa e dà modo alla società di dotarsi di una piattaforma industriale e di un presidio in Italia nei settori snack salati, dolci e confectionery. Le attività produttive, operative e commerciali di Preziosi Food proseguiranno sotto la guida dell’attuale Ceo Lorenzo Caporaletti, che ha condotto il rilancio dell’azienda dal 2021.

L’OBIETTIVO È ACCELERARE IL PERCORSO DI CRESCITA
La Holding Francis Busuttil & Sons è una delle principali realtà imprenditoriali maltesi, proprietaria del marchio Foster Clark’s, presente nei settori delle bevande in polvere, dei dessert e dei coadiuvanti per la panificazione. L’azienda esporta in oltre 70 paesi, in particolare in Medio Oriente, Africa e in alcune zone dell’Asia. “Questa acquisizione rappresenta un importante passo strategico per la nostra espansione in Europa – commenta Joseph Busuttil, Presidente e Ceo di Foster Clark Products – e ci permette di entrare nel mercato italiano attraverso una realtà industriale d’eccellenza. Riconosciamo in Preziosi Food una cultura imprenditoriale e una capacità di innovazione che condividiamo pienamente, e siamo entusiasti di intraprendere questo nuovo percorso insieme”.
Dal canto suo, Lorenzo Caporaletti, Ceo di Preziosi Food (nella foto a sinistra), sottolinea che “L’ingresso in FCP rappresenta un’opportunità per accelerare ulteriormente il nostro percorso di crescita, mettendo a fattor comune competenze industriali, visione strategica e presenza internazionale. La continuità operativa e manageriale garantirà stabilità e nuove prospettive sia per i nostri clienti che per le nostre persone”. Preziosi Food è stata assistita da Houlihan Lokey in qualità di advisor finanziario, PwC per gli aspetti contabili e dallo studio Giliberti Triscornia e Associati per la parte legale. Foster Clark Products Ltd. è stata supportata da Deloitte per gli aspetti finanziari e da Grimaldi Alliance per la consulenza legale.

Addio ad Alessandra Balocco, Presidente e AD della società Balocco

Nel 2022 era stata lei a prendere la guida della Balocco in un momento drammatico, quando nel giro di due mesi erano scomparsi prima il padre Aldo, seconda generazione della famiglia di imprenditori, e poi il fratello Alberto, colpito da un fulmine insieme a un amico durante un’escursione in bici in montagna. E a lei, da Presidente e Amministratore Delegato, era toccato fronteggiare le conseguenze del cosiddetto “pandoro gate”, difendendo le ragioni della società in una vicenda che aveva travolto l’influencer Chiara Ferragni. Alessandra Balocco, scomparsa oggi a 61 anni dopo una lunga malattia, è stata una figura di riferimento per il gruppo in cui lavorava dagli anni ’90 e che ora la saluta con una nota accorata, ricordandone il contributo “con totale dedizione, determinazione e competenza alla crescita e al consolidamento in Italia e sui mercati internazionali”.

La società precisa, inoltre, che il Consiglio di Amministrazione – composto dal marito Ruggero Costamagna, dal figlio Marco Costamagna, dalla nipote Diletta Balocco, da Assunta Pinto e Gianfranco Bessone – proseguirà lo sviluppo dell’azienda seguendo fedelmente l’esempio e le linee guida tracciate da Alessandra Balocco. Nel riferire la notizia, la redazione di InstoreMag porge le più sentite condoglianze alla famiglia e alle società Balocco.

Codici a barre 2D, 10 step per sfruttarli al meglio

Quale soluzione concreta hanno le aziende del grocery per migliorare la gestione dei prodotti nei punti vendita e ridurre gli sprechi lungo la catena di approvvigionamento? Una, immediata, è passare, subito, ai codici a barre 2D di nuova generazione: i QR code standard GS1. Essendo in grado di includere più dati rispetto all’attuale codice a barre lineare, consentono infatti alle aziende di ottimizzare ed efficientare le attività quotidiane in store. Ma non solo: tramite i sistemi POS, permettono anche di effettuare promozioni mirate per i prodotti vicini alla scadenza e di bloccare la vendita di quelli già scaduti, rafforzando così la fiducia dei consumatori verso l’azienda e i suoi brand.
Se la soluzione è semplice, la strada per realizzarla può essere più complessa. Ma c’è una “ricetta” per renderla più agevole e veloce: è quella delineata nel report “Scaling QR Codes with Embedded Date Codes”, realizzato da ECR Retail Loss, l’organizzazione internazionale, parte della Community ECR, impegnata sul tema nella riduzione delle perdite nel retail, che raggruppa oltre 300 retailer a livello globale, di cui due terzi dei primi 100 retailer al mondo. Il report è il risultato di un lavoro collaborativo che ha coinvolto oltre 60 esperti di spreco alimentare (tra cui 25 retailer e accademici di cinque università), per stilare una roadmap articolata in dieci step per contribuire ad accelerare l’adozione dei codici 2D di nuova generazione nel settore grocery entro il 2030:

  1. Allinearsi alle norme: i codici QR possono facilitare la conformità alle normative emergenti su sicurezza e sprechi alimentari.
  2. Fare della lotta allo spreco alimentare una priorità strategica: inserire la gestione sostenibile degli alimenti tra le priorità aziendali.
  3. Standard comuni: accelerare la standardizzazione end-to-end dei codici 2D con l’ausilio di GS1.
  4. Nominare un responsabile: indicare una figura responsabile del progetto per coordinare e dare impulso alle varie funzioni aziendali.
  5. Costruire un business case: misurare ROI, allocare risorse e definire benefici per tutte le parti interessate.
  6. Prepararsi sul piano tecnologico: dal POS all’ERP, aggiornare i sistemi in modo che possano leggere e utilizzare i dati dei codici QR.
  7. Coinvolgere i team interni: creare strumenti e capacità per integrare l’uso dei codici nelle routine quotidiane.
  8. Preparare fornitori e partner: coinvolgere partner e produttori, condividendo visione, obiettivi e vantaggi della transizione.
  9. Costruire la fiducia dei consumatori: dimostrare come i codici QR possano offrire un valore reale ai clienti, in termini di migliori esperienza, trasparenza e sicurezza.
  10. Promuovere l’inclusività: garantire che la transizione coinvolga anche i piccoli fornitori e coloro che acquistano online.

Il lavoro di ECR Retail Loss contribuisce a supportare l’iniziativa “Sunrise 2027”, con cui GS1 – l’organizzazione no profit che sviluppa gli standard più utilizzati al mondo per la comunicazione tra imprese e che riunisce oltre 2 milioni di aziende attive in 25 settori – insieme con un gruppo di aziende leader mondiali del largo consumo, ha dato il via alla seconda rivoluzione del codice a barre: ossia la transizione globale ai QR code standard GS1. Lanciata il 26 giugno 2024, nel 50° anniversario dal primo passaggio in cassa di un codice a barre, con l’obiettivo che retailer e produttori adottino i codici 2D di nuova generazione già entro il 2027, “Sunrise 2027” è uno sforzo innovativo e collaborativo per far progredire il settore dei beni di consumo in termini di efficienza, sicurezza e sostenibilità con gli standard globali GS1.

Dazi USA, Coldiretti all’attacco di Ursula Von der Leyen

L’accordo stipulato tra Ursula Von der Leyen e Donald Trump non piace al sistema produttivo italiano. Già alla vigilia dell’intesa, che introduce un’aliquota tariffaria di base del 15% sulla maggior parte dei prodotti europei che entrano negli Stati Uniti, il Centro Studi Confindustria aveva diffuso una simulazione sui danni che ne sarebbero derivati, mentre ora è Coldiretti ad attaccare in maniera dura la Presidente della Commissione Europea. In base a un’analisi dell’organizzazione di imprenditori agricoli condotta su dati del Centro Studi Divulga, i dazi al 15% rischiano di far perdere oltre 1 miliardo di euro al comparto agroalimentare italiano. Con un valore che nel 2024 ha sfiorato gli 8 miliardi di euro, gli USA rappresentano il primo mercato extra-Ue per il settore. Negli ultimi cinque anni, l’export verso gli Stati Uniti è cresciuto in media dell’11% l’anno, arrivando a toccare un +17% negli ultimi 12 mesi. Una dinamica positiva, sottolinea Coldiretti, che ora rischia di invertirsi bruscamente.

I SETTORI PIÙ COLPITI
Il vino è il primo prodotto agroalimentare esportato negli USA, con 1,9 miliardi di euro, e con i dazi subirà un impatto stimato in oltre 290 milioni di euro. Per l’olio extravergine di oliva l’export verso gli Stati Uniti vale oltre 937 milioni di euro e il peso stimato dei dazi è superiore ai 140 milioni di euro. Andrà male anche per la pasta di semola: ad oggi esente da dazi, che ora incideranno per 74 milioni di euro. Restano stabili, invece, molti dei formaggi, che erano già tra il 10% e il 15%, ma l’incertezza sull’abolizione delle quote rischia di avere conseguenze sull’export, che nel 2024 ha superato i 486 milioni di euro.
La Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen si sta dimostrando totalmente inadeguata al ruolo che ricopre – dichiara senza mezzi termini Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti –. Dopo aver già colpito duramente il mondo agricolo con tagli senza precedenti alla Pac, oggi assistiamo all’ennesimo danno provocato da una gestione improvvisata e debole del negoziato commerciale con gli Stati Uniti. L’accordo siglato con Washington è chiaramente più vantaggioso per l’economia americana che per quella europea. Stiamo assistendo anche al fatto che il documento a base dell’accordo non coincide nemmeno con quello statunitense, una situazione lesiva della credibilità stessa dell’Europa. La Von der Leyen ha mancato ancora una volta l’obiettivo di difendere la produzione europea, il lavoro degli agricoltori e la sovranità alimentare dell’Unione. A pagare il prezzo di questa politica remissiva non sarà solo l’agricoltura, ma l’intero sistema produttivo europeo”.

L’IMPATTO SUL WINE BUSINESS A STELLE E STRISCE
Conseguenze negative ci saranno anche sull’altra sponda dell’Atlantico: per quanto riguarda il mondo del vino, l’Osservatorio Uiv stima danni complessivi per 25 miliardi di dollari. L’analisi prende in considerazione impatto diretto, indiretto e indotto di tutto il vino negli USA nella sola fase distributiva, retail e di trasporto, quantificato nel “2025 Economic Impact Report” da Wine America in 144,4 miliardi di dollari. Questa cifra comprende non solo i fatturati delle vendite, ma anche il valore generato lungo la catena distributiva, nonché gli effetti positivi dei salari e del conseguente potere di acquisto e dell’aumento della domanda di beni e servizi in altri settori correlati. Un effetto spillover su cui le tariffe al 15% sui vini europei andrebbero appunto ad inibire – secondo i calcoli Uiv – 25 miliardi di dollari. “Il vino – afferma Lamberto Frescobaldi, Presidente di Unione italiana vini – deve essere inserito nel pacchetto di prodotti agricoli europei a tariffa zero o a dazio ridotto in corso di definizione da parte dei negoziatori, lo chiediamo noi ma anche i nostri partner americani, come testimoniano le comunicazioni che stiamo ricevendo dalla US Wine Trade Alliance e dai nostri importatori oltreoceano”.
Secondo le stime dell’Osservatorio del Vino Uiv, infatti, i dazi determineranno un calo del valore al consumo di vino italiano, francese e spagnolo pari a circa 3 miliardi di dollari, che a sua volta genererà una voragine nei conti di distributori e retailer. La riduzione del valore al consumo è infatti solo la punta dell’iceberg di un effetto valanga che influirà sull’impatto complessivo socio-economico del wine business negli Stati Uniti, con evidenti ripercussioni in termini di salari, domanda di beni e servizi e posti di lavoro, anche oltre il comparto vino.
L’effetto dei dazi al 15%, secondo l’analisi Uiv, porterà nel giro di un anno l’impatto (diretto, indiretto e indotto) del vino da 144,4 a 120 miliardi di dollari, -17% rispetto al valore attuale. In questo scenario, la riduzione del valore dei consumi di vino italiano pesa sul calo in maniera determinante, per 13,5 miliardi di dollari. Sul fronte dei valori al consumo, se per il vino italiano si prevede una flessione del 20% in un anno, anche i vini domestici, già in perdita da tre anni abbondanti, dovrebbero segnare -13% ad agosto 2026. Altrettanto negative le performance degli altri vini comunitari (-19%), così come dei vini esteri non-Ue (-16%) – argentini, australiani e cileni – anch’essi già in calo e soggetti a nuovi dazi.

UN’INTESA PER EVITARE IL PEGGIO
A parlare di compromesso squilibrato – ma che scongiura il peggio – è Coface, player mondiale nella gestione del rischio credito commerciale. L’aliquota del 15% si applicherà a circa il 70% delle esportazioni dell’UE verso gli Stati Uniti. L’accordo evita la minaccia di una tariffa del 30% inizialmente prospettata dal Presidente statunitense, ma rimane comunque ben al di sopra dell’aliquota dell’1,2% applicata nel 2024. L’UE dovrebbe inoltre investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e acquistare prodotti energetici statunitensi per 750 miliardi di dollari in tre anni, impegni la cui fattibilità viene messa in discussione. L’accettazione da parte dell’Europa di un accordo giudicato sfavorevole dalle forze produttive si spiega con la volontà di evitare il peggio e ripristinare una certa stabilità commerciale. I paesi esportatori (Germania, Italia, Irlanda) e le nazioni dell’Europa orientale, preoccupati per le ripercussioni geopolitiche, hanno spinto per un rapido compromesso invece di rischiare un’escalation.
Coface precisa però che l’UE resta in una posizione relativamente privilegiata. Solo il Regno Unito gode di un trattamento più favorevole, mentre anche il Giappone affronterà un’aliquota del 15%, l’Indonesia e le Filippine del 19% e il Vietnam del 20%. Per i paesi senza accordo – Canada, Messico, Corea del Sud e Brasile – Trump minaccia dazi compresi tra il 25% e il 50%.
Ampliando lo sguardo all’intero settore manifatturiero, la situazione è molto complicata per l’industria siderurgica, soggetta a tariffe del 50%, mentre automotive, chimico e macchinari si trovano ora di fronte al 15%. Per il settore automobilistico, già indebolito dalla concorrenza cinese, questa tassa rappresenta un ulteriore ostacolo su un mercato statunitense cruciale. C’è poi da considerare l’apprezzamento del 13% dell’euro rispetto al dollaro da gennaio, che sta esacerbando la perdita di competitività di prezzo.

PER ORA IL CONTO LO PAGANO I CONSUMATORI
Chi si farà carico dei maggiori costi lungo la catena del valore, gli esportatori europei (e i loro fornitori) o i consumatori statunitensi? Coface evidenzia che recenti indagini condotte dalle banche regionali della Federal Reserve suggeriscono che le imprese e i consumatori statunitensi stanno assorbendo quasi il 90% dei costi aggiuntivi derivanti dagli aumenti tariffari. Tuttavia, per alcuni prodotti facilmente sostituibili, l’impatto potrebbe essere maggiore per gli esportatori europei e la capacità delle aziende continentali di sobbarcarsi il peso delle tariffe appare già limitata in settori come acciaio, chimico e automobilistico.
L’accordo commerciale raggiunto tra UE e Stati Uniti appare come una soluzione pragmatica per evitare un’escalation ancora più dannosa – conclude Pietro Vargiu, Country Manager Coface Italia (nella foto in alto) – ma lascia emergere un evidente squilibrio che incide negativamente sulla competitività delle imprese europee, in particolare nei settori strategici per l’Italia come automotive, siderurgico e chimico. In questo contesto di maggiore pressione tariffaria e di volatilità valutaria, è cruciale per le aziende italiane implementare strategie mirate per gestire efficacemente i rischi commerciali e finanziari”.

Al via la campagna di Rossotono con Maria Grazia Cucinotta

È Maria Grazia Cucinotta il nuovo volto di Rossotono, insegna di Apulia Distribuzione con oltre 280 punti di vendita in sei regioni del Sud, per un totale di oltre 150.000 metri quadri di superficie di vendita e quasi 1.000 referenze a marchio proprio. La campagna è on air in queste settimane con il primo dei tre spot televisivi previsti, a cui seguiranno altre due uscite, rispettivamente a dicembre 2025 e marzo 2026. Il concept, ideato e scritto da The Jackal, ruota intorno a un punto di vendita Rossotono che si fa “persona” per dare una mano nelle piccole difficoltà quotidiane. Fra le corsie del supermercato, Maria Grazia Cucinotta aiuterà un ragazzo a conquistare una ragazza, suggerendogli di nascosto gli ingredienti per una ricetta perfetta per un primo appuntamento. L’attrice sarà la presenza familiare che accompagna i clienti a districarsi tra dubbi e scelte quotidiane, raccontando – con leggerezza e ironia – il vero significato del claim: “Quando la spesa è fra amici, è Rossotono”. La catchphrase, interpretata dalla stessa Cucinotta insieme ai collaboratori dei punti vendita, diventa il filo conduttore che unisce i tre soggetti e accompagna anche la campagna radio, basata su consigli per una spesa più consapevole, vicina ai bisogni delle famiglie.

The Jackal – agenzia creativa e casa di produzione che ha seguito l’ideazione, la scrittura e la produzione del progetto – è stata scelta da Apulia Distribuzione per il suo approccio contemporaneo e il suo storytelling accessibile, capace di valorizzare l’identità del brand senza snaturarne l’autenticità. La diffusione è multicanale e comprende emittenti televisive locali e regionali, radio, social media (Facebook, Instagram, TikTok, LinkedIn, YouTube), OOH con oltre 100 nuovi impianti in posizioni strategiche, comunicazione in-store e materiali dedicati, Pay Tv, testate stampa cartacee e digitali. La campagna interesserà sei regioni – Puglia, Calabria, Sicilia, Campania, Basilicata e Lazio – e nelle intenzioni dell’azienda sarà il punto di partenza per un racconto continuativo e coerente dell’identità Rossotono. “Maria Grazia Cucinotta è la voce perfetta per trasmettere ciò che siamo: calore, affidabilità, prossimità – afferma Vito Igino, Responsabile Marketing di Apulia Distribuzione –. Con questa nuova campagna portiamo avanti la nostra visione, Rossotono non è solo un luogo dove si compra, ma uno spazio in cui sentirsi accolti. La campagna, ideata, scritta e prodotta, da The Jackal ci ha permesso di raccontarlo in modo originale, empatico e riconoscibile”.

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