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Bevande analcoliche, luci e ombre nel primo semestre 2025

Nel primo semestre del 2025, il mercato italiano delle bevande analcoliche nei canali Gdo e cash & carry mostra segnali di una leggera ripresa, rispetto allo stesso periodo del 2024, ma il quadro complessivo resta fragile e carico di incertezze. A dirlo sono i dati di Circana diffusi da Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese produttrici del settore. I numeri confermano, seppur a fronte di una sostanziale tenuta, un quadro generale instabile che vede alcuni specifici segmenti di prodotto in sofferenza come aranciata e chinotto, da sempre simboli della filiera del Made in Italy, oggi in forte calo in termini di quantità commercializzate.
I volumi venduti in Gdo registrano un incremento del +2,8%, un dato che lascia intravedere una possibile crescita più marcata nei mesi estivi, da sempre periodo di picco per il settore. Tuttavia, questa tenuta si inserisce in un contesto di mercato ancora debole, dove persistono tendenze contrastanti tra le diverse categorie. Alcuni segmenti, come gazzose o limonate – entrambi fortemente radicati nella tradizione italiana – mettono a segno performance positive nei supermercati, così come le cole, che restano trainanti pur mostrando una crescita più contenuta rispetto al passato. I tè freddi e le bevande isotoniche si mantengono sostanzialmente stabili. Di contro, si evidenziano flessioni importanti per categorie consolidate: gli aperitivi analcolici calano del -5,7% a volume, seguiti da chinotto (-3,9%) e aranciata (-1,2%).

VENDITE IN FRENATA NEL CASH & CARRY
La situazione si fa più complessa nel cash & carry, dove i dati delineano una frenata complessiva del -1,3% a volume. Anche in questo canale, categorie simbolo del Made in Italy come aranciata e chinotto subiscono un forte calo: -1,2% di vendite a volume per la prima e -11,4% per il secondo. Bevande a base di tè e le isotoniche mostrano una flessione, mentre le performance positive di nicchia come il pompelmo restano marginali e non in grado di modificare il trend generale.
Questo primo semestre dimostra che il mercato vive un momento di incertezza – commenta Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe – e, senza l’intervento del Governo che ha posticipato l’entrata in vigore della Sugar tax, le prospettive oggi sarebbero peggiori. Una tassa sulle bevande analcoliche che non trova fondamento da nessun punto di vista, incluso quello della salute, ma che continua a incombere sulle imprese dal 2019. Se, come previsto al momento, questa imposta sarà confermata per il 1° gennaio 2026, ci aspetta un autunno grigio, di profonde incertezze e di grandi preoccupazioni non solo per i produttori, di bevande ma per tutta la filiera, dal mondo agricolo alla distribuzione”.

Retail, più coupon (e di maggior valore) per tutti

Il mercato dei coupon in Italia continua il proprio slancio, con una crescita di tutti i principali indicatori determinata dal progressivo aumento dei buoni digitali, sempre più centrali nelle strategie di retail media, e dalla conferma dei formati più tradizionali. Nei primi 6 mesi del 2025 sono stati distribuiti in Italia complessivamente 115,2 milioni di buoni sconto con una crescita del 6,8% rispetto al primo semestre 2024. Un risultato significativo confermato anche dal valore totale dei coupon, attestatosi a 182 milioni di euro (+12% sull’anno precedente), il cui importo medio è stato pari a 1,58 euro, in crescita del 5,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
I dati emergono dall’Osservatorio sul mercato del couponing a cura di Savi, martech company attiva nella gestione dei servizi legati all’utilizzo dei buoni sconto e all’analisi dei dati nella Gdo e non solo. La ricerca è stata condotta su un network di oltre 40.000 imprese partner (insegne della Gdo, drugstore, specializzati e farmacie), che coprono l’intero territorio nazionale.
Alla performance registrata sul fronte della distribuzione, si affianca l’aumento nell’utilizzo dei digital coupon, che oggi rappresentano il 18% del transato in cassa, in leggera crescita rispetto ai risultati realizzati nei primi sei mesi del 2024, quando erano stati il 17% del totale. In generale, si osserva una sempre maggiore integrazione tra promozioni digitali e campagne di retail media, con i coupon dematerializzati che si stanno dimostrando strumenti efficaci per attivare il consumatore in modo mirato, misurare le performance e contribuire al tracking dell’intero processo.
Ad oggi il 70% delle aziende partner di Savi utilizza i digital coupon come strumento di integrazione tra promozioni digitali e retail media per stimolare la consideration e tracciare la redemption in modo indipendente.

Sul fronte della conversion dei buoni sconto si registrano ottime performance dei media “legacy”, categoria che racchiude i metodi di distribuzione più tradizionali. Un comparto in cui i coupon “instant on pack”, applicati direttamente sulla confezione, raggiungono una redemption media del 78% (in crescita rispetto al 72% di un anno fa) e rappresentano uno strumento win-win grazie alla convergenza fra media che veicola l’offerta e prodotto da promuovere.
I coupon digitali emessi all’interno di siti web, distribuiti attraverso e-mail, newsletter, social media e associati alle carte fedeltà mostrano una redemption media del 23%, in lieve aumento rispetto allo scorso anno quando si era raggiunto il 22%.
Siamo orgogliosi di constatare come il mercato dei coupon stia evolvendo verso soluzioni sempre più digitali, misurabili e integrate con le nuove logiche del retail media – dichiara Angelo Tosoni, Managing Director di Savi Italia –. Nel nostro settore è oggi fondamentale non soltanto favorire l’utilizzo di soluzioni dematerializzate, più sicure e sostenibili rispetto alle formule più tradizionali, ma riuscire a misurare in tempo reale la performance delle campagne per calibrare le strategie in base ai risultati osservati. L’obiettivo è quello di rendere sempre più accessibili i buoni sconto alle famiglie italiane in ottica anti-inflazione e supportare le aziende che li vogliono mettere a disposizione”.

Si rafforza la prevenzione per i prodotti da latte crudo

Il Ministero della Salute, su iniziativa del Sottosegretario Marcello Gemmato (nella foto in alto), ha trasmesso a Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano e alle principali Associazioni di categoria il documento tecnico: “Linee guida per il controllo di Escherichia coli produttori di Shiga-tossine (STEC) nel latte non pastorizzato e nei prodotti derivati”, frutto del lavoro del Tavolo tecnico istituito presso il Ministero. “Queste Linee Guida – spiega Gemmato – sono uno strumento tecnico-scientifico fondamentale per rafforzare la prevenzione delle infezioni da STEC. Offriamo al territorio un documento aggiornato, condiviso e operativo, con l’obiettivo di proteggere soprattutto i soggetti più fragili: bambini, anziani e persone immunocompromesse”.

Nei mesi scorsi, in accordo con il Ministro Lollobrigida, è stato avviato un Tavolo tecnico composto da esperti del Ministero della Salute e del MASAF, dell’Istituto Superiore di Sanità, degli Istituti Zooprofilattici e delle associazioni di categoria per definire misure di mitigazione più stringenti, volte a garantire la sicurezza alimentare e ridurre il rischio di gravi infezioni da Escherichia coli associate al consumo di latte crudo e derivati. “In estate – continua il Sottosegretario – il rischio microbiologico può aumentare, anche per la maggiore produzione di formaggi a latte crudo in contesti montani. Per questo il Governo ha ritenuto urgente intervenire in parallelo al percorso parlamentare di modifica della normativa nazionale”.
Le infezioni da STEC possono manifestarsi in modo variabile: da forme lievi o asintomatiche fino a diarrea emorragica e sindrome emolitico-uremica (SEU), principale causa di insufficienza renale acuta nei bambini. Il documento fornisce indicazioni pratiche sia per gli operatori della filiera alimentare, utili in fase di autocontrollo, sia per le ASL impegnate nella vigilanza e nei controlli ufficiali, al fine di garantire una gestione più efficace del rischio STEC.

Coop avvia una raccolta fondi per la popolazione di Gaza

Si chiama #CoopforGaza la raccolta fondi lanciata da Coop e finalizzata a sostenere l’attività svolta da Medici Senza Frontiere in 11 strutture mediche a Gaza, tra ospedali, ospedali da campo e centri di salute primaria. MSF è una delle poche organizzazioni umanitarie che ancora oggi continua a svolgere la sua attività nella Striscia, dove i circa 1.000 operatori e operatrici umanitari curano tutti coloro che ne hanno bisogno. Dall’inizio del conflitto MSF ha visitato oltre 1 milione di pazienti, operato 23.000 persone e assistito 13.000 parti. Le cooperative di consumatori hanno già messo a disposizione uno stanziamento di 500.000 euro, mentre le donazioni dei soci e dei consumatori possono confluire su un conto corrente dedicato su Banca Etica (IT77 B050 1802 8000 0002 0000 890). La raccolta si chiuderà il prossimo 30 settembre.

Un atto concreto per un impegno più ampio per la pace e per la solidarietà che sono da sempre nel dna di Coop – spiega Ernesto Dalle Rive, Presidente di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) –. All’unanimità tutte le cooperative di consumatori hanno deciso un primo stanziamento che avvii gli aiuti, e poi vogliamo permettere ai soci e ai clienti di contribuire a loro volta. Consideriamo questo atto come l’avvio di una campagna umanitaria che auspichiamo possa arrivare a coinvolgere, oltre al mondo Coop, anche altri operatori istituzionali ed economici. Non risolveremo i problemi di una popolazione che ora si trova sotto le bombe, ma daremo così un contributo rapido e concreto alle persone in questo momento maggiormente colpite. Al tempo stesso rinnoviamo l’appello al Governo italiano affinché si adoperi con il massimo impegno a riaprire i corridoi umanitari e auspichiamo la fine delle ostilità e la liberazione degli ostaggi israeliani dopo il brutale attacco del 7 ottobre. Una pace giusta è il punto di arrivo da conquistare”.

Ringraziamo Coop per aver scelto di sostenere i nostri progetti a Gaza – dichiara Stefano di Carlo, Direttore Generale di MSF –. Questa donazione si concretizzerà in medicinali, garze, attrezzature mediche e nel potenziamento di tutte le strutture mediche in cui operiamo. Mentre assistiamo allo smantellamento sistematico del sistema sanitario nella Striscia, con continui attacchi alle strutture mediche ormai in gran parte distrutte o non più funzionanti, queste risorse sono più essenziali che mai per continuare a garantire cure salvavita a chi ne ha un disperato bisogno”.

NewPrinces acquisisce Carrefour Italia per 1 euro

Non lo hanno visto arrivare. Mossa a sorpresa di Angelo Mastrolia (nella foto in alto), Presidente di NewPrinces che ha annunciato di aver sottoscritto con Carrefour un accordo vincolante per l’acquisizione del 100% del capitale sociale di Carrefour Italia sulla base di una valutazione pari a circa 1 miliardo di euro, ma a fronte di un equity value (il valore riconosciuto agli azionisti, cioè la casa madre francese) di solo 1 euro. Grazie a questa acquisizione – soggetta all’ottenimento delle consuete autorizzazioni da parte delle autorità competenti, un fronte su cui però non si intravedono particolari ostacoli – NewPrinces diventa il secondo gruppo italiano nel food per fatturato – pari a circa 6,9 miliardi di euro – e il primo operatore in termini occupazionali, con 13.000 operatori diretti in Italia e più di 18.000 nel mondo, oltre a ulteriori 11.000 persone coinvolte nelle attività accessorie fornite da aziende esterne.
Si chiude così la lunga esperienza italiana di Carrefour, avara di soddisfazioni sotto il profilo finanziario (secondo l’area studi Mediobanca, nel quinquennio 2019-2023 le perdite hanno raggiunto gli 874 milioni di euro) e che negli ultimi anni aveva visto una decisa virata verso il franchising, proprio con lo scopo di ottenere maggiore flessibilità nel presidio del mercato. Carrefour in Italia gestisce una rete multiformato di 1.188 punti vendita (41 ipermercati, 315 supermercati, 820 negozi di prossimità e 12 cash & carry) e ha registrato nel 2024 un fatturato lordo di 4,2 miliardi di euro (3,7 miliardi senza includere i carburanti, con un Ebitda di 115 milioni di euro), pari a circa il 4% del fatturato del gruppo. Dopo una fase di rilancio dal 2020 al 2022, Carrefour Italia ha registrato un calo del fatturato, nonché un risultato operativo corrente e un free cash flow negativi nel 2024.
Nell’ambito dell’operazione, Carrefour reinvestirà quale contributo una tantum 237,5 milioni di euro nella filiale italiana a sostegno del rilancio industriale e della continuità operativa, mentre NewPrinces si impegna a investire al closing 200 milioni di euro, destinati a iniziative di sviluppo, innovazione logistica e rinnovamento del brand. Il marchio Carrefour sarà utilizzato su licenza per un periodo transitorio, seguito dal rilancio di quello GS.

SINERGIE TRA INDUSTRIA E RETAIL
La campagna acquisti di NewPrinces delle ultime settimane è impressionante: prima  l’operazione Plasmon (per un valore di 120 milioni di euro) e quella di Diageo Operations Italy, poi il grande investimento immobiliare nel Regno Unito (per una cifra complessiva che si aggira sui 95 milioni di euro) e ora l’acquisizione di Carrefour Italia. Di tutti i colpi portati a segno, di sicuro quello più impegnativo. Nella nota stampa con cui ha comunicato l’accordo, NewPrinces fa professione di ottimismo e sottolinea che attraverso questa operazione potrà: accedere direttamente al consumatore finale, ampliando il proprio presidio lungo la catena del valore; ottimizzare le sinergie tra produzione e distribuzione, migliorando l’efficienza logistica e riducendo i costi operativi; valorizzare il suo portafoglio di brand all’interno della rete retail; sviluppare nuove piattaforme omnicanale per la vendita e la delivery di prodotti freschi e confezionati; rafforzare la propria posizione in mercati chiave a livello europeo, partendo da un’infrastruttura solida e radicata nel territorio italiano.
L’acquisizione di Carrefour Italia rappresenta una tappa fondamentale nella traiettoria di crescita del nostro gruppo – dichiara Angelo Mastrolia, Presidente di NewPrinces Group –. Con questa operazione, compiamo un passo decisivo verso l’integrazione verticale tra produzione e distribuzione, rafforzando la nostra capacità di generare valore lungo l’intera filiera. Abbiamo scelto di investire con determinazione in un asset strategico per l’Italia, con l’obiettivo di rilanciare una rete capillare e di valorizzare al massimo le sinergie tra retail e industria. La nostra volontà è chiara: costruire un modello sostenibile, solido e orientato al lungo termine, in grado di offrire benefici concreti a clienti, dipendenti, fornitori e azionisti”.

L’Irlanda rinvia al 2028 le etichette sanitarie sugli alcolici

L’Irlanda ci ha ripensato. Non definitivamente, ma lasciando un margine di tempo più ampio – fino al 2028 – prima introdurre le etichette sanitarie obbligatorie sulle bevande alcoliche. Il regolamento avrebbe dovuto essere applicato a partire da maggio 2026. Secondo notizie di stampa, a suggerire il rinvio sarebbe stato il già complicato scenario degli scambi commerciali internazionali e il timore di potenziali impatti sull’export irlandese.
La notizia è stata accolta positivamente in Italia. Nell’esprimere l’auspicio che si possa arrivare alla cancellazione definitiva della norma, Coldiretti ricorda come l’iniziativa del Governo irlandese era stata di fatto avallata dall’Unione Europea, nonostante i pareri contrari di Italia, Francia e Spagna e altri sei Stati Ue, che consideravano la misura una barriera al mercato interno. Coldiretti sottolinea, inoltre, di aver denunciato a più riprese come la proposta irlandese finisca per assimilare in maniera del tutto scorretta l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici a quello moderato e consapevole di prodotti di qualità a più bassa gradazione, come il vino.
Il rischio paventato da Coldiretti non riguarda ovviamente il mercato irlandese in sé – che nel 2024 ha importato vino tricolore per soli 59 milioni di euro – ma che le etichette di Dublino, le cosiddette “warning labels”, aprano le porte in Europa e nel mondo a campagne di demonizzazione che colpirebbero una filiera che in Italia vale 14,5 miliardi di euro, dal campo alla tavola, e garantisce 1,3 milioni di posti di lavoro.

Sulla stessa lunghezza d’onda Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione italiana vini: “La decisione del Governo irlandese di rinviare al 2028 l’entrata in vigore del regolamento sull’etichettatura degli alcolici rappresenta un punto di svolta positivo per le imprese del vino italiane ed europee. È necessario infatti preservare l’integrità del mercato unico europeo, al riparo dalle singole iniziative degli Stati membri in materia di etichettatura. Una fuga in avanti come nel caso irlandese avrebbe come unica conseguenza quella di complicare l’attività delle imprese e al tempo stesso aumentare i costi di adattamento alle regole dei singoli 27 Paesi”.
Secondo Uiv, l’impostazione del regolamento di Dublino risulta particolarmente preoccupante per il comparto vinicolo europeo in quanto non tiene conto della distinzione tra consumo e abuso e si pone in contrapposizione con la risoluzione BECA (Beating cancer) del Parlamento europeo del 2022. La proroga al 2028 delle etichette sanitarie consentirà di lavorare a soluzioni armonizzate e, al tempo stesso, di informare il consumatore in maniera intelligente sul consumo moderato di vino, come peraltro già indicato dai deputati europei.
Uiv condivide infine quanto affermato dalla presidente del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), Marzia Varvaglione, secondo cui gli obiettivi di salute pubblica debbano essere perseguiti in modo giuridicamente solido e coordinato, e non attraverso una frammentazione che genera confusione per i consumatori.

Dazi USA al 15%: il food & beverage perderebbe 2,9 miliardi di export

A fare i conti è stato il Centro Studi Confindustria e il risultato non lascia molto spazio all’ottimismo: dazi USA al 15% si tradurrebbero in una riduzione dell’export italiano pari a 22,6 miliardi di euro, mandando in fumo oltre un terzo del valore delle vendite nel mercato statunitense. Fortemente danneggiati alimentari e bevande che nel loro insieme perderebbero quasi 2,9 miliardi di euro di esportazioni.
La simulazione prende le mosse da quello che al momento si profila come lo scenario più probabile. La tariffa unica del 15% sembra infatti essere il punto di approdo tra Usa e Ue, capace di scongiurare una guerra commerciale dagli esiti imprevedibili. L’intesa ricalcherebbe l’accordo stipulato dall’amministrazione Trump con il Giappone solo qualche giorno fa e stando a quanto riportato da vari organi di stampa, sarebbe ritenuto un compromesso sostanzialmente accettabile dai 27 Paesi membri dell’Unione europea. Va detto che eventuali esenzioni di specifici settori – tra quelli citati in queste ore ci sono anche i prodotti agricoli e gli alcolici – cambierebbero non poco lo scenario, in particolare per un Paese esportatore come l’Italia.

LE STIME DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
La simulazione del Centro Studi Confindustria si basa su una serie di ipotesi, a cominciare da quella di dazi USA al 15% su tutti i prodotti UE (senza differenze settoriali) e del 10% sulle merci del resto del mondo; a seguire, una svalutazione del 13,5% del dollaro sull’euro da inizio 2025 (equivalente a -10% sulla media 2024) e un’incertezza geoeconomica ai massimi storici, soprattutto negli USA (+300% all’inizio di luglio rispetto a fine 2024). Fatte queste premesse, il risultato è quello già anticipato: -22,6 miliardi di euro di export negli Stati Uniti. Parte di queste perdite sarebbero compensate da maggiori vendite degli esportatori italiani nel resto del mondo (fino a circa 10 miliardi).
In valore assoluto, i settori più colpiti sarebbero macchinari e farmaceutica (rispettivamente -4,3 miliardi e -3,4 miliardi di euro). L’alimentare è quarto e lascerebbe sul terreno 1,820 miliardi di euro, che vorrebbero dire -3,9 sull’export settoriale totale. La perdita per le bevande sarebbe inferiore in valori assoluti (-1,068 miliardi di euro), ma più che doppia se calcolata come percentuale sul totale delle esportazioni: -8,4% e cioè la flessione più importante tra quelle stimate nella simulazione. Cifre che giustificano pienamente la levata di scudi di filiere come quella del vino, per le quali i dazi al 15% avrebbero un impatto devastante.

L’IMPATTO DELLA SVALUTAZIONE DEL DOLLARO
C’è un ultimo aspetto messo in luce dal Centro Studi Confindustria e che chiama in causa le politiche monetarie europee: una riduzione delle tariffe USA o un minore deprezzamento del dollaro, a parità di altre condizioni, avrebbero un effetto quantitativamente simile. In pratica, ciascun punto percentuale in meno di dazi equivale a circa 1 miliardo di export italiano negli Stati Uniti in più, ma lo stesso effetto si otterrebbe con un punto in meno di svalutazione del dollaro. Per esempio: con dazi al 10% o dollaro in risalita del 5% sull’euro, l’export italiano negli USA ridurrebbe le perdite a -17,6 miliardi. Come a dire che il futuro dei settori manifatturieri europei passa sì da Washington e Bruxelles, ma anche da Francoforte. Ovvero, da cosa deciderà il Presidente Donald Trump, dalla capacità negoziale dell’Unione e dalle mosse della Banca Centrale Europea.

 

Gruppo Olitalia supera i 311 milioni di euro di fatturato

Il Gruppo Olitalia accelera sullo sviluppo e annuncia 45 milioni di euro di investimenti negli stabilimenti delle due sue realtà produttive: Olitalia a Forlì e Acetaia Giuseppe Cremonini a Spilamberto, in provincia di Modena. L’obiettivo è rafforzare la competitività a livello nazionale e nei mercati globali, dopo l’andamento positivo registrato nel 2024: il gruppo nel suo insieme – sommando quindi i risultati di Olitalia e Acetaia Giuseppe Cremonini – ha archiviato l’anno con un fatturato consolidato di oltre 311 milioni di euro (+10,5% rispetto al 2023), per il 41% derivato dall’export. Sono stati più di 102 milioni i litri di olio e aceto venduti (+4,2% sul 2023) e 170 i dipendenti occupati. Focalizzato su selezione, confezionamento e commercializzazione di oli extravergine d’oliva, oli di semi e da frittura e aceti, il gruppo è presente in circa 120 Paesi nei 5 continenti ed è guidato dai fratelli Angelo, Camillo ed Elisabetta Cremonini.
A FORLÌ UNA NUOVA PIATTAFORMA LOGISTICA
Per il sito produttivo di Olitalia di Forlì, dove si producono oltre 96 milioni di litri di olio, l’azienda investirà 30 milioni di euro per interventi infrastrutturali nella logistica e nell’approvvigionamento energetico e per aumentare la capacità produttiva del 20%. Tra le opere principali si evidenziano la costruzione della nuova piattaforma logistica da 7.500 metri contigua al sito produttivo, destinata allo stoccaggio dei prodotti alimentari e alla movimentazione automatizzata; l’installazione di un nuovo impianto fotovoltaico, 6 volte più potente dell’attuale, che consentirà una significativa riduzione dell’impatto ambientale; nuove linee di produzione ad alta efficienza e un innovativo sistema di filtrazione e stoccaggio, 34 nuovi serbatoi che aumenteranno la capacità di stoccaggio del prodotto sfuso di 2 milioni di litri, a temperatura controllata (16-18°C) per una migliore conservazione dell’olio.
SPILAMBERTO AUMENTA LA CAPACITÀ PRODUTTIVA
Anche per il sito produttivo di Spilamberto (MO) di Acetaia Giuseppe Cremonini è previsto un investimento complessivo di 15 milioni di euro, finalizzato al potenziamento della capacità produttiva, all’ampliamento della superficie di stoccaggio e al miglioramento dell’autonomia energetica dello stabilimento. La fase 1, già completata, ha comportato un investimento di 9 milioni di euro per la realizzazione di un nuovo fabbricato di 4.000 metri quadrati destinato alla produzione e al magazzino e per l’installazione di macchinari e tecnologie produttive di ultima generazione. La fase 2, che prevede ulteriori 6 milioni di euro di investimento, comprenderà la realizzazione di una linea dedicata al confezionamento del prodotto in vetro, un nuovo magazzino compattabile e una linea specifica per gli aceti speciali. A regime, lo stabilimento, nel suo complesso, passerà da 3.000 a 7.000 metri quadrati di superficie utile, raddoppierà la sua capacità produttiva da 20 a 35 milioni di bottiglie annue con un assetto logistico interno più efficiente, con oltre 4.000 posti pallet, e grazie ad un nuovo impianto fotovoltaico aumenterà sensibilmente l’autonomia energetica.
L’ANDAMENTO DELLE VENDITE IN ITALIA E ALL’ESTERO
Olitalia, la società che si occupa di confezionamento e commercializzazione di oli, ha chiuso il 2024 con un fatturato di 293,9 milioni di euro, in crescita del 12,4% rispetto al 2023, e volumi venduti di 96,5 milioni di litri di olio (+4% sul 2023). I canali principali per Olitalia sono la Gdo, che ha superato i 91 milioni di euro di ricavi (+4,5% sul 2023) e il food service, con 34,8 milioni di litri venduti e un fatturato di 85 milioni di euro (+11,3% sul 2023).
Ottima anche la performance all’estero, dove le vendite hanno raggiunto i 19,7 milioni di litri, generando un fatturato di 115 milioni di euro, pari a oltre il 40% del totale, con una particolare attenzione ai mercati asiatici come Taiwan, Sud Corea e Hong Kong. In questi Paesi, Olitalia ha conquistato una solida quota di mercato nel canale retail. Allo stesso tempo, la strategia prevede anche il rafforzamento della presenza in nazioni con alto potenziale, come Stati Uniti e America del Sud, dove la domanda di oli di qualità continua a crescere.
Quanto ad Acetaia Giuseppe Cremonini, la società che si occupa di produzione di aceti, nel 2024 il fatturato ha toccato i 23,3 milioni di euro (+2% sul 2023) a fronte di 7,5 milioni di litri venduti. Tra i driver di crescita spiccano le glasse, che hanno visto un incremento del 10% nei volumi e del 21% nel fatturato, arrivando a rappresentare il 28% del totale ricavi. L’estero rappresenta il canale principale, con oltre il 70% delle vendite complessive. Ai primi posti troviamo la Francia (16% delle vendite totali) e gli Stati Uniti (12% delle vendite), ma si segnala il buon andamento del mercato canadese che cresce del 27%. La marginalità è sensibilmente migliorata: l’Ebitda è salito dal 7,6% al 9,67% del fatturato e ammonta a 2,3 milioni di euro.
I risultati positivi raggiunti nel 2024 sono il frutto di una strategia chiara, che ha puntato sullo sviluppo di nuove linee di prodotto e su una presenza sempre più importante nei mercati esteri – dichiara Angelo Cremonini, Presidente di Olitalia –. Gli investimenti di circa 45 milioni di euro previsti nei nostri due stabilimenti di Forlì e Spilamberto hanno un obiettivo preciso: aumentare la capacità produttiva, migliorare l’efficienza logistica e rendere i nostri processi sempre più innovativi e automatizzati. Abbiamo scelto di intervenire in modo strutturale, con soluzioni che ci permetteranno di essere più reattivi alle richieste del mercato, migliorare la qualità del lavoro e aumentare la competitività, in Italia e all’estero”.

Estate nel segno delle cup per Riso Scotti

È un’estate all’insegna della comunicazione quella di Riso Scotti, on air dal 20 luglio a fine agosto con la campagna “Apri, scalda e gusta come vuoi!”. Protagoniste, sul piccolo schermo e non solo, sono le omonime cup, lanciate di recente dall’azienda pavese. Per intercettare l’attenzione del pubblico, lo spot è scandito da un ritmo vivace e gioca la carta del jingle, una sorta di invito musicale rivolto dall’azienda ai consumatori italiani e che ambisce a diventare un tormentone estivo.

Pronte in un minuto in microonde o in padella, le cup sono proposte in quattro varianti: Venere, Basmati, Integrale e Chicco Lungo, tutte in formato monoporzione da 200 grammi. Le referenze sono state ideate con l’obiettivo di rispondere alle esigenze dell’alimentazione contemporanea, che predilige ingredienti sani e al tempo stesso velocità di preparazione. Le Cup di Riso Scotti sono in pratica una base neutra da condire a piacere, adatte per una pausa pranzo in ufficio, a scuola o per un pasto veloce a casa, ma utilizzabili anche per realizzare aperitivi, buffet e finger food. Con questa iniziativa di comunicazione Riso Scotti intende rilanciare la propria visione, che punta a innovare nel mondo del riso con prodotti capaci di coniugare benessere, qualità e praticità.

A firmare la creatività è stata l’agenzia Testa e Cuore di Torino, che si è occupata anche della realizzazione del jingle, mentre la casa di produzione è la Bedeschi Film di Milano. Lo spot è in tre formati (rispettivamente da 10, 15 e 30 secondi) e la pianificazione prevede oltre 8.000 passaggi, più del 40% dei quali in fascia prime time. Il target è individuato in responsabili d’acquisto tra i 35 e i 54 anni e viene definito come smart, attivo, sportivo e urbano. Il media mix comprende anche una telepromozione con Gerry Scotti e una serie di uscite su radio, quotidiani, periodici, web, digital & social.

Mauro Carbonetti nuovo Amministratore Delegato di Coal

L’esperienza professionale è consolidata e indiscutibile, la conoscenza del territorio anche, ma il vero segreto potrebbe essere l’entusiasmo di affrontare una nuova sfida. Mauro Carbonetti (nella foto in alto) è stato nominato Amministratore Delegato di Coal, impresa socia di Gruppo VéGé. Un rientro in prima linea per un manager ben noto nel settore Gdo. Romano di nascita, ma da molti anni residente nelle Marche, Carbonetti ha avviato il suo percorso in Oviesse-Coin, proseguendo poi in Exportex e Pam, fino ad approdare nel 1989 nell’azienda a cui è maggiormente legato il suo nome: la Magazzini Gabrielli. Della società marchigiana, Carbonetti è stato dapprima Direttore Commerciale, poi Amministratore Delegato fino al 2021 e dunque tra gli artefici della sua crescita in un’area che oggi, oltre alle Marche, comprende anche Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise. Altri ruoli ricoperti nel tempo sono quelli di Consigliere e Vicepresidente della supercentrale ESD, Consigliere Delegato del consorzio SUN e Membro del Consiglio Direttivo di Federdistribuzione. Negli ultimi anni, lasciata Magazzini Gabrielli, Carbonetti è stato consulente per varie organizzazioni distributive e per l’industria.

Coal, che compirà 65 anni nel 2026, nell’ultimo esercizio ha registrato un fatturato alle casse di circa 500 milioni di euro. L’azienda è attiva in sei regioni (Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio, Emilia-Romagna e Molise) e nella Repubblica di San Marino, con 290 punti vendita di varie metrature. In questi territori opera con tre insegne: Coal, Eccomi e il Buongustaio.
A Carbonetti è ora affidata la responsabilità di guidare l’azienda in una nuova fase di sviluppo strategico, con l’obiettivo di rafforzare la presenza sul territorio, innovare l’offerta commerciale e consolidare il rapporto con clienti e fornitori. “Siamo lieti di accogliere Mauro Carbonetti alla guida di Coal – dichiara Carlo Palmieri, Presidente del CdA – certi che la sua visione e competenza saranno determinanti per affrontare le sfide del mercato e cogliere nuove opportunità di crescita”.

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