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Food Industry Monitor: l’industria alimentare ha bisogno di più investimenti e innovazione

Non mancano in questo periodo di Expo le analisi sull’industria alimentare italiana. Ma quando a proporle è la Banca della Svizzera Italiana con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, la cosa diventa interessante. E la chiave di lettura di questa strana coppia la dà proprio Carlo Petrini, fondatore dell’Università e di Slow Food che rimarca come sia «impossibile parlare di cibo senza parlare di economia». E quando si parla di economia, guardando ai risultati della ricerca Food Industry Monitor, si guarda alla solidità finanziaria delle aziende, alla loro capacità di dare continuità all’attività e di disporre dei capitali sufficienti.

Gabriele Corte, responsabile del mercato italiano di Bsi Europe, spiega i motivi che hanno spinto la banca a lanciare l’osservatorio insieme all’Unisg. «Il settore agroalimentare, nelle sue varie sfaccettature, è una delle colonne portanti dell’economia italiana. Paradossalmente risulta uno dei meno studiati e di conseguenza valorizzati. Bsi e Unisg hanno quindi deciso di dar vita ad uno studio sistematico e pluriennale del mondo alimentare italiano con un approccio fortemente pragmatico tipico dei due istituti. Analizzando le singole aziende la volontà è quella di evidenziare punti di forza e di debolezza del settore, individuando fattori critici di successo da condividere con i nostri partner. Il Food Monitor porta all’attenzione l’enorme valore intrinseco nel settore e fornisce elementi utili agli imprenditori per ulteriormente affinare le proprie strategie aziendali».

È in chiaroscuro il quadro che ci restituisce la ricerca, che ha analizzato le performance economico-finanziarie di 520 aziende suddivise in 10 comparti (acqua, caffè, distillati, dolci, food equipment, latte e derivati, olio e condimenti, pasta, salumeria, vino) dal 2009 al 2013. Il campione delle aziende prese in esame, in media le prime 50 per dimensioni di ogni comparto, hanno generato complessivamente 43,5 miliardi di euro di ricavi nel 2013, pari a circa il 71% di tutte le società di capitale operanti nel settore in Italia. Nell’analisi sono stati considerati tre indicatori: crescita, sostenibilità finanziaria e redditività.

Il settore, nonostante la caduta dei consumi interni è uscito meglio di altri da questi anni di difficoltà, registrando dal 2009 al 2013 un Cagr del 4,1%, (merito dei risultati ottenuti sui mercati esteri) e una sostanziale crescita del valore aggiunto superiore a quella dei ricavi, che denota la messa in marcia di processi di miglioramento dell’efficienza. Mediamente positivi sono gli altri indicatori di redditività commerciale (6%), del capitale investito (8,9%), dei mezzi propri (8,8% contro il 4,8% del Roe delle imprese italiana).

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Ovviamente all’interno dei dati medi vi sono alcuni comparti che registrano migliori performance.:

CRESCITA –  Il caffè, il vino, l’olio e il food equipment per quanto riguarda la crescita dei ricavi, tutti comparti rappresentativi dell’eccellenza italiana strutturalmente più votati all’estero. I meno brillanti sono quei comparti più dipendenti mal mercato nazionale o che hanno subito una maggiore pressione sui prezzi come l’acqua, la pasta, i dolci, la salumeria.

REDDITIVITÀ – Il food equipment è il comparto che evidenzia la relazione più favorevole tra crescita e redditività (Ros), ma anche i distillati, la pasta e i dolci registrano un risultato superiore alla media. Caffè, latte, olio e vino hanno sviluppato una crescita soddisfacente tuttavia questa crescita è stata ottenuta sacrificando una parte della redditività del capitale investito. I settori dell’acqua minerale e dei dolci hanno invece sviluppato una crescita insufficiente preservando tuttavia la redditività del capitale investito.

SOSTENIBILITÀ  FINANZIARIA –   Caffè, vino e food equipment insieme ai distillati appaiono  ben posizionati per cogliere le sfide dei mercati anche in futuro poiché, proseguendo su questo percorso, potranno essere in grado di garantirsi una crescita sostenibile sul lungo periodo. Il confronto tra indebitamento e crescita, infatti, mostra che le aziende di questi comparti sono riuscite a crescere mantenendo l’indebitamento finanziario sotto controllo e rimanendo sotto la media del settore, pari al 2,7%.

Salumeria e acqua non sono riusciti a sviluppare una crescita soddisfacente e hanno una struttura finanziaria debole con una forte esposizione a breve.

I BEST PERFORMER – Il risultato combinato di crescita, reddittività e sostenibilità evidenzia ai primi tre posti i comparti del caffè, distillati e food equipment. Ciascuno dei tre comparti occupa il primo posto in uno dei tre indicatori utilizzati per la classifica. Il caffè ha la struttura finanziaria più solida, i distillati la maggiore redditività commerciale e il food equipment la maggiore capacità di crescita sui mercati. Tuttavia i tre comparti hanno performance molto equilibrate anche negli altri indicatori, questo fa si che siano posizionati ai vertici della classifica come aziende in grado di sviluppare una crescita redditizia e sostenibile dal punto di vista finanziario.

Schermata 2015-06-25 alle 22.21.05I comparti della pasta e dei dolci, che occupano la quarta e la quinta posizione, hanno buone performance per quanto riguarda la marginalità commerciale e il tasso di indebitamento, tuttavia hanno performance poco soddisfacenti per quanto attiene la crescita. Il comparto del vino occupa una posizione mediana in tutti e tre gli indicatori. L’olio ha un tasso di crescita molto elevato a cui corrisponde una forte criticità dal punto vista della redditività e della struttura finanziaria. Il latte ha un discreto posizionamento per quel che riguarda la crescita ma performance negative in termini di redditività e sostenibilità finanziaria. I comparti dell’acqua e della salumeria presentano forti criticità nei tre indicatori ed evidenziano la presenza di problematiche strutturali.

«Le aziende del settore alimentare – commenta Carmine Garzia, professore di management all’UNISG e coordinatore scientifico del Food Industry Monitor – sono state colte in contropiede dalla crisi del mercato interno e dalla caduta dei consumi e gli investimenti ne hanno sofferto. Il tasso di indebitamento inferiore alla media di molti comparti e il rapporto del valore della produzione con le immobilizzazioni materiali denotano un forte rallentamento degli investimenti nei beni strumentali e nelle innovazioni di processo. Un tema fortemente critico rimane la logistica e l’efficienza. Se ne ricavano due messaggi: in primo luogo la crescita virtuosa non può prescindere dall’innovazione di prodotto e processo, che consente di incrementare i margini, in secondo luogo le aziende devono dedicare alla gestione finanziaria lo stesso livello di attenzione che dedicano all’innovazione, in quanto la crescita profittevole deve poggiare su solide basi patrimoniali».

Parte da Torino il progetto Salsamenteria del quartiere, la salumeria 3.0: vicinato sostenibile

Dieci strutture a Torino di proprietà, recuperate da spazi commerciali chiusi da anni: è partito così, a febbraio di quest’anno, il progetto Salsamenteria del quartiere. Batir Spa [finanziata da Figerbiella Spa, che partecipa per il 75%, e da Roberto Gualco e altri investitori, ndr] è partita con un’idea: ripopolare la città di negozi di alimentari. Adattati però alle esigenze dei consumatori, pardon “clienti”, del Terzo Millennio. Il progetto è ambizioso, e prevede una prima fase di espansione a Torino, con altri 25 negozi, e poi lo spostamento in altri grandi centri urbani, con l’obiettivo di aprire punti vendita in tutta Italia.

Chiara Priotti Ci facciamo spiegare la filosofia delle Salsamenteria [dalla Treccani: Pizzicheria, salumeria] da Chiara Priotti, responsabile del personale e delegata per la comunicazione e il marketing di Batir.

Cosa si trova nei punti vendita della Salsamenteria?

Una selezione di prodotti italiani, ove possibile della zona. Acquistiamo direttamente dai produttori, saltando gli intermediari in modo da garantire prezzi migliori. Abbiamo un agronomo che seleziona i prodotti e verifica che non vi siano ingredienti “non graditi” come olio di palma, conservanti o additivi. Il magazzino è a Santena e da qui la merce è smistata ai negozi con consegne giornaliere, con l’eccezione dei latticini che sono consegnati direttamente in negozio.

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A chi vi rivolgete?

Essenzialmente alle persone del quartiere. Vogliamo abbandonare il concetto di consumatore considerato come un numero a cui vendere il più possibile, e instaurare un rapporto diretto tra i commessi e il cliente che viene a fare la spesa. Per questi i commessi, due per negozio, tutti giovani, sono stati formati con un corso di due mesi e costantemente aggiornati sui prodotti che vendono e le lavorazioni, con visite presso i fornitori. Pensiamo che ci sia voglia di un commercio diverso dalla spersonalizzazione della GDO, che molte persone non gradiscono più. Abbiamo notato una prevalenza di anziani e famiglie con bambini, attenti all’alimentazione e alla provenienza dei prodotti.

Qual è la vostro politica di prezzi?

In linea con la GDO, a parità di qualità: non siamo Eataly! Le nostre iniziative promozionali sono volte a far conoscere determinati prodotti, con sconti anche del 25/30%, anche perché non teniamo grandi marche. Siamo contrari all’accumulo, proponiamo una spesa quotidiana che consenta di avere prodotti sempre freschi ed evitare sprechi. Abbiamo anche biologico ma non in esclusiva, non siamo un negozio bio.

Come si presenta un negozio della Salsamenteria?

Abbiamo cercato di riqualificare strutture preesistenti, negozi di alimentari chiusi da tempo, ristrutturandole. Sono spazi di circa 100 mq. All’interno abbiamo una cartellonistica semplice che spiega la nostra filosofia e la scelta dei prodotti. Il nome varia a seconda della via.

Che ruolo ha la tecnologia nel vostro progetto?

Il gestionale per le casse e il magazzino è un software open source adattato alle nostre esigenze. Non facciamo e-commerce ma le consegne sono previste nel prossimo sviluppo della catena. La pagina Facebook è aggiornata non solo con novità di prodotto ma anche con eventi della città e del quartiere, in un’ottica di servizio. Nei negozi abbiamo installato dei frigoriferi con il motore esterno all’area di vendita, per evitare l’inquinamento acustico ed elettromagnetico.

Come sono andati questi primi mesi?

Abbiamo dovuto farci conoscere; ora dopo una campagna pubblicitaria su “la Stampa” siamo più noti. Abbiamo fidelizzato molti clienti, che tornano dopo aver capito la nostra filosofia e la coerenza dell’offerta. Frutta e verdura di stagione (tra cui gli asparagi di Santena), farina del molino Bongiovanni macinata a pietra, sughi e conserve senza additivi, pane fatto con lievito di pasta madre della cooperativa sociale Articolo 1 (che dà lavoro a persone in difficoltà) e dal carcere di Torino. A breve entreranno nell’assortimento anche i detergenti ecologici, i libri della casa editrice Giunti e la gastronomia.

 

Algida lancia Swedish Glace, gelato di soia senza glutine e lattosio

Con il claim “tutto il gusto del gelato, senza compromessi”, Algida entra nel mercato del free from con un gelato a base di soia capace di soddisfare i consumatori più attenti: perfetto per chi soffre di allergie o intolleranze, grazie all’assenza di glutine e alla quasi totale assenza di lattosio (meno dello 0,01%), e per chi ama l’esperienza golosa e gratificante del gelato.
La qualità della soia di Swedish Glace è certificata da quattro caratteristiche principali: è senza glutine, senza lattosio, decorticata e non OGM.

Una vera svolta per l’azienda, marchio del gruppo Unilever, diventata famosa per la pubblicità del “cuore di panna”, ma che non fa che venire incontro alle esigenze di fasce sempre maggiori di consumatori, affetti da intolleranze o allergie (un trend in crescita), o più semplicemente desiderosi di limitare nella propria dieta l’apporto di alimenti considerati, a torto o a ragione, meno salutari.

Swedish Glace è proposto in due gusti: vaniglia e lampone. La vendita è prevista nella GDO e nelle farmacie.

Stabilimento di produzione in etichetta: su Twitter, la gdo alza l’asticella

Sulla questione dell’eliminazione dello stabilimento di produzione dall’etichetta dei prodotti alimentari, previsto dal Regolamento europeo 1169/2011, la Gdo dopo un periodo di silenzio, ha preso ferma posizione, anche sollecitata da ioleggoletichetta che aveva lanciato una petizione su internet, oggi sottoscritta da 24.160 firme.

Sulla questione, poi, il governo, al di là di dichiarazioni e qualche debole misura annunciata dal Ministero delle Politiche agricole, non ha propriamente preso il toro per le corna, considerando che prima dell’entrata in vigore delle Regolamento 1169/2011 l’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta era obbligatorio. Anzi l’atteggiamento del ministero dello Sviluppo economico è stato per lo più cincischiatorio.

Appare quindi quantomeno curioso che di fronte alla necessità di salvaguardare il valore del food italiano, per di più alla vigilia dell’Expo, non sia stato preso alcun provvedimento d’urgenza in questa direzione, ma si siano solo attivati i canali  ufficiali per avere risposte dalla Ue sulla possibilità di rendere nuovamente obbligatoria l’indicazione dello stabilimento di produzione.

In questo contesto la quasi totalità della gdo opernte in Italia ha deciso di continuare a mantenere tale indicazione sui prodotti a marchio del distributore.

Ma all’orizzonte le cose stanno prendendo un’altra piega con una possibile decisione della distribuzione di boicottare i prodotti di marca che non inseriscono tal dicitura.

L’iniziativa è partita su Twitter per  merito di Mario Gasbarrino, ad di Unes e uno dei più convinti assertori della necessità di mantenere la dicitura (insieme con Vito Gulli ad di Generale Conserve), tanto che sulle confezioni dove la materia prima è prevalente, come il latte e l’olio,  non solo viene indicato lo stabilimento, ma viene inserito anche il pittogramma della bandiera italiana per comunicare l’origine stessa del prodotto in maniera più evidente. «Non è questione di autarchia – scrive su Twitttter @mgasbarrino rispondendo a un follower che chiedeva di manatenere in assortimento la pasta secca con grano duro canadese per  via di un superiore apporto di proteine – ma di trasparenza. Basta che sulla confezione sia riportato il luogo di produzione».

Per chiarire, quindi, la battaglia che viene condotta a questo riguardo, non ha nulla a che vedere con la presunta difesa del prodotto italiano in sé – anche perché senza l’importazione di tante materie prime dal grano duro all’olio extravergine, non ci sarebbe la possibilità di esportare la pasta e i blend di evo caratteristici del made in Italy. Si tratta invece di una presa di posizione a difesa del sacrosanto diritto del consumatore di sapere dove viene prodotto il cibo che sta acquistando.

In un suo messaggio Gasbarrino afferma “#prodottodove: una #gdo ke si limita solo a firmare petizione @etichettiamoci è come UE ke lascia sola It su immigrazione!Ci vogliono fatti”. Raccogliendo un immediato endorsement di Francesco Pugliese ad di Conad (@fpugliese_conad) che scrive: “Condivido fatti non solo parole“.

E i fatti sono che, dice sempre Gasbarino, “io se trovo altri 10 retailers firmo un patto x boicottare (non vendere) prodotti senza luogo”, riscuotendo rapidamente l’adesione di Giorgio Santambrogio, ad di VéGé (@gsantambrogio1) che twitta: “Gruppo VéGé è con te” “Solo 1 forte cartello di retailers  può impedire eliminazione #prodottodove!”.  E a seguire quella di Eleonora Graffione, presidente di Coralis (@eleonoragraffio), che scrive: “Coralis unita ai colleghi per maggiori info al cliente. Abbiamo aderito fra i primi a @etichettiamoci e nostro programma prevede la tutela dell’indicazione del luogo di produzione”.   E aggiunge: “Proviamoci. Magarii è la volta che si accorgono che anche noi facciamo parte del Pil”.

Di rimando Gasbarrino annota. “Solo un forte cartello di retailers  può impedire eliminazione #prodottodove ! Siamo già in 3 disposti a non venderli”.

E conclude, per il momento: “Credo che saranno molti i distributori disposti al boicottaggio: si facciano avanti!“.

 

Lo strudel Koch: un grande classico, pratico e surgelato

Qual è il dolce più tipico dell’Alto Adige? Socuramente lo strudel, dal ripieno di mela, cannella, uvetta e zucchero avvolti nell’abbraccio della pasta sfoglia.
Koch, azienda leader e di riferimento nella produzione di pasta e prodotti surgelati, non poteva che proporlo così, surgelato appunto. Pratico e veloce da preparare, si inforna appena tolto dal freezer e si cuoce su una teglia per circa 35-40 minuti nel forno di casa. Poi non resta che cospargerlo di zucchero a velo per ottenere un dolce fragrante e dal profumo invitante.
Lo Strudel viene prodotto e surgelato da Koch senza l’aggiunta di additivi e conservanti e viene realizzato con sole mele dell’Alto Adige seguendo fedelmente la ricetta tradizionale. È disponibile in un pack accattivante, dalla grafica curata in grado di catturare l’attenzione del consumatore al primo sguardo e di fornire le informazioni sul prodotto in maniera chiara e trasparente.

Gusto e piacere i driver dei salumi e degli affettati in uno studio di Iri

In un recente white paper Iri indaga le dinamiche del mercato dei salumi con un focus particolare sul segmento degli affettati a peso imposto all’interno del canale moderno, evidenziando problematiche ed opportunità per produttori e distributori.

I salumi sono infatti una categoria di alimenti adatta a tutta la famiglia e a diversi momenti di consumo, in grado di soddisfare la ricerca del gusto e, allo stesso tempo, in linea con le raccomandazioni dietetiche della comunità scientifica. Oggi il mercato offre una grande varietà di prodotti e di formati, spesso già coniugati secondo le diverse modalità di consumo e che soprattutto negli ultimi anni, con la crescita degli affettati arrosti (base carne di pollo e di tacchino), rimandano sempre di più all’idea di salute, benessere e leggerezza. I salumi sono consumati da più di 24 milioni di famiglie italiane che durante un anno acquistano mediamente oltre 17,6 kg di prodotto (fonte dati Gfk).

Purtroppo il clima economico, che ha impattato in modo negativo numerose categorie di consumo, influenza anche il mercato dei salumi. Nell’ultimo anno tra i segmenti che compongono il mercato, segnali positivi sono arrivati dagli affettati (trend positivo ma sempre più debole) e dai salami (salame e salami snack).

Il trend positivo del salame è un fenomeno che si è registrato soprattutto nell’ultimo anno e che si potrebbe legare al ritorno dei consumi a casa. Questi prodotti sono consumati anche durante l’aperitivo, così come le patatine (che crescono del 8,7%), le birre speciali (che crescono del 13,6%), le birre radler aromatizzate (che crescono del 155%) o gli aperitivi analcolici premiscelati (che crescono del 61%).

Gli Affettati nel canale moderno
Durante il 2014, il mercato degli affettati nel canale moderno (Ipermercati, Supermercati e Libero Servizio Piccolo) ha registrato un giro di affari pari a 984 milioni di euro (in termini di volumi parliamo di 44.187 tonnellate) con un trend positivo del +1,8% e un incremento del +2,6% a volume.

La performance positiva di questo segmento è legata in grande parte alle ottime performance degli affettati arrosti che hanno negli ultimi anni dato una spinta al segmento anche grazie al vissuto salutistico. Si confermano inoltre le buone performance di tutte le principali tipologie di affettati (Ccotto, crudo, mortadella, salame, bresaola, ecc…).

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Tra le diverse tipologie di affettati, si evidenzia quindi la crescita del prosciutto cotto (+1,1% a volume nel 2014) che rappresenta la tipologia più importante in termini di volumi. Come nel mondo dei salumi, anche negli affettati è in crescita il segmento «salame» (+3,7% a volume) che rappresenta di fatto la quarta tipologia in questo mercato.

Le tipologie minori come la spalla cotta, cotto Praga e salumi misti flettono, quasi a indicare che il mercato si sta concentrando sui prodotti più rappresentativi del segmento. Per quanto concerne le prime due si assiste inoltre ad una riduzione, seppur leggera, del numero medio di referenze presenti a scaffale, in particolare nei supermercati.

Invece negli ipermercati cresce il numero medio di referenze medie del segmento in maniera importante (+7pt).

Il «Mondo Benessere»
In un momento di economia incerta la ricerca di leggerezza e benessere resta un’aspettativa importante per i consumatori.

Nel segmento deglia, negli ultimi 3 anni, i produttori hanno investito in marchi/prodotti in grado di rispondere alla richiesta di benessere espressa dal consumatore.

Il «sottosegmento Benessere» durante il 2014 è cresciuto quasi del 12% (dato a valore), crescita che ha coinvolto quasi tutti i produttori e tutte le tipologie di prodotto che fanno parte di questo sottosegmento.

Gli affettati arrosti, che rappresentano la quota più importante di questo sottosegmento, hanno tra l’altro un posizionamento di prezzo più basso rispetto alla media della categoria (la materia prima – carni bianche – costa meno rispetto alla carne di maiale), di circa 15 punti.

Ancora una volta possiamo interpretare questi andamenti come una scelta da parte degli acquirenti di comprare prodotti più adatti al mantenimento del proprio benessere ma con un prezzo medio più contenuto rispetto agli altri tipi di affettati.

La marca commerciale gioca un ruolo importante in questo mercato. La quota volume raggiunta da questi prodotti è superiore al 32% con un trend del +0.8%

Prezzi e promozioni
In un contesto incerto come quello degli ultimi anni il fattore prezzo è sicuramente molto importante anche nella categoria degli affettati. Non a caso aziende produttrici e i distributori stanno pianificando attività promozionali molto intense.

Già ormai da quattro anni la pressione promozionale del segmento supera il 37%. Si tratta di un dato decisamente superiore alla media del comparto del largo consumo che si attesta intorno al 28,5%.

Gli affettati sono uno dei prodotti più presenti sul volantino promozionale. Questo strumento di comunicazione all’interno della categoria è molto importante. Una ricerca sullo shopper condotta recentemente da IRI evidenzia infatti che il 61% dei consumatori dichiara di prestare attenzione al volantino rispetto al 55% del 2010.

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In generale il prezzo medio degli affettati non è aumentato ma ha addirittura mostrato una lieve flessione (-0,8%). Ulteriore fattore calmieratore dei prezzi, come già segnalato, è sicuramente l’elevata promozionalità.

Un fenomeno da evidenziare è sicuramente quello del rialzo dei prezzi della marca commerciale durante il corso dell’ultimo anno (0,8%). Questo trend potrebbe attribuirsi al fatto che la marca del distributore ha un ruolo importante nel mercato degli affettati, tanto da potersi permettere di ridurre il gap di prezzo che ha rispetto ai prodotti di marca (96,3 indice di prezzo)

La pressione promozionale della marca del distributore è inferiore a quella dell’industria di marca (31,4% vs 49,2% della marca industriale).

Innovazione
Storicamente la crescita del comparto degli affettati è favorita anche da un notevole fermento in termini di novità di prodotto (specialità) e di formati. Negli ultimi anni infatti abbiamo assistito al lancio di nuove linee di prodotto che rispondono a bisogni specifici dei consumatori, sia di tipo salutistico (es. Snello Rovagnati, Aequilibrium AIA, ecc…), sia di gusto o ricerca di specialità come culatello, lardo di Colonnata, gambetto, per un consumatore esigente e attento alla qualità

Affettati in busta: servizio e comodità
Gli affettati pronti incontrano il favore dei consumatori italiani, perché sempre freschi e ricchi di sapore. L’evoluzione di questo segmento è legata anche al fattore servizio rispetto al banco taglio: maggiore comodità nel fare la spesa potendo contare su un’ampia offerta di prodotti già pronti, per il cui acquisto non è necessario dover aspettare in fila al banco salumeria.

Dal punto di vista del consumatore finale, i vantaggi reali del prodotto confezionato, rispetto a quello preparato al momento, sono tanti: una maggior durata e una qualità organolettica più costante nel tempo, grazie alla possibilità di confezionare in atmosfera modificata (protettiva).

Conclusioni: problematiche e prospettive per il mercato
La segmentazione del consumo, la penetrazione nel canale moderno con promozioni e investimenti pubblicitari, il valore del brand che firma il prodotto (soprattutto nell’area di mercato più innovativa del benessere) sono gli elementi su cui puntare per rivitalizzare anche segmenti considerati maturi o in difficoltà.

Recuperare la genuinità degli alimenti è un fondamento che va cavalcato proprio grazie al vissuto che c’è nei confronti di questi prodotti: ne hanno beneficiato i player che hanno saputo meglio interpretare temi come naturalità, semplicità, italianità e vicinanza territoriale.

Altro elemento molto importante per il mercato dei salumi italiani, e conseguentemente per gli affettati, è che vanta una lunga tradizione produttiva fatta di esperienza e valorizzazione del territorio: produrre qualità in Italia paga.

Non da ultimo, come segnalato nei paragrafi precedenti, la possibilità di condivisione del prodotto all’interno di momenti di convivialità (aperitivo in famiglia o con amici) è un ulteriore plus che in questo momento viene apprezzato dai consumatori.

Nei periodi di incertezza economica, anche l’attenzione verso la leva prezzo tende ad aumentare.

Sicuramente in momenti come quello attuale il consumatore bada al risparmio. I formati, in quest’ottica, aiuteranno i consumatori ad evitare sprechi.

I fattori di criticità riguardano l’incremento del prezzo della materia prima che ciclicamente colpisce la categoria.

Per quanto riguarda l’industria di marca l’espansione delle marche dei distributori è sicuramente un fattore sfidante, in quanto benché la crescita si sia arrestata, i prodotti a marchio insegna hanno guadagnato una credibilità presso il consumatore tale da esser considerati di fatto un vero e proprio brand.

eBay azzera le commissioni nel suo marketplace food

Zero commissioni sul food: con questa mossa, che partirà dal 2 aprile prossimo, eBay.it ha deciso di promuovere l’area del sito dedicata all’enogastronomia “in modo da permettere ai propri venditori di offrire prodotti a prezzi molto più competitivi, soprattutto in vista dell’EXPO”. Vengono annullate insomma le “commissioni sul valore finale” pagate dal venditore professionale sul prezzo del prodotto venduto, pari all’8,7% del prezzo del prodotto. Inoltre i venditori professionali con un negozio premium su eBay non pagheranno le tariffe d’inserzione.
Lo scopo è quello di spingere un’area del sito, quella delle categorie relative ai prodotti enogastronomici, che nel 2014 ha registrato una crescita del 17%, con un valore medio d’acquisto di 31 euro e che si prevede che nel 2015 crescerà ancora, dato che l’e-commerce si sta sempre più affermando tra i canali preferenziali per vendere online anche prodotti enogastronomici e del Made in Italy. È un settore dalla potenzialità immense, che proprio in Italia resta ancora indietro (1% contro il 13% delle vendite online in UK).
Sulla piattaforma italiana di eBay lo scorso anno sono stati venduti 32.792 prodotti nella sottocategoria “Dolci e Biscotti”, 25.733 prodotti in “Pasta e condimenti” e 8.146 prodotti in “Salumi e Formaggi”. In tempo reale, invece, sono oltre 265 mila i prodotti enogastronomici in vendita su eBay.it e ogni 73 secondi si registra un acquisto.

Impegno contro l’Italian sounding
Uno dei problemi più sentiti per quanto riguarda la vendita online dei prodotti alimentari (e non solo) è però quello della contraffazione, flagello del Made in Italy. Per questo lo scorso anno eBay.it, l’AICIG e il Ministero per le Politiche Alimentari, Agricole e Forestali hanno siglato un Memorandum per la protezione dei prodotti DOP e IGP. Numerose le segnalazioni che hanno permesso di rimuovere prodotti non originali o contraffatti.
“Cresce il fatturato interno, l’export e il numero di imprese dell’agroalimentare italiano nel momento stesso in cui è in costante aumento l’attenzione internazionale nei confronti del cibo italiano e della nostra capacità di produrlo in maniera sostenibile e durabile – spiega Maria Letizia Gardoni, Delegato Nazionale Coldiretti Giovani Impresa -. È così che l’Italia diventa un punto di riferimento e un modello economico da imitare; questa tendenza si manifesta però anche con l’ascesa delle falsificazioni e delle speculazioni attorno al nostro bene primario. Per tale motivo è sempre più necessario creare non solo informazione riguardo al tema, ma strumenti che possano permettere al vero made in Italy agroalimentare di raccontarsi e farsi conoscere. Il web è senz’altro il primo di questi e non è un caso che oggi gli imprenditori agricoli investono anche su e-commerce, piattaforme digitali e marketing”.

A fine aprile apre Il Mercato del Duomo, nuovo flagship store di Autogrill

Aprirà il 30 aprile Il Mercato del Duomo, il nuovo flagship store del Gruppo Autogrill, vera cattedrale del gusto affacciato sul Duomo di Milano realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche (UNISG) di Pollenzo e progettato da Michele De Lucchi.

Il progetto, con un investimento di 13,5 milioni di euro intende rivitalizzare l’offerta culturale e artistica della Galleria Vittorio Emanuele, al cui angolo si trova. Il progetto architettonico, realizzato in collaborazione con l’architetto Michele De Lucchi, che valorizza i disegni originali del Mengoni. Attraverso questo intervento, rispettoso dell’identità degli spazi, ma al tempo stesso in grado di coniugare le esigenze complesse tipiche della grande ristorazione, Autogrill restituisce alla città uno dei capolavori del suo patrimonio storico-urbanistico, in cui si inserisce la scultura realizzata dall’artista Adam Lowe, che riproduce le radici di un albero di ulivo secolare, simbolo denso di significati legati alla storia e ai valori del Gruppo.

«Abbiamo scelto di trasformare Milano nel principale laboratorio di innovazione e sperimentazione del Gruppo – ha dichiarato Gilberto Benetton – perché crediamo nelle potenzialità di questa città, del suo territorio e della nostra azienda. Con Il Mercato del Duomo torniamo alle radici della nostra storia per guardare al futuro, un futuro che parla d’innovazione ed eccellenza”.

«In questo nuovo progetto Autogrill ha concentrato tutto il know-how acquisito nei numerosi anni di attività in tutto il mondo –afferma Gianmario Tondato Da Ruos, Amministratore Delegato di Autogrill – proponendo un’offerta unica e originale in grado di soddisfare le nuove tendenze e gli stili di consumo del nostro tempo. Il Mercato del Duomo è la rappresentazione esemplare della nostra filosofia che mette al centro il territorio, il recupero delle pratiche e dei mestieri artigianali, all’interno di un modello di sviluppo sostenibile, per l’ambiente e le persone».

Il Mercato del Duomo si sviluppa verticalmente su 4 piani, per una superficie complessiva di 5.000 metri quadrati, di cui 3.000 aperti al pubblico, che riflettono i progressivi stadi di lavorazione della materia prima e le diverse esperienze di consumo: dal cibo nella sua forma più semplice e naturale al prodotto lavorato e trasformato in ricette, dalla consumazione veloce a un’esperienza più slow.

Questo percorso esperienziale verticale si riflette nei diversi concept sviluppati all’interno de Il Mercato del Duomo:

–       il Bar Motta, che in un’atmosfera suggestiva, connubio perfetto tra tradizione e modernità, offre prodotti di caffetteria e croissanteria di altissima qualità;

–       il Mercato, la novità principale del nuovo punto vendita, gestito da Compagnia Alimentare, che riproduce il tradizionale mercato cittadino composto da banchi alimentari di produttori e fornitori locali, selezionati con il contributo di UNISG, dove i visitatori troveranno le eccellenze del territorio lombardo, e non solo;

pizza e focaccia Mercato del Duomo

 

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–      il Bistrot Milano Duomo, il concept di nuova generazione inaugurato nel 2013 presso la Stazione Centrale di Milano, che attraverso un’ampia offerta sviluppata su due piani valorizza i prodotti tipici e il recupero delle pratiche di lavorazione artigianale, in linea con la nuova filosofia di ristorazione Autogrill;

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–       la Terrazza Aperol, luogo di tendenza e simbolo del tradizionale aperitivo milanese;

–       il ristorante-laboratorio Spazio – un progetto della Niko Romito Formazione – dove i giovani cuochi della Scuola di Formazione di Castel di Sangro (L’Aquila) condivideranno con gli ospiti le storie, le idee e le emozioni che nascono dall’ideazione di un piatto fino alla sua realizzazione.

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–       Allo stesso piano, inoltre, sarà presente un Wine Bar, che proporrà al visitatore una selezione delle eccellenze enogastronomiche italiane. Due concept di alta cucina, ma accessibili al grande pubblico, che rappresentano l’ultimo stadio della lavorazione della materia prima. L’edificio comprende anche la libreria Feltrinelli collocata al piano seminterrato.

Coralis e Coldiretti con Fai lanciano la filiera controllata e certificata

Conoscere la provenienza degli alimenti è una richiesta precisa dei consumatori, anche se non sempre la legge specie comunitaria sembra seguire tale “ratio”. È ancora viva ad esempio la polemica sulla legge Ue che consente di non indicare lo stabilimento di produzione degli alimenti. Coralis, Consorzio di imprenditori della Distribuzione, guarda avanti e propone, in partnership con Fai, Firmato agricoltori italiani, marchio promosso da Coldiretti, una filiera controllata, certificata e che indica con chiarezza i luoghi di produzione. Già da gennaio un numero selezionato di punti vendita consorziati Coralis ha introdotto in assortimento alcuni articoli della filiera dell’ortofrutta e del florovivismo mentre olio, pasta e riso arriveranno ad aprile.

Obiettivo comune: promuovere, sostenere e certificare i prodotti dei nostri territori. “Con Fai vogliamo garantire in Italia e all’estero tutti quei prodotti provenienti al 100 per 100 dai campi e dagli allevamenti italiani che rispettano l’etica nei processi produttivi e assicurano, per contratto, una equa ripartizione del valore tra i vari attori della filiera – spiega Gianluca Lelli, Responsabile Area Economica di Coldiretti – Con accordi come quello siglato con Coralis puntiamo a valorizzare la filiera agricola come vero e unico made in Italy alimentare e accorciare la filiera tra produttore e consumatore, assicurando a quest’ultimo un prodotto di origine sicura, italiana e tracciata, comunicando la distintività del made in Italy nel garantire alti standard di sicurezza alimentare, legame col territorio e naturalità”.

In questo processo Fai rappresenta per Coralis un partner in grado di dare una forte personalizzazione al prodotto grazie all’offerta di filiera certificata e controllata. È infatti la personalizzazione uno dei temi cari a Coralis che nasce come Consorzio di imprenditori della Distribuzione con la volontà di salvaguardare l’identità di ogni punto vendita. Tanto che ogni struttura associata con il progetto “Dai il tuo nome al futuro” porterà il nome di chi l’ha creata e l’ha resa luogo d’incontro e di riferimento all’interno del quartiere.

ELEONORA GRAFFIONE
Eleonora Graffione, presidente Coralis.

“Contrapponendosi alla scelta classica di riunire tutti i punti vendita sotto un’unica insegna, Coralis abbandona l’idea che industria e distribuzione debbano avere vita separata – dice il Presidente di Coralis Eleonora Graffione – “Tre sono i concetti ai quali il Consorzio riconosce un valore vero e profondo: la collaborazione nella fase di sviluppo e selezione dei prodotti, grazie a un nuovo rapporto tra fornitori e distributori per la scelta delle migliori soluzioni di processo; la condivisione delle informazioni necessarie al corretto sviluppo del prodotto, dei lotti e dei prezzi; l’allineamento con le ultime necessità di mercato”.

Il consorzio Coralis ha registrato nel 2014 un giro d’affari del +3% rispetto al 2013.

Annus horribilis per l’olio italiano: -35%, prezzi top, rischio frodi. Porte aperte alla Tunisia

Maltempo, malattie e parassiti che si sono abbattuti sull’Italia nel 2014 hanno falcidiato la produzione di olio italiano (vd Anno difficile per l’olio d’oliva  italiano. Ci salverà il blending). Il calo della produzione si stima porterà sugli scaffali della Gdo nel 2015 il 35 per cento di olio di oliva italiano in meno (ma anche il – 25 per cento di agrumi, – 15 per cento di vino e fino al 50 per cento di miele Made in Italy in meno).

Causa penuria diminuiranno le promozioni?

Secondo l’osservatorio economico di Unaprol, consorzio olivicolo italiano, i consumatori italiani hanno acquistato nel 2014 nella GDO (Iper +Super), olio extra vergine di oliva con un prezzo medio di 4,11 € litro per un totale di 634 milioni di euro. Bene il segmento premium, con gli evo bio venduti mediamente a 8,13 € litro per un totale di 18 milioni di euro e le Dop vendute a circa 11 € litro per un totale di oltre 31 milioni di euro. Premia anche il 100% italiano, che ha venduto per 111 milioni di euro con un prezzo medio a scaffale di 5,12 € litro. Doppio o quasi triplo il prezzo per le prime due categorie e del 20% circa in più per la terza. Il “ma” sono le promozioni, che hanno raggiunto il 66% sul prodotto extra vergine. “L’analisi effettuata da Unaprol dei dati di vendita di fonte IRI_infoscan nel periodo 2008/2014, mostra sì tenuta delle vendite di extra vergine all’interno della GDO, ma evidenzia che una percentuale alta del prodotto viene venduta in promozione – ha detto Pietro Sandali direttore generale Unaprol – a dimostrazione che l’olio extra vergine di oliva convenzionale viene spesso utilizzato come prodotto civetta”.

I consumi di olio extra vergine nel 2014 sono aumentati del 3% rispetto al 2013 (gli italiani consumano 12 litri di olio di oliva all’anno a testa, di cui 7,5 litri extra vergine), ma nell’arco dei sei anni si registra una leggera flessione per l’extra vergine convenzionale che viene attenuata in parte, in valore, dai prodotti dei segmenti BIO e DOP e, in volume, per la categoria 100% italiano che nel 2014 ha venduto quasi 22 milioni di litri.

Prezzi alle stelle, buyer internazionali alla finestra

L’allarme viene da Sol&Agrifood, salone dell’agroalimentare a fine marzo a Verona: i prezzi dell’olio evo sono raddoppiati nell’ultimo anno, con quotazione al mercato di Jaen in Spagna fino a 3,40 euro/kg, contro 1,80 euro/kg di un anno fa, mentre in Italia, sulla piazza di Bari, si va sopra i 6 euro/kg, contro i 3 euro/kg del 2014.

È allarme per i buyer internazionali, specie dei Paesi non produttori, come il Giappone, meno informati sulla pessima campagna olearia dell’anno scorso. Ma già a breve potrebbero scendere i prezzi e stabilizzarsi: l’Unione Europea ha infatti deciso di aumentare la flessibilità delle importazioni agevolate, cioè senza dazi, di olio d’oliva dalla Tunisia. Il contingente massimo di 56.700 tonnellate rimarrà immutato, ma saranno raddoppiate le soglie massime mensili, che passano da 5.000 a 9.000 tonnellate/mese in febbraio e marzo e a 8.000 tonnellate da aprile a ottobre. Le quotazioni dell’olio di oliva tunisini oggi sono inferiori ai 3 euro/kg e potrebbero portare a una modesta riduzione delle quotazioni, specie in Spagna. La Tunisia nel 2013 si è confermata come il principale fornitore extracomunitario di “olio di oliva”, anche se in calo dalle 76mila tonnellate del 2012 a 62mila tonnellate, calo dovuto anche all’incremento delle importazioni dalla Turchia.

 

Rischio frodi

Dati questi numeri l’allarme del Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare è netto: c’è il concreto rischio di un aumento delle frodi a tavola. Soprattutto nei segmenti low cost. È indubbio che i consumatori porteranno quest’anno in tavola oli non del tutto italiani, o completamente provenienti da Paesi esteri. Ma va considerato che, anche in anni “non sospetti”, la quota di importazioni di olio (da Spagna, Turchia, Tunisia e Grecia) era già altissima, almeno dell’80%.

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