CLOSE
Home Tags Centromarca

Tag: Centromarca

Industrie di marca, i rincari continuano a frenare i consumi

Nonostante l’attenuazione delle pressioni sui costi di produzione, le previsioni sulla redditività delle industrie di marca alimentari e non food restano caute. A dirlo sono le evidenze dell’Osservatorio Congiunturale Centromarca redatto a fine marzo dall’associazione, col supporto di Ref Ricerche, su un campione di 145 manager (amministratori delegati e direttori di funzione) attivi nelle aziende associate. Solo il 23% attende un aumento dei profitti, mentre il 51% li prevede sui livelli dell’anno precedente.

Nel 2022 il sensibile aumento dei costi di produzione ha portato il 6% delle industrie associate a produrre in perdita e il 43% a registrare profitti in riduzione (in misura superiore al 10% nel 22% dei casi). La dinamica dei prezzi registrata in questi mesi è dovuta all’esigenza di scaricare a valle gli extracosti sostenuti. Nuove tensioni sui costi di produzione potrebbero creare difficoltà alle aziende, anche alla luce del fatto che il ricorso al credito è più oneroso per effetto dell’aumento dei tassi di interesse. In positivo l’indagine non evidenzia problemi di liquidità, ritenuta adeguata alle esigenze dell’attività corrente dal 75% delle aziende.

L’Osservatorio Congiunturale Centromarca conferma l’andamento debole della dinamica dei consumi nei primi mesi del 2023. A confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente aumenta infatti la percentuale di quanti segnalano un arretramento delle vendite (dal 21% al 34%), mentre si riducono coloro che registrano un aumento (dal 53% al 41%). Le scorte si mantengono “nella norma” per il 67% delle aziende, “troppo alte” per il 16% e “troppo basse” per il 17%. Le prospettive appaiono prudentemente positive: la percentuale del campione che ritiene probabile un aumento delle vendite nei prossimi sei mesi passa dal 17% al 36% e quella di coloro che considerano possibile una riduzione dal 39% al 28%. Per il 96% degli intervistati i livelli occupazionali dovrebbero mantenersi stabili. Restano sotto stretta osservazione i prezzi dell’energia: l’84% del campione afferma che la fase più intensa delle tensioni è stata superata, ma considera che i costi si attesteranno su livelli superiori rispetto a quelli prevalenti prima del conflitto in Ucraina.

Centromarca valuta positivamente la recente scelta del Governo di tagliare i contributi a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio bassi, per un valore di oltre tre miliardi di euro a valere sul periodo maggio – dicembre 2023. «È un contributo al sostegno del potere d’acquisto», rileva Vittorio Cino, direttore generale di Centromarca. «Ed è un’ulteriore risposta alle richieste avanzate dalle aziende industriali e distributive in una fase di particolare debolezza della domanda. Ora auspichiamo la concretizzazione di altri interventi a sostegno delle famiglie e delle imprese. Per esempio, il taglio della pressione fiscale e il varo di provvedimenti che favoriscano gli investimenti e la crescita dimensionale delle aziende».

Rincari materie prime ed energia, chiesta la convocazione di un tavolo di filiera

L’industria dei beni di consumo e le aziende della distribuzione moderna chiedono al governo di aprire un tavolo di filiera per valutare le possibili conseguenze del rincaro dei prezzi delle materie prime ed energetiche sulla ripresa economica.

La comunicazione, siglata dai Presidenti di Centromarca e IBC – Associazione Industrie Beni di Consumo – per la parte industriale – e di ANCC-Coop, ANCD-Conad e Federdistribuzione, riunite in ADM – Associazione della Distribuzione Moderna – per la parte distributiva – è stata indirizzata a Presidenza del Consiglio dei Ministri, MISE, MEF, MIPAAF e ai Presidenti delle Commissioni competenti di Camera e Senato.

Nel documento i firmatari esprimono preoccupazione per i rilevanti rincari registrati da beni energetici e materie prime, che si traducono in sensibili incrementi dei costi per le imprese, che interessano merci grezze, processi produttivi, logistica e attività di commercializzazione. Pur ribadendo l’impegno ad agire sui livelli di produttività in tutte le fasi dei processi industriali e distributivi, le Associazioni ritengono indispensabile l’attivazione di un tavolo di filiera con le Istituzioni per individuare forme concrete d’intervento idonee a mitigare l’effetto dei rincari: misure fiscali, provvedimenti per la salvaguardia della competitività delle imprese e del potere d’acquisto delle famiglie, sostegno alla dinamica della domanda interna, elemento fondamentale per la ripresa del Paese.

Industria alimentare e distribuzione insieme per la sostenibilità

«Il pilastro è passare a una visione di lungo periodo e non più di breve perché il nostro obiettivo è creare valore nella filiera nel lungo termine, evitare la discountizzazione dell’offerta che porterebbe a un abbattimento delle possibilità di scelta del consumatore»: così ha detto Francesco Mutti, presidente di Centromarca, durante l’incontro “Gli orizzonti della ripresa. Scenari e prospettive per la filiera del largo consumo”.

L’industria alimentare sta vivendo una fase di profondo rinnovamento all’insegna della sostenibilità e della transizione ecologica. Impegni onerosi in un momento in cui materie prime, noli marittimi, bollette energetiche sono a livelli record. Da qui la richiesta di un aiuto pubblico a supporto delle aziende. «La transizione ecologica è irreversibile e non indolore – premette Anna Ascani, sottosegretaria del Mise che aggiunge: «Ci può essere una collaborazione tra Stato e imprese».

Sul fronte dei consumi quelli delle famiglie continuano a restare stabili, «con una domanda interna flat, polarizzata perché una parte del paese è in difficoltà – ricorda Marco Pedroni, presidente Associazione Distribuzione Moderna. Cresce la domanda di fascia alta e green e aumentano molto anche gli acquisti di base». Uno scenario in cui «la fiducia delle famiglie è al massimo ma non si vede una reale ripresa dei consumi ed è raddoppiata la propensione al risparmio. E sostenibilità non è detto che faccia rima con aumento dei prezzi» aggiunge Alberto Frausin, presidente Federdistribuzione. «C’è un tema di creazione del valore che passa dalla collaborazione tra industria, filiera e distribuzione. Bisogna pensare come catturare il valore» aggiunge Alessandro d’Este, presidente dell’Associazione Industrie beni di consumo.

Così industria e distribuzione si preparano a collaborare insieme in una visione di lungo periodo.

Fonte: Il Sole 24 Ore

IdM: cauto ottimismo per il futuro. I dati dell’Osservatorio di Centromarca

Ottimisti ma con cautela: questo l’atteggiamento dei protagonisti dell’IdM, emerso dall’Osservatorio Congiunturale Centromarca. Basti pensare, per esempio, che l’impatto del covid sulle vendite viene visto negativamente da un 40% del campione, a fronte di un 48% più positivo. E ancora: per il 53% degli imprenditori, la crisi non ha impattato gli investimenti.

Inoltre dall’indagine prevale un’opinione favorevole sulla scelta dei governi guidati da Giuseppe Conte e Mario Draghi di adottare misure importanti dal lato del bilancio pubblico, anche se ci si sarebbe aspettato qualcosa di più e di diverso: il 58% dei capi d’azienda considera, infatti, che sarebbe stato possibile un utilizzo migliore delle risorse stanziate, mentre il 38% ritiene che sarebbero serviti maggiori sostegni alle imprese e ai lavoratori in difficoltà. A vedere tutto nero, infine, solo un 4%, che ha espresso una valutazione sfavorevole riguardo a questa impostazione, esprimendo preoccupazioni per la dimensione del debito pubblico del nostro Paese.

Vediamo i risultati nel dettaglio. Come anticipato, gli impatti della pandemia non sono stati uniformi nelle diverse IdM. Il 48% dei manager intervistati registra effettivi positivi per le vendite, potenzialmente continuativi secondo il 16% degli intervistati. Il 40% evidenzia effetti negativi, ma il 30% li considera transitori. L’impatto asimmetrico di Covid-19 richiede alle IdM strategie di risposta differenziate a seconda delle caratteristiche aziendali e del tipo di beni prodotti. Se si guarda alle prospettive, il 44% dei capi d’azienda prevede un aumento delle vendite, il 36% stabilità, il 20% diminuzione. La portata della crescita nei prossimi sei mesi dipenderà sia dal ritmo della campagna vaccinale sia dai provvedimenti adottati dall’esecutivo.

Investimenti

In quest’ambito, nonostante la crisi economica e l’incertezza delle prospettive, il 53% dei manager dichiara che la crisi Covid-19 non ha modificato gli investimenti aziendali; il 18% indica un impatto positivo. A trainare gli investimenti sono in particolare: innovazione di prodotto (58% dei rispondenti), introduzione di nuove tecnologie (32%), aspettative di vendita favorevoli (30%). Tra i fattori frenanti il 48% dei capi d’azienda evidenzia l’incertezza sull’evoluzione della pandemia, il 46% il timore di un generalizzato impoverimento dei consumatori italiani, il 40% incertezza sulle prospettive di medio termine.

Liquidità

Anche in questo caso le risposte lasciano intravedere un pragmatismo ottimista: 79% dei rispondenti giudica adeguato il livello di liquidità dell’azienda; il 18% lo considera alto; il 3% lo reputa insufficiente. Le evidenze dell’Osservatorio sono coerenti con le statistiche bancarie, che descrivono un’ampia disponibilità di credito alle imprese, a fronte peraltro di un significativo aumento del volume dei depositi bancari delle stesse. È un effetto dei finanziamenti della Banca Centrale Europea al sistema bancario e delle garanzie pubbliche al credito bancario. La volontà delle imprese di investire sarà assecondata nei prossimi mesi dalla disponibilità di risorse per finanziare gli investimenti programmati.

Ordinativi

Tenendo conto del periodo dell’anno, il 41% dei rispondenti giudica normale l’attuale livello del portafoglio ordini; il 28% lo colloca al di sopra dell’ordinario; il 30% inferiore. Le previsioni per i prossimi sei mesi sono di incremento per il 44% dei manager; di stabilità per il 36% e di diminuzione per il 20%.

Occupazione

Nonostante l’innegabile crisi occupazionale innescata dalla pandemia, risulta che la maggior parte dei manager intervistati (82%) esprime aspettative di stabilità del numero di addetti della loro azienda nei prossimi tre mesi; l’11% prevede un aumento degli organici; il 7% una diminuzione.

“I dati confermano la forza delle nostre industrie sul mercato interno ed internazionale”, commenta Francesco Mutti, presidente di Centromarca. “I risultati sono conseguiti grazie alla capacità di presidiare la fascia medio-alta dei beni di consumo e adottando strategie di costante upgrade qualitativo dei prodotti. L’IdM non esce ridimensionata dalla crisi del Covid-19: le imprese esportatrici hanno aumentato le quote sui mercati esteri, mentre quelle operanti soprattutto sul mercato interno hanno saputo reggere alla pressione competitiva”.

Nota Metodologica

L’Osservatorio Congiunturale Centromarca, redatto semestralmente – con il supporto di Ref Ricerche – dà voce alle valutazioni espresse dai capi d’azienda delle più importanti industrie alimentari e non food operanti in Italia. Fotografando il presente e le attese, rappresenta un punto di osservazione di primo piano per valutare le tendenze dell’economia italiana. L’indagine è stata svolta tra l’1 e l’11 marzo; l’elaborazione si è conclusa il 19 marzo.

Centromarca: dalle industrie aderenti 73 miliardi di valore condiviso

Storicamente le marche accompagnano il nostro vissuto quotidiano. Ma qual è il loro valore condiviso prodotto oggi dalle industria di marca? Secondo le evidenze dello studio redatto per Centromarca da Althesys Strategic Consultants,  parliamo di circa 73,1 miliardi di
euro, pari al 4% del Pil 2019. È un ammontare equivalente al 120% circa dell’intera produzione italiana di agricoltura, silvicoltura e pesca e a un terzo dei fondi del Recovery fund. Rispetto al totale, 12,5 miliardi di euro sono generati con il ricorso a fornitori italiani, 16,2 miliardi nella fase di produzione delle industrie di marca, 1,3 miliardi con la logistica e 43,1 miliardi con i diversi canali distributivi (di cui 10,3 con la moderna distribuzione). È parte del valore condiviso anche la contribuzione fiscale: 30,2 miliardi di euro, pari al 6,4% delle entrate fiscali italiane del 2019. Secondo le stime di Althesys, ogni addetto dell’industria di marca genera 7 occupati nella filiera e 10 nell’intera nazione. 

Il food

Il comparto alimentare genera 28 miliardi di euro di valore condiviso (38,3% del totale), 11,7 miliardi di contribuzione fiscale e oltre 290mila posti di lavoro. Si distingue per l’alto valore creato nelle fasi a monte della filiera, cioè per i fornitori, evidenziando lo stretto rapporto tra l’industria di marca e le filiere agricola e zootecnica. Il 49% del valore generato nella fase di distribuzione e vendita è per la moderna distribuzione, dove passano i maggiori volumi. L’industria rimane, tuttavia, la principale creatrice di valore condiviso se comparata ai singoli canali distributivi. Le bevande creano 34 miliardi di euro di valore condiviso, 14 miliardi di contribuzione fiscale e oltre 359mila posti di lavoro. Il comparto crea un cospicuo valore per la distribuzione‐vendita, in particolare nell’Horeca dove si concentra il 57% della ricchezza generata nella filiera.

Il non food

I prodotti chimici per la cura della persona e della casa creano 11,1 miliardi di euro di valore condiviso, 4,5 miliardi di contribuzione fiscale e oltre 103mila posti di lavoro.
«L’industria di marca italiana è un motore di sviluppo per l’intero sistema economico, che crea ricchezza e benessere ben oltre i confini delle imprese», sottolinea Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys Strategic Consultants. «Il nostro studio mostra, numeri alla mano, come il valore condiviso generato dalle imprese aderenti a Centromarca pervada l’intera filiera. La capacità della marca di creare valore condiviso è un elemento concreto per la resilienza e il rilancio dell’Italia».

La sostenibilità 
Secondo le evidenze dell’indagine redatta dal dipartimento di Economia aziendale
dell’Università Roma Tre (redatta nel 2020 sulla base di dati pubblici) il 74% delle industrie
aderenti a Centromarca dà conto pubblicamente, attraverso Internet, della sua attività nel campo della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il 57% di queste aziende diffonde un bilancio di sostenibilità: è una percentuale rilevante se si considera che in Italia lo fa solo il 19% delle imprese (dato Istat, basato su dichiarazioni). Il 65% delle industrie che rendicontano dichiara i suoi impegni futuri, indicando obiettivi quantitativi misurabili.
Sul fronte ambientale il 72% delle industrie di marca, che documentano pubblicamente la loro attività, ha realizzato azioni per l’approvvigionamento responsabile delle materie prime; il 69% per il contenimento dei consumi energetici e/o il ricorso a fonti rinnovabili; il 56% per l’utilizzo responsabile della risorsa idrica; il 55% per la riduzione di sprechi/rifiuti; il 50% per la riduzione/riciclo degli imballaggi. In area economico aziendale il 42% delle industrie di marca ha al suo attivo iniziative di formazione/aggiornamento del personale; il 43% per le quote rosa; il 42% per la prevenzione infortuni; il 37% per incrementare l’occupazione. In area sociale il 61% delle industrie di marca destina risorse economiche alla comunità e ai territori.
Nel 2020, secondo stime elaborate da Centromarca, circa 53 milioni di euro sono stati destinati dalle industrie associate a donazioni economiche, acquisto di attrezzature medico-scientifiche, forniture gratuite di materiali ad alto consumo per sostenere ospedali, enti ed istituti di ricerca impegnati nell’assistenza ai malati e nelle attività di studio per contrastare Covid-19. L’attività delle industrie di marca che rendicontano si focalizza attualmente su dieci dei diciassette Sdgs (obiettivi di sviluppo sostenibile) individuati dalle Nazioni Unite: energia  pulita e conveniente (55% delle aziende impegnate); consumo e produzione responsabile (48%); salute e benessere (46%); climate change (44%); tutela della risorsa idrica (43%); qualità del lavoro e crescita economica (43%); lotta alla fame (35%); parità dei sessi (35%); vita sulla terra (35%); partnership per il raggiungimento di obiettivi sostenibili (33%). «Tutte le industrie di marca sono consapevoli del fatto che la competitività è legata all’impegno non solo sui versanti economico e della governance, ma anche sui fronti ambientale e sociale», rileva Carlo Alberto Pratesi, professore di marketing, innovazione e sostenibilitàall’Università Roma Tre.

Industria e Distribuzione: accordo contro le pratiche sleali

Le imprese appartenenti al comparto industriale, rappresentate in Centromarca, Federalimentare e IBC – Associazione Industrie Beni di Consumo, e le imprese del comparto distributivo, rappresentate in Federdistribuzione, ANCC-Coop, ANCD-Conad, insieme ad ADM Associazione Distribuzione Moderna, hanno raggiunto un’intesa per proporre ai legislatori alcune linee guida sull’integrazione della Direttiva UE 2019/633 nell’attuale quadro normativo nazionale per contrastare le pratiche sleali e anticoncorrenziali nel mercato italiano. L’accordo è un importante tassello, concordato da distribuzione e industria del largo consumo, per affermare con sempre maggior impegno la legalità e la correttezza delle relazioni commerciali e il contrasto a qualunque pratica sleale a tutti i livelli della filiera agroalimentare, anche a vantaggio del consumatore finale.

Per le aziende della distribuzione e del largo consumo la libera e leale concorrenza e il rispetto della legalità sono due principi portanti della filiera, fondamentali per continuare a offrire ai consumatori prodotti di qualità al giusto prezzo, per tutelare la sana occupazione e per sostenere la rete delle PMI, in particolar modo in campo agricolo, favorendone l’efficienza e dunque la crescita, anche attraverso una maggiore competitività, sia nel mercato italiano sia a livello internazionale.

Entrando nel dettaglio, l’intesa tra distribuzione e industria propone la creazione di un ampio ambito di applicazione della norma, coinvolgendo tutti i soggetti della filiera senza limiti di fatturato, in un contesto di reale reciprocità, quindi di tutela sia dei “fornitori” che dei “clienti” di tutti i comparti interessati. È necessario che a vigilare sull’applicazione della normativa venga individuato un soggetto superpartes rispetto ai diversi comparti interessati, che sia dotato delle adeguate risorse e completamente autonomo. Il nuovo quadro normativo dovrebbe valorizzare la concorrenza e salvaguardare la libera contrattazione, diventando un punto di riferimento per comportamenti corretti da parte di tutti i soggetti. È perciò utile approfondire l’ipotesi di opportune modalità di conciliazione. Infine si ribadisce la necessità di garantire la riservatezza in eventuali fasi istruttorie, il diritto alla difesa e sanzioni dissuasive commisurate alla gravità dei fatti, ma che non compromettano la continuità delle imprese e il loro equilibrio economico.

L’accordo si inquadra dunque in una più ampia intesa tra i due comparti, che puntano sempre più alla modernizzazione delle filiere, ad una equilibrata remunerazione degli operatori, al rispetto dei diritti delle persone e dei lavoratori nella produzione, raccolta, trasformazione e distribuzione dei prodotti alimentari. In coerenza con questa prospettiva, distribuzione e industria dei beni di consumo sono impegnate da anni in un percorso di buone pratiche di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

Centromarca: Francesco Mutti alla presidenza dell’Associazione

Centromarca: è Francesco Mutti, Amministratore Delegato di Mutti SpA,  il nuovo Presidente  dell’Associazione Italiana dell’Industria di Marca.  
Cinquant’anni, laurea in Finanza & Management all’Università di Cardiff, Cavaliere del Lavoro, Mutti è dal 1994 alla guida dell’azienda di famiglia (278 milioni di euro di fatturato nel 2017), realtà di punta dell’industria agroalimentare italiana, presente in 96 paesi del mondo e leader nazionale nel comparto del rosso.

«L’Industria di Marca ha un ruolo fondamentale nel sistema economico in termini di investimenti, occupazione e indotto», ha sottolineato il neo Presidente. «Coniuga sviluppo e sostenibilità, etica e mercato, lavoro ed esigenze della persona, presenza sul territorio ed istanze delle popolazioni. Rappresenta per l’opinione pubblica un elemento di rassicurazione e di equilibrio, generatore di valore e di opportunità. Il mio impegno sarà contribuire al consolidamento di questo ruolo, promuovendo il Sistema Marca e i valori su cui si fonda la sua reputazione. Considero importante promuovere rapporti trasparenti e orientati al risultato con tutti i nostri stakeholders, a partire dalle aziende della Moderna Distribuzione con cui condividiamo diverse priorità, tra le quali il ritorno alla crescita economica e il rilancio della domanda interna».

Francesco Mutti succede a Luigi Bordoni, che ha guidato l’Associazione nell’ultimo decennio.
A Centromarca fanno riferimento circa 200 tra le più importanti industrie operanti in Italia nel settore dei beni di largo consumo, italiane e multinazionali, alimentari e non alimentari, che complessivamente sviluppano sul territorio nazionale vendite alle aziende distributive (sell-in) per circa 50 miliardi di euro, pari a una quota di mercato a valore nel settore del largo consumo confezionato superiore al 60%.

Nel corso del suo mandato Mutti avrà il supporto di un Comitato di Presidenza costituito da cinque Vice Presidenti: Alessandro d’Este (Presidente e Amministratore Delegato Ferrero Commerciale), Francesco Del Porto (President Region Italy Barilla), Flavio Ferretti (Presidente e Amministratore Delegato Nims/Gruppo Lavazza), Mario Preve (Presidente Riso Gallo), Leo Wencel (Presidente e Amministratore Delegato Nestlé Italiana).
Luigi Bordoni prenderà parte ai lavori del Comitato in veste di Past President.

Del Consiglio Direttivo di Centromarca fanno parte esponenti di primo piano delle più importanti industrie operanti in Italia: Giuseppe Banchini (Managing Director Meals Southern Europe Mondelez International), Caterina Boerci (Presidente Eurofood e D&C), Niccolò Branca di Romanico (Presidente Fratelli Branca Distillerie), Antonio Bulgheroni (Presidente Lindt & Sprüngli Italia), Angelo Colussi (Presidente Colussi), Sascha Cumia (Managing Director Italy Campari), Daniel Frigo (Amministratore Delegato The Walt Disney Company Italia), Franco Giannicchi (Presidente e Amministratore Delegato Procter & Gamble Southern Europe), Fulvio Guarneri (Presidente e Amministratore Delegato Unilever Italia), Filippo Meroni (Presidente S.C. Johnson Italy), Marina Nissim (Vice President Bolton Group), Debora Paglieri (Presidente e Amministratore Delegato Paglieri), Andrea Panzani (Amministratore Delegato Valsoia), Marco Pasetti (Presidente e Amministratore Delegato Farmaceutici Dott. Ciccarelli), Umberto Pasqua (Presidente e Amministratore Delegato Pasqua Vigneti e Cantine), Giovanni Pomella (Direttore Generale Business Unit Italia Parmalat), Ubaldo Traldi (President Perfetti Van Melle), Giovanni Battista Valsecchi (Direttore Generale, Generale Conserve), Stefano Zancan (Amministratore Delegato Bauli).

Auchan e il “Bollino” che fa discutere

E’ scoppiato il caso del “Bollino blu” Auchan. L’operatore della grande distribuzione alcuni mesi fa ha deciso di indicare con un marchio i prodotti che, all’interno delle varie categorie merceologiche, sono giudicati migliori dal punto di vista nutrizionale rispetto ai competitor. Tutto ciò, con l’obiettivo di promuovere stili di vita più salutari nei propri clienti. Il giudizio, secondo quando riportato nella pagina web dedicata all’iniziativa (https://www.auchan.it/it-IT-it/static/lavitainblu.aspx), è emesso da un pool di esperti in base alla lettura delle etichette dei prodotti messi a confronto.

Il sistema dei “bollini” non è nuovo. Nel Regno Unito sulle etichette sono riportati dei semafori che assegnano un bollino rosso, giallo e verde a seconda della validità nutrizionale; in Francia il Nutri-score, che identifica gli alimenti con 5 colori, dal verde intenso all’arancio intenso. In Italia questo approccio non è stato adottato perché ritenuto troppo semplicistico e addirittura penalizzante per alcune eccellenze – anche sotto il profilo nutrizionale – alimentari nazionali.

Anche la scelta di Auchan ha sollevato delle perplessità presso alcuni nutrizionisti e associazioni consumeristiche, che non reputano sufficientemente chiari i criteri di scelta su cui il “bollino” viene attribuito.

Neppure l’industria di marca è favorevole. “L’iniziativa di Auchan rivela un’elevata discrezionalità –  commenta Luigi Bordoni, Presidente di Centromarca – Le informazioni fornite al consumatore non consentono di identificare con chiarezza quali sono i criteri per l’assegnazione dell’evidenziazione a scaffale. Ne risulta una comunicazione incompleta e fuorviante, che confonde e può determinare una distorsione della concorrenza. Quindi non in linea con le prescrizioni del Codice del Consumo, in cui è stabilito che le informazioni devono essere espresse in modo chiaro e comprensibile, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore. Per questo abbiamo incontrato i rappresentanti di Auchan ed esposto le evidenze delle nostre analisi. Ora attendiamo un riscontro dal gruppo”.

Elena Consonni

Shopping, passione en rose. Cosa desidera realmente l’universo femminile

Lo shopping? Un piacere, non certo un dovere. Fare acquisti rappresenta una delle occupazioni preferite per una donna su tre. Con buona pace della crisi e per il piacere di imprese e distribuzione.

L’indicazione viene dall’indagine “Qual è la tua ambizione”, elaborata dall’istituto di Ricerca Episteme e presentata dal settimanale Gioia! in collaborazione con Centromarca, con l’obiettivo dichiarato di scattare una fotografia delle tendenze che interessano i consumi dell’universo femminile. Una fotografia che lascia intravedere conferme e novità.

Distintività, pubblicità e web

Tra le prime, come detto, si colloca la conferma della passione delle italiane per lo shopping: una buona notizia che diventa ancora più positiva se si considera come la propensione agli acquisti sia particolarmente sentita dal segmento più giovane della popolazione rosa (44,2%). In questo quadro si inserisce però una variazione di non poco conto: la crescente tendenza a scegliere prodotti che consentano di distinguersi, indicata da ben il 63,3% del campione. “Nell’ultimo decennio – spiega Monica Fabris, presidente di Episteme – si è assistito a un progressivo calo degli acquisti indotti dall’omologazione, espressione di uno status symbol condiviso, che hanno lasciato spazio alla necessità di differenziarsi”.

Nel solco della continuità si colloca poi l’influenza esercitata dalla pubblicità. “Nonostante la contrazione degli investimenti che ha segnato gli ultimi anni – osserva Fabris -, l’advertising resta una driver importante nelle decisioni di spesa: quasi due donne su tre dicono, infatti, di essere aiutate nella scelta proprio dai commercial”.

Più recente, e in netta espansione, è invece l’abitudine di acquistare online, che tocca il 62,7% delle intervistate. “L’e-commerce si sta rivelando uno strumento in grado di vivificare i consumi – rileva Fabris – grazie a due importanti plus: la capacità di risparmio e la comodità”. Due aspetti nodali che dovrebbero garantire alle vendite digitali un buon margine di crescita anche per il futuro. A tutto vantaggio delle marche, che proprio grazie all’online potranno ottenere nuova attenzione e lucentezza.

Cambio di paradigma

Per raggiungere questo obiettivo, però, i brand saranno chiamati anche a investire su altri fattori, indicati come premianti dalle consumatrici. “Tra questi – rileva Fabris -, il più rilevante è il tema della tradizione: per ben 8 donne su 10 la marca non può, infatti, esaurirsi nei soli suoi prodotti, ma deve tenere conto – e saper valorizzare – anche la propria storia. E in questo scenario, è evidente che la capacità di raccontarsi fornisce – e fornirà in futuro – ai brand una marcia in più”. “La narrazione della marca – aggiunge Ivo Ferrario, direttore comunicazione e relazioni esterne di Centromarca – rappresenterà sempre più un elemento distintivo fondamentale nella competizione tra imprese. Nell’era del digitale, e del social in particolare, la differenza la fa, e la farà sempre più, la capacità di disporre non solo di una struttura di ascolto dei dialoghi che avvengono in relazione al prodotto, alle categorie merceologiche o più in generale al contesto generale di consumo, ma anche di sviluppare accanto al prodotto giusto, i giusti contenuti da comunicare. Contenuti che dovranno essere di interesse, avvincenti e attuali”.

In seconda battuta, si dovrà considerare poi il fattore ambientale. “Le marche che se ne fanno carico – precisa Fabris – sono preferite al momento dell’acquisto dal 73,2% delle intervistate”. Ma rilevante è anche la capacità della marca di veicolare un’identità forte: il 68,4% delle donne interpellate sostiene, infatti, che i brand acquistati raccontano molto delle persone che li scelgono.schermata-2016-12-22-a-14-51-20

Solo molto più distanziata è invece l’indicazione relativa alla qualità, ferma al 59,8%. Un caso? Tutt’altro. I dati emersi dalla ricerca raccontano, infatti, di un netto cambio di paradigma nella percezione dei brand da parte delle donne. Un cambio che vede gli attributi intangibili della marca prevalere rispetto agli storici caposaldi sui quali veniva costruita la marca, quali appunto la qualità delle referenze o la fedeltà al brand, che per l’appunto scivola tra gli item meno quotati, con un riscontro non superiore al 34,8%. “L’industria – dice Fabris – deve insomma confrontarsi con una consumatrice più libera e più volubile rispetto a un decennio fa”. Un bel problema per le marche che però, rovesciando la prospettiva, può tradursi anche in un’opportunità. “Sulla base delle evidenze di questa come di altre ricerche – osserva Fabris -, rileviamo una crescente disponibilità alla sperimentazione e, dunque, un terreno favorevole all’innovazione”.

Sfide e opportunità

Il panorama futuro lascia quindi intravedere spunti interessanti per i brand, a patto che questi ultimi sappiano restare al passo con la continua evoluzione dei clienti. “Le marche di oggi che vogliono essere le marche di domani – sottolinea Ferrario – devono accettare la sfida: per continuare ad essere leader, occorre rendere attuale la proposta di ogni brand rispetto alle necessità del consumatore di oggi. E questo vuol dire puntare su un contenuto di innovazione costante e allineato alle esigenze di performance, come pure su una qualità dinamica, capace di rispondere all’evolversi dei desideri dei clienti”.

 

La metodologia

Presentata dal settimanale del gruppo Hearst Gioia! in collaborazione con Centromarca , la ricerca “Qual è la tua ambizione” è stata condotta dall’istituto di Ricerca Episteme tra il 3 marzo e il 20 aprile 2016. Sono state intervistate 1.729 lettrici di Gioia! attraverso la raccolta di 1.636 questionari online accessibili dal sito della rivista e 93 questionari cartacei allegati alla rivista. Il campione è costituito nella quasi totalità da donne (1.679 donne e 50 uomini), alto istruite (poco meno della metà laureate e poco meno della metà diplomate), residenti in prevalenza al Nord-Ovest. Per quanto riguarda le fasce d’età, le donne 30-50enni rappresentano il segmento più consistente (quasi metà campione), le giovani under 30 sono il secondo segmento rappresentato (quasi il 40%), mentre le over 50 costituiscono una parte minoritaria del campione (il 15%).

Manuela Falchero

Centromarca: il nuovo Consiglio direttiva conferma Bordoni alla presidenza

Centromarca: il rinnovato Consiglio Direttivo ha confermato Luigi Bordoni alla presidenza dell’Associazione Italiana dell’Industria di Marca per il prossimo biennio.
A supportarlo nella sua attività saranno i Vice Presidenti Cristina Scocchia (Presidente e Amministratore Delegato L’Oréal Italia), Valerio Di Natale (Past President Mondelēz) e Mario Preve (Presidente Riso Gallo).

luigibordoniDell’organo di governo di Centromarca fanno parte esponenti di primo piano delle più importanti industrie di marca operanti in Italia: Caterina Boerci (Eurofood, D&C), Niccolò Branca di Romanico (Branca), Antonio Bulgheroni (Lindt & Sprüngli), Angelo Colussi (Colussi), Francesco Cruciani (Gruppo Campari), Alessandro d’Este (Ferrero), Luigi Del Monaco (Parmalat), Francesco Del Porto (Barilla), Francesco Fattori (CSI Findus), Flavio Ferretti (Lavazza), Francesca Romana Gianesin (The Walt Disney Co.), Vito Gulli (Generale Conserve), Sami Kahale (Procter & Gamble), Filippo Meroni (S.C. Johnson), Francesco Mutti (Mutti), Marina Nissim (Bolton Group), Debora Paglieri (Paglieri), Umberto Pasqua (Pasqua), Ubaldo Traldi (Perfetti Van Melle), Angelo Trocchia (Unilever), Leo Wencel (Nestlè), Stefano Zancan (Bauli).

A Centromarca, fondata nel 1965, aderiscono circa 200 imprese tra le più importanti attive nei diversi settori dei beni di consumo immediato e durevole (alimentare, chimico per la casa e per la persona, tessile, elettrico, bricolage, giocattolo, home entertainment) che complessivamente sviluppano in Italia un giro d’affari di circa 50 miliardi di euro.

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare