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Prandini, rieletto Presidente Coldiretti, punta a 100 miliardi di export agroalimentare

Ettore Prandini è stato confermato Presidente nazionale di Coldiretti. A eleggerlo all’unanimità l’Assemblea dei delegati giunti da tutte le regioni, in rappresentanza di oltre 1,5 milioni di soci. Nominata anche la nuova Giunta Confederale composta dai tre vicepresidenti Nicola Bertinelli, David Granieri e Gennarino Masiello oltre che da Franco Aceto, Gianluca Barbacovi, Cristina Brizzolari, Dominga Cotarella e Francesco Ferreri.

Sostenere la competitività delle imprese agricole e della pesca per garantire la sovranità alimentare del Paese e ridurre la dipendenza dall’estero, promuovendo filiere produttive 100% Made in Italy con l’innovazione e la sostenibilità economica ed ambientale: è questo l’obiettivo fissato da Prandini per i prossimi cinque anni, al fine di raggiungere 100 miliardi di valore dell’export agroalimentare anche con la spinta della candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco e la lotta al falso Made in Italy sulle tavole mondiali.

“È necessario però investire sulla logistica in termini infrastrutturali sui trasporti via terra, via mare e via aerea creando interconnessioni fra i vari hub che permettano di accorciare tempi di consegna e tagliare costi inutili” precisa il Presidente, aggiungendo che “il Made in Italy debba essere sostenuto offrendo all’Ismea la possibilità di svolgere il ruolo di cassa depositi e prestiti anche per proteggere la filiera agroalimentare nazionale dallo shopping straniero. Ma è importante lavorare anche sull’internazionalizzazione per sostenere le imprese che vogliono conquistare nuovi mercati e rafforzare quelli consolidati con il coinvolgimento delle ambasciate e valorizzando il ruolo strategico dell’Ice con il sostegno delle ambasciate”.

In merito agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici invece, Prandini è del parere che “occorre intervenire sulle emergenze con sostegni adeguati ma servono anche scelte strutturali attraverso un’azione a favore della transizione ecologica con investimenti che vanno dal verde urbano alle agroenergie ma anche un piano invasi per garantire acqua a cittadini e imprese e lo sviluppo dell’agricoltura 4.0 con strumenti come droni, robot e satelliti che rappresentano oggi un giro d’affari di più di 2 miliardi di euro, con un incremento del 2300% nel giro di appena cinque anni. Sul fronte dell’innovazione occorre lavorare anche alla nuova genetica green no ogm per ridurre i costi delle imprese ed aumentare il reddito. In tale ottica lanceremo nel 2024 i primi campi sperimentali in Italia sulle Tea, le Tecniche di evoluzione assistita. A causa della cementificazione e dell’abbandono, l’Italia ha perso quasi 1/3 (30%) dei terreni agricoli nell’ultimo mezzo secolo con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari ed effetti sulla tenuta idrogeologica del territorio e sul deficit produttivo del Paese e la dipendenza agroalimentare dall’estero. Occorre quindi accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che giace da anni in Parlamento e che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”.

Infine, in relazione ai rapporti internazionali, Prandini garantisce che nel prossimo quinquennio crescerà l’azione di Coldiretti in Europa, perché “l’Italia è leader mondiale nella qualità e nella sicurezza alimentare, e ha il dovere di svolgere un ruolo di apripista nelle politiche agroalimentari, nell’interesse delle imprese e dei cittadini”.

Il caldo fuori stagione mette in crisi la raccolta delle castagne

L’autunno caldo sconvolge i cicli naturali con le castagne che rimangono sugli alberi per le elevate temperature e la carenza di precipitazioni che non fa cadere i ricci impedendone la raccolta. L’allarme parte dalla Coldiretti nell’evidenziare gli effetti del clima anomalo sulla coltivazioni e sui consumi degli italiani in un autunno 2023 che si classifica fino ad ora in Italia al terzo posto tra gli anni più caldi dal 1800 con una temperatura di settembre superiore di ben 2,17 gradi la media storica del mese (1991-2020) secondo Isac Cnr.

Le prime stime fanno prevedere una produzione di castagne in calo per Italia, dove per effetto del meteo pazzo la raccolta parte in ritardo di almeno una decina di giorni rispetto alla tradizione. Le abbondanti piogge di maggio e giugno hanno condizionato fortemente l’allegagione dei fiori, successivamente i prolungati rialzi delle temperature, accompagnati da lunghi periodi di siccità, hanno provocato il taglio delle disponibilità, anche se non ovunque. Complessivamente si scenderà al di sotto dei circa 45 milioni di chilogrammi di produzione media nazionale degli ultimi 5 anni per effetto dei cali previsti dall’Emilia Romagna fino a tutto il sud Italia mentre risultano in controtendenza alcune aree del nord Italia, in particolare Piemonte e Trentino, dove le quantità dovrebbero risultare stabili, con locali aumenti. Buona ovunque la qualità dei frutti con punte di eccellenza. L’Italia resta il sesto produttore mondiale di castagne, con l’86% della produzione che – spiega Coldiretti – viene realizzata in 5 regioni, nell’ordine Campania, Calabria, Toscana, Lazio, Emilia-Romagna.

Si resta tuttavia ancora lontani dai fasti produttivi del passato per quello che Giovanni Pascoli chiamava “l’italico albero del pane”, simbolo dell’autunno nei libri scolastici di molteplici generazioni di giovani scolari. Basta ricordare che nel 1911 la produzione di castagne ammontava a 829 milioni di chili, mentre dieci anni fa era pari a 55 milioni di chili. Il rischio è quello di trovarsi nel piatto, senza saperlo, castagne straniere provenienti soprattutto da Turchia, Grecia, Spagna e Portogallo, considerato che le importazioni nel 2022 sono risultate pari a quasi 20 milioni di chili di castagne, spesso spacciate per italiane, con forti ripercussioni sui prezzi corrisposti ai produttori. Da qui la richiesta di Coldiretti di assicurare più controlli sull’origine delle castagne messe in vendita in Italia per evitare che diventino tutte, incredibilmente, tricolori. Ancora peggiore è la situazione dei trasformati, per i quali non vi è l’obbligo di etichettatura di origine e per le farine di castagne che, non avendo un codice doganale specifico, non è neppure dato a sapersi quante ne vengano importate.

Se non si vuole correre il rischio di acquistare spesso a caro prezzo caldarroste straniere in vendita nel centro delle città, la Coldiretti invita i consumatori a prestare attenzione alla qualità e suggerisce di ricorrere a un più genuino fai da te casalingo per garantirsi un prodotto fresco, sicuro e a costi accessibili. Meglio allora frequentare i mercati degli agricoltori di Campagna Amica o le sagre in calendario in questo periodo dove è possibile fare buoni acquisti di alta qualità al giusto prezzo, oppure rivolgersi alle imprese agricole e riscoprire il gusto di partecipare nei boschi alla raccolta delle castagne. Un modo anche per tutelare l’alta qualità della produzione made in Italy che – precisa la Coldiretti – conta ben sedici prodotti a denominazione di origine legati al castagno che hanno ottenuto il riconoscimento europeo tra cui la Castagna di Montella Igp, il Marrone di Serino/Castagna di Serino IGP e il Marrone della Valle di Susa Igp.

Il caldo record fa calare drasticamente la produzione agricola italiana

Quest’anno i cambiamenti climatici hanno provocato un taglio del 15% del raccolto di riso, del 10% del grano, del 60% per le ciliegie e del 63% delle pere mentre il miele è sceso del 70% rispetto allo scorso anno e si registra un calo anche per la vendemmia (-12%). Ad affermarlo la Coldiretti in riferimento ai dati elaborati dall’Osservatorio europeo Copernicus secondo il quale i primi nove mesi sono stati i più caldi mai registrati nel pianeta con una temperatura media superiore di 0,52 gradi la media storica spinti da un mese di settembre più bollente di addirittura 0,93 gradi.

Una anomalia registrata anche in Europa dove la colonnina di mercurio sempre a settembre è salita ad un livello record con 2,51 gradi in più della media storica secondo Copernicus mentre in Italia il mese di settembre – sottolinea la Coldiretti – si posiziona come il secondo più caldo mai osservato con una temperatura media superiore di 3,1 gradi la media climatica del periodo 1991-2020 secondo gli esperti dell’Osservatorio geofisico modenese Unimore.

Il cambiamento climatico ha scatenato anche l’invasione di pericolose specie aliene, dalla cimice asiatica al granchio blu, dal cinipide del castagno alla Xylella, dal moscerino dagli occhi rossi al calabrone asiatico fino alla vespa velutina che attacca gli alveari, con danni complessivi per oltre un miliardo nei campi come nei mari distruggendo coltivazioni e allevamenti. Siamo di fronte ad una evidente tendenza alla tropicalizzazione con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal caldo al maltempo con effetti devastanti – sottolinea la Coldiretti.

Oltre al taglio dei raccolti il cambiamento climatico sta modificando anche la distribuzione delle coltivazioni lungo la Penisola dove la coltivazione dell’ulivo in Italia è arrivata a ridosso delle Alpi, nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserve e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee, mentre i vigneti sono arrivati addirittura sulle vette mentre al sud è boom per le coltivazioni tropicali, dall’avocado al mango fino alle banane.

L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici, ma è anche il settore più impegnato per contrastarli. Si tratta di una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla climatologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque. Servono – conclude la Coldiretti – investimenti anche grazie al PNRR per la manutenzione, risparmio, recupero e regimazione delle acque, un impegno per la diffusione di sistemi di irrigazione a basso consumo, ma anche ricerca e innovazione per lo sviluppo di coltivazioni resistenti.

Il caro prezzi fa volare gli acquisti di cibo low cost, balzo dei discount (+9,5%)

Il caro prezzi taglia del 4,7% le quantità di prodotti alimentari acquistate dagli italiani che sono però stati costretti però a spendere quasi 4 miliardi in più per mangiare a causa dei rincari determinati dall’inflazione. Il dato emerge dall’analisi Coldiretti su dati Istat relativi al commercio al dettaglio a maggio che nei primi cinque mesi del 2023 ha fatto registrare un aumento del 7,3% della spesa alimentare con un taglio degli acquisti in quantità del 4,7%.

La situazione di difficoltà è resa evidente dal fatto che volano gli acquisti di cibo low cost con i discount alimentari che fanno segnare un balzo del +9,5% nei primi cinque mesi nelle vendite in valore, il più elevato tra gli scaffali del dettaglio. Il risultato dei discount evidenzia la difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo rinunciando anche alla qualità. Le famiglie tagliano gli acquisti e vanno a caccia dei prezzi più bassi anche facendo lo slalom nel punto vendita, cambiando negozio, supermercato o discount alla ricerca di promozioni per i diversi prodotti.

La situazione di difficoltà si estende alle imprese agricole colpite dal maltempo che ha decimato i raccolti e dai bassi prezzi che non molti casi non coprono neanche i costi di produzione con il rischio dell’abbandono di interi territori. Secondo Coldiretti, occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni.

Fatturato in crescita per agroalimentare italiano, decisivi export e ristorazione

In riferimento ai dati forniti dall’Istat, Coldiretti fa il punto sul fatturato dell’industria agroalimentare italiana nel primo trimestre del 2023 che, in media, ha registrato un aumento del 6,4% in termini tendenziali.

A spingere gli alimentari sono sia i consumi interni trainati dalla ristorazione ma anche le esportazioni che nei primi tre mesi dell’anno hanno messo a segno, con un aumento del 13,4%, un nuovo record dopo il massimo storico di 60,7 miliardi di euro registrato nel 2022 grazie ai prodotti simbolo della dieta mediterranea come vino, pasta e ortofrutta fresca saliti sul podio delle specialità italiane più vendute all’estero.

Si tratta di un risultato che conferma il primato dell’agroalimentare Made in Italy che l’anno scorso ha sviluppato un valore di 580 miliardi di euro nella filiera allargata ed è diventato la prima ricchezza dell’Italia nonostante le difficoltà legate alla pandemia e alla crisi scatenata dalla guerra in Ucraina. Un patrimonio che, rimarca la Coldiretti, vale quasi un quarto del Pil nazionale e, dal campo alla tavola, vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio e 10mila agricoltori in vendita diretta con Campagna Amica.

Lidl propone il Riso Arborio “Amico dei pesci”

Può essere un riso “amico dei pesci”? Sì, se nelle risaie in cui è coltivato vengono immessi pesci autoctoni, che crescono così al sicuro dai predatori. Oltre a essere originale, l’iniziativa nata dalla collaborazione tra Filiera Agricola Italiana, realtà di Coldiretti, e Lidl ha il merito di riassumere bene alcune delle tendenze in atto nel mondo della Gdo: l’evoluzione del discount, il ruolo della marca del distributore, l’attenzione alla sostenibilità.

Il progetto si inserisce in un rapporto avviato nel 2018 e che ha portato alla creazione di una linea di prodotti con il sigillo “FDAI – Firmato Dagli Agricoltori Italiani”, realizzati con materie prime 100% italiane e tracciabili. Altro aspetto fondante è l’equa distribuzione del valore lungo tutta la catena di produzione. “All’inizio queste referenze sono entrare nel nostro assortimento con una logica in & out e quindi come prodotti promozionali – spiega Alessia Bonifazi, Responsabile Comunicazione & Csr di Lidl Italia, ritratta nell’immagine in alto mentre spiega il progetto in occasione di un evento tenuto a Tuttofood –. I clienti ne hanno però subito apprezzato la bontà e riconosciuto il valore. Questo ci ha portato a inserirne una ventina nell’assortimento continuativo, composto da 3.500 referenze di cui l’80% prodotte in Italia. Si va dalla pasta in diversi formati al sugo, all’olio extravergine di oliva, fino a diverse verdure surgelate. Quattro volte all’anno completiamo l’offerta con dei prodotti in promozione, come il gelato, la confettura di fichi proveniente dalla Puglia o quella di fragole della Basilicata”.

Tra i prodotti proposti in promo tra marzo e aprile – e andato esaurito in breve tempo – c’era anche il Riso Arborio “Amico dei pesci” Carosio, un marchio privato di Lidl. Il riso è stato coltivato nell’Azienda Agricola Tonello a Mezzogoro, nel ferrarese. “In 50 ettari di risaie abbiamo immesso pesci autoctoni, come la tinca – racconta il titolare Mauro Tonelloche non si vedeva più in una risaia forse da 40 anni, anche perché vittima di predatori non autoctoni. Il pesce con il suo movimento ossigena l’acqua e si nutre di insetti e di larve di zanzara, tenendo pulite le piantine. Il progetto prevede 2.500 avannotti per ettaro; il livello dell’acqua viene tenuto alto, in maniera che possano crescere e infatti nel giro di tre mesi sono passati da 1 a 8/9 cm. Quando si avvicina il momento della raccolta e quindi di abbassare il livello dell’acqua, i pesci vengono pescati e liberati nei canali, altrimenti nelle risaie avrebbero sempre meno ossigeno a disposizione e finirebbero preda di uccelli. I 50 ettari coinvolti valgono una produzione intorno ai 6.000 quintali e con Lidl abbiamo già definito il contratto per il riso che venderemo quest’anno, fissando un prezzo di ampia soddisfazione per un’azienda agricola come la nostra. Il sostegno della grande distribuzione ci porta a osare di più e quest’anno stiamo provando un seme non trattato con agenti chimici, ma sottoposto solo a uno stress di carattere termico che sembra in grado di abbattere il rischio di malattie”.

Per Francesco Formisano, Direttore Commerciale e Marketing di BF, che ha collaborato al progetto, Lidl è stata un partner ideale per concretizzarlo e mettere il prodotto sul mercato in modo capillare: “La partnership con l’insegna comprende anche altri prodotti come la pasta e il couscous, ma siamo certi che si estenderà in futuro ad altre referenze”. Ma potrà il Riso Arborio “Amico dei pesci” entrare nell’assortimento continuativo? Da Lidl non lo escludono, visto che nell’ambito della linea con il sigillo “FDAI – Firmato Dagli Agricoltori Italiani” c’è un riso del Basso Ferrarese realizzato con i medesimi fornitori, che potrebbe quindi essere sostituito.

Agroalimentare italiano taroccato, un (mal)affare da 120 miliardi

Sale a 120 miliardi il valore del falso Made in Italy agroalimentare nel mondo, anche sulla spinta della strana “alleanza” tra Russia e Usa che, divise dalla guerra in Ucraina, si classificano rispettivamente come il Paese dove le produzioni tricolore taroccate sono cresciute e di più nell’ultimo anno e quello in cui registrano i più elevati fatturati. A lanciare l’allarme è Coldiretti in occasione di Tuttofood a Milano dove è stata inaugurata la prima esposizione della top ten del Made in Italy tarocco a tavola con la classifica delle più grottesche imitazioni delle specialità nazionali scovate in tutto il mondo che tolgono spazio e valore sui mercati ai veri prodotti tricolori.

Come spiega Coldiretti, la vera novità del Made in Italy tarocco oggi è rappresentata dalla Russia. Con la guerra in Ucraina e l’embargo agli scambi commerciali che ha vietato l’esportazione a Mosca di un’importante lista di prodotti agroalimentari come frutta e verdura, formaggi, carne e salumi ma anche pesce, si è diffusa nel Paese di Putin una fiorente produzione di imitazioni del Made in Italy a tavola che hanno sostituito le esportazioni tricolori. Il risultato è che in molti territori, dagli Urali alla regione di Sverdlovsk, sono sorte fabbriche specializzate nella produzione di imitazione dei formaggi e salumi italiani per sostituire quelli originali. Si tratta di impianti per la lavorazione del latte e della carne per coprire la richiesta di formaggi duri e molli così come di salumi che un tempo era soddisfatta dalle aziende agroalimentari italiane. Il sindacato russo dei produttori lattiero-caseari, Soyuzmoloko, ha stimato che la produzione di formaggio russo è quadruplicata raggiungendo i 47 miliardi di rubli (600 milioni di dollari), di cui una discreta fetta è rappresentata proprio dai prodotti simil italiani, come il Parmesan. E se le incerte prospettive di mercato legate alla guerra hanno rallentato gli investimenti negli impianti tecnologici necessari alla stagionatura, i produttori di formaggio russi hanno comunque espresso fiducia che la Russia possa iniziare a produrre parmigiano di alta qualità da esportare attivamente in 5-7 anni.

Il “Russkiy Parmesan”, ad esempio, viene prodotto nel territorio di Stavropol e sul sito dei produttori si assicura che “è un’alternativa al Parmigiano-Reggiano, è fatta con latte pastorizzato e matura 12 mesi e ha una consistenza dura molto simile e un gusto e un aroma intensi specifici”. Nelle stesse aziende si producono anche Montasio, Pecorino, mozzarella e ricotta ma sui mercati si trovano anche mascarpone, robiola Made in Russia, diversi tipi di salame Milano, di mozzarelle “ciliegine”, di scamorze, insalata toscana, Buona Italia e pizza Sono Bello Quattro formaggi con tanto di errore grammaticale.

Se la Russia è il Paese dove il falso Made in Italy è cresciuto di più, la leadership produttiva è saldamente nelle mani degli Stati Uniti, con il fenomeno delle imitazioni di cibo tricolore che è arrivato a rappresentare oltre 40 miliardi di euro, un terzo in valore dell’intero mercato dai tarocchi. Basti pensare che il 90% dei formaggi di tipo italiano in Usa sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, improbabile mix tra Asiago e Fontina. La produzione di imitazioni dei formaggi italiani nel 2022 ha raggiunto negli Usa il quantitativo record di oltre 2,7 miliardi di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, tanto da aver superato addirittura la stessa produzione di formaggi americani come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack che è risultata nello stesso anno pari a 2,5 milioni di chili. Il problema riguarda però tutte le categorie merceologiche come l’olio Pompeian made in Usa, i salumi più prestigiosi, dalle imitazioni del Parma e del San Daniele alla mortadella Bologna o al salame Milano venduto in tutti gli Stati Uniti.

Ma l’industria del falso Made in italy a tavola è diventato un problema planetario con il risultato che per colpa del cosiddetto “italian sounding” nel mondo, oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo la Coldiretti ci sono i formaggi partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali. Un fenomeno diffuso soprattutto nel Sudamerica dove peraltro rischia di essere ulteriormente spinto dall’accordo di libero scambio Mercosur che obbliga di fatto Parmigiano e Grana a convivere per sempre con le “brutte copie” sui mercati locali, dal Parmesan al Parmesano, dal Parmesao al Reggianito fino al Grana. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano.

Tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco sempre nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.

“Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. “Si tratta di una priorità per la nuova legislatura poiché ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300mila posti di lavoro in Italia”.​

Rincari, nel 2022 si riducono gli acquisti di frutta e verdura

Con il caro prezzi e il cambiamento climatico che ha decimato i raccolti, gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta che crollano nel 2022 dell’8% in quantità rispetto allo scorso anno, ai minimi da inizio secolo. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Cso Italy a commento dei dati Istat sul calo del potere di acquisto del 3,7% nel quarto trimestre del 2022.

Gli italiani – sottolinea la Coldiretti – hanno ridotto del 17% le quantità di pere, del 11% le arance e l’uva da tavola, dell’8% le pesche, le nettarine e i kiwi e del 5% le mele. Il risultato è che con 2,8 miliardi di chili nel 2022 il consumo di frutta degli italiani – precisa la Coldiretti – è risultato poco più della metà di quello di fine secolo nel 2000 con preoccupanti effetti sulla salute dei cittadini.

A diminuire del 10% sono stati anche gli acquisti di ortaggi con riduzioni del 12% in quantità per le insalate e del 22% per i fagiolini. Il brusco calo ha fatto scendere il consumo individuale sotto la soglia minima di 400 grammi di frutta e verdure fresche per persona, da mangiare in più volte al giorno, raccomandato dal Consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per una dieta sana.

Un dato ancora più allarmante – conclude Coldiretti – se si considera che a consumare meno frutta e verdura sono soprattutto i bambini e gli adolescenti, con quantità che sono addirittura sotto la metà del fabbisogno giornaliero, aumentando così i rischi legati all’obesità e alle malattie ad essa collegate.

Export agroalimentare italiano alle stelle ma occorre tutela contro l’agropirateria

Con un aumento del 17%, è record storico per l’export agroalimentare italiano nel mondo che ha raggiunto i 60,7 miliardi di euro nel 2022 trainato dai prodotti simbolo della dieta mediterranea come vino, pasta e ortofrutta fresca che salgono sul podio dei prodotti italiani più venduti all’estero. I dati emergono dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sul commercio estero relativi al 2022 che evidenziano un balzo a doppia cifra per l’alimentare nonostante la guerra in Ucraina e le tensioni internazionali sugli scambi mondiali di beni e servizi.

A livello generale la Germania resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare con un valore di 9,4 miliardi davanti agli Stati Uniti con 6,6 miliardi che superano di misura – sottolinea la Coldiretti – la Francia che si piazza al terzo posto 6,5 miliardi. Risultati positivi anche nel Regno Unito con 4,2 miliardi che evidenzia come l’export tricolore si sia rivelato più forte della Brexit, dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue. Tra i prodotti il re dell’export tricolore si conferma il vino per un valore stimato vicino agli 8 miliardi di euro nel 2022, secondo le stime della Coldiretti, grazie ad una crescita a due cifre delle vendite all’estero. Al secondo posto si piazzano la pasta e gli altri derivati dai cereali con un volume di vendite all’estero che volano oltre i 7 miliardi di euro mentre al terzo ci sono frutta e verdura fresche con circa 5 miliardi e mezzo di euro di export, ma ad aumentare in modo consistente sono anche l’extravergine di oliva, oltre a formaggi e salumi.

L’andamento sui mercati internazionali potrebbe però ulteriormente migliorare – sottolinea la Coldiretti – con una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale il cui valore è salito a 120 miliardi, anche sulla spinta della guerra che frena gli scambi commerciali con sanzioni ed embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo la Coldiretti ci sono i formaggi partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali, dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tuti i continenti. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano. Ma tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco – spiega Coldiretti – che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur. Una situazione destinata peraltro a peggiorare se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato.

A pesare sul Made in Italy a tavola nel mondo ci sono anche il probabile arrivo delle prime richieste di autorizzazione alla messa in commercio di carne, pesce e latte sintetici alla minaccia delle etichette allarmistiche sul vino fino al semaforo ingannevole del Nutriscore che boccia le eccellenze tricolori. Si tratta di un sistema di etichettatura fuorviante, discriminatorio ed incompleto che – sottolinea la Coldiretti – finisce paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. I sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo – continua la Coldiretti – si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia senza tenere conto delle porzioni, escludendo paradossalmente dalla dieta ben l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine.

“Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini sottolineando che “serve cogliere l’opportunità del Pnrr per modernizzare la logistica nazionale ed agire sui ritardi strutturali dell’Italia sbloccando tutte le infrastrutture per migliorare i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”.

Caro pasta, botta e risposta tra Coldiretti e Unione Italiana Food

Una recente analisi della Coldiretti su dati Istat ha fotografato gli effetti dell’aumento dei prezzi della pasta, il prodotto alimentare maggiormente presente sulle tavole degli italiani. Il conto salatissimo, pari a quasi 800 milioni di euro in più rispetto al 2021, «grava in primis sulle famiglie povere per cui la pasta ha una incidenza più elevata sulla spesa quotidiana» sottolinea la Coldiretti. «Se a Milano un chilo di pasta di semola può costare fino a 3,18 euro, a Roma si viaggia sui 3,20 euro, a Bologna 3,26 euro, a Palermo 2,48 euro e a Napoli 3,18 euro».

Il conflitto in corso sul fronte russo-ucraino ha indubbiamente moltiplicato manovre speculative e pratiche sleali sui prodotti alimentari, appesantendo la situazione dell’Italia, Paese che importa dall’estero il 44% del grano duro destinato alla pasta.

Allo scenario nefasto dipinto da Coldiretti però si contrappone la visione meno pessimistica di Unione Italiana Food che, pur confermando il rincaro medio della pasta, parla di un aumento pari alla metà o persino meno rispetto a quello stimato da Coldiretti. Elaborando una previsione su dati Nielsen, Unione Italiana Food ridimensiona l’allarmismo e porta il rincaro a meno di 7 euro in più all’anno a persona, praticamente un’inezia.

Secondo Unione Italiana Food, «la pasta continuerà ad essere un alimento accessibile a tutti, anche in un momento difficile per gli italiani. Con mezzo chilo di pasta e pochi altri ingredienti, si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e bilanciato per una famiglia di cinque persone, e questo con meno di due euro».

Si tratta di numeri e visioni parecchio divergenti ma, ad oggi, né Coldiretti né Unione Italiana Food hanno chiarito nel dettaglio le modalità di calcolo del rincaro, pur specificando le fonti dati utilizzate.

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