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Italia Paese dei fiori: il 46% li compra. Coldiretti pensa di certificare la filiera italiana

Agli italiani piacciono i fiori, in vaso o recisi, e li acquistano più di ogni altro Paese europeo: secondo un’indagine Coldiretti/Censis sono nelle case del 46,2 per cento degli italiani. Una percentuale che aumenta nella fascia dei Millennials (Under 34), notoriamente interessati al naturale e al sostenibile, dove raggiunge il 50,8 per cento. L’identikit del flower lover è vario: trasversale tra uomini e donne, fasce di età e territori di residenza anche se dall’analisi emergono aspetti sorprendenti: dichiara di avere il pollice verde oltre il 47,5% degli uomini a fronte del 43% delle donne. Nove italiani su dieci sostengono che avere fiori in casa sia un piacere. Una funzione antistress peraltro confermata da studi scientifici, che si scontra però con un calo degli acquisti che anche a causa della crisi sono scesi sotto la soglia storica degli 8 milioni di acquirenti che si è registrata molto raramente negli ultimi dieci anni.

 

Coldiretti pensa di certificare la filiera

L’Italia è anche leader nella produzione di piante e fiori in Europa: il florovivaismo italiano vale oltre 2,4 miliardi di euro e conta oltre 30 mila aziende agricole che garantiscono occupazione ad oltre 100 mila persone. Ma sul settore pesa la piaga del commercio abusivo di fiori recisi e di piante in vaso: un’economia sommersa stimabile in alcune centinaia di milioni di euro, con ramificazioni legate alla criminalità che ne organizza la distribuzione in tutta Italia. Nonostante il primato italiano in Europa tra l’altro aumentano le importazioni di fiori e piante, del 7% nei primi sei mesi del 2015, anche per le triangolazioni di Stati dell’Unione Europea che li importano da Paesi extra Ue dove vengono prodotti senza rispettare le normative fitosanitarie comunitarie, e sfruttando le popolazioni locali. Rose, orchidee, ma anche piante in vaso sono i prodotti più frequentemente oggetto di questo fenomeno. «È anche per questo motivo che Coldiretti sta lanciando, attraverso la propria rete di vendita diretta, fattorie e mercati di Campagna Amica e attraverso Fai, il brand firmato dagli agricoltori italiani, il fiore e la pianta della filiera agricola tutta Italiana, per dare certezze al consumatore circa la provenienza dei prodotti florovivaistici, la loro qualità e l’adozione di processi produttivi eticamente corretti» ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Quote latte addio. La competizione è senza rete

Dopo poco più di trent’anni si chiude il capitolo delle quote latte. Da domani primo aprile, infatti, il mercato europeo del latte spariranno le protezioni  di cui hanno goduto molti Paesi e che in Italia ha sollevato le proteste degli agricoltori, di cui si era fatta interprete la Lega di Bossi con le marce, le occupazioni delle strade, le azioni plateali e dall’altro ha alimentato la compravendita di quote tra allevatori, che sono state più volte sanzionate dalla Commissione europea. Alla fine, però ha prevalso la linea di Bruxelles verso l’eliminazione degli aiuti e il dispiegamento del mercato libero.

Introdotto per la prima volta nel 1984, in un momento in cui la produzione dell’UE eccedeva di gran lunga la domanda, il regime delle quote ha rappresentato uno dei primi strumenti creati per superare le eccedenze strutturali. Le successive riforme della politica agricola comune dell’UE hanno orientato il settore sempre più al mercato e, in parallelo, hanno fornito una serie di strumenti più mirati per contribuire a sostenere i produttori in zone vulnerabili, come quelle montuose, dove i costi di produzione sono più elevati. La decisione sulla data ultima per l’abolizione dei contingenti è stata presa per la prima volta nel 2003, in modo da fornire maggior flessibilità ai produttori dell’Unione per soddisfare l’aumento della domanda, soprattutto sul mercato mondiale. La data è stata riconfermata nel 2008, accompagnata da un ventaglio di misure intese a realizzare un cosiddetto «atterraggio morbido».

Per il sistema agricolo italiano, che già ora produce11 milioni di tonnellate di latte e ne importa poco meno di 9 milioni, è un cambiamento importante – ma proprio per i motivi di cui sopra non certamente inaspettato o improvviso – perché il confronto con i produttori degli altri Paesi europei diventa senza rete di protezione e quindi tutto si gioca sulla competitività. Non solo di prezzo, che pure rimane un aspetto  importante, dato che la remunerazione degli agricoltori è un fattore di salvaguardia del sistema agricolo italiano.

Resta il fatto che il prezzo del latte in Italia è superiore alla media Ue e a quello di molti Paesi produttori ed esportatori. Anche sul versante della qualità, se è vero che quello italiano è riconosciuto di altissima qualità,la gran parte del latte prodotto viene venduto come latte fresco o serve per la produzione di formaggi Dop. Ma a sentire alcuni produttori di formaggi non a denominazione, il controllo qualità delle cagliate provenienti dal nord Europa unitamente alla tipologia di allevamenti assicura un prodotto di buon livello. A un prezzo inferiore a quello prodotto in Italia, che attualmente viaggia intorno ai 35 centesimi al litro.

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Per gli agricoltori, peraltro, è un prezzo che non ripaga i costi di produzione e, anche per la dimensione aziendale, non consente di fare investimenti. Si ripete, anche in questo caso, il mantra del nanismo delle imprese italiane che non riescono a competere con quelle estere più grandi, in un mercato dalle porte aperte.

Per contrastare in parte il ribasso dei prezzi, a febbraio Conad aveva annunciato di aver fissato a 38 centesimi al litro il prezzo del latte alla stalla per i prodotti a proprio marchio. «Siamo preoccupati per la crisi che sta affossando il settore – aveva dichiarato l’amministratore delegato Francesco Pugliese -. Conad, nella contrattazione con i fornitori per quanto riguarda il latte, i formaggi e i latticini a proprio marchio, ha ritenuto di fissare il prezzo da pagare per l’acquisto di latte alla stalla a 0,38 euro/litro, prezzo da cui partire per fissare il prezzo del prodotto finito. Una decisione maturata per superare le tensioni che stanno crescendo nel mercato, perché ritiene sia una questione di equità, per valorizzare l’italianità dei prodotti. La nostra è solo una tappa necessaria – aveva poi aggiunto – in attesa che si apra una riflessione generale su tutta la filiera. Ogni attore della filiera deve sentirsi responsabilizzato a garantire il futuro ad un comparto strategico per l’agroalimentare italiano, oggi a rischio di emarginazione, operando di comune accordo per ammodernarlo e migliorarlo».

Sull’altro fronte, Coldiretti denuncia che “solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta al regime delle quote latte lasciando in vita in Italia solo 36mila allevamenti e con il pericolo che il prevedibile aumento della produzione comunitaria possa scatenare una vera invasione straniera in Italia, dove si importa già quasi il 40 per cento dei prodotti lattiero caseari consumati”.

Secondo Coldiretti il prezzo pagato agli allevatori è aumentato di poco più 10 centesimi mentre il costo per i consumatori è cresciuto di 1,1 euro al litro, a valori correnti. In altre parole oggi gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar mentre quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. Ma soprattutto il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali con effetti sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani.

«Questa situazione è determinata dal fatto che in Italia esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono» ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel denunciare che «questa situazione rischia di aggravarsi con la fine del regime delle quote latte e non è un caso che nel mese di marzo comportamenti scorretti nel pagamento del latte agli allevatori hanno portato prima in Spagna e poi in Francia alla condanna da parte dell’Antitrust delle principali industrie lattiero casearie, molte delle quali, peraltro, operano anche sul territorio nazionale (il riferimento è a Lactalis, ndr) dove invece c’è  un “silenzio assordante” da parte dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del mercato».

Come corollario non secondario resta la questione della indicazione di provenienza del latte. «In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e lo stop al segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero è un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Ad oggi in Italia – continua la Coldiretti – è obbligatorio indicare la provenienza del latte fresco ma non per quella a lunga conservazione ma l’etichetta è anonima anche per i formaggi non a denominazione di origine, per le mozzarelle e gli yogurt.

Tuttavia l’abolizione del regime delle quote latte può costituire motivo di riorganizzazione della filiera produttiva, favorendo accorpamenti e fusioni tra imprese agricole, per far fronte anche all’aumento della domanda prevista nei prossimi anni.

Phil HoganSecondo il Commissario UE per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan (nella foto) : «L’abolizione delle quote latte è al tempo stesso una sfida e un’opportunità per l’Unione. La possiamo considerare una sfida, in quanto un’intera generazione di produttori di latte dovrà abituarsi a vivere in un ambiente completamente nuovo, segnato sicuramente da una certa volatilità. Ma al tempo stesso rappresenterà indubbiamente un’opportunità in termini di crescita e di posti di lavoro. Grazie a una maggiore attenzione sia ai prodotti a valore aggiunto sia agli ingredienti per alimenti «funzionali», il settore lattiero-caseario ha tutto il potenziale per diventare un motore economico per l’UE. Le zone più vulnerabili, per le quali l’abolizione delle sistema della quote può essere considerata una minaccia, possono beneficiare della gamma di misure di sviluppo rurale legate al principio di sussidiarietà».

Nonostante le quote, negli ultimi 5 anni le esportazioni UE di prodotti lattiero-caseari sono aumentate del 45% in volume e del 95% in valore. Le proiezioni di mercato indicano che le prospettive di crescita per il futuro rimangono forti — in particolare per quanto riguarda i prodotti a valore aggiunto quali i formaggi, ma anche per gli ingredienti utilizzati nei prodotti alimentari, nutrizionali e sportivi.

L’addio alle quote latte, però lascia un’eredità pesante: sono le multe comminate da Bruxelles per 4,5 miliardi di euro che, ha affermato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, sono costate più di 70 euro a ogni cittadino italiano.

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