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Le rotture di stock scoraggiano i Millennial che preferiscono l’online

Il 75% degli acquirenti millennial e il 53% di quelli della Generazione X rinunciano ormai agli acquisti fisici per rifugiarsi nell shopping online. Ecco quanto emerge dodicesimo Global Shopper Study di Zebra Technologies Corporation.

Ma quali sono i mortivi di questa disaffezione?

Il motivo principale per cui i venditori al dettaglio perdono acquisti in negozio a favore dello shopping online sono i problemi di gestione dell’inventario, soprattutto gli articoli esauriti. Sia gli acquirenti che il personale di vendita si sono detti insoddisfatti della quantità di articoli fuori stock: il 43% degli assistenti alla vendita ha individuato nella mancata disponibilità dei prodotti il principale motivo di frustrazione dei clienti e il 39% degli acquirenti ha abbandonato il negozio senza acquisti proprio per questo motivo.Fonte: 2020 Shopper Study by Zebra

 

Eppure i negozi si stanno “tecnologizzando” sempre più.

Le tecnologie self-service per le casse, per esempio, sono sempre più diffuse nei negozi; il 40% degli acquirenti ha dichiarato di averle utilizzate negli ultimi sei mesi e l’86% afferma di trovarsi a suo agio nell’usarle. Inoltre, buona parte degli acquirenti (58%), soprattutto se millennial (70%), ritiene che le casse self-service migliorino l’esperienza cliente. Anche la maggioranza del personale di vendita nei negozi (54%) afferma che la necessità di casse con addetti stia diminuendo con le nuove tecnologie di automazione del processo. Circa nove direttori di negozio su 10 (87%) ritengono che le casse self-service lascino più tempo al personale di vendita per servire meglio i clienti, mentre l’81% di loro ha dichiarato di iniziare a vedere un ritorno sull’investimento.

Eppure, precisa afferma Anees Haidri, Director of Global Retail Market Strategy di Zebra Technologies: “Secondo i risultati della nostra indagine, nonostante servizi migliori contribuiscano a fidelizzare i clienti attuali e ad attirarne di nuovi, i retailer devono soddisfare esigenze basilari in termini di disponibilità dei prodotti, facilità di reperirli, resi e cambi” “Oggigiorno, per conquistare gli acquirenti, i retailer devono assicurare un’esperienza senza intoppi e multi-canale che i clienti si aspettano e sfruttare le tecnologie per fornire servizi più personalizzati per la gestione dell’inventario e per operazioni più intelligenti”.

Disparità di vedute

Fornire un’esperienza cliente migliore è fondamentale per far tornare gli acquirenti. Tuttavia, c’è una seria contraddizione tra le aspettative degli esercenti e quelle dei clienti: il 77% dei direttori di negozi ritiene che i clienti siano soddisfatti dell’esperienza in negozio, mentre soltanto il 57% degli acquirenti dichiara lo stesso. L’indagine ha inoltre individuato notevoli divergenze nella percezione del processo di reso e cambio per quanto riguarda la soddisfazione degli acquirenti (59%) e la percezione di tale soddisfazione da parte degli esercenti (80%). Comunque, gli investimenti in soluzioni mobili hanno messo d’accordo direttori (85%) e addetti alle vendite (73%) sul fatto che la disponibilità delle più recenti tecnologie in negozio contribuisca a migliorare l’esperienza.Fonte: 2020 Shopper Study by Zebra

 

Per ottimizzare l’esperienza in negozio, i retailer stanno ricorrendo anche all’uso della robotica. Soltanto il 7% degli acquirenti intervistati ha interagito con un robot in un esercizio commerciale negli ultimi sei mesi, ma circa tre quarti (72%) hanno dichiarato di trovarsi a loro agio con queste macchine; al contempo, il 32% degli addetti alle vendite teme di essere rimpiazzato da un robot.

RISULTATI PRINCIPALI PER REGIONE

 Asia-Pacifico

  • Circa metà degli acquirenti intervistati (49%) ha espresso una preferenza per gli acquisti online per via della facilità del processo di reso.
  • Il 53% degli acquirenti si affida al proprio dispositivo mobile/all’app del negozio per fare acquisti in negozio.

 Europa e Medio Oriente

  • Due terzi (66%) degli acquirenti sono soddisfatti di poter pagare dovunque nel negozio.
  • Solo il 14% dei clienti si fida completamente del fatto che l’esercente tutelerà i suoi dati personali.

America Latina

  • Il 71% degli acquirenti dichiara che le soluzioni self-service migliorano la loro esperienza di acquisto e il 64% preferisce utilizzare questa tecnologia invece che fare la fila alla cassa.
  • Più di otto acquirenti su 10 (83%) sono interessati a ricevere voucher o cashback in cambio di un’attesa di quattro giorni per la consegna di un acquisto online.

Nord America

  • Solo il 6% dei clienti si fida completamente del fatto che il retailer tutelerà i suoi dati personali. È il dato più basso tra tutte le regioni.
  • Chi acquista sotto le festività in Nord America si aspetta di spendere il 58% del budget nei negozi fisici.

METODOLOGIA DELL’INDAGINE

La 12ª indagine annuale globale di Zebra sugli acquirenti ha coinvolto 4.811 acquirenti, 1.100 addetti alla vendita e 435 gestori di negozi in Nord America, America Latina, Asia-Pacifico, Europa e Medio Oriente, intervistati da Qualtrics nel periodo agosto-settembre 2019.

Danone e Waze lanciano la prima campagna CPG di trade marketing

Danone ha realizzato con Waze la prima campagna CPG di trade marketing in Italia studiata per il prodotto Alpro Caffè distribuito in esclusiva presso i punti vendita Autogrill e MyChef, con l’obiettivo di aumentare la brand awareness del prodotto e di incentivare le navigazioni dei potenziali consumatori.

Per la campagna, attiva su un totale di 198 stazioni di servizio suddivise tra 178 punti Autogrill e 20 MyChef, sono stati utilizzati formati pubblicitari di Waze con una modalità di visualizzazione personalizzata. I Pin brandizzati e geolocalizzati per consolidare la presenza sulla mappa e aumentare la location awareness mentre, per comunicare in modo efficace l’offerta e aumentare la considerazione, Waze ha attivato il formato Takeover che appare sullo screen quando l’automobilista dista 10 chilometri dal punto vendita. Infine la Search gratuita per aumentare l’engagement e incentivare il drive to store.

La campagna ha registrato risultati molto positivi: 6.3 milioni sono le impression registrate, più di 1 milione di utenti raggiunti e quasi 10mila navigazioni attivate sull’app. L’efficacia della campagna attivata da Danone e Waze si conferma anche grazie ai dati relativi all’ad recall e alla navigation lift, rispettivamente +247% e +83%.

“Le persone ormai sono sempre più in movimento e per i brand diventa sempre più difficile connettersi in modo significativo. Tuttavia Waze essendo il primo mezzo di in-car advertising, ad oggi si dimostra lo strumento ideale per capitalizzare gli spostamenti e portare le persone al negozio attraverso strategie di destination marketing. Inoltre il concetto di trade marketing in ottica Waze e applicato nella campagna di Danone si riassume proprio nel suo essere ponte tra il mondo digitale e fisico. I risultati ottenuti con Danone sono un’ulteriore conferma del nostro andamento in Italia nel 2019 in cui la media italiana rivela che un automobilista esposto ad adv su Waze ha il 47% di probabilità in più di dirigersi verso un negozio e che le navigazioni verso i retailer sono aumentate di ben 43 punti percentuali” commenta Dario Mancini, Regional Manager Italy & EMEA Emerging Markets.

 “Il successo della campagna ha dimostrato come un prodotto di largo consumo, grazie a un partner come Waze, possa efficacemente aumentare l’awareness da un lato e far crescere le vendite dall’altro. I risultati ottenuti dimostrano come campagne di questo genere, quasi pionieristiche nel nostro Paese ed estremamente sinergiche, siano vincenti e win-win per tutti i player coinvolti” commenta Elisabetta Corazza, Head of Digital Marketing Italy di Danone.

2020: che anno verrà per il largo consumo? Le stime di IRI

Il 2019 volge al suo epilogo, è tempo di bilanci e previsioni. Secondo IRI, nonostante il clima economico incerto il Largo Consumo chiuderà il 2019 con un segno positivo. Il dato complessivo trova sostegno nelle politiche espansive a favore delle famiglie (reddito di cittadinanza) e dalla debolezza dei prezzi al consumo. Il preconsuntivo vede quindi una chiusura 2019 con un andamento dei volumi pari al +1,4% e un andamento a valore pari al +1,7%.
Lo scenario del prossimo anno resterà influenzato dallo scarso dinamismo economico che impedirà un rilancio prolungato della domanda per la maggior parte dei mercati di Largo Consumo. Tuttavia questo effetto sarà ancora contrastato dal mantenimento di misure a favore delle famiglie già confermate dal nuovo esecutivo (quali ad esempio il Reddito di Cittadinanza, il taglio al cuneo fiscale delle famiglie meno abbienti, ecc.)
La tendenza di fondo dei prezzi del comparto continuerà ad essere segnata dall’assenza di particolari pressioni inflazionistiche, coerentemente con il trend generale del Paese. L’andamento debole dei prezzi aiuterà la domanda a volume sostenendo il potere d’acquisto.
Sul prossimo anno restano comunque delle incognite circa la risalita dei prezzi. Nonostante il disinnesco delle Clausole di Salvaguardia resta infatti l’incertezza sugli effetti delle «tasse di scopo» nel piano 2020 (Sugar e Plastic Tax) che potranno penalizzare, in misura variabile, specifici mercati (Bevande, Cura Casa, Freschi Confezionati, ecc.). Tuttavia, ad oggi, è difficile fare una stima precisa dell’impatto non essendo ancora noti nel dettaglio i meccanismi e le modalità di applicazione: queste norme dovranno infatti prima passare al vaglio dell’iter parlamentare. In termini molto generali per il 2020 valutiamo un’area di rischio fino a 0.2pp di crescita a volume a totale LCC.
Inoltre il fattore metereologico da ormai alcuni anni è divenuto un elemento estremamente importate per l’andamento del comparto del Largo Consumo, avendo un impatto significativo sul trend di numerose categorie stagionali. Nel 2019 si sono succedute spiccate fasi anomale di senso opposto che però si sono compensate nella media dell’anno. In questo rapporto previsionale si ipotizza un’evoluzione climatica 2020 in linea con l’andamento di quest’anno.
Il comparto chiuderà quindi il 2020 con risultati moderatamente positivi, anche se inferiori a quelli del 2019. Ci si attende il mantenimento di una crescita dei Ricavi, ma su valori più contenuti a causa della dinamicità più moderata delle vendite a volume e del mantenimento (in assenza della manovra IVA) di un’evoluzione limitata dei prezzi medi.

 

La crescita (lieve) dei prezzi medi al dettaglio sarà influenzata prevalentemente dalla riqualificazione del basket di spesa delle famiglie verso prodotti ad elevato contenuto di servizio, un trend che da anni caratterizza il mercato. Questa tendenza sarà ancora in parte contrastata dall’aumento della domanda nei canali di basso prezzo, che agirà da calmieratore.
Sul fronte dell’offerta commerciale infine permarrà una situazione di forte competizione fra canali di vendita sia all’interno del perimetro della Distribuzione Moderna che al suo esterno: Discount, Superstore e E-Commerce i fenomeni più performanti.

La fiducia? Questione di buona reputazione online

La fama (quella cattiva) è pari a una sentenza di morte. Potrebbe sembrare forse troppo tranchant, però di fatto è vero che i consumatori rifuggono dalle aziende “di cui non si dice bene”. A rivelarlo le ricerche di Trustpilot, che mostrano come il 90% dei consumatori online sceglie di non acquistare da un’azienda con una cattiva fama.

Ma cosa rovina la nomea di un brand?

Il fattore principale, che causa la diminuzione della fiducia dei clienti, è la cancellazione da parte delle aziende delle recensioni negative (95%), il che suggerisce una forte avversione dei consumatori nei confronti di comportamenti disonesti.

Risulta inoltre che i brand possono esere velocemente “sfuduciati” quando non sono attivi o mostrano di non avere una presenza online moderna e dinamica. I consumatori vogliono essere in grado di cercare e di trovare informazioni online sul brand e non si fidano di aziende che hanno siti web obsoleti (77%), non sicuri (88,4%) o che non sono mai state recensite dagli utenti (81%).

Sul versante opposto, quindi, a incentivare la buona fama, contribuiscono: “avere una buona reputazione online” (95,6%), “ricevere recensioni positive da parte dei clienti” (93,7%), “disporre di un servizio clienti veloce” (92,9%) e – solo dopo – “offrire beni di prima qualità” (86,1%).

Gli intervistati, dunque, ritengono la reputazione online il principale generatore di fiducia e sono sempre alla ricerca di elementi che indichino la reputazione del brand – il 61,9% dei consumatori online ha dichiarato che effettuerebbe una ricerca sull’azienda nel caso in cui non la conosca abbastanza.

Claudio Ciccarelli, Country Manager di Trustpilot in Italia ha così commentato questi risultati: “Sempre più consumatori contano sulla ricerca online per reperire le informazioni necessarie a prendere le proprie decisioni di acquisto. Ciò che trovano può avere un forte impatto su come percepiscono un brand e sulla decisione di fare affari con esso. La gestione della reputazione un tempo era vista come una tattica passiva che le aziende utilizzavano soltanto se qualcosa andava storto all’interno della propria organizzazione. Ma oggi, i brand di tutte le dimensioni devono necessariamente avere un approccio proattivo nel pianificare la gestione della propria reputazione in modo da dare priorità alla comunicazione aziendale messa in atto e alla trasparenza del marchio, se vogliono che i clienti si fidino a sufficienza di loro da acquistarne i prodotti o i servizi.”

8 italiani su 10 sono consumatori multicanale

Nell’ultimo anno il digitale ha avuto un ruolo nel percorso di acquisto dell’83% della popolazione italiana sopra i 14 anni (43,9 milioni ). Fra i consumatori multicanale circa un terzo è rappresentato da InfoShopper, gli utenti che usano la rete solo per informarsi (16,1 milioni, il 37%), mentre quasi due terzi sono eShopper, coloro che la impiegano anche per comprare (27,8 milioni, il 63%). Ecco alcuni dei punti principali emersi dall’Osservatorio Multicanalità promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Nielsen.

Entrambi i gruppi navigano abitualmente nel web per cercare informazioni (61% degli InfoShopper vs 88% degli eShopper), confrontare prezzi (60% vs 90%), scegliere i punti vendita (41% vs 65%), condividere commenti positivi (27% vs 46%) o negativi (29% vs 46%). Ma gli InfoShopper sono molto più cauti quando si tratta di acquistare prodotti che richiedono un pagamento anticipato (78% vs 47% degli eShopper), che non si possono vedere o toccare (80% vs 39%) o senza avere un contatto diretto con il venditore (71% vs 35%).

“Ci troviamo di fronte a consumatori che vivono la multicanalità come uno spazio integrato (offline e online) di interazione con la marca. Gli individui ormai seguono percorsi di acquisto differenziati in relazione a attitudini e prodotti di interesse e, nel contempo, cambiano comportamento in virtù del contesto in cui si svolge il percorso di acquisto – afferma Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Multicanalità -. Dai risultati della ricerca emerge inoltre che anche per gli utenti più affezionati al negozio fisico i canali digitali sono diventati un punto di contatto fondamentale e che l’interazione con i brand avviene ovunque, a qualunque ora della giornata e da qualsiasi dispositivo. Per approfittare di queste evoluzioni, le imprese devono affrontare la sfida della multicanalità da un punto di vista strategico attraverso una progettazione integrata (tra spazio fisico e ambiente digitale) dell’architettura di interazione con il mercato e rinnovare funzione e ruolo dei punti (fisici) di vendita integrandoli con i canali digitali per consentire esperienze di acquisto ibride e prive di salti esperienziali”.
“La multicanalità nel percorso d’acquisto è un fenomeno ormai maturo in gran parte del Paese – afferma Stefano Cini, Sales & Marketing Analytics Leader South Europe di Nielsen -. Ciò che continua a cambiare sono gli schemi di path-to-purchase, sempre più personalizzati, contestuali e differenti a seconda della categorie. Tra gli italiani sopra i 14 anni osserviamo che l’83% è connesso a Internet, il 53% ha compiuto almeno un acquisto online nel corso dell’ultimo anno, e il 13% utilizza quotidianamente Internet pre, durante e post acquisto. Produttori e distributori devono adattarsi a questo contesto passando dalla ricerca della “fedeltà del consumatore” al concetto di “fedeltà al consumatore”. Il segreto: trasformare dati e processi complessi in un’esperienza d’acquisto sempre più semplice e appagante”.
“La ricerca conferma come il mobile sia chiave per portare consumatori in negozio – dichiara Marco Durante, Country Manager Italia di ShopFully -. Persino il volantino, che resta fondamentale come formato, è sempre meno utilizzato nella versione cartacea dai consumatori, che ne spostano l’utilizzo online. I player della GDO e dell’elettronica hanno intercettato questo cambiamento . Oltre 40 retailer sono in fase avanzata con noi nel processo di riduzione della carta, introducendo un nuovo mix con il digitale che crea saving economici nella distribuzione del volantino e aumenta l’efficacia e la misurabilità nel portare traffico in negozio. Senza dimenticare la riduzione dell’impatto ambientale con il risparmio di tonnellate di carta”.

Le 4 tipologie di e-Shopper
L’Osservatorio Multicanalità ha individuato quattro segmenti all’interno del gruppo dei consumatori eShopper.

Il gruppo più numeroso nel 2019 è quello dei Cherry Picker (8,1 milioni, il 29% degli eShopper) gli individui più conservatori, che si informano prevalentemente attraverso le fonti di informazione tradizionali e la tv generalista e apprezzano la relazione diretta col venditore e la possibilità di vedere il prodotto prima di acquistarlo. Il 50% dei Cherry Picker è uomo, il 26% è Millennial, il 40% fa parte della Generazione X, mentre il 34% appartiene ai Baby Boomer. All’estremo opposto, si collocano gli Everywhere Shopper, il gruppo più evoluto, in grado di utilizzare i punti di contatto online in qualsiasi luogo e momento della giornata e muovendosi liberamente da un canale all’altro durante tutte le fasi del processo di acquisto. Hanno una grande dimestichezza con le ultime tecnologie e usano la rete come canale principale per informarsi, confrontare i prezzi e acquistare prodotti e servizi, ascoltano la radio e guardano meno la tv rispetto agli altri eShopper. Il 52% degli Everywhere Shopper è di genere maschile, il 37% è un Millennial, il 16% è un Baby Boomer e il 47% appartiene alla Generazione X.
I Money Saver sono gli utenti che si avvicinano ai servizi di eCommerce spinti dalla possibilità di risparmiare. Sono compratori attirati dalle piattaforme efficienti, anche se dimostrano una maggiore attenzione, rispetto al passato, alla esperienza di acquisto. Il loro mezzo di informazione preferito è la televisione generalista, leggono molte riviste, mentre utilizzano meno tutto ciò che è legato al mondo digital, ai quotidiani e alla radio. All’interno di questo gruppo, il 50% degli individui è uomo, il 29% appartiene ai Millennial, il 39% fa parte della Generazione X e il 32% è Baby Boomer.
Il gruppo dei Pragmatic è composto da utenti amanti dell’innovazione e della tecnologia, che usano il web per risparmiare tempo e aumentare l’efficienza del processo di acquisto. Acquistano online quando ciò permette di risparmiare tempo, trovare prezzi più bassi ed accedere al servizio in orari non garantiti dai canali tradizionali. Questi consumatori considerano le piattaforme eCommerce il canale privilegiato per gli acquisti, a patto che sia garantito un processo d’acquisto veloce. I loro negozi online preferiti sono quelli generalisti, caratterizzati da una forte usabilità ed efficienza. Il 26% è Millennial, il 46% fa parte della Generazione X e il 28% è Baby Boomer, mentre il 56% degli individui è di sesso maschile.

Il percorso d’acquisto

Nella fase di pre-acquisto la raccolta delle informazioni e la comparazione dei prezzi avviene frequentemente online per gli Everywhere Shopper (94% e 91%), i Money Saver (90% e 73%) e i Pragmatic (91% e 81%). I Cherry Picker, invece, utilizzano in modo più limitato internet nella fase di pre-acquisto (il 5% lo usa spesso per raccolta informazioni e il 2% per lo usa spesso per comparare prezzi).
Il 93% degli Everywhere Shopper usa spesso internet per comprare prodotti o servizi, contro il 60% dei Pragmatic il 15% dei Cherry Picker e il 4% dei Money Saver. Per quanto riguarda i dispositivi utilizzati, gli Everywhere Shopper utilizzano indistintamente Pc e smartphone per fare acquisti online (74% dei casi), mentre il Pc rimane lo strumento principalmente utilizzato dagli altri segmenti (71% per i Money Saver, 67% per i Cherry Picker e 76% per i Pragmatic). Lo smartphone viene usato per acquistare online dal 49% dei Money Saver, dal 47% dei Cherry Picker e dal 52% dei Pragmatic. Nella maggior parte dei casi l’acquisto da smartphone viene effettuato in casa, in ufficio, a scuola o all’università: nel 93% delle occasioni per gli Everywhere Shopper, 95% per i Money Saver, 89% per i Cherry Picker e 95% per i Pragmatic. Soltanto gli Everywhere Shopper e i Pragmatic presentano buone percentuali di acquisto in mobilità (rispettivamente 30% e 21%). Il Tablet è tuttora utilizzato in modo meno intensivo per l’acquisto online anche a causa della sua più limitata diffusione presso la popolazione. Infatti, nell’ultimo anno lo ha impiegato solo il 20% degli Everywhere Shopper. Anche per il Tablet il contesto di utilizzo privilegiato per l’acquisto online è principalmente quello di casa, ufficio, scuola e università: tra coloro che lo utilizzano per l’acquisto ciò avviene per il 91% degli Everywhere Shopper, il 95% dei Money Saver, il 91% dei Cherry Picker e il 98% dei Pragmatic.
Lo showrooming, ossia l’acquisto online dopo aver visto il prodotto in negozio, è una pratica comune fra gli Everywhere Shopper (78% dichiara di aver messo in pratica questo comportamento), molto meno fra Money Saver (54%), Cherry Picker (39%) e Pragmatic (55%). Il processo inverso, invece, cioè la raccolta di informazioni online seguita dall’acquisto in negozio (infocommerce) viene portato a termine dal 43% degli Everywhere Shopper, dal 61% dei Money Saver, dal 38% dei Pragmatic e dal 52% dei Cherry Picker. Tutti i segmenti preferiscono la consegna a casa rispetto al ritiro presso un punto fisico, sebbene vi siano percentuali significative di Everywhere Shopper e Money Saver che dichiarano di apprezzare questa ultima modalità (43% e 42% rispettivamente). Infine, solo gli Everywhere Shopper dichiarano di utilizzare frequentemente la rete nella fase successiva all’acquisto: il 49% per recensire i prodotti comprati e ricevere supporto post vendita. Soltanto l’11% dei Money Saver fornisce commenti online sui prodotti acquistati e ancora meno i Cherry Picker e i Pragmatic, rispettivamente 4% e 3%. Da questi segmenti il web non è percepito come uno strumento positivo a supporto nemmeno per l’assistenza post vendita (1% Money Saver, 3% Cherry Picker e 10% Pragmatic).


Il percorso di acquisto multicanale nei vari settori

Vediamo adesso come ciascun gruppo di Internet User affronta le diverse fasi del processo di acquisto nei settori largo consumo, farmaci, beauty, abbigliamento, assicurazioni, elettronica e viaggi. Nei settori elettronica e viaggi la maggior parte della popolazione si informa prevalentemente online, rispettivamente nel 65% e nel 74% dei casi, mentre nelle altre categorie merceologiche è più frequente affidarsi ai canali tradizionali. Il 90% degli Everywhere Shopper cerca online informazioni sui viaggi, l’89% su elettronica e informatica, il 65% sulle assicurazioni, il 59% sull’abbigliamento e il 58% su prodotti di bellezza. Le percentuali scendono sotto la metà del campione per il largo consumo (46%) e i farmaci (47%).
Gli acquirenti italiani comprano utilizzando un mix di canali tradizionali e digitali, dimostrando di aver raggiunto una profonda maturità in termini di approccio multicanale. Vi sono infatti ampi segmenti di acquirenti che comprano sia offline che online prodotti di elettronica/informatica (50% dei casi), abbigliamento (38%), beauty e viaggi (28%), farmaci/integratori (21%), largo Consumo (19%) e, infine, assicurazioni (17%). Il 47% compra esclusivamente online nel settore viaggi, il 23% nelle assicurazioni, il 13% nell’elettronica. Anche in questo caso sono gli Everywhere Shopper il gruppo di utenti più evoluto, che acquista o esclusivamente online o integrando il canale fisico al web: il 91% nell’elettronica, il 93% nei viaggi, il 77% nell’abbigliamento, il 57% nelle assicurazioni, il 63% nel beauty, il 46% nel settore farmaci e il 44% nel largo consumo.
Cresce in misura rilevante la diffusione della pratica di utilizzo dei canali in modo sinergico ed ibrido con un mix di punti di contatto offline e online tra fasi diverse del processo d’acquisto. Mettono in pratica questa tipologia di customer journey ibridi oltre 10 milioni di acquirenti di prodotti di largo consumo, quasi 11 milioni per i farmaci/integratori, circa 13 milioni per il beauty, oltre 17 milioni per l’abbigliamento e oltre 20 milioni per elettronica/informatica. Inoltre i touchpoint digitali sono diventati un punto di contatto fondamentale, anche per coloro che continuano ad esprimere un forte bisogno di tangibilità e fisicità all’interno del proprio processo di acquisto. Dimostrano questo comportamento circa 12 milioni di acquirenti di viaggi e quasi 7 milioni di acquirenti di prodotti assicurativi.

La fruizione di Tv, Radio e canali digitali

L’indagine 2019 conferma la tendenza del pubblico italiano ad alternare canali tradizionali (soprattutto tv e radio, meno i quotidiani e i magazine) e digitali (Pc e smartphone), con la televisione che mantiene il ruolo dominante già evidenziato dalle precedenti edizioni. Il mezzo televisivo, infatti, raggiunge quotidianamente l’81,5% degli Internet User (contro il 62,7% della radio, il 32,4% dei quotidiani e il 29,7% dei periodici), il 78,4% degli Everywhere Shopper e anche il 58% dei No + Light Viewer, il segmento che non guarda la televisione o lo fa solo saltuariamente.
Anche analizzando il tempo medio speso quotidianamente su ogni mezzo, la televisione si colloca in vetta alle preferenze degli individui con 315 minuti per gli Internet User,340 per gli InfoShopper, 282 per gli Everywhere Shopper, 327 per i Money Saver, 324 per i Cherry Picker, 307 per i Pragmatic e 121 per i No + Light Tv Viewer. Segue la radio, molto rilevante sia per gli Internet User (230 minuti) sia per InfoShopper (217 minuti) e per i No + Light Tv Viewer (222 minuti). Fra gli eShopper, gli utenti più affezionati al mezzo radiofonico sono i Pragmatic, con 238 minuti, e gli Everywhere Shopper, con 237 minuti, seguiti dai Money Saver, con 228 minuti, e dai Cherry Picker, con 225. A seguire gli strumenti digitali, che raggiungono nel giorno medio il 76,3% degli Internet User (26,4% Pc, 67% Mobile) e degli Everywhere Shopper (27,8% Pc e 69% Mobile) e il 60,7% degli InfoShopper (19,3% Pc e 53,7% Mobile). Il tempo medio giornaliero speso su questi mezzi è minore di quello dedicato a radio e tv: in media 195 minuti al giorno per gli Internet User (191 minuti da Mobile, 76 minuti da Pc), con Everywhere Shopper come utenti più attivi (197 da Mobile, 82 minuti da Pc).

Gli acquisti degli italiani sempre più digital. Il report di Salesforce

Il negozio fisico rimane essenziale per l’esperienza d’acquisto, ma gli italiani propendono sempre più spesso per il digitale, tanto da aver in media 3 app per lo shopping e da prevedere che durante lo shopping natalizio aumenteranno i loro acquisti tramite marketplace. Per non dire che il 20% dei consumatori ammette di trovare in Instagranm una fonte d’ispirazione di prim’ordine. In pratica, il passaggio dal negozio fisico allo store digitale per informarsi, acquistare e richiedere assistenza sui prodotti è ormai ben più di una  tendenza. Ecco alcune delle evdenze emerse dal Report Connected Shoppers di Salesforce, un’indagine che analizza le tendenze e i comportamenti d’acquisto.
“I consumatori oggi sono sempre più alla ricerca di esperienze siano esse fisiche o digitali, l’importante è che siano consistenti e che non ci sia discontinuità tra i due mondi”, dichiara Maurizio Capobianco, Senior Regional Vice President di Salesforce. “I dati della nuova edizione del report Connected Shoppers mettono bene in evidenza come brand, retailer e marketplace online debbano incontrare i consumatori utilizzando i loro canali preferiti. Molte aziende italiane hanno intrapreso questo percorso di trasformazione del loro approccio al mercato e ne stanno già toccando con mano i benefici”.

Dai dati italiani emergono quattro nuove tendenze:
● Retailer, brand e marketplace online si danno battaglia: il 90% dei consumatori italiani acquista da una combinazione di retailer, brand e marketplace online. Ciò spesso dipende da chi è capace di coinvolgere fornendo un servizio iper-personalizzato anche attraverso modelli direct-to-consumer anziché attendere l’intermediazione del retailer.
● Il modo di fare shopping sta evolvendo e i consumatori italiani richiedono
nuove forme di engagement: oggi la vendita al dettaglio è molto di più di una
semplice transazione alla cassa. Le relazioni venditore-acquirente si rafforzano
quando i consumatori si sentono capiti e trattati modo speciale. Di fatto, il 63% dei consumatori italiani afferma di fare acquisti avendo già in mente un brand specifico. Il report di Salesforce mostra che le esperienze di acquisto e le promozioni esclusive sono uno strumento fondamentale per le aziende per costruire relazioni di fiducia (e redditizie) con i propri clienti.
● Lo shopper journey si sta spostando verso i canali proprietari: come evidenzia
anche il precedente report di Salesforce State of the Connected Customer, la nascita di nuove piattaforme digitali ha portato i consumatori di tutto il mondo a utilizzare in media otto canali per comunicare con le aziende. Per quanto riguarda l’Italia, il 34% dei consumatori utilizza per i propri acquisti un wallet digitale, il 12% si serve dei canali social e il 7% delle app di messaggistica.
● Il negozio fisico rimane fondamentale come hub di scoperta ed esperienza: i
punti vendita fisici rimangono comunque più importanti che mai e vedono evolvere il proprio ruolo in hub di scoperta ed esperienza dei prodotti. Le motivazioni principali che spingono i consumatori italiani a fare acquisti in negozio sono la possibilità di toccare e sentire la merce, ottenere subito i prodotti desiderati e usufruire di sconti spendibili nel punto vendita. Il report di Salesforce evidenzia inoltre che il 56% dei consumatori italiani dice di aver acquistato un prodotto online scegliendo di ritirarlo in negozio.

Differenze generazionali

I Baby Boomer utilizzano maggiormente i canali di acquisto tradizionale, mentre tutte le altre categorie generazionali – dai Gen Xers ai Millennial fino Gen Zers – scelgono prevalentemente nuovi percorsi d’acquisto come i wallet digitali, le app
di messaggistica e i social media. A sorpresa, la Generazione Z non è la categoria che utilizza di più i nuovi touchpoint emergenti. Assistenti vocali, le video chat, i chatbot, la ricerca visiva e i video in streaming godono infatti di maggiore popolarità tra i Gen Xers e i Millennial.

Metodologia

ll Report Connected Shoppers ha analizzato le risposte di oltre 10.000 consumatori in oltre 20 paesi (503 in Italia), appartenenti a quattro categorie generazionali (Baby Boomer, Gen Xer, Millennial e Gen Zer).

Abbigliamento: perdite inventariali pari a circa 375 milioni di euro

Differenze inventariali: quanto incidono sul retail? E quanto spendono i retailer in misure di sicurezza? Le risposte ce le fornisce la ricerca Retail Security in Europe. Going beyond Shrinkage”, realizzata da Crime&Tech, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems.

E fa riflettere.

Nel 2017, infatti, il loro ammontare è stato dell’1,5% del fatturato complessivo dei retailer coinvolti e provenienti da 11 Paesi europei.  Limitatamente al settore dell’abbigliamento, poi, è emerso che la percentuale di perdite è stata pari all’1,4%, seguita dall’1,3% dei retailer specializzati in accessori. La buona notizia? L’89% dei rispondenti ha comunque registrato un drastico calo rispetto al biennio precedente.

Ciò non toglie che il costo è comunque molto alto: le perdite annue per i retailer dell’apparel ammontano infatti a 375 milioni di euro, che sommati alle cifre dei settori che si occupano di scarpe e accessori arriva a 464 milioni. Inoltre la cifra aumenta ancora di più se si prendono in considerazione anche tutte le altre divisioni del retail, raggiungendo i 49 miliardi di euro l’anno.

Gli articoli più rubati

Al primo posto ci sono i pantaloni, seguiti dai pullover e dalle camicie: tutti prodotti facilmente rivendibili online. L’80% dei retailer intervistati dalla ricerca e coinvolti nel settore dell’apparel, ha inoltre individuato dei periodi di maggiore incidenza del fenomeno dello shrinkage, come il lancio di nuove collezioni, le festività e i fine settimana.

L’abbigliamento risulta anche essere il settore maggiormente soggetto ai furti definiti “interni”, come ad esempio l’appropriazione indebita di beni e di denaro. Una fetta importante delle perdite nell’apparel è poi dovuta a motivazioni di natura non criminale, come le restituzioni di prodotti difettosi (da non confondersi con il sempre più dilagante fenomeno del wardrobing, ossia i resi fraudolenti).

La spesa in sicurezza

In Europa i retailer spendono in media lo 0,62% del fatturato in misure di sicurezza e l’abbigliamento è tra i settori che investono più risorse, utilizzando lo 0,7% del proprio fatturato in tecnologie e mezzi per la protezione della merce. In quest’ambito le soluzioni protettive proposte da Checkpoint Systems sona varie.

Come la recente S20, che si adatta al design dello store, garantendo contemporaneamente un’esperienza di acquisto sicura e senza ostacoli, caratteristica che nel settore dell’abbigliamento si rende primaria per un maggiore appeal verso la clientela. Diverse anche le soluzioni di etichettatura dei capi d’abbigliamento con cartellini intelligenti, adatti a tecnologie sia RFID sia EAS e applicabili direttamente in negozio o in fase di produzione: un esempio in questo senso sono le etichette rigide e la recente R-Turn Tag, studiata appositamente per contrastare i resi fraudolenti dei “wardrobers”.

Checkpoint Systems fornisce inoltre soluzioni per il controllo preciso e sicuro degli inventari anche lungo la supply chain: l’RFID Hanging Garment Tunnel , studiato appositamente per il settore apparel, permette di scansionare capi di abbigliamento appesi, nei centri di distribuzione, per un controllo delle merci più veloce, preciso e completo in entrata e in uscita. L’hardware può essere anche connesso ad HALO, la piattaforma software di Checkpoint Systems che fornisce soluzioni intelligenti uniche nel loro genere e incentrate su suggerimenti di azioni mirate, provenienti da dati raccolti da sensori presenti in ogni punto della supply chain.

 

 

My Cooking Box debutta a Milano con il suo primo monomarca

Debutta a Milano (in Piazzale Francesco Baracca 10) il primo flagship store monomarca di My Cooking Box, la start up bergamasca, focalizzata sul meal kit delivery.

L’intuizione di creare box gastronomiche, dove trovare i migliori ingredienti italiani, selezionati nelle giuste dosi e accompagnati alla ricetta, è stato vincente. Lo dimostrano le richieste continue del mercato, il successo dell’ultima campagna di crowdfunding e le partnership con diverse aziende del panorama alimentare italiano. L’ultimo importante sodalizio è con il brand cameo insieme al quale sono state realizzate quattro “sweet box” frutto dei migliori ingredienti Made in Italy selezionati da My Cooking Box e dell’esperienza dei maestri pasticcieri di cameo.

Un successo, quello di My Cooking Box, frutto di una strategia ben calibrata e di respiro internazionale che prevedeva, appunto, l’apertura di un punto vendita pilota in Italia.

“L’apertura del primo monomarca a Milano, città diventata negli ultimi anni un riferimento per l’Italia nel mondo, rappresenta un passo fondamentale per la conoscenza del brand, non solo per i clienti italiani, ma anche per quelli stranieri – afferma Chiara Rota, founder e CEO di My Cooking Box”.

Lo store, vestito di legno e di colori neutri, esibisce tutta la sua collezione di box: dalla Fileja calabrese alle Busiate alla siciliana; dai Pici toscani ai Mezzi Paccheri campani. Basta, poi, cercare tra gli scaffali per trovare le box della cena siciliana o pugliese, oppure provare una pizza gourmet con alici, tartufo, caponata e mandorle. E per finire, le sweet box dove cimentarsi nella preparazione della Torta Mousse al Pistacchio o del Dessert ai Tre cioccolati. 

Qui si possono anche acquistare box per un amico lontano; sarà cura di My Cooking Box farglielo recapitare nel paese in cui risiede. Non solo, il negozio funziona anche come punto di ritiro per gli acquisti effettuati nello shop online.

Durante l’anno saranno previsti eventi live e cooking show per offrire l’occasione di assaggiare le ricette e rendere ancora più vivo questo viaggio nel gusto firmato My Cooking Box.

 “Questa inaugurazione – conclude Rota– è la prima tappa di un percorso di respiro internazionale, che prevede la nascita di nuovi store nei principali mercati chiave per il marchio”.

Milano è, dunque, il punto di partenza per l’avviamento di altri quattro monomarca diretti in Germania e UK e di ulteriori trenta in franchising distribuiti in tutta Europa.

Praticità, innovazione e salutismo da un lustro guidano i consumi. L’analisi di IRI

Praticità, innovazione e salutismo, certo, hanno fortemente influito sull’evoluzione dei consumi. Ma talvolta (cioè quando i consumatori sono stati disposti ad investire maggiormente) anche l’aumento di prezzo si è rivelato un driver importante: è variegato, infatti, il panorama dei fattori che hanno orientato la crescita della spesa di prodotti di Largo Consumo Confezionato.
Un’analisi del fenomeno è stata realizzata da IRI che, tramite IRI Infoscan
Census® ha messo in evidenza le prime 10 categorie (fra le 451 che compongono il Largo Consumo Confezionato) per le quali, rispetto a cinque anni fa, i consumatori hanno  aumentato maggiormente la spesa.

Top ten delle categorie

Praticità e riduzione degli scarti, hanno privilegiato gli acquisti di Affettati, Carni Fresche Avicunicole e Carni Bovine confezionate. Per queste ultime i consumatori hanno però dovuto sborsare circa la metà della spesa incrementale al fine di coprire l’aumento di
costo dei prodotti. L’appeal delle nuove proposte di alimentari “ready to cook” ha invece sospinto la spesa per Secondi Piatti Base Pesce e Primi Piatti Pronti Freschi. Il bere  responsabile (e salutistico) stimola la crescita della spesa per le Birre e per le Acque
Minerali non gassate. Categorie come Uova e Vini, invece, richiedono l’investimento di più denaro a causa dei consistenti aumenti di prezzo accumulati negli ultimi anni. Questi rincari assorbono gran parte dell’aumentato esborso di denaro.

Scendendo nella classifica, subito dopo i “Top ten”, notiamo la presenza di un folto gruppo di categorie trainate da un consistente incremento dei volumi come, per esempio, i Formaggi Grana Confezionati, le Verdure di IV Gamma, i Vini Charmat Secchi, gli Snack Salati, i Sughi Pronti, le Pizze Surgelate, alcune tipologie dell’Ortofrutta che stanno sempre di più migrando verso l’acquisto di confezioni preparate a peso imposto (es. Pomodori, arance, mele, altra frutta monoprodotto). Infine, complice l’invecchiamento demografico, notiamo una forte crescita degli acquisti di Prodotti per l’Incontinenza. E’ poi servito un maggior esborso per coprire prevalentemente i rincari di prezzo per Patate (a peso imposto), Tonno Sott’Olio e Burro, per citare i più significativi. Quest’ultimo però – ovvero il Burro-  compensa i forti aumenti di prezzo con un importante calo dei volumi acquistati, confermando l’attitudine del consumatore a ridurre l’utilizzo di grassi nell’alimentazione.
Calo di prezzi con volumi fermi o in scarso progresso per la maggior parte dei Detergenti per il bucato e per la casa, le voci più soggette alla razionalizzazione della spesa.

Categorie con fatturati in calo
Speculari ai trend che hanno incrementato i consumi, ecco, sull’altro versante, quelli responsabili di una riduzione/razionalizzazione degli acquisti. Parliamo per esempio dei fattori salutistici e demografici e delle loro ripercussioni su alcune merceologie.

Si spende meno, infatti, per Prodotti per l’Infanzia o per i quali il consumo infantile
rappresenta una quota rilevante della domanda. I pannolini, il latte in genere e in parte anche i Nettari e Simili (Succhi di frutta) sono categorie che hanno risentito del calo delle nascite che si registra in Italia. Allo stesso modo scende la spesa monetaria per grassi e prodotti ad elevato contributo calorico. Da notare che è in atto una vera rivoluzione nell’ambito degli Yogurt più tradizionali, sostituiti dalle nuove proposte (Greco, bicompartimentale, yogurt da bere). Infine una scelta ecologica: calano significativamente gli acquisti (e la spesa) dei prodotti per la tavola Usa e Getta.

Food to go: sempre più spesso si compra al supermercato

Cibo da asporto? La GDO è scesa in pista. Parola dell’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy, che ha infatti dedicato un approfondimento al boom dei prodotti alimentari confezionati ready-to-eat acquistati in supermercati e ipermercati di tutta Italia dove nel 2018 le vendite sono aumentate del +12,3% rispetto all’anno precedente, arrivando a superare 1,3 miliardi di euro.

E questo anche grazie all’impegno dei produttori alimentari e delle catene distributive nel modulare l’offerta in modo da cogliere molte e diverse occasioni d’uso. Infatti, i prodotti food to go non sono destinati solo al consumo fuori casa, ma risolvono anche il problema di pranzi e cene domestiche pronti in tempi record. E sempre più spesso, soprattutto nelle aree urbane, rappresentano una “soluzione pasto” in tante situazioni, dalla pausa pranzo lavorativa al consumo in viaggio.

L’Osservatorio Immagino è andato oltre il dato quantitativo e ha realizzato anche un’analisi nutrizionale dei prodotti ready-to-eat presenti nel suo basket, arrivato ora a 72.100 prodotti alimentari confezionati di largo consumo.

Analisi nutrizionale

Ne è emerso che questi prodotti hanno più calorie, grassi, proteine e fibre rispetto al prodotto alimentare medio venduto nella GDO (il “metaprodotto Immagino”) e meno carboidrati e zuccheri semplici. Anche se sono proprio questi due ultimi nutrienti ad essere cresciuti maggiormente nel 2018, principalmente per l’aumento delle vendite di primi piatti pronti, snack salati, cereali, sushi e zuppe pronte.

Analisi dei claimMonitorando i claim presenti sulle confezioni dei prodotti a scaffale, l’Osservatorio Immagino ha rilevato che un quarto del valore delle vendite è generato dai prodotti posizionati nel mondo del “free from”, che accomuna il 22,4% dei prodotti a scaffale. Ed è anche il segmento a maggior crescita annua (+13,6%). Tra i claim più diffusi ci sono “senza additivi” e “senza glutammato”, presenti soprattutto sulle confezioni di zuppe pronte e secondi piatti pronti.

Il secondo segmento a valore è quello dei prodotti accompagnati da un claim legato al lifestyle, in particolare veg (+14,4% di vendite rispetto al 2017) e halal (+94,4%). A questo paniere si deve il 22,8% delle vendite del food to go, in aumento del 9,7% rispetto al 2017, e il 22,1% dei prodotti in commercio.

Un altro 16,6% di vendite proviene da quel 13,8% di prodotti che richiama l’italianità in etichetta e che ha registrato un aumento annuo del +3,9%. Il claim più diffuso è “prodotto in Italia”, presente soprattutto su primi piatti pronti, primi pronti vegetali e pizza.

Il quarto “universo” per contributo alle vendite è quello dei prodotti rich-in, con una quota del 16,4% e un tasso di espansione del giro d’affari del +9,2% sul 2017. I claim più forti sui prodotti (16,5% dei prodotti a scaffale) sono quelli relativi al contenuto di vitamine, fibre e calcio, e sono tutti cresciuti nel corso del 2018. Meno diffusi sono i claim “integrale” e “Omega 3”.

I prodotti adatti a chi soffre di intolleranze alimentari coprono il 13,0% del sell-out e il 14,7% dell’assortimento. E l’anno scorso hanno messo a segno un brillante +12,2% annuo come sell-out. Il claim trainante è “senza glutine”, particolarmente presente in secondi piatti pronti, snack e frutta secca senza guscio.

E che dire dei prodotti ready-to-eat che rientrano nell’area della corporate social responsibility (CSR)? Il loro peso  è ancora molto limitato (0,9% di quota sulle vendite e 2,2% dei prodotti) e ha perso in un anno il 16,0% di vendite nel food to go.

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