CLOSE
Home Tags Consumi

Tag: Consumi

Pasta e consumatori: cosa ci dicono i Big Data. L’analisi di XChannel

Italia: ammonta a ben 23 chilogrammi la quantità di pasta pro capite, il doppio rispetto agli altri paesi. Ecco il primo dato eclatante dell’International Pasta Organization. Se d’estate il consumo diminusice un po’, con l’arrivo dell’autunno, torna però a crescere: lo si vede chiaramente dai trend dei volumi di ricerca su Google: dal 2014, le query relative alla parola pasta registrano un calo da maggio ad agosto, per risalire fino al picco dell’ultima settimana di dicembre. L’amore per la pasta nel nuovo millennio non si dimostra solo tra gli scaffali dei supermercati, ma anche a suon di like e follow. Sfruttando questa opportunità, XChannel,  specializzata in strategia di marketing crosscanale, ha realizzato un Osservatorio Pasta, analizzando ciò che accade nel mondo dei big-data: quello dei motori di ricerca e dei social network.

I marchi oggetto di analisi sono stati i 10 top competitor del mercato: Pasta Rummo, Barilla, De Cecco, Voiello, La Molisana, Garofalo, Di Martino, Divella, Pasta Cuomo e Pastificio Felicetti. Vediamo nel dettaglio cosa è emerso.

In termini di Fan Base, Barilla occupa il posto più alto sul podio con  2,7milioni di fan su Facebook e 46mila follower su Instagram (@barillaitalia). Seguono Pasta Garofalo (206mila) e Pasta De Cecco (119mila), e poi Pasta Rummo (26mila) e Pastificio Felicetti (18mila). Nel 2019 sono stati finora pubblicati 763 post su Facebook e 669 post su Instagram, segno di una sana – seppur moderata – differenziazione di strategia tra i due canali, differenziazione dovuta anche alle diverse funzioni offerte dalle due piattaforme. Per esempio, Instagram può essere sfruttato per pubblicare caroselli (immagini a scorrimento su un unico post) che mostrano i singoli ingredienti di una ricetta: lo fa molto bene Pasta Rummo. Sempre Instagram è la patria delle stories, meno rivelanti su Facebook e utili per fare teasing prima di un post o semplicemente per arricchire le featured stories, cioè i gruppi di storie permanenti e organizzate per argomento.

E veniamo all’Engagement: su Facebook Pasta Cuomo registra un 4,6% di Post Interaction, seguita da Pasta Rummo (4,3%) e Voiello (4%); su Instagram vincono invece Pasta Rummo (3,8%), La Molisana (2,7%) e Pasta Di Martino (2,5%). .

Quanto ai contenuti, è evidente che i brand con maggiore share-of-shelf prediligono grafiche e video per comunicare i prodotti e i valori dell’azienda, mentre i player “follower” puntano più sul documentare la partecipazione a eventi istituzionali (o la loro organizzazione) ed eventuali riconoscimenti ricevuti. E così, mentre Pasta Garofalo ricorre spesso a grafiche distintive e immediatamente riconoscibili dallo sfondo nero, Pasta Di Martino propone una carrellata di post sulle manifestazioni che la vedono partecipe e/o partner.

Ma quali sono i temi principali? Ne emergono tre:

1) la linea Integrale: in particolare, Pasta Rummo promuove i suoi 12 formati di Bio Integrale attraverso il nuovissimo pack, Voiello fa affidamento sulla notorietà dello Chef Antonino Cannavacciuolo (mettendo un suo mini-video sulla cover di Facebook), Barilla posta – tra l’altro – un video con Roger Federer mentre De Cecco esalta la qualità della pasta e il metodo Lenta Essicazione. Questa scelta è avallata dai dati di mercato ISMEA, secondo cui il consumo di pasta integrale dal 2015 al 2017 è aumentato dal 36% al 75%, imponendosi sulla senza glutine (dal 7% al 30%) e sulla biologica (dal 13% al 63%).
2) la provenienza del grano: il pubblico è sempre più attento alla tematica, tanto che diversi brand focalizzano parte della comunicazione sulle origini della loro pasta. La Molisana, su tutti, non perde occasione di sottolineare l’italianità del prodotto. Va detto che – sempre secondo i dati ISMEA – il 30-40% del grano utilizzato proviene dall’estero, e questo non solo per soddisfare la crescente domanda di molini e pastifici, ma anche a causa della scarsa redditività del grano italiano.

3) le ricette, che in un mondo sempre più popolato da Chef amatoriali non smettono di essere apprezzate: c’è chi posta il procedimento nel copy dei post, chi inserisce un link che rimanda alla relativa sezione del sito e chi si limita a consigliare i piatti senza specificare dosi e procedimento.

LCC: quanta plastica c’è a scaffale? Lo studio di IRI

Forse ci si sarebbe dovuti svegliare prima. Ad ogni modo, meglio tardi che mai. Il vento ambientalista, infatti, si sta rapidamente diffondendo. Non possiamo che augurarci che duri.

Tra i principali nemici  contro cui si è intrapresa battaglia, c’è la plastica. L’obiettivo è ridurne nel medio-lungo periodo sia la produzione che l’utilizzo e  (soprattutto) la dispersione nell’ambiente. Dalla UE un importante assist: la direttiva 2019/904 che ha stabilito come, a partire dal 2021, non potranno più essere immessi sul mercato posate, piatti, cannucce, aste per palloncini, recipienti per alimenti e per bevande in plastica. Al loro posto dovranno essere usati oggetti compostabili. Sulle bottiglie di plastica la Direttiva ha previsto una regolamentazione diversa, fissando un obiettivo di raccolta del 90% entro il 2029 e l’utilizzo di materiali riciclati al 30% entro il 2030.
Al di là della parte strettamente normativa, l’UE, ha attivato iniziative sotenibili come il progetto «Bio-plastics Europe» che per 4 anni vedrà coinvolti 10
pesi dell’Unione, tra cui l’ Italia, nella progettazione di prodotti innovativi e nello
sviluppo di modelli di business che facilitino efficienza, riutilizzo e riciclo,  compresa la garanzia della sicurezza dei materiali riciclati quando utilizzati per la realizzazione di giocattoli o imballi per alimenti.
In questo scenario viene da chiedersi, però, quale sia lo stato dell’arte in termini di volumi di plastica in circolazione e in vendita in GDO.

Dallo studio di IRI, effettuato tramite IRI Liquid Data®, integrando le  informazioni di vendita con i dati Immagino GS1 Italy, è emerso che circa il 33% dei prodotti confezionati di Largo Consumo venduti in Ipermercati, Supermercati e Libero Servizio è offerto in confezioni di plastica rigida o a base di materiale plastico rigido. Se nel computo si volessero includere anche i filler o le buste di plastica, le percentuali crescerebbero sicuramente, in particolare nel reparto del Fresco Confezionato.
Questo dato, tradotto in denaro, indica che per ogni 100 euro spesi in media dalle
famiglie per la spesa di tutti giorni, 28 sono destinati a comprare prodotti  confezionati con la plastica.

Comparto che vai plastica che trovi

L’incidenza varia però molto a seconda dei reparti di consumo. Infatti al primo posto troviamo Detersivi e Detergenti (90% dei prodotti pari al 94% della spesa) e i Freschi Confezionati (69% delle referenze che raccolgono il 46% della spesa), mentre fanalino di coda è il mondo delle Bevande Alcoliche (1% dei prodotti, trascurabile la quota di spesa).

Ma veniamo alla nota (più) dolente: quanta di questa plastica è riciclabile?

Stando a quanto dichiarato (scritto) dai produttori sulle confezioni, solo il 4% dei plastic-packs segnala al consumatore che l’involucro è riciclabile. Una  comunicazione purtroppo ancora carente, ma che però ha una sua efficacia nei confronti degli acquirenti. Infatti questa piccola percentuale di prodotti sugli scaffali cattura ben il 14% della spesa per prodotti con confezioni di plastica.
Questo atteggiamento è più evidente nelle Bevande Analcoliche dove il 49% degli
acquisti (a valore) di prodotti confezionati in plastica è costituito da referenze che
comunicano la riciclabilità della plastica in cui sono contenuti.

Conclusioni
Da un lato, la quota parte di plastica riciclabile è più ampia di quanto viene
comunicato e sarebbe quindi necessario migliorare l’aspetto della comunicazione
delle aziende produttrici. Dall’altro lato però, sul mercato ci sono ancora molti pack non riciclabili e spesso per le aziende cambiare le modalità produttive e reinventarsi non è semplice. Alcune realtà aziendali hanno iniziato a seguire processi di diversificazione utilizzando altri materiali come le bioplastiche (le più affini alle plastiche tradizionali per lavorabilità), oppure, in alcuni casi, le fibre vegetali. Si tratta però di processi industriali molto diversi che presuppongono forti investimenti e lunghi tempi di realizzazione. Inoltre, convertirsi al compostabile significa andare a competere su terreni già presidiati, non tanto da produttori nazionali ed europei, quanto piuttosto da importatori dall’estremo oriente, dato che molti prodotti in fibra naturale e in bioplastica sono oggi di loro produzione.

Caffè, mai senza. I dati raccolti da Supermercato24

E’ tra le bevande che non possono mancare nel carrello degli italiani: nell’ultimo anno, infatti, ci raccontano i dati raccolti da Supermercato24, l’acquisto di caffè ha pesato il 9% sull’intera categoria bevande e il 2% sulla spesa complessiva registrata dalla piattaforma.

La primavera e l’autunno sono le due stagioni in cui si concentrano i picchi più alti di acquisto di caffè nello Stivale. In particolare, aprile, settembre, ottobre e novembre sono i mesi in cui gli italiani fanno maggiore provvista di questa inestimabile fonte di energia.

Guardando i dati relativi all’incidenza dell’acquisto di caffè sulla spesa totale effettuata in una data provincia, tramite sito web o app, nell’ultimo anno la città italiana dove si è acquistato più caffè è Trieste (1,8% della spesa totale annuale), seguita da Mantova e Pisa (1,6% per entrambe). Gli abitanti della Capitale, invece, sono quelli che in Italia hanno acquistato meno caffè negli ultimi 12 mesi.

Formati e tipologie

Cialde e capsule sono le soluzioni più popolari della Penisola, quasi 1 italiano su 2 (45%) le preferisce ai formati più tradizionali. Il 39% dei connazionali sceglie invece il caffè macinato, mentre l’8% opta per una tazza di caffè solubile e il 6% lo preferisce in grani.

Gli italiani prestano molta attenzione anche al paese di origine del caffè, la maggior parte preferisce il sapore intenso e stuzzicante di quello brasiliano e il gusto più cioccolatoso di quello peruviano, tra i migliori al mondo.

 

FONTE: Supermercato24 – I dati riportati sono calcolati sulla base degli acquisti effettuati dagli utenti di Supermercato24 tramite sito web o app nel corso dei mesi da settembre 2018 a settembre 2019.

 

My Cooking Box debutta a Milano con il suo primo monomarca

Debutta a Milano (in Piazzale Francesco Baracca 10) il primo flagship store monomarca di My Cooking Box, la start up bergamasca, focalizzata sul meal kit delivery.

L’intuizione di creare box gastronomiche, dove trovare i migliori ingredienti italiani, selezionati nelle giuste dosi e accompagnati alla ricetta, è stato vincente. Lo dimostrano le richieste continue del mercato, il successo dell’ultima campagna di crowdfunding e le partnership con diverse aziende del panorama alimentare italiano. L’ultimo importante sodalizio è con il brand cameo insieme al quale sono state realizzate quattro “sweet box” frutto dei migliori ingredienti Made in Italy selezionati da My Cooking Box e dell’esperienza dei maestri pasticcieri di cameo.

Un successo, quello di My Cooking Box, frutto di una strategia ben calibrata e di respiro internazionale che prevedeva, appunto, l’apertura di un punto vendita pilota in Italia.

“L’apertura del primo monomarca a Milano, città diventata negli ultimi anni un riferimento per l’Italia nel mondo, rappresenta un passo fondamentale per la conoscenza del brand, non solo per i clienti italiani, ma anche per quelli stranieri – afferma Chiara Rota, founder e CEO di My Cooking Box”.

Lo store, vestito di legno e di colori neutri, esibisce tutta la sua collezione di box: dalla Fileja calabrese alle Busiate alla siciliana; dai Pici toscani ai Mezzi Paccheri campani. Basta, poi, cercare tra gli scaffali per trovare le box della cena siciliana o pugliese, oppure provare una pizza gourmet con alici, tartufo, caponata e mandorle. E per finire, le sweet box dove cimentarsi nella preparazione della Torta Mousse al Pistacchio o del Dessert ai Tre cioccolati. 

Qui si possono anche acquistare box per un amico lontano; sarà cura di My Cooking Box farglielo recapitare nel paese in cui risiede. Non solo, il negozio funziona anche come punto di ritiro per gli acquisti effettuati nello shop online.

Durante l’anno saranno previsti eventi live e cooking show per offrire l’occasione di assaggiare le ricette e rendere ancora più vivo questo viaggio nel gusto firmato My Cooking Box.

 “Questa inaugurazione – conclude Rota– è la prima tappa di un percorso di respiro internazionale, che prevede la nascita di nuovi store nei principali mercati chiave per il marchio”.

Milano è, dunque, il punto di partenza per l’avviamento di altri quattro monomarca diretti in Germania e UK e di ulteriori trenta in franchising distribuiti in tutta Europa.

Lievito: 36 mila le tonnellate utilizzate nell’arte bianca nel 2018

Il lievito sta bene. Peccato che non lo si conosca abbastanza. E questo vale tanto per i consumatori quanto per gli operatori del settore. Ecco quanto emerge dalla ricerca Cerved sul mercato del pane, commissionata da ASSITOL, l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia, che al suo interno rappresenta i settori del lievito e dei prodotti semilavorati della panificazione e pasticceria.

Le rilevazioni descrivono un comparto solido: nel 2018, gli artigiani dell’arte bianca hanno impiegato circa 36mila tonnellate di lievito per le più svariate preparazioni.

In particolare, lo scorso anno i panettieri hanno utilizzato 35136 tonnellate di lievito, facendo così emergere l’importanza del lievito fresco tradizionale (89,6% del mercato), che resta il preferito da chi produce pane fresco e sulla cui resa è disegnata la maggior parte delle ricette in arte bianca. Marginale il ricorso al lievito secco (0,4%), mentre, in alternativa, crescono le paste acide, scelte dai panificatori più giovani.

La pasticceria artigianale

Anche questo settore ha visto crescere del 3% l’impiego del lievito, grazie all’aumento dei consumi. I dolci del panettiere, infatti, piacciono sempre di più e, anche d’estate, i lievitati classici si sono conquistati uno spazio importante. Basti pensare alle brioche, prodotto per tutte le stagioni, che sono quasi sempre impastate con lievito fresco.

Nel 2018 il mercato ha veicolato 692 tonnellate, perlopiù di lievito fresco tradizionale (63,4%), seguito da quello secco (21,3%) e dalla pasta acida (15%). La scelta dipende dalla tipologia di prodotti preparati dall’artigiano, che combina, in alcuni casi, lievito fresco e pasta acida. Tuttavia, per più della metà dei dolci artigianali, il lievitante più indicato resta quello fresco.

“I numeri ci dicono che il settore lavora bene – afferma Piero Pasturenzi, presidente del Gruppo lievito da zuccheri di ASSITOL – siamo ai primi posti in Europa per produzione”. Tuttavia il comparto, come ricorda la stessa ricerca Cerved, sottolinea da tempo il permanere, tra gli stessi artigiani, di una grande confusione sulle caratteristiche del lievito e delle paste acide. “In questo modo la comunicazione al consumatore risulta danneggiata e a volte addirittura fuorviante – osserva il presidente Pasturenzi –. Le stesse aziende hanno difficoltà a far conoscere efficacemente i pregi del lievito, che, oltre a rappresentare un piccolo tesoro nutrizionale, è fondamentale per donare gusto e croccantezza al pane”.

Al riguardo le aziende sono pronte a fare la loro parte. “Promuoviamo da tempo la formazione dei panificatori  – stigmatizza Pasturenzi –. E per informare meglio anche i consumatori, abbiamo lanciato da alcuni mesi il portale welovelievito.it, che vuole far crescere la conoscenza di questo ingrediente, essenziale per la nostra cultura alimentare non soltanto per il pane ed i prodotti da forno, ma anche perché è alla base della produzione di vino e birra”.

Praticità, innovazione e salutismo da un lustro guidano i consumi. L’analisi di IRI

Praticità, innovazione e salutismo, certo, hanno fortemente influito sull’evoluzione dei consumi. Ma talvolta (cioè quando i consumatori sono stati disposti ad investire maggiormente) anche l’aumento di prezzo si è rivelato un driver importante: è variegato, infatti, il panorama dei fattori che hanno orientato la crescita della spesa di prodotti di Largo Consumo Confezionato.
Un’analisi del fenomeno è stata realizzata da IRI che, tramite IRI Infoscan
Census® ha messo in evidenza le prime 10 categorie (fra le 451 che compongono il Largo Consumo Confezionato) per le quali, rispetto a cinque anni fa, i consumatori hanno  aumentato maggiormente la spesa.

Top ten delle categorie

Praticità e riduzione degli scarti, hanno privilegiato gli acquisti di Affettati, Carni Fresche Avicunicole e Carni Bovine confezionate. Per queste ultime i consumatori hanno però dovuto sborsare circa la metà della spesa incrementale al fine di coprire l’aumento di
costo dei prodotti. L’appeal delle nuove proposte di alimentari “ready to cook” ha invece sospinto la spesa per Secondi Piatti Base Pesce e Primi Piatti Pronti Freschi. Il bere  responsabile (e salutistico) stimola la crescita della spesa per le Birre e per le Acque
Minerali non gassate. Categorie come Uova e Vini, invece, richiedono l’investimento di più denaro a causa dei consistenti aumenti di prezzo accumulati negli ultimi anni. Questi rincari assorbono gran parte dell’aumentato esborso di denaro.

Scendendo nella classifica, subito dopo i “Top ten”, notiamo la presenza di un folto gruppo di categorie trainate da un consistente incremento dei volumi come, per esempio, i Formaggi Grana Confezionati, le Verdure di IV Gamma, i Vini Charmat Secchi, gli Snack Salati, i Sughi Pronti, le Pizze Surgelate, alcune tipologie dell’Ortofrutta che stanno sempre di più migrando verso l’acquisto di confezioni preparate a peso imposto (es. Pomodori, arance, mele, altra frutta monoprodotto). Infine, complice l’invecchiamento demografico, notiamo una forte crescita degli acquisti di Prodotti per l’Incontinenza. E’ poi servito un maggior esborso per coprire prevalentemente i rincari di prezzo per Patate (a peso imposto), Tonno Sott’Olio e Burro, per citare i più significativi. Quest’ultimo però – ovvero il Burro-  compensa i forti aumenti di prezzo con un importante calo dei volumi acquistati, confermando l’attitudine del consumatore a ridurre l’utilizzo di grassi nell’alimentazione.
Calo di prezzi con volumi fermi o in scarso progresso per la maggior parte dei Detergenti per il bucato e per la casa, le voci più soggette alla razionalizzazione della spesa.

Categorie con fatturati in calo
Speculari ai trend che hanno incrementato i consumi, ecco, sull’altro versante, quelli responsabili di una riduzione/razionalizzazione degli acquisti. Parliamo per esempio dei fattori salutistici e demografici e delle loro ripercussioni su alcune merceologie.

Si spende meno, infatti, per Prodotti per l’Infanzia o per i quali il consumo infantile
rappresenta una quota rilevante della domanda. I pannolini, il latte in genere e in parte anche i Nettari e Simili (Succhi di frutta) sono categorie che hanno risentito del calo delle nascite che si registra in Italia. Allo stesso modo scende la spesa monetaria per grassi e prodotti ad elevato contributo calorico. Da notare che è in atto una vera rivoluzione nell’ambito degli Yogurt più tradizionali, sostituiti dalle nuove proposte (Greco, bicompartimentale, yogurt da bere). Infine una scelta ecologica: calano significativamente gli acquisti (e la spesa) dei prodotti per la tavola Usa e Getta.

Food to go: sempre più spesso si compra al supermercato

Cibo da asporto? La GDO è scesa in pista. Parola dell’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy, che ha infatti dedicato un approfondimento al boom dei prodotti alimentari confezionati ready-to-eat acquistati in supermercati e ipermercati di tutta Italia dove nel 2018 le vendite sono aumentate del +12,3% rispetto all’anno precedente, arrivando a superare 1,3 miliardi di euro.

E questo anche grazie all’impegno dei produttori alimentari e delle catene distributive nel modulare l’offerta in modo da cogliere molte e diverse occasioni d’uso. Infatti, i prodotti food to go non sono destinati solo al consumo fuori casa, ma risolvono anche il problema di pranzi e cene domestiche pronti in tempi record. E sempre più spesso, soprattutto nelle aree urbane, rappresentano una “soluzione pasto” in tante situazioni, dalla pausa pranzo lavorativa al consumo in viaggio.

L’Osservatorio Immagino è andato oltre il dato quantitativo e ha realizzato anche un’analisi nutrizionale dei prodotti ready-to-eat presenti nel suo basket, arrivato ora a 72.100 prodotti alimentari confezionati di largo consumo.

Analisi nutrizionale

Ne è emerso che questi prodotti hanno più calorie, grassi, proteine e fibre rispetto al prodotto alimentare medio venduto nella GDO (il “metaprodotto Immagino”) e meno carboidrati e zuccheri semplici. Anche se sono proprio questi due ultimi nutrienti ad essere cresciuti maggiormente nel 2018, principalmente per l’aumento delle vendite di primi piatti pronti, snack salati, cereali, sushi e zuppe pronte.

Analisi dei claimMonitorando i claim presenti sulle confezioni dei prodotti a scaffale, l’Osservatorio Immagino ha rilevato che un quarto del valore delle vendite è generato dai prodotti posizionati nel mondo del “free from”, che accomuna il 22,4% dei prodotti a scaffale. Ed è anche il segmento a maggior crescita annua (+13,6%). Tra i claim più diffusi ci sono “senza additivi” e “senza glutammato”, presenti soprattutto sulle confezioni di zuppe pronte e secondi piatti pronti.

Il secondo segmento a valore è quello dei prodotti accompagnati da un claim legato al lifestyle, in particolare veg (+14,4% di vendite rispetto al 2017) e halal (+94,4%). A questo paniere si deve il 22,8% delle vendite del food to go, in aumento del 9,7% rispetto al 2017, e il 22,1% dei prodotti in commercio.

Un altro 16,6% di vendite proviene da quel 13,8% di prodotti che richiama l’italianità in etichetta e che ha registrato un aumento annuo del +3,9%. Il claim più diffuso è “prodotto in Italia”, presente soprattutto su primi piatti pronti, primi pronti vegetali e pizza.

Il quarto “universo” per contributo alle vendite è quello dei prodotti rich-in, con una quota del 16,4% e un tasso di espansione del giro d’affari del +9,2% sul 2017. I claim più forti sui prodotti (16,5% dei prodotti a scaffale) sono quelli relativi al contenuto di vitamine, fibre e calcio, e sono tutti cresciuti nel corso del 2018. Meno diffusi sono i claim “integrale” e “Omega 3”.

I prodotti adatti a chi soffre di intolleranze alimentari coprono il 13,0% del sell-out e il 14,7% dell’assortimento. E l’anno scorso hanno messo a segno un brillante +12,2% annuo come sell-out. Il claim trainante è “senza glutine”, particolarmente presente in secondi piatti pronti, snack e frutta secca senza guscio.

E che dire dei prodotti ready-to-eat che rientrano nell’area della corporate social responsibility (CSR)? Il loro peso  è ancora molto limitato (0,9% di quota sulle vendite e 2,2% dei prodotti) e ha perso in un anno il 16,0% di vendite nel food to go.

Il reddito di cittadinanza sta influenzando i consumi? L’analisi di IRI

L’introduzione del Reddito di Cittadinanza sta influenzando le vendite di prodotti di Largo Consumo Confezionato? Con l’intento di rispondere a questo quesito, IRI ha effettuato un’analisi sui dati a disposizione.

Di fatto, si può anticipare che – nonostante la crescita delle vendite LCC registrata negli ultimi periodi nel Sud non sia di per sé un fatto probante tale discontinuità rispetto allo scorso anno può interpretarsi come un indizio di efficacia della misura.

Ma procediamo con ordine, individuando la platea dei consumatori intressati, la loro dislocazione geografica e la cifra potenzialmente spendibile.

La platea dei fruitori del reddito di cittadinanza

A luglio 2019 sono state accolte le domande di oltre 850.000 nuclei familiari (interessando circa 2 milioni di persone). La misura ha coinvolto circa il 3% delle famiglie italiane. Lo strumento è ad oggi esteso ad oltre il doppio delle famiglie rispetto alla misura precedente del Reddito di Inclusione (max 357.000 nuclei raggiunti a dicembre 2018), che va a sostituire. Il contributo medio mensile del RdC è di 490€ a famiglia rispetto ai 292 del precedente RdI. La cifra destinata agli acquisti di beni primari è di circa 150€ mensili per famiglia. Si stima, quindi, un erogato su base annua di circa 5 miliardi e una quota destinata ai beni di consumo primari di circa 1,5 miliardi. Oltre il 62% delle famiglie beneficiarie sono del Sud: in quest’area l’incidenza dei nuclei familiari recettori raggiunge perciò una percentuale significativa (6%) in grado di influenzare in modo più tangibile anche la domanda per i beni di consumo primari.

Questo lo scenario. Ovviamente, però, è difficile prevedere oggi quanti dei contributi RdC possano venire destinati agli acquisti di Prodotti Confezionati di Largo Consumo, in quanto si devono prendere in considerazione due fattori principali:

– La maggior parte dei contributi erogati è destinata a integrare le spese per affitti, mutui ed utenze domestiche;

-L’accoglimento delle domande che ha seguito una progressione fisiologica per cui nei primi mesi (a partire da aprile) il numero dei nuclei beneficiari è risultato più ridotto.

E allora? E’ possibile dare una risposta al quesito inziale?

Allo stato attuale una prima risposta può venire osservando se negli ultimi 3 mesi (escludiamo aprile perché troppo influenzato dagli effetti della Pasqua) ci sia un significativo cambio di rotta delle tendenze (spesso sotto tono) delle vendite LCC nel Sud.

Trend dei ricavi LCC nella Distribuzione Moderna

Una discontinuità significativa

Da Maggio a Luglio registriamo una forte inversione di tendenza nel Sud Italia che, dopo un calo dei ricavi (-1%) segnato l’anno scorso, contabilizza una crescita del 2,7%. Una dinamica di tutto rispetto che «chiude la forbice» con il primo bacino di consumo del Nord Ovest e addirittura allunga il passo rispetto alle regioni «ricche» del Nord Est (+1,5% il trend verso la controcifra Maggio-Luglio 2018). Scendendo nel dettaglio di canale distributivo si osserva che la forte discontinuità positiva delle vendite (rispetto al bilancio 2018) abbraccia tutti i canali generalisti (Iper, Supermercati e Discount), mentre gli Specialisti Casa Persona rafforzano la fase di espansione già in atto l’anno precedente (da +10,1 a +11,4%). Per concludere, la crescita delle vendite LCC registrata negli ultimi periodi nel Sud di per sé non è un fatto probante perché si colloca in una congiuntura 2019 che, vuoi per fattori climatici più favorevoli, vuoi per una generale maggiore vivacità della domanda, vede un progresso diffuso un po’ in tutte le zone del Paese. Tuttavia, la discontinuità più forte evidenziata nel Sud rispetto alle tendenze dell’anno scorso ed i tassi di crescita in linea – se non superiori – a quelli delle aree più ricche sono un primo indizio di efficacia della misura a sostegno dei consumi di beni di prima necessità.

Teddi: in autunno in arrivo due nuovi gusti

Fine dell’estate e arrivo di novità per Teddi, brand di yogurt biologico dedicato ai bambini, che da oggi ha una ricetta più semplice, pulita, 100% naturale, che prevede l’utilizzo di solo latte italiano biologico. Un rinnovamento che si esprime anche nel nuovo logo e nel packaging che, però, mantiene invariata l’immagine della mascotte, il simpatico orsetto amico della natura e da sempre simbolo degli yogurt Teddi. Non solo, in autunno Teddi si arricchisce di due nuovi gusti: il primo è lo yogurt bianco naturale Demeter, preparato con latte biodinamico italiano, proveniente da allevamenti che utilizzano unicamente metodi biologici e biodinamici. Nel banco frigo della Grande Distribuzione, può vantare di essere l’unico prodotto con marchio Demeter per bambini. Altra novità, altrettanto esclusiva sullo scaffale degli yogurt dedicati ai più piccoli, è il Teddi Mela&Prugna, un abbinamento di gusto, piacevole e delicato, dove la bontà delle mele si accompagna alla dolcezza e alla succosità delle prugne. La linea Teddi comprende anche le referenze: albicocca, fragola, banana, pera e biscotto.

 

Carrello gluten free: in Lombardia il divario maggiore tra canali distributivi

Carrello gluten free: con ben 23 euro di differenza tra la grande distribuzione e il canale delle farmacie è la Lombardia la regione con il divario maggiore. Qui, infatti, per uno stesso paniere si spendono 37 euro al supermercato e quasi 60 in farmacia.

Vediamo qualche esempio: in Lombardia, chi segue una dieta gluten free può oggi scegliere fra tre diversi punti vendita per riempire frigo e dispensa, con significative variazioni di prezzo. Per acquistare un paniere contenente una rosetta, pane a fette, 3 confezioni di pasta, biscotti per la prima colazione, snack dolci, 2 confezioni di farina o preparati, una pizza surgelata e un piatto pronto, nella Regione della rosa camuna si passa dai 37 euro della grande distribuzione, ai 56 del negozio specializzato fino ai quasi 60 della farmacia. Una differenza di ben 23 euro, appunto. Eppure in passato le cose andavano diversamente:  6 anni fa per esempio, il divario era di soli 11 euro, uno trai più bassi della Penisola.

Una cosa è certa: negli anni il mercato gluten free si è molto evoluto con i suoi pro e i suoi contro.

“Rispetto a qualche anno fa è più facile per un celiaco acquistare prodotti senza glutine – spiega infatti Isidoro Piarulli, presidente di AIC Lombardia – ma ovviamente sono ancora tanti i miglioramenti che possono essere fatti. In primis semplificare le etichette dei prodotti gluten free e migliorare il layout nei punti vendita così da rendere più semplice il momento della spesa. Non solo: AIC Lombardia sta lavorando per coinvolgere postazioni di vending che offrono snack e bevande senza glutine, così che anche negli attimi di pausa chi convive con la spiga barrata possa trovare prodotti in grado di soddisfare le sue esigenze alimentari”.

Il sistema gluten free in Lombardia

Storicamente, la Lombardia si è sempre dimostrata all’avanguardia in fatto di sostegno ai celiaci basti pensare che gli aiuti economici sono stati introdotti nel 1979, con tre anni di anticipo sul nazionale. Attualmente la spesa dell’erogazione gratuita ammonta a oltre 3 milioni di euro e riguarda oltre 36500 lombardi. Inoltre, il sistema regionale permette di accorpare due mensilità una volta l’anno e necessariamente per due mesi consecutivi, così da agevolare l’acquisto di prodotti erogabili in periodi particolari come quelli estivi o natalizi.

La principale reason why di scelta

Secondo una recente ricerca svolta nell’ambito di una tesi realizzata in collaborazione con AIC Lombardia, il binomio qualità-prezzo nella mente del consumatore celiaco pende verso la qualità, che costituisce il driver principale di acquisto per oltre 4 celiaci lombardi su 10. Grande importanza è riservata anche all’ingredientistica tanto che il 35% predilige alimenti con pochi grassi, senza additivi o ricchi di fibre.

Per quanto riguarda, invece, le differenze tra i diversi canali distributivi, tra i punti di forza dei negozi specializzati spiccano il vasto assortimento, che spazia dalle marche più conosciute ai piccoli produttori locali o artigianali, e le attività promozionali.

Il diverso ruolo dei canali distributivi

Un altro modo di acquistare prodotti senza glutine è rivolgersi alla farmacia, un canale che si distingue per i prezzi più elevati, ma che garantisce un confronto con personale qualificato ed è presente in modo capillare su tutto il territorio. Per quanto riguarda la grande distribuzione, da una parte può lasciare il consumatore da solo nel momento dell’acquisto, poiché spesso non è possibile rivolgersi ad un esperto col quale chiarire eventuali dubbi, ma risulta il canale più economico e, dal punto di vista psicologico, allontana la componente patologica che alimenta una sensazione di diversità perché permette di non comprare in un punto vendita apposito.

Questione di layout

Uno studio condotto da AIC ha analizzato anche le preferenze in fatto di layout: è emerso che 7 celiaci su 10 vorrebbero trovare i prodotti gluten free in un’isola dedicata. Tale scelta si deve soprattutto a motivi di praticità perché evita di confondere i prodotti con glutine da quelli senza e rende la spesa più comoda e veloce; tra i contro dell’isola, però, il rischio di prendere il prodotto sbagliato se scorrettamente posizionato dall’operatore o da un altro cliente. Il 20% chiede, invece, che i prodotti senza glutine siano mescolati insieme agli altri sugli scaffali così da non sentirsi “ghettizzati” e contenere i rischi dal momento che, essendo più alta l’attenzione, è più difficile confondere un prodotto idoneo con uno che non lo è; d’altro canto però, questo sistema complica le cose e rende meno rapido l’acquisto. Infine, il restante campione scommette sulle isole “multifree”, dove trovare anche prodotti senza lattosio e simili, un layout utile per chi deve gestire più intolleranze, ma che aumenta i rischi di errori nella scelta.

 

 

BrandContent

Fotogallery

Il database online della Business Community italiana

Cerca con whoswho.it

Diritto alimentare