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Istat: il Pil al Sud è la metà del Nord. Federdistribuzione: Mezzogiorno priorità assoluta

L’Istat ha diffuso oggi i numeri relativi al 2013 che confermano l’aggravarsi del divario tra Sud e Nord del Paese. Due Paesi con indicatori totalmente opposti, sia quelli relativi al Pil sia quelli dei consumi finali delle famiglie.

Nel 2013 il Pil per abitante risulta pari a 33,5 mila euro nel Nord-ovest, a 31,4 mila euro nel Nord-est e a 29,4 mila euro nel Centro.

Il Mezzogiorno, con un livello di Pil pro capite di 17,2 mila euro, presenta un differenziale negativo molto ampio. Il suo livello è inferiore del 45,8% a quello del Centro-Nord.

La spesa per consumi finali delle famiglie a prezzi correnti nel 2013 risulta pari a 18,3 mila euro per abitante nel Centro-Nord e a 12,5 mila euro nel Mezzogiorno.

PIL REGIONALE E SPESA PER CONSUMI

«Sono dai estremamente preoccupanti – sottolinea Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – e riportano il tema del Sud d’Italia tra le assolute priorità del Paese».

Nel 2013, il Pil per abitante ha registrato una riduzione rispetto al 2011 in tutte le regioni italiane, con l’eccezione di Bolzano e della Campania. Risulta in testa Bolzano con un Pil per abitante di 39,8 mila euro, seguito da Valle d’Aosta e Lombardia (rispettivamente con 36,8 e 36,3 mila euro). Prima tra le regioni del Mezzogiorno è l’Abruzzo, che registra un livello paragonabile a quello delle regioni del Centro, con 23 mila euro. Le altre regioni del Mezzogiorno presentano tutte valori inferiori ai 19 mila euro. All’ultimo posto della graduatoria si trova la Calabria con 15,5 mila euro, ovvero un livello inferiore del 61% rispetto a Bolzano e del 57% rispetto alla Lombardia

Nel 2013, la spesa per consumi finali delle famiglie valutata a prezzi correnti2, (in Italia pari a 16,3 mila euro), è risultata di 18,3 mila euro nel Centro-Nord a fronte di 12,5 mila euro nel Mezzogiorno, con un differenziale negativo del 31,7%, molto inferiore a quello registrato per il Pil. La spesa per consumi finali delle famiglie per abitante è in calo, rispetto al 2011, in tutte le regioni. Tra il 2011 e il 2013 la graduatoria regionale non subisce cambiamenti e nelle due prime posizioni si collocano Valle d’Aosta e provincia autonoma di Bolzano (rispettivamente con 22 e 21,8 mila euro), nelle ultime due Campania e Basilicata (11,6 e 12,1 mila euro). Tutte le regioni del Mezzogiorno si posizionano alla fine della graduatoria.

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Il presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli

«Questi dati si aggiungono a quelli sui livelli di disoccupazione e di lavoratori irregolari, che sono più del doppio nel Sud rispetto al resto del Paese, disegnando un quadro drammatico dal punto di vista economico e sociale»,continua il Presidente di Federdistribuzione.

Secondo l’Istat infatti nel 2013 il tasso di disoccupazione è stato del 19,7% nel Sud rispetto a una media nazionale del 12,2%. Nel 2012 le unità di lavoro irregolari sono state nel Mezzogiorno pari al 20,9% del totale delle unità di lavoro, contro un dato nazionale del 12,1%.
“Questo quadro complessivo produce anche situazioni di concorrenza sleale tra imprese, scoraggiando investimenti e allontanando dal territorio aziende soffocate dalle situazioni di contesto. Affrontare il problema del Mezzogiorno è una priorità che non può essere più rimandata. Correggere le attuali distorsioni e avviare una decisa politica di sostegno dello sviluppo delle regioni meridionali è una chiave fondamentale per la crescita di tutto il Paese. Senza interventi in questo senso tutto il cammino dell’Italia di uscita dalla crisi sarà più lungo e complicato», conclude Cobolli Gigli.

Tutto il mondo vuole dimagrire: l’avanzata del cibo sano, fresco e un po’ più caro

Fonte: NIelsen Global Health & Wellness Survey Q3 2014.

Cosa vogliamo per il nostro futuro, o quanto meno per il nostro 2015? La felicità, più soldi, un mondo migliore? Macché, la metà di noi come desiderio per il nuovo anno vuole dimagrire. Per raggiungere questo obiettivo prezioso, agognato dal 50% degli intervistati dall’ultima Global Health & Wellness Survey effettuata da Nielsen in 60 Paesi del mondo, le strategie passano principalmente per l’attività fisica e per un cambio nella propria alimentazione. Quindi per una dieta, che comprende porzioni più piccole, più alimenti freschi e meno prodotti industriali, meno grassi e zuccheri. E se il nuovo regime alimentare costerà un po’ di più pazienza, basta che non si esageri.

Stiamo insomma assistendo a un cambio negli stili di vita e nelle coscienze che coinvolge mezzo mondo, Paesi sviluppati ed emergenti, quanto meno nei desideri e nelle aspettative. Se poi tutto ciò si tradurrà in realtà, lo dirà l’analisi dei consumi di questo 2015 appena iniziato. Ma vediamo più in dettaglio i risultati della ricerca.

 

Back to Basics, l’ascesa del cibo sano, semplice e naturale

Dunque un intervistato su due quest’anno ha intenzione di perdere almeno un paio di chili. Per fare ciò, nel 75% dei casi cambierà il suo regime alimentare. Ma in che modo? Il 65% ridurrà i grassi (era il 70% nell’indagine realizzata nel 2011), il 62% mangerà meno cioccolato e dolci (stessa percentuale) mentre aumenta dal 55 al 57% la percentuale delle persone che per perdere peso hanno intenzione di introdurre nella dieta cibi più freschi e naturali. Il 41% ridurrà le porzioni, e il 37% consumerà meno alimenti confezionati. Aumenta la percentuale di chi si rivolgerà a una dieta con pochi carboidrati e molti grassi, dal 18 al 25%. Il 19% seguirà una dieta non specifica e l’11% opterà per un programma dietetico stile Weight Watchers.

Non solo: chi sceglierà di mangiare più sano è anche disposto a spendere un po’ di più, almeno fino e a un certo punto. E sono proprio i consumatori dei mercati emergenti quelli disposti a pagare di più pur di ottenere un’alimentazione più sana: il 94% in America Latina, il 93% in Asia-Pacifico e il 92% in Africa/Medio Oriente contro il 79% dell’Europa e l’80% del Nord America.

Va detto però che le definizioni di “cibo sano” non sempre coincidono nelle varie aree del Pianeta. Ad esempio gli OGM spaventano ma fino a un certo punto: se il 43% pensa sia importante evitarli, solo il 33% pagherebbe molto di più per non mangiarli.

Gli europei, i più restii al momento ad aprire il portafoglio per acquistare cibi con caratteristiche particolari, sono molto decisi in un caso su tre (31%) a pagare di più per alimenti naturali, ma se ben il 47% pagherebbe di più per acquistare alimenti senza OGM, solo il solo il 13% assegna un prezzo “plus” ai prodotti senza caffeina.

Oggi è la giornata nazionale contro lo spreco alimentare: le azioni lungo la catena

Immagine Tesco su dati WRAP UK, 2014.

Anche quest’anno il 5 febbraio è la Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare. Una buona notizia arriva dalla semplificazione normativa in materia di donazione degli alimenti invenduti che dovrebbe diventare operativa entro l’anno e favorire la donazione delle eccedenze e dei prodotti alimentari invenduti, attraverso la semplificazione e armonizzazione del quadro di riferimento (procedurale, fiscale, igienico-sanitario) che disciplina attualmente il settore.
Le responsabilità sono a tutti i livelli della filiera “dalla fattoria alla forchetta”, il risultato è agghiacciante: 1,3 miliardi di tonnellate di cibo buttato ogni anno, sufficiente per sfamare quattro volte gli oltre 800 milioni di persone che muoiono di fame ogni anno.
Ecco alcune azioni intraprese da insegne della GDO per “colpire” il cliente finale.
Tesco ad esempio ha ridotto le promozioni “paghi uno prendi due” e ha inserito informazioni “anti spreco” sulle confezioni di 25 prodotti particolarmente “a rischio” di spreco, come spiega nel video Mark Little, Head of Food Waste Reduction.

I numeri dello scandalo sono evidenziati in questo video-inforgrafica del Barilla Centre for Food and Nutrition.

Gli italiani e lo spreco: percezioni e realtà
Il sondaggio “Waste Watcher – Knowledge for Expo” promosso da Last Minute Market con Swg “fotografa” le attitudini degli italiani verso lo spreco alimentare. Quattro su cinque si dichiarano incuriositi e soddisfatti delle tecnologie che possono favorire la riduzione e prevenzione dello spreco alimentare. Tra le soluzioni si pensa al frigorifero “smart” che segnala le date di scadenza del cibo riposto e conserva meglio il cibo. Il 19% degli intervistati si dichiara al contrario ancora impreparato o impaurito di fronte a tecnologie intelligenti. I più spreconi sono i giovani e i bambini, secondo il 63% degli intervistati. Nella percezione degli italiani solo il 22% dei cittadini di mezza età e solo il 2% degli anziani può essere tacciato di spreco. E i luoghi dello spreco? Mense, supermercati e ristoranti secondo la grande maggioranza degli intervistati, che auspica, sempre a larghissima maggioranza, una campagna di educazione sul tema sia per gli studenti che per i cittadini: lo chiede l’80% degli intervistati, quindi 4 italiani su 5. La realtà però vede lo spreco “domestico” responsabile del 42% dello spreco alimentare…

 

IRI a Consumi Tuttofood 2015: il retail alimentare può ripartire

Angelo Massaro - Iri.  © FotoZil
Angelo Massaro – Iri.
© FotoZil

L’intervento di Angelo Massaro, General Manager di IRI Italia e Grecia, in occasione del convegno organizzato da TuttoFood ed IRI il 2 febbraio, ha voluto indagare alcuni fenomeni chiave che caratterizzano l’andamento delle categorie di Alimentari e Bevande nel canale moderno.

In particolare Massaro ha evidenziato alcune problematiche che sembrano ormai intrinseche ai comparti e che ne impattano le vendite nel corso degli ultimi anni.

Contrariamente alle previsioni elaborate da IRI a fine 2013, il 2014 si è chiuso con un andamento negativo dei reparti di Alimentari e Bevande. Durante il 2013 i comparti avevano visto trend a valore piatti e volumi in flessione come risultante di un rincaro dei prezzi. Ci si attendeva per il 2014 un ulteriore lieve rialzo dei prezzi e un leggero recupero dei volumi. Al contrario, nonostante un contesto deflattivo, i volumi permangono in terreno negativo. La salvaguardia di questa voce di spesa delle famiglie durante il 2014 è venuta a mancare. Ne emerge che il consumatore ha fatto saving anche su tipologie di consumo primarie.

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Il tema dei prezzi è un altro elemento evidenziato da Massaro. A fronte di un periodo precedente in cui i prezzi della Gdo aumentavano in maniera superiore rispetto a quelli del paniere Istat, a partire dalla seconda metà del 2014 assistiamo ad un generale raffreddamento degli stessi. Ciò è determinato non solo dal contesto del paese, ma anche dalla necessità di tentare di sostenere i volumi agendo sulla leva prezzo. Il mezzo attraverso cui gli operatori hanno prevalentemente agito sul governo dei prezzi è stato l’utilizzo intenso della leva promozionale.

Le promozioni, che sembravano dover raggiungere un livello di saturazione nel 2014 hanno continuato a crescere, tanto è vero che 30 euro su 100 sono spese dal consumatore per prodotti in offerta.

Ma si tratta ancora di uno strumento efficace per incentivare l’aumento dei consumi? Le analisi di IRI indicano di no. Infatti il livello complessivo di produttività di questa leva di marketing è sceso ulteriormente rispetto al 2013 aumentando il valore delle perdite di ben 117 milioni di euro. Ciò significa che la GDO sacrifica circa un 1 punto di crescita dei ricavi sull’”altare” delle promozioni.

La domanda che pone al mercato Massaro è se sia utile continuare ad andare lungo questa direzione? Esistono vie alternative per il governo dei prezzi?

Un altro tema rilevante è quello della gestione degli assortimenti. L’offerta a scaffale cresce nonostante le vendite calino. Vi è quindi un problema di inefficienza nella gestione dell’offerta assortimentale.

Altro elemento di discontinuità, che era difficile attendersi, secondo IRI è il calo delle vendite dei Marchi del Distributori che hanno interrotto un processo di espansione in atto da molti anni. In tutti i reparti alimentari, infatti, assistiamo ad una lieve contrazione della quota a valore di questi prodotti.

Forse i distributori hanno saturato tutte le categorie con i loro brand? O dove sono presenti con i loro marchi non riescono più a sfare sviluppo? Oppure sono rimaste l’unico elemento di razionalizzazione dell’assortimento?

Tuttavia anche i grandi Gruppi Industriali stanno affrontando seri problemi. Dalle misurazioni di IRI già nel corso del 2013 emergevano cali nell’andamento delle vendite dei top player del Largo Consumo. Lo scorso anno questo fenomeno si è accentuato. Le Top 25 aziende, che rappresentano quasi 1/3 del fatturato totale del Largo Consumo Confezionato, hanno segnato complessivamente un -1,4%.

Le iniziative messe in atto da questi gruppi non sembrano ad oggi aver sortito effetti positivi. La situazione forse cela una crisi strutturale della grande impresa che opera nel Food? E’ forse un problema di lettura del territorio, vicinanza al consumatore, esigenze locali?

Massaro ha concluso il suo intervento illustrando quelle che sono le previsioni di IRI sull’andamento delle categorie di alimentari e bevande per l’anno in corso. Nonostante sia necessario intervenire su alcune problematiche del comparto, con il 2014 si conclude auspicabilmente un «biennio nero» che in due anni ha visto ridursi di oltre 2 punti percentuali i volumi acquistati all’interno del largo consumo confezionato, pari a minori ricavi per la filiera per circa 520 milioni di Euro.

Per l’anno prossimo IRI prevede un pur moderato recupero sia dei livelli di spesa che degli acquisti a volume, dietro l’ipotesi che le pressioni sul fronte economico tendano ad attenuarsi. In questo sarà di basilare importanza un miglioramento della situazione occupazionale che è il fattore fondamentale per innescare un nuovo ciclo di fiducia per le famiglie sulle prospettive del proprio potere d’acquisto, con ovvi benefici sui consumi.

Nel caso che non ci fossero ancora schiarite sul mercato del lavoro i segnali di ripresa verrebbero inevitabilmente nuovamente vanificati.

Vedi anche le previsioni per categorie

 

 

Retail alimentare: previsioni positive di Iri per il 2015

Nel 2015 IRI prevede  un’inversione della tendenza negativa sui volumi di vendite del retail alimentare che sarà comunque graduale e di moderata entità, secondo i dati diffusi da Angelo Massaro, general manager di Iri al convegno sui Consumi 2015 organizzato in collaborazione con Tuttofood.

Dando uno sguardo ai comparti che compongono la spesa delle famiglie nei settori di alimentari e bevande è possibile osservare però delle differenze che nascondono un comportamento d’acquisto volto a preservare il budget familiare salvaguardando le priorità di consumo.

1. In particolare l’alimentare secco, (Drogheria Alimentare) che è alla base del carrello della spesa mantiene quest’anno i livelli di volume acquistati nel 2013, grazie anche all’arresto dell’inflazione settoriale. Per il 2015 ci attendiamo una pur moderata ripresa degli acquisti. I prezzi cresceranno leggermente (+0,4%) come risultato delle pressioni su alcune materie prime alimentari bilanciate dall’altissimo grado di concorrenzialità fra imprese produttrici e fra distributori. Per gli alimentari freschi confezionati (salumi, formaggi, carni, ecc.) si prevede invece ancora una «limatura» dei volumi acquistati, a causa dell’inflazione di nuovo relativamente elevata. Questo spesso ne limita la competitività rispetto al prodotto fresco sfuso/non confezionato.

2. L’ortofrutta a peso imposto recupererà volumi attorno al +1% «ereditando» il vantaggio competitivo ottenuto nel 2014 attraverso il marcato riposizionamento in basso dei prezzi medi (-3,5%). Infatti, i rincari previsti per l’anno successivo saranno comunque limitati entro il punto e mezzo percentuale.

3. Gelati e Surgelati sono la voce dell’alimentare che nel corso degli ultimi due anni più ha subito i contraccolpi della crisi di domanda a cui si sono aggiunte le negatività generate dalle «anomalie» del clima (ricordiamo a titolo d’esempio l’estate disastrosa dal punto di vista meteorologico che ha fortemente influenzato la richiesta di gelati). Per il 2015 ci si attende un’inversione della tendenza a fronte di uno «stop» dei prezzi.

4. Il comparto delle bevande dissetanti è in forte caduta nell’ultimo biennio: questa è una delle voci dove il consumatore ha maggiormente «razionalizzato» il proprio basket di spesa. Qui hanno agito in forma combinata sia fattori legati al reddito, sia la relativamente alta crescita dei prezzi e, per ultimo, le stesse anomalie climatiche che hanno compromesso il mercato nel pieno della stagione estiva. Tuttavia parte del calo è strutturale e ascrivibile al cambiamento dello stile di vita delle famiglie che sta penalizzando soprattutto il mondo delle bevande gassate. In questo anche il progressivo invecchiamento della popolazione gioca un ruolo non trascurabile nel lungo periodo. Per il prossimo anno ci aspettiamo un calo più limitato (sempre al netto di possibili anomalie del clima) anche grazie al raffreddamento dei prezzi medi al dettaglio.

5. Vini e Alcolici a loro volta chiudono un biennio molto sfidante che ha comportato un ridimensionamento dei volumi venduti di circa 6 punti percentuali. L’elevata inflazione al consumo, determinata in buona parte dai ripetuti interventi fiscali, è stata il fattore esplicativo principale, che ha aggravato il calo strutturale dei consumi di bevande alcoliche. Attraverso l’ipotesi di assenza di nuovi inasprimenti della tassazione nel 2015, con conseguenti ovvie ripercussioni sui prezzi al dettaglio, ci attendiamo un calo decisamente più moderato degli acquisti in volume.

ref.Ricerche al convegno di Tuttofood: l’economia migliora, ma l’Iva è una minaccia

Il fantasma della clausola di salvaguardia e della riverse charge dell’Iva non fa dormire sonni tranquilli alle aziende del largo consumo. Tanto più ora che Il barometro dell’economia italiana segna un miglioramento. sono due temi emersi durante il convegno Consumi2015 organizzato da Tuttofood, mostra professionale dell’alimentare di Fiera Milano.

Fedele De Novellis (ref.Ricerche) - FotoZil
Fedele De Novellis (ref.Ricerche) – FotoZil

Nell’analisi di Fedele De Novellis Chief economista a re.Ricerche, «forse non si può ancora dire che si sia spostato sul bello stabile, ma quantomeno si interromperà quest’anno e nel prossimo la lunga serie di indicatori negativi che hanno scandito l’ultima lunga crisi. Unica ma rilevante eccezione, la disoccupazione, che resterà  elevata» .

Secondo ref.Ricerche il prodotto interno lordo aumenterà dello 0,7% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016, sostenuto da una ripresa dei consumi. Le esportazioni miglioreranno ulteriormente la loro ottima performance e le importazioni cresceranno trainate dalla ripresina, senza peraltro compromettere il saldo della bilancia commerciale, che si manterrà positivo ed elevato (intorno ai 70 miliardi) grazie alla discesa del prezzo del petrolio. Il vincolo del 3% nel rapporto deficit pubblico su Pil sarà rispettato e l’inflazione sarà zero quest’anno e 0,7% nel 2016. Unica nota dissonante, il tasso di disoccupazione che beneficerà in maniera contenuta del miglioramento del quadro economico rimanendo stabilmente al di sopra del 12%.

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La convergenza di fattori sistemici favorevoli recentemente emersi, dall’indebolimento dell’euro al crollo del prezzo del petrolio, dall’allentamento della convergenza fiscale al quantitative easing della Banca Centrale Europea (fattori rispetto ai quali ref.Ricerche si chiede nel titolo della sua analisi “Ultima chance per l’Italia?”), sembrano dunque aver creato un contesto più favorevole, contribuendo all’uscita dal tunnel in diversi modi: la discesa del petrolio ha un impatto rilevante su un’economia di trasformazione; il cambio favorevole euro-dollaro, insieme alla ripresa americana, è uno dei fattori trainanti delle esportazioni; l’allentamento monetario della Banca centrale europea agevola in credito e abbassa i costi di produzione.

Tutto bene dunque? Fino a un certo punto. In questo quadro complessivamente positivo – avverte il ref.Ricerche – non mancano rischi. Due particolarmente significativi sono la caduta delle aspettative di inflazione e il possibile aumento dell’Iva, in base alla clausola di salvaguardia già prevista nell’ambito della discesa del rapporto deficit/Pil dell’Italia, secondo quanto imposto dalle regole europee di finanza pubblica. Qualora l’Iva subisse aumenti, l’impatto sarebbe negativo per la domanda di consumo e – affermano compatti industria e distribuzione – in special modo per i consumi alimentari.

Oltre a ciò, vi è l’incognita sulla riverse charge, che, secondo Roberto Bucaneve direttore del centro studi Contromarca, avrà un impatto di 8 miliardi sull’intera filiera alimentare. Qualora non avesse il via libera da Bruxelles, sarebbe surrogata con un aumento elle accise sui carburanti per circa 800 milioni.

«La motivazione è corretta, ma il settore è sbagliato», commenta lapidariamente Marco Pedroni presidente di Coop Italia. E Valerio Di Natale, vicepresidente di Contromarca aggiunge che «si consolida l’idea che alcune porzioni dell’economia possano diventare creditrici a lungo termine dello Stato. È quantomeno strano che in um momento in cui le imprese dovrebbero investire, sono invece obbligate a pensare a come far fronte a una norma che ne aumenta le difficoltà».

 

a cura di Fabrizio Gomarasca

 

Eccesso di promozioni. Coop cambia strada, l’industria osserva

Il tema delle promozioni ha tenuto banco al convegno sui consumi organizzato da Tuttofood a Milano, di fronte a un parterre da grandi occasioni. A scaldare i motori e a infondere un poco di cauto ottimismo alla platea sono stati Fedele De Novellis di ref.Ricerche e Angelo Massaro, Ceo di Iri. Il primo nel tracciare lo scenario macroeconomia ha ipotizzato un lieggera ma costante crescita del reddito disponibile delle famiglie nel prossimo triennio, con l’avvertenza che il modello previsionale si basa su un’ipotesi di ridimensionamento delle politiche di austerità. In caso contrario lo scenario cambierebbe completamente con l’entrata in vigore delle clausole di salvaguardia sull’Iva e relativo aumento delle aliquote che avrebbe un effetto devastante sui consumi e in particolare il food. Alla domanda di De Novellis se e quando il reddito disponibile si potrebbe trasferire sui consumi risponde il Ceo di Iri Angelo Massaro che prevede per fine 2015 una crescita dei consumi alimentari, pari allo 0,2% in volume e allo 0,6% in valore, grazie a un leggero recupero dei prezzi.

IRI PREVISIONE VENDITE
Fonte: Iri

Ripercorrendo il biennio trascorso caratterizzato da vendite con segno negativo in tutte le categorie, Massaro pone l’accento sulla crescita indiscriminata delle promiozioni, fino a toccare una pressione quasi del 30%.

IRI VARIAZ VOLUMI VENDITA
Fonte:Iri

Ma il livello complessivo di produttività di questa leva di marketing è sceso ulteriormente rispetto al 2013 aumentando il valore delle perdite di ben 117 milioni di euro.

IRI PROMOZIONI
Fonte: Iri

Ciò significa che la GDO sacrifica circa un 1 punto di crescita dei ricavi sull’altare delle promozioni. Quali le vie alternative per il governo dei prezzi? Massaro auspica un approccio più analitico alle promozioni. Anche se Valerio Di Natale, Ceo di Mondelez, osserva che a preoccupare non è tanto il 30% di pressione promozionale, ma la sua inefficienza e non efficacia coop  costa meno La decisione di Coop Italia di abbassare i prezzi  di 2.000 prodotti è stata oggetto del dibattito sia perché è una decisione presa dal leader del retail italiano, sia perché l’attesa è forte sui risultati per capire se i tempi sono maturi per una revisione di pratiche commerciali ormai sclerotizzate, che non accontentano più né l’industria né la distribuzione. «Abbiamo deciso di praticare una strategia di posizionamento di prezzo più sano e di disinvestire gradualmente sulle attività promozionali», spiega Pedroni. «Ma se proponiamo all’industria di spostare il valore verso il prezzo tutti i giorni, bisogna che l’industria non adotti politiche di altro tipo con altri retailer».

Questo è infatti uno dei nodi cruciali per capire se l’azione intrapresa da Coop avrà fiato per durare («e non c’è dubbio che come sistema Coop una volta presa la decisione, siamo in grado di sostenerla», puntualizza Pedroni) e quanta parte dell’industria la seguirà agendo in questo modo da effetto moltiplicatore sull’insieme della distribuzione. Infatti, secondo il presidente di Coop Italia, occorre immaginare che ci sia massa critica sufficiente per un’azione di questo tipo che nasce individuando i prodotti più importanti delle marche importanti e i prodotti più importanti a marchio del distributore, che insieme valgono circa il 35-40% del fatturato grocery.

Un’azione che trova l’industria di marca attenta a seguirne gli sviluppi e a valutarne tutti gli effetti. Dice Valerio Di Natale, Ceo di Mondelez e vicepresidente di Contromarca: «L’operazione di Coop parla di prezzi, ma in realtà dice tutto sull’equità dell’insegna. Per questo va seguita con attenzione». E aggiunge: «Questa crisi ci ha consegnato un numero crescente di persone estremamente sensibile al prezzo, ma vi è una grande maggioranza che invece chiede convenienza, non prezzo. E la convenienza si declina anche in termini di servizio, di tempo, di innovazione. Vi è uno spazio di miglioramento enorme nella collaborazione tra le imprese».

Il discorso su un diverso modo di affrontare le promozioni – Pedroni segnala anche la campagna Scelgo io dedicata ai prodotti a marchio Coop, che vorrebbe poter allargare anche ai prodotti di marca – si allarga presto alla necessità di una collaborazione più trasparente tra industria e distribuzione, fino a prefigurare da parte del presidente Coop il superamento del listing fee, un diverso modo di lavorare per rendere più vivace lo scaffale, non certo le aree promozionali.

Se siamo alla vigilia di un vero cambiamento nelle modalità anche operative tra industria e distribuzione lo vedremo.

Di certo c’è che la guerra dei prezzi non è sostenibile né per l’industria né per la distribuzione.

di Fabrizio Gomarasca

2015 anno della ripresa? Italiani sfiduciati secondo Nielsen

Per Confindustria sarà questo finalmente l’”anno spartiacque”, che vedrà l’uscita dalla lunga recessione iniziata nel 2008. Ma i consumatori italiani, come la vedono? Nera, anzi nerissima secondo il rapporto Nielsen sulla Consumer Confidence aggiornato al quarto trimestre del 2014.

A livello globale l’anno passato si è chiuso in negativo, con un calo di due punti sul trimestre precedente, anche se rispetto allo stesso periodo del 2013 la fiducia dei consumatori è salita di due punti, e dopo due anni di crescita. Le differenze sono molto marcate da regione a regione. Se gli USA, avvantaggiati dalla ripresa dell’occupazione, registrano un indice sopra la media di 106 l’Europa è fanalino di coda con un indice di 76, ma il Paese con il tasso di fiducia più basso al mondo è proprio l’Italia, che registra un mero 45.

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Vecchio Continente sfiduciato, vecchia Italia ancor di più

La fiducia in Europa è calata in 20 mercati su 32, e solo la Danimarca ha un punteggio positivo (>100) anche se la Germania si avvicina con 98 punti, e solo in Svizzera e Germania oltre la metà degli intervistati sono ottimisti (49% e 56%). Italia e Francia calano di due punti ma è proprio l’Italia il fanalino di coda del continente (con un indice pari all’anno scorso), mentre cresce la fiducia in Irlanda, trainata da tassi di disoccupazioni in calo e dalla crescita del Pil.

“Se nei mercati emergenti si registra un consolidamento della capacità di acquisto della classe emergente, nelle economie consolidate, come quella italiana, questa ha subito un deciso indebolimento, da cui deriva la difficoltà della ripresa dei consumi – ha dichiarato Giovanni Fantasia, amministratore delegato Nielsen Italia -. A questo fattore si aggiungono gli elementi di criticità provenienti dalla congiuntura internazionale (Ucraina e Medio Oriente). Tale scenario spiega i motivi alla base del mancato incremento dell’indice di fiducia registrato da Nielsen nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non da ultimo, inoltre, si riscontra un crescente divario tra la posizione economica dei giovani e quella delle fasce più mature, considerato l’alto tasso di disoccupazione che si registra tra i primi”.

Il 96% degli italiani ritiene che l’Italia si trovi ancora in fase recessiva: il dato più alto rispetto ai principali Paesi dell’Ue. La preoccupazione maggiore per la quasi totalità del campione riguarda le proprie condizioni lavorative, e il 60% degli italiani pensa che la crisi proseguirà per i prossimi 12 mesi, valore tornato ai livelli del primo trimestre del 2014, dopo la fase positiva registrata nel secondo trimestre. Di conseguenza gli acquisti non sono certo in cima alla lista, specie se voluttuari. Solo il 13% si considera pronto a fare acquisti di qualsiasi genere. Una volta sostenute le spese strettamente necessarie (alimentari, cura casa, bollette, tasse, ecc.), il 39% ritiene giusto destinare ciò che rimane a forme di risparmio. Il 26% lo riserva per i vestiti, il 25% per viaggi e vacanze, il 20% per l’intrattenimento fuori casa (ristoranti e cinema). Solo il 13% si dice propenso a spendere per beni tecnologici e, in misura uguale, a immettere denaro per spese dedicate alla casa.

 

USA in ripresa, Asia e Africa bene, Sud America in difficoltà

Nel resto del mondo le cose vanno meglio, la fiducia aumenta lentamente ma aumenta comunque in più della metà dei Paesi (39 su 60).

11 mercati hanno registrato aumenti di fiducia di due cifre sul 2013 tra questi gli USA (+12) e i Regno Unito (+10) ma anche Romania (+15), India (+14), Egitto (+14) Irlanda (+13) e Bulgaria (+13).

Anche se nel 2013 sono scesi tutti gli indicatori di fiducia dalle prospettive di lavoro (-3), finanze personali (-1) e intenzioni di spesa (-1), tutti questi indicatori sono in crescita sul 2013, tanto che il 49% degli intervistati ritiene che nei prossimi mesi le prospettive di lavoro saranno positive (erano il 47% nel 2013) mentre le intenzioni di spesa sono cresciute dal 38 al 40%.

L’area del mondo che ha registrato i miglioramenti più marcati è il Nord America, dove le aspettative nel mondo del lavoro sono aumentate di ben 12 punti al 50%, lo stato delle finanze personali è sopra di 6 punti e le intenzione di spesa di 12 punti.

Incrementi significativi si sono registrati anche in Africa e Medio Oriente mentre l’America del Sud è l’unica regione che ha arretrato in tutti e tre gli indicatori sull’anno precedente.

“Alcune regioni del mondo non sono ancora fuori dal tunnel, ad esempio l’Eurozona, mentre altre, come la Cina e alcuni Paesi sudamericani, probabilmente stanno entrando un periodo di crescita minore nel 2015” si legge nel rapporto.

Il Nielsen consumer confidence index misura la percezione delle prospettive di lavoro locali, sulle finanze personali e sulle intenzioni di spesa immediate. I livelli di fiducia del consumatore superiori o inferiori a una base di 100 indica gradi di ottimismo o pessimismo. Il Nielsen Global Survey of Consumer Confidence and Spending Intentions, nato nel 2005, misura la fiducia del consumatore le preoccupazioni e le intenzioni di spesa di oltre  30mila intervistati tramite web in 60 Paesi.

Più vino nel mondo, ma in Italia si beve sempre di meno: calo del 5% entro il 2018

Bicchiere mezzo vuoto per gli italiani. Foto Vinexpo /Hervé Lefebvre

Un miliardo di bottiglie di vino in più in cinque anni: le prevede uno studio di Vinexpo, la fiera internazionale del vino di Bordeaux (quest’anno dal 14 al 18 giugno) e IWSR che analizza il mercato del vino mondiale dal 2008 al 2018, anno in cui il consumo mondiale salirà a 32,78 miliardi di bottiglie contro una media di 31,7 miliardi nel periodo 2009-2013.

Se i mercati emergenti la fanno da padrone, con la classe media africana ad esempio che promette di incrementare esponenzialmente i consumi, i tradizionali Paesi produttori (e consumatori) europei arretrano. Italia in primis, dove entro il 2018 si berranno 3,1 litri di vino in meno pro-capite all’anno (-5,1%), mentre i francesi abbasseranno  consumi di 2,3 litri (-2,8%), pur restando i due maggiori Paesi consumatori al mondo con 45 litri annui a testa.

Altra musica invece sui mercati internazionali, dove gli Stati Uniti, primo mercato al mondo, aumenteranno ancora il consumo di vino (+11,3% tra il 2014 e il 2018 secondo lo studio), così come la Cina (+24,8%). Ma le importazioni verso il gigante asiatico, previste in crescita di due cifre (+31,3%) non aumenteranno di pari passo con i consumi, che si avvantaggeranno anche dell’incremento della produzione locale.

Perfino sul mercato europeo potremmo venire surclassati da insospettabili vicini quanto a consumo di bottiglie: nel 2018 saranno 3,3 miliardi le bottiglie consumate in Germania (+1%, con circa 36 litri pro-capite all’anno) contro 3,28 miliardi in Italia, mentre nel Regno Unito, che ha vissuto un declino dei consumi dal 2009, è previsto un incremento del 5,5% nei prossimi quattro anni, “tirato” dai consumi di vini frizzanti, rosé e bianchi, che entro il 2018 sorpasseranno i rossi nelle grazie dei britannici.

Concordato preventivo per Mercatone Uno

Alla fine nemmeno la cura di Pierluigi Bernasconi ha potuto fare di più e Mercatone Uno (79 punti vendita, undici milioni di clienti, 3.700 dipendenti) ha chiesto il concordato preventivo.

Una nota dell’azienda spiega che si tratta di “una scelta imposta dal perdurare della crisi e dal continuo calo dei consumi particolarmente grave nel settore dei beni durevoli che ha determinato, a partire dalla ripresa autunnale dell’attività, una costante riduzione del fatturato, il tutto aggravato dal contesto deflazionistico a cui conseguono prezzi di vendita sempre più bassi e perdita di marginalità”.

«Paghiamo la guerra dei prezzi e le promozioni continue di soggetti come Ricci Casa, Grancasa, Ikea, Mondo convenienza sul mobile e Mediaworld e altri sugli elettrodomestici. A questo aggiungiamoci che in questo periodo la priorità delle famiglie non è proprio quella di cambiare arredamento», ha affermato il presidente del consiglio di amministrazione Alessandro Servadei in un’intervista al Resto del Carlino.

Così l’indebitamento complessivo del Gruppo Mercatone Uno, ha aggiunto sotto l’incalzare delle domande, «ammonta a 400 milioni di euro, metà dei quali con le banche e metà con fornitori, erario e altri. I creditori sono circa 1.600 tra fornitori non dell’ultimo periodo e banche».

Ora il tribunale ha dato 120 giorni per mettere a punto un piano di ristrutturazione che dovrà vedere necessariamente l’ingresso di nuovi soci e il ridimensionamento degli storici azionisti di Mercatone Uno, le famiglie Cenni e Valentini.

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