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Più vino nel mondo, ma in Italia si beve sempre di meno: calo del 5% entro il 2018

Bicchiere mezzo vuoto per gli italiani. Foto Vinexpo /Hervé Lefebvre

Un miliardo di bottiglie di vino in più in cinque anni: le prevede uno studio di Vinexpo, la fiera internazionale del vino di Bordeaux (quest’anno dal 14 al 18 giugno) e IWSR che analizza il mercato del vino mondiale dal 2008 al 2018, anno in cui il consumo mondiale salirà a 32,78 miliardi di bottiglie contro una media di 31,7 miliardi nel periodo 2009-2013.

Se i mercati emergenti la fanno da padrone, con la classe media africana ad esempio che promette di incrementare esponenzialmente i consumi, i tradizionali Paesi produttori (e consumatori) europei arretrano. Italia in primis, dove entro il 2018 si berranno 3,1 litri di vino in meno pro-capite all’anno (-5,1%), mentre i francesi abbasseranno  consumi di 2,3 litri (-2,8%), pur restando i due maggiori Paesi consumatori al mondo con 45 litri annui a testa.

Altra musica invece sui mercati internazionali, dove gli Stati Uniti, primo mercato al mondo, aumenteranno ancora il consumo di vino (+11,3% tra il 2014 e il 2018 secondo lo studio), così come la Cina (+24,8%). Ma le importazioni verso il gigante asiatico, previste in crescita di due cifre (+31,3%) non aumenteranno di pari passo con i consumi, che si avvantaggeranno anche dell’incremento della produzione locale.

Perfino sul mercato europeo potremmo venire surclassati da insospettabili vicini quanto a consumo di bottiglie: nel 2018 saranno 3,3 miliardi le bottiglie consumate in Germania (+1%, con circa 36 litri pro-capite all’anno) contro 3,28 miliardi in Italia, mentre nel Regno Unito, che ha vissuto un declino dei consumi dal 2009, è previsto un incremento del 5,5% nei prossimi quattro anni, “tirato” dai consumi di vini frizzanti, rosé e bianchi, che entro il 2018 sorpasseranno i rossi nelle grazie dei britannici.

Concordato preventivo per Mercatone Uno

Alla fine nemmeno la cura di Pierluigi Bernasconi ha potuto fare di più e Mercatone Uno (79 punti vendita, undici milioni di clienti, 3.700 dipendenti) ha chiesto il concordato preventivo.

Una nota dell’azienda spiega che si tratta di “una scelta imposta dal perdurare della crisi e dal continuo calo dei consumi particolarmente grave nel settore dei beni durevoli che ha determinato, a partire dalla ripresa autunnale dell’attività, una costante riduzione del fatturato, il tutto aggravato dal contesto deflazionistico a cui conseguono prezzi di vendita sempre più bassi e perdita di marginalità”.

«Paghiamo la guerra dei prezzi e le promozioni continue di soggetti come Ricci Casa, Grancasa, Ikea, Mondo convenienza sul mobile e Mediaworld e altri sugli elettrodomestici. A questo aggiungiamoci che in questo periodo la priorità delle famiglie non è proprio quella di cambiare arredamento», ha affermato il presidente del consiglio di amministrazione Alessandro Servadei in un’intervista al Resto del Carlino.

Così l’indebitamento complessivo del Gruppo Mercatone Uno, ha aggiunto sotto l’incalzare delle domande, «ammonta a 400 milioni di euro, metà dei quali con le banche e metà con fornitori, erario e altri. I creditori sono circa 1.600 tra fornitori non dell’ultimo periodo e banche».

Ora il tribunale ha dato 120 giorni per mettere a punto un piano di ristrutturazione che dovrà vedere necessariamente l’ingresso di nuovi soci e il ridimensionamento degli storici azionisti di Mercatone Uno, le famiglie Cenni e Valentini.

Venti tendenze mondiali per il cibo nel 2015

Cosa e come si mangerà nel 2015? Un elenco delle 20 tendenze più importanti nel settore dell’alimentazione è stato pubblicato dall’“Arabian Gazette” in occasione della fiera Gulfood 2015,  che si terrà al Dubai World Trade Centre (DWTC) dall’8 al 12 febbraio, nodo mondiale dei commerci di prodotti alimentari verso le economie emergenti. Usciamo (letteralmente) dal nostro orticello e andiamo a vedere cosa succede sul mercato globale e sui mercati arabi d’alta gamma, che possono interessare anche la nostra, richiestissima industria alimentare. Molti di questi trend stanno già suscitando l’interesse dei target più ricettive anche alle nostre latitudini. Eccoli.

  1. Senza glutine – aumentano gli esami per scoprire l’intolleranza al glutine, e di conseguenza le diagnosi. I prodotti gluten free confezionati o le alternative (cereali come quinoa o amaranto) si stanno diffondendo su tutti i mercati.
  2. Etichette trasparenti – sempre più consumatori non si accontentano di vaghi proclami di naturalità di un prodotto: pretendono etichette chiare e comprensibili, con informazioni nutrizionali e sulla provenienza. Non sempre le leggi (Ue ad esempio) sostengono questo desiderio. Le App per smartphone invece sì. Da quelle per la salute a quelle che calcolano calorie e aspetti nutrizionali di un prodotto, scansionando il bar code.
  3. Veganesimo e crudismo – due filosofie alimentari che continueranno a influenzare i menu dei ristoranti (e gli scaffali dei supermercati con la proposta di freschi e prodotti vegan friendly)
  4. Grassi e carboidrati “buoni” – grassi insaturi e trans addio, olio d’oliva e acidi grassi omega 3 entrano sempre più nella dieta di chi ha a cuore la salute. Nella lista nera anche carboidrati semplici (raffinati) e dolcificanti artificiali. Tra gli emergenti c’è lo zucchero di cocco.
  5. Cibo fermentato – i benefici per la salute degli alimenti fermentati, ricchi di batteri vivi, decreteranno il crescente successo di yogurt, kefir, verdure fermentate come kimchi e crauti. Sul fronte bevande ci sono i tè fermentati come il kombucha
  6. Proteine alternative – ok, si mangiano da sempre eppure nel tentativo di trovare fonti alternative alle proteine della carne gli insetti sono davvero pronti per la diffusione globale? Ne parlano, tra gli altri, “Forbes” e il “Daily Mail”. Intanto molti optano per più abbordabili alghe,  siero di latte, legumi e l’intramontabile soia.
  7. Affumicature – le affumicature a caldo o a freddo con vari tipi di legni migra dalla carne ad altri alimenti: burro, formaggio, verdure, cocktail e anche sale, zucchero e paprika

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  8. Alchimia di spezie – la diffusione di cucine da tutto il mondo e il desiderio di limitare l’apporto di sale (causa ipertensione) ha aperto la strada all’uso di spezie e mix per dare sapore e gusto ai piatti. Spezie vecchie e nuove: cumino, zafferano, cardamomo, ma anche harissa, sommacco, zaatar, pepe di Aleppo e pepe di Marsh.

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  9. Semi e frutta secca – come ingrediente in cucina o in snack e barrette, o sotto forma di farina come alternativa al grano o per creare formaggi vegetali (quello con farina di mandorle ad esempio), la frutta secca è protagonista perché ricca di minerali, vitamine, proteine e acidi grassi omega 3.
  10. Fusione di sapori – per stimolare un consumatore esigente ed annoiato, i produttori provano accostamenti inediti di sapori. Dall’ormai classico (da noi) peperoncino e cioccolato e cannella e arancio, a wasabi e cioccolato, sale marino e caramello, fragole e fave, ostriche e kiwi…
  11. Matcha – è il tè verde giapponese, noto da secoli, che si presenta come una polvere finissima. È ricco di antiossidanti e betacarotene, dunque il uso uscirà dal ghetto del gelato verde da ristorante giapponese per diventare, caldo o freddo, il re delle bevande utili per la salute, anche in bevande già pronte in lattina, gassate o a base di latte
  12. productAcqua di … – le bevande gassate e zuccherate, tra le principali cause dell’obesità specie infantile, sono da tempo sotto il fuoco di fila incrociato di medici e nutrizionisti. Il mondo è in cerca di alternative salutari. Dopo l’acqua di cocco, invaderanno il mercato le acque di acero, cactus e anguria, ricche in sali minerali e vitamine e povere di zuccheri e calorie.
  13. La consistenza fa il gusto – fragrante, morbido, polposo in combinazioni variabili all’interno dello stesso prodotto: anche così si conquista il consumatore del 2015 (e oltre)
  14. La rivoluzione del packaging – aumentano le richieste: garantita sicurezza e igiene, i nuovi packaging devono essere anche sostenibili, riciclabili, contenere tutte le informazioni richieste sul contenuto, trasmettere la storia del prodotto, garantire nuove funzioni e creare nuove esperienze
  15. Cibi pronti – L’urbanizzazione e l’aumento della forza lavoro porterà anche nelle economie emergenti a una richiesta di cibi preparati e confezionati, mancando il tempo di cucinare a casa
  16. Alimenti di origine animale da fonti sostenibili – i ristoranti top di gamma dei Paesi del Golfo stanno già andando incontro ai desideri di una clientela internazionale.
  17. Halal – già copre un quinto del commercio alimentare mondiale, e nel 2018 dovrebbe valere 1600 miliardi di dollari. Non solo carne, ma anche scatolame e latticini possono essere halal.
  18. Ingredienti locali, chilometro zero – dalla carne ai frutti di mare alla frutta, dove è possibile si coltiverà localmente.
  19. Salute e biologico – Con l’aumento del benessere aumenteranno anche le malattie del benessere, e quindi la richiesta di cibo sani, naturali, senza additivi: un settore che entro il 2018 varrà nelle economie emergenti 1,5 miliardi di USD.
  20. Più carne. Difficile da sottoscrivere, con tutti gli allarmi di medici e nutrizionisti, ma la domanda di cibo ad alto contenuto proteico come carne e latticini aumenterà nelle economie emergenti, e anche la richiesta di carne halal macellata secondo i dettami della legge islamica.

Prezzi freddi a dicembre. E la deflazione soffia in Europa

Nel giorno in cui Eurostat ha ufficializzato le stime sull’inflazione annuale a dicembre che si attesterebbe al -0,2%, certificando di fatto la deflazione nell’economia del vecchio continente, l’Istat ha anticipato i dati dei prezzi al consumo.

La deflazione in Europa è guidata dalla caduta dei prezzi dell’energia (-6,3% a dicembre rispetto a -2,6% a novembre), mentre i prezzi per il cibo, l’alcol e il tabacco e i beni non energetici si sono mantenuti stabili. L’unica crescita annuale prevista riguarda i servizi (+1,2%, stabile rispetto a novembre).

Prezzi freddi anche in Italia, secondo l’Istat. Secondo le stime preliminari dell’Istituto di Statistica nel mese di dicembre 2014, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, mostra una variazione nulla sia rispetto al mese precedente sia nei confronti di dicembre 2013 (il tasso tendenziale era +0,2% a novembre).

La sostanziale stabilità su base mensile dell’indice generale è la sintesi del calo congiunturale dei prezzi degli Energetici non regolamentati (-3,5%) e del rialzo mensile dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+2,6%), in larga parte condizionati da fattori stagionali. Si allarga così la forbice tra tra servizi e beni si amplia di mezzo punto percentuale rispetto a novembre 2014.

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I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,1% in termini congiunturali e fanno registrare una flessione tendenziale dello 0,2% (dal +0,4% di novembre). Scomponendo i prezzi dei prodotti alimentari l’Istat rileva una stabilità su base mensile e una crescita dello 0,9% su base annuale dei prodotti lavorati, contro un lieve incremento su base mensile (+0,2%) e una riduzione annuale dello 0,8% di quelli non lavorati

Da notare che invece l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) dei beni alimentari (incluse bevande alcoliche) e tabacchi diminuiscono dello 0,1% in termini congiunturali e dello 0,3% in termini tendenziali (era +0,3% a novembre).

La carica dei funzionali

Quello degli alimenti funzionali è un settore che si sta rivelando anticiclico perché molto apprezzato dai consumatori,  entusiasmati dalle promesse salutistiche, e più profittevole per i produttori.

La crisi, infatti,  non tarpa le ali alle scelte salutistiche dei consumatori italiani. Anzi, nel corso del 2013 le vendite di alimenti che possono entrare in questa vasta e innovativa famiglia sono cresciute, a conferma del bisogno dei nostri connazionali di fare scelte più sane a tavola e che tutte le preoccupazioni legate al connubio cibo/salute rimangono ben presenti a guidare le scelte di acquisto/consumo nonostante i pochi soldi in tasca.

Non a caso, secondo il Rapporto Coop Distribuzione & Consumi 2014, la metà degli italiani si è dichiarata a dieta, seguendo un regime alimentare particolare, non necessariamente corretto ma sicuramente “gratificante”, per migliorare benessere e forma fisica. Tuttavia la spending review in atto da parte dei nuclei famigliari italiani spinge i consumatori a rimodulare le scelte in virtù della maggiore convenienza, per esempio spostando il baricentro del mercato dal canale specializzato, come farmacie, parafarmacie, a ipermercati e supermercati, che stanno cogliendo la palla al balzo e stanno ampliando lo spazio dedicato a questi prodotti. Non più visti solo come nicchie rivolte a un’esigua percentuale dei clienti, più evoluti e altospendenti, ma come segmento “trasversale” del Lcc, con una forte e crescente capacità di attrazione per diversi cluster di consumatori. Inoltre, la “funzionalità”, ossia la promessa di questi prodotti di aiutare l’efficienza del nostro corpo, si sta allargando e sta coinvolgendo nuove famiglie merceologiche, da yogurt e altri derivati del latte a prodotti da forno, pasta, conserve vegetali, insomma i capisaldi dell’alimentazione all’italiana.

Continua a leggere sull’ultimo numero della rivista sfogliabile Schermata 2014-12-23 alle 10.11.09

Rapporto Ismea-Qualivita: export si conferma traino per Dop e Igp

Al primo posto il Grana Padano DOP, seguito dal Parmigiano-Reggiano DOP e, in terza posizione, dalla Mela Alto Adige IGP. Sono i top seller della speciale classifica elaborata da Qualivita, che misura le performance economiche dei 269 prodotti italiani a denominazione di origine.

Seguono Prosciutto di Parma DOP, Pecorino Romano DOP, Aceto Balsamico di Modena IGP, Gorgonzola DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP, Speck Alto Adige IGP, Mela Val di Non DOP, Prosciutto di San Daniele DOP, Mortadella Bologna IGP, Bresaola della Valtellina IGP, Taleggio DOP e Toscano IGP.

Entrando nel dettaglio, il Grana Padano guida la classifica 2014 con circa 885 milioni di euro di fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale, 530 milioni all’export e il 30% della sua produzione che varca i confini nazionali. Poco distanziato è il Parmigiano Reggiano DOP: 809 milioni di euro il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. Anche in questo caso il 30% della produzione viene esportato. Terza classificata la Mela Alto adige IGP, principalmente riguardo alla quantità percentuale exportata (pari al 61%) ha comunque buone performance economiche.

Significativi i risultati anche del Prosciutto di Parma DOP (4°): 500 milioni di euro per il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 241 milioni all’export. Il Pecorino Romano (4° pari merito) primeggia soprattutto per la quantità di produzione certificata esportata.

prodotti dop e igp

Il Rapporto sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp e Stg, pubblicato da Ismea e Qualivita segnala una flessione del fatturato delle Dop e Igp, anche se cresce l’export, che si conferma fattore di traino.

Produzione in calo
Nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%. Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Passando ad analizzare i valori di mercato, si osserva un giro di affari potenziale di 13 miliardi di euro di fatturato al consumo – di cui 9 registrati sul mercato nazionale – e di 6,6 miliardi di euro di fatturato alla produzione – di cui 2,4 miliardi sono il fatturato all’export alla dogana (+ 5%).

Per numero di registrazioni, l’Italia si conferma leader con 269 prodotti (161 DOP, 106 IGP, 2 STG); seguono la Francia con 219, la Spagna con 180, il Portogallo con 125, la Grecia con 101. Per quanto riguarda la Germania, il numero totale delle sue denominazioni scende notevolmente a causa della cancellazione della categoria delle acque minerali. Si conferma anche nel 2014 il ruolo attivo dei Paesi dell’Europa dell’Est, che continuano ad aumentare il numero di prodotti registrati.

Il numero totale di denominazioni in Europa al 30 Novembre 2014 è di 1249, suddivise in 583 DOP (46,7% sulle denominazioni totali), 617 IGP (49,4% delle denominazioni) e 49 STG (che continuano ad avere un ruolo marginale con il 3,9%)

Molti prodotti, pochi vincitori
Le criticità dei prodotti a denominazione sta nei numeri rilevati dal rapporto Ismea-Qualiivita, che non cambiano i rapporti interni ai 269 prodotti. Vale a dire che osservando il fatturato alla produzione generato dai singoli prodotti, si continua a rilevare una forte concentrazione dei valori su poche denominazioni.

Nel 2013 la quota delle prime dieci DOP e IGP è pari all’81% del fatturato. Inoltre si registra per questo valore un calo dell’1,7%, generatosi a causa esclusivamente della flessione del mercato interno (-5,2%) che sconta ancora le conseguenze della crisi dei consumi. Per lo stesso motivo, il fatturato al consumo sul mercato nazionale registra una flessione del 3,8%. In termini assoluti, nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%.

Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Proprio nel comparto degli oli d’oliva (e degli ortofrutticoli) il rapporto Ismea-Qualivita rileva un’asimmetria nel peso sul totale in termini di numero di denominazioni e di fatturato. Tale asimmetria deriva dal fatto che, nonostante il grande numero di riconoscimenti, soltanto poche denominazioni sviluppano apprezzabili valori di mercato, mentre la gran parte dei prodotti realizzano fatturati estremamente limitati.

Per quanto riguarda i comparti, gli ortofrutticoli e cereali si confermano a livello europeo la prima categoria per numero di prodotti con il 27,3% del totale (341 prodotti), seguito a forte distanza dai formaggi con il 17,8% (223 prodotti), dai prodotti a base di carne con 12,4% (155 prodotti), dalle carni fresche 11,8% (147 prodotti) e dagli oli e grassi con 10% (125 prodotti).

La cartina al tornasole di questa situazione è il livello di concentrazione dei comparti.

Quello dei formaggi, che rappresentano il principale comparto delle DOP e IGP, con un’incidenza nel 2013 tra il 54 e il 58 % circa, rispettivamente sul fatturato al consumo nazionale e sul fatturato alla produzione, comprensivo dell’export, continua a essere molto concentrato: i primi due prodotti, Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP, rappresentano il 71% del valore totale alla produzione, i primi cinque quasi il 90% e i primi dieci circa il 97%. Nei prodotti a base di carne, i primi cinque per fatturato alla prima fase di scambio (nell’ordine: Prosciutto di Parma DOP e Prosciutto San Daniele DOP, Bresaola della Valtellina IGP, Mortadella Bologna IGP e Speck Alto Adige IGP) rappresentano oltre l’89% del valore totale. Per mon parlare degli ortofrutticoli nei quali le due principali mele coprono in termini di fatturato alla produzione quasi il 78% dei 451 milioni di euro complessivi (di cui 194 realizzati sui mercati esteri).

Questioni aperte
Secondo il presidente di Ismea Ezio Castiglione «Il sistema italiano dei prodotti agroalimentari a denominazione protetta mantiene un buono stato di salute. L’export, ancora in crescita sostenuta, resta tuttavia l’unico elemento trainante. Continua invece a drenare fatturato il mercato interno, anche se i consumi, in una situazione quest’anno un po’ meno critica, stanno tendendo gradualmente a stabilizzarsi. Il più 5% delle vendite all’estero – ha proseguito Castiglione – conferma il successo del Brand Italia oltre confine, dove gli spazi di crescita restano ampi e incoraggianti.

Sfruttare i potenziali significa però agire con maggiore determinazione sulle leve aziendali, in particolare sulla competitività, in un mercato reso nel frattempo più trasparente dal Pacchetto Qualità che, con la protezione ‘ex officio’,  impone agli Stati Ue la tutela delle denominazioni d’origine contro i falsi. Cruciale sarà anche l’esito dei negoziati nell’ambito dell’accordo bilaterale con gli Usa. L’inserimento della tutela dei marchi di origine tra i punti fondamentali della trattativa rappresenta un importante passo in avanti: bisognerà adesso tradurlo nei testi attuativi».

Alberto Mattiacci, processore alla Sapienza di Roma evidenzia a sua volta come il valore del sistema IG poggi su tre pilastri connessi: il contributo del food a formare l’identità del Paese e dei suoi cittadini, il rilevante peso che riveste nell’economia nazionale e la salubrità che conferisce alla popolazione. «Questi pilastri – evidenzia il docente – vanno consolidati, attraverso programmi, rispettivamente, di tutela, valorizzazione e controllo, così da innescare un ulteriore circuito virtuoso di sviluppo. In tale scenario, i temi aperti da risolvere attengono la ancora bassa e frammentaria consapevolezza e conoscenza delle DO da parte dei consumatori e gli ancora insufficienti sforzi distributivi (sia come penetrazione che merchandising) e comunicativi»

In particolare il rapporto rileva che il budget dichiarato che viene investito in comunicazione si aggira intorno ai 30 milioni di euro, per il 76% speso dal comparto dei formaggi a DO e per il 15% dei prodotti a base di carne a DO. La scelta preminente tra i media rimane quella della televisione, seguita dalla partecipazione a fiere (nazionali ed estere) e dalla stampa. Marginali gli investimenti sul web.

Da segnalare come i Consorzi di tutela non si avvicinino ancora alla comunicazione social, probabilmente la migliore soluzione comunicativa in termini di rapporto costi-efficacia. Solo il 43% degli organismi di tutela dichiara, infatti, di gestire un canale social per valorizzare la propria IG.

 

Fabrizio Gomarasca

Saldi invernali: Federdistribuzione chiede di anticiparli al 3 gennaio

Da Federdistribuzione arriva un grido d’allarme e una richiesta precisa: anticipare le date dei saldi invernali al 3 gennaio. In gioco ci sono circa 600 milioni di euro.

Il perdurare della crisi economica che attanaglia il Paese – si legge in una nota diramata dall’associazione della distribuzione moderna – ha reso quest’anno particolarmente carico di attese il momento dell’avvio dei saldi invernali, sia per i consumatori che per tutte le imprese del commercio interessate. I primi, con un potere d’acquisto costantemente in calo, stanno aspettando i prezzi vantaggiosi che garantiscono le vendite di fine stagione e le seconde vedono in quell’evento l’occasione per recuperare parte delle vendite che non sono riusciti a ottenere nei mesi precedenti, anche a causa del perdurare di una situazione climatica anomala, con temperature eccessivamente elevate rispetto alle medie stagionali, che ha disincentivato i consumatori dagli acquisti di capi invernali.

L’avvio dei saldi è stabilito, prosegue la nota, nella maggioranza delle Regioni, per il 5 gennaio, un lunedì. Ciò in seguito anche a un indirizzo espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ha recepito una regola condivisa dagli operatori.

Ma nel 2015 si verifica una situazione anomala, perché il 5 gennaio è un lunedì e, secondo Federdistribuzione, questo fatto rischia di penalizzare l’inizio delle vendite di fine stagione. Non includere il sabato 3 e la domenica 4 gennaio significa perdere uno dei più importanti fine settimana di vendita nel retail.

I calcoli sono presto fatti. I saldi invernali sviluppano vendite per 5,5 / 6 mld € e il primo fine settimana ne rappresenta storicamente il 20%, cioè  1,1 / 1,2 mld €. Un avvio dei saldi invernali come quello previsto per il 2015, tra vendite perse nel week end precedente ed avvio lento lunedì 5 gennaio, potrebbe comportare una perdita di fatturato tra 500 e 600 milioni di euro, che rischierebbe di non essere recuperata in seguito proprio per la mancata spinta iniziale e per il perdurare della grave crisi economica.

Viceversa partendo con quattro giorni utili (dal 3 al 6 gennaio) si potrebbero realizzare vendite pari a 1,7 miliardi di euro, con beneficio a un settore del commercio che non solo soffre per il calo dei consumi, ma anche per la concorrenza dell’online.

Per questo motivo Federdistribuzione ha portato la questione all’attenzione de della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha dimostrato disponibilità ad esaminare la questione.

Consumatori italiani fedeli e informati: lo dice la ricerca Aimia Lens 2014

Quanto sono fedeli gli Italiani al proprio supermercato? La risposta arriva da Aimia, leader mondiale nel settore del loyalty management (al quale appartiene Nectar) che ci svela le abitudini e i comportamenti di acquisto degli italiani e il loro rapporto con i programmi fedeltà. Dall’indagine Aimia Loyalty Lens 2014 emerge infatti che i consumatori italiani sono sempre più attenti all’ottimizzazione degli acquisti, tanto che il 59% degli intervistati possiede una carta fedeltà multipartner.

La ricerca ha inoltre permesso di stilare una classifica che vede i supermercati al primo posto per diffusione dei programmi fedeltà, con il 69% degli intervistati iscritti ad un programma della GDO. Indagando le motivazioni per le quali i consumatori italiani iscritti a un programma loyalty restano fedeli a un supermercato, le principali risultano: la possibilità di raggiungerlo comodamente (21%), la convenienza dei prezzi (18%), e vedere premiata la propria fedeltà (17%).

Al secondo posto della classifica dei quindici settori analizzati si trova quello dell’elettronica di consumo, con il 63% del campione iscritto a un programma fedeltà, seguito dai carburanti con il 33%.

Le motivazioni

Cosa spinge a essere fedeli? In generale, i riconoscimenti ottenuti per la propria fedeltà: così è per il 19% degli iscritti ai programmi delle carte di credito e delle compagnie aeree, e per ben il 21% degli iscritti a programmi del settore carburanti.

Per gli iscritti ad un programma loyalty, la fedeltà premiata è un vantaggio più importante di un prezzo conveniente. Questo aspetto emerge con decisione nei settori dei carburanti (21% contro 16%), delle carte di credito (19% contro 6%), delle compagnie aeree (19% contro 11%) e degli hotel (18% contro 12%).

Metodologia della ricerca

©Aimia Loyalty Lens è stata condotta su un campione di 2.000 consumatori per nazione. Il campione italiano è distribuito su tutto il territorio nazionale ed è composto per il 51% da donne e per il 49% da uomini, tra le fasce di età 18-24 (12%), 25-34 (15%), 35- 44 (19%), 45-54 (16%), 55-64 (27%) e oltre 65 (11%).

 Identikit di Nectar

Nectar, che fa parte del Gruppo Aimia, è il primo programma multipartner in Italia, presente dal 2010, che integra in un’unica carta fedeltà la raccolta punti di tante insegne di settori merceologici differenti, permettendo ai consumatori di raccogliere più punti e più in fretta. I partner del programma Nectar sono oggi: i supermercati Simply, IperSimply, Punto Simply, le stazioni di servizio IP, gli ipermercati Auchan, i negozi di elettronica ed elettrodomestici Unieuro, i distributori di carburante Tamoil, le agenzie di autonoleggio Hertz, il  portale online di libri e home entertainment IBS.it, Libraccio.it, il network di agenzie di viaggio Welcome Travel, i negozi di abbigliamento Original Marines, SaldiPrivati, il club di vendite private ‘solo su invito’, il comparatore di assicurazioni online Chiarezza.it, i rivenditori di pneumatici Driver e oltre 60 siti di e-commerce.

 

Panieri Nielsen: a ottobre i basici stabili, bene gli altri

Nella particolare analisi dei consumi, i Sei panieri del largo consumo elaborati da Nielsen offrono una lettura originale dell’economia reale. Ogni paniere, infatti è in grado di raccontare una storia: dalla lettura dei trend delle vendite nella grande distribuzione, dei prodotti individuati e inseriti nei diversi panieri, si può capire l’evoluzione dei comportamenti di acquisto e di consumo degli italiani.

A ottobre, questi indicatori volgono al bello, con cresce anche modeste, ma crescite, di alcuni comparti, anche se all’interno dei sub-insiemi che li compongono vi sono scostamenti anche rilevanti.

L’andamento dei Panieri Nielsen a ottobre panieri nielsen

L’unico a rimanere stabile è quello dei Basici, che include tutti gli alimenti necessari alla preparazione del primo piatto “classico”, tipico prodotto della tradizione italiana e pilastro della dieta mediterranea. Accanto alla pasta e al riso sono presenti tutti i condimenti, salse, sughi pronti, ma anche pesto, panna, besciamella. Sempre nei primi piatti sono presi in considerazione i legumi, anche loro prodotti tipici della dieta mediterranea. Se questi ‘tengono’, in calo sono invece i prodotti della prima colazione.

Nielsen propone un piccolo approfondimento riguardo la categoria dei Pronti da mangiare, categoria molto amp che va dallo snack a pasti principali. Ebbene, sottolinea Nielsen, la crescente esigenza di “risparmio di tempo” ha creato nel corso degli anni una maggiore apertura dei consumatori verso prodotti che offrono un risparmio, non tanto in termini economici, considerando i prezzi sempre più alti rispetto ai prodotti basici, ma in termini di tempo, risorsa che con l’attuale ritmo di vita è sempre meno disponibile.

Porte aperte dunque ai prodotti che offrono piatti pronti da utilizzare nei pasti principali: primi piatti e soprattutto secondi piatti freschi o surgelati che nel mese di ottobre trainano il mercato. Tra l’offerta dei secondi piatti spiccano per performance positive i prodotti freschi pronti a base di carne bianca e il pesce surgelato panato.

Un’altra anima del pronto è invece quella più dolce, che riempie i momenti “fuori pasto” e di autogratificazione. Nei punti vendita spopolano sempre di più proposte di pasticceria, torte pronte, gelati, snack e dessert dolci, prodotti a base di cioccolato e di acquisto d’impulso come le caramelle e le gomme da masticare.

Tuttavia dal punto di vista delle vendite è il comparto a maggiore sofferenza sia a volume sia in termini di fatturato. A trainare la performance negativa di questa area è il mondo del fuori pasto dolce trainata dalle gomme da masticare e dagli snack dolci. Tutta un’altra storia invece se parliamo del mondo dolce da forno che include i prodotti di pasticceria che vedono per il secondo anno una crescita di oltre il 5%.

 

Caffè, calano i consumi e anche le capsule rallentano la crescita

Nel 2013 l’Italia che detiene il 3° posto fra i Paesi maggiori importatori di caffè, figura al 10° posto per consumo pro-capite (pari al 7,46% dei consumi apparenti mondiali e al 13,50% di quelli dell’UE). I consumi interni hanno manifestato un calo dei volumi dovuto sia a un calo (più leggero) di quelli domestici che al calo (più pesante) nell’extra-domestico: i consumi pro capite di caffè (5,56 kg) risultano infatti diminuiti rispetto al 2012 (-1,24 percento). È una situazione in controtendenza rispetto alla media europea dove i consumi pro capite (4,94 kg) risultano in aumento del 2 percento.

Lo afferma Patrick Hoffer, presidente del Comitato Italiano Caffè, l’organismo di coordinamento delle associazioni nazionali di categoria che operano nella filiera italiana del caffè.

È un mercato maturo, vivace e che cambia velocemente. Lo dimostra il dato del pozionato che, sottolinea Hoffer «continua a crescere, rispetto al macinato moka, sostanzialmente stabile. Nei primi mesi dell’anno, le vendite di caffe’ porzionato hanno sfiorato una crescita del 6%».

La produzione di caffè monoporzionato, che include anche l’importazione delle capsule speciali facenti capo a Nespresso Italia e Nestlè Italia, cresce del 9,1% a valore nel 2013 attestandosi a 982,0 Mn di euro. La crescita, anche nel 2013, è stata sostenuta dalle esportazioni, aumentate del 17,6%, mentre rallenta la crescita il mercato interno, + 5,3% nel 2013, per un valore di mercato di 655,0 Mn di euro.

Flettono del 3,2% le cialde in carta, che, oltre al calo dei prezzi medi di vendita, vedono arrestare la crescita all’interno della Grande Distribuzione Alimentare, e la sostituzione con le capsule nel canale uffici. Fanno infine registrare un calo maggiore le capsule in plastica, -8,9%, dove un ruolo molto importante ha giocato un calo sensibile dei prezzi medi nel canale uffici/OCS (canale di vendita principale), anche a seguito di offerte estremamente competitive veicolate attraverso internet, e l’andamento negativo dei consumi.

Quanto  all’esportazione, L’Italia rappresenta il 3° paese in Europa per l’export di caffè torrefatto (con circa 3,2 milioni di sacchi, equivalente a 186 milioni di kg di caffè verde), mentre, a livello mondiale, è al 4° posto, alle spalle della Germania, del Belgio e degli Stati Uniti.

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