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Tag: esportazioni

Americani innamorati della dieta mediterranea: vola l’export di formaggi, vino e olio

Volano le esportazioni negli Stati Uniti dei prodotti-simbolo dello stile alimentare italiano che negli ultimi dieci anni hanno fatto registrare aumenti in valore anche a tripla cifra: dal +67% dell’olio d’oliva al +193% della pasta. Il dato emerge da una recente analisi di Coldiretti su dati Istat elaborata per il Summer Fancy Food 2024 e diffusa in occasione dell’iniziativa al Farmers Market Grow Nyc di Union Square a New York, nella prima giornata dedicata alla Dieta mediterranea negli Usa, alla presenza del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, dell’Amministratore Delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia e del Direttore di Campagna Amica Carmelo Troccoli.

Nel più famoso mercato contadino della Grande Mela, insieme al Consorzio mozzarella di bufala campana Dop e a quello del Grana Padano Dop, gli agricoltori della Coldiretti si sono messi all’opera coinvolgendo le famiglie newyorchesi nella preparazione della pasta fatta in casa e nella conoscenza di alcune delle ricette della tradizione contadina che esaltano i prodotti del vero made in Italy. Una lezione di dieta mediterranea con la speciale partecipazione di Mimmo La Vecchia, uno degli storici casari italiani che, per la prima volta, ha portato a New York l’arte della vera mozzarella di bufala, facendo vedere dal vivo le diverse fasi di lavorazione di uno dei prodotti principali del nostro made in Italy promosso dal Consorzio di tutela.

Le vendite di pummarola&co. negli States sono praticamente triplicate (+133%) ma anche i formaggi, dal Parmigiano Reggiano dop al Grana Padano dop, sono quasi raddoppiate con +86%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. E anche il vino è sempre più presente sulle tavole americane con un incremento del 63% in valore. Ma il prodotto simbolo resta l’olio d’oliva, con gli Stati Uniti che hanno scavalcato la Spagna al secondo posto tra i maggiori consumatori mondiali, con 375mila tonnellate, ed entro il 2030 potrebbero superare addirittura l’Italia.

Export del cibo italiano alle stelle, è boom in Germania, UK e Stati Uniti

Le esportazioni di cibo Made in Italy crescono il doppio (+19%) del dato generale ad aprile e fanno segnare un nuovo storico record nonostante le tensioni internazionali, con guerre e blocchi che ostacolano i transiti commerciali. È quanto emerge da una recente analisi Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio estero del quarto mese del 2024 nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente.

Tra i principali Paesi acquirenti, la crescita più consistente si registra sul mercato statunitense, il primo sbocco extra Ue, con un aumento del 29% delle vendite di alimentari tricolori – rileva Coldiretti –, ma l’aumento è a doppia cifra anche in Gran Bretagna (+17%) e in Germania (con un +15%). L’agroalimentare nazionale si conferma pure e in Francia, dove si registra un +9%. Tra gli altri mercati, da segnalare la crescita del 17% in Cina e del 40% in Russia. Se si guarda il dato del quadrimestre, le esportazioni agroalimentari totale hanno raggiunto il valore di 22,6 miliardi di euro, portando in positivo il saldo commerciale rispetto alle importazioni.

Un risultato che potrebbe migliorare il record fatto segnare nel 2023, per un valore che ha superato i 64 miliardi di euro, secondo l’analisi Coldiretti. Per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia nazionale serve però rimuovere gli ostacoli commerciali ma anche agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra sud e nord del paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. L’obiettivo – conclude Coldiretti – è portare il valore annuale dell’export agroalimentare a 100 miliardi nel 2030.

Distretti agroalimentari in crescita: nel 2023 export a 27 miliardi (+4,5%). Soffre il vino

I distretti agroalimentari archiviano il 2023 con un bilancio positivo: le esportazioni sfiorano quota 27 miliardi di euro, con un progresso del 4,5%, quasi 1,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Il risultato è in linea con quello registrato dal totale export agroalimentare italiano, che ha segnato un +5,8% nel 2023 (i distretti ne rappresentano il 43%). A mettere nero su bianco i dati il Monitor curato dal Research Department di Intesa Sanpaolo.

“Il grande apprezzamento all’estero di alimenti e bevande italiani continua a crescere e a rendere sempre di maggior interesse per le aziende rafforzare la propria presenza nei mercati stranieri” ha dichiarato Massimiliano Cattozzi, Responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo. “A servizio di questo sviluppo e della competitività, abbiamo destinato 20 miliardi di euro al comparto grazie all’accordo siglato con il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, insieme a Cassa Depositi e Prestiti. Un intervento a cui si accede grazie a linee di finanziamento come Crescita Agri, parte del programma Il tuo futuro è la nostra impresa, dedicata ad investimenti in azienda modulabili sul ciclo produttivo della filiera di appartenenza per soluzioni di efficientamento energetico e crescita internazionale”.

L’unica filiera a mostrare un segno leggermente negativo nell’evoluzione annuale è quella del vino, che recupera parzialmente nell’ultimo trimestre del 2023 e realizza nel complesso dell’anno solo un lieve calo in valore (-0,7% rispetto al 2022), determinato soprattutto dall’arretramento sui mercati nordamericani (Stati Uniti -7,4% e Canada -9%). Tra i distretti, spicca positivamente la performance del prosecco di Conegliano-Valdobbiadene (+4,3%), a cui si aggiungono i vini e distillati del Friuli (+9,2%), di Bolzano (+6,6%) e di Trento (+2,3%). Soffrono invece tre grandi distretti, territori di produzione di importanti vini rossi italiani, i vini di Langhe, Roero e Monferrato (-4,4%), i vini dei colli fiorentini e senesi (-4,5%) e i vini del veronese (-1,9%), tutti con marcati arretramenti oltreoceano, anche se bisogna rilevare che negli anni passati i buyer statunitensi avevano fatto importanti scorte di vino italiano, favorite anche da un dollaro forte e da un effetto cambio favorevole.

Rallenta, ma resta in territorio positivo, la filiera della pasta e dolci: il lieve calo del quarto trimestre (-0,6% tendenziale) non pregiudica il bilancio positivo dell’anno 2023 (+4,8%) ossia 214 milioni di vendite in più sui mercati esteri. Di questi, ben 142 milioni sono stati realizzati dal comparto pasta e dolci dell’alimentare di Parma. Ottima performance anche per i dolci di Alba e Cuneo, con un +5% nel 2023; registrano invece una battuta d’arresto i comparti pasta e dolci dei due distretti campani: -4% per l’alimentare napoletano; -10,4% per l’alimentare di Avellino.

Recupera invece la filiera dei distretti agricoli, grazie all’ottimo risultato del quarto trimestre del 2023 (+14,2%) che riporta in positivo il bilancio dell’intero anno (+3,2% rispetto al 2022). Ottimo recupero per l’ortofrutta romagnola: nonostante i danni prodotti dall’alluvione e dalle gelate primaverili, chiude in positivo il 2023 (+1,7% rispetto al 2022). Esportazioni in forte crescita nel 2023 per il distretto dell’agricoltura della Sicilia sud-orientale, che al suo interno ricomprende anche le zone di produzione del pomodoro di Pachino IGP (+38,4%). Ottimi risultati anche per l’ortofrutta dell’Agro Pontino, con un balzo di circa 29 milioni (+14%) di cui 22 verso la Germania (+22%). Arretrano leggermente l’ortofrutta del barese, (-3,3%), e le mele dell’Alto-Adige (-1,8%). Nel 2023 risultati molto positivi anche per la filiera delle conserve (+10,1%), determinata soprattutto dal principale distretto del comparto, le conserve di Nocera (+10,3%). Ottime performance anche per i comparti conservieri dell’alimentare di Parma (+24%) e dell’ortofrutta e conserve del foggiano (+21%); ha registrato una lieve contrazione solo il comparto conserve dell’alimentare di Avellino (-2%).

Luci e ombre all’interno della filiera delle carni, che nel complesso registra un +5,6% di crescita tendenziale nel 2023, ma nasconde dinamiche contrapposte tra i distretti che la compongono: progressi a due cifre per carni di Verona (+12%), salumi di Parma (+12,7%), salumi dell’Alto-Adige (+14,3%), che aggiunte al buon risultato dei salumi del modenese (+5,9%) riescono a compensare i cali delle carni e salumi di Cremona e Mantova (-13,3%), e dei salumi di Reggio Emilia (-11%). Il settore avicolo sembra entrato in una fase di normalizzazione, mentre il mercato suinicolo mondiale è ancora influenzato dalle problematiche legate alla diffusione della peste suina. Dinamica nel complesso positiva anche per la filiera del lattiero-caseario (+2,6% nel 2023): alle lievi contrazioni dei distretti della Lombardia (-2,1%) e di Reggio Emilia (-2,7%) si contrappongono le buone performance del distretto parmense (+11,5%), di quello sardo (+9,8%) e della mozzarella di bufala campana (+7,4%). Non si arresta la crescita a valore dei distretti dell’olio (+15,1%) dovuta in particolare al contributo dell’olio toscano, il principale distretto della filiera (+17,8%), ma anche all’exploit del comparto olivicolo del distretto dell’olio e pasta del barese (+30%). Sostanzialmente stabile l’olio umbro (-0,9%). Sul fronte dei prezzi, Il 2023 è stato un anno record nei listini degli oli di oliva: la scarsa produzione (anche da parte della Spagna) ha fatto crescere il prezzo alla produzione dell’olio evo italiano di circa il 50%.

Nella filiera del riso, entrambi i distretti realizzano crescite in valore a due cifre: Pavia +15,9% e Vercelli + 26,1%. La scarsa produzione mondiale causata dalla siccità, unita al blocco delle esportazioni da parte dell’India, ha spinto i listini del riso bianco ai massimi nel 2023. Progressi anche per la filiere del caffè (+5,3%), dove spicca il distretto del caffè e confetterie del napoletano (+13,7%). Il caffè di Trieste mostra un progresso dell’8% nel 2023; bene anche il distretto del caffè, confetterie e cioccolato torinese (+2,4%). Positivo il bilancio del 2023 anche per il distretto dell’ittico del Polesine e del Veneziano (+6,1%): i progressi verso Germania (+21%) e Croazia (+13,5%) compensano i cali sui mercati francese (-12%) e spagnolo (-3%). La Germania si conferma il primo partner commerciale per i prodotti dei distretti agroalimentari: il rallentamento dell’economia tedesca nel 2023 non ha ridotto le vendite verso questo mercato (+6,7% nel 2023). Chiudono invece in territorio leggermente negativo i flussi verso gli Stati Uniti (-1,4%), mentre crescono in Francia (+7,5%) e nel Regno Unito (+6,6%). Le economie emergenti, che rappresentano il 20% del totale delle esportazioni distrettuali agroalimentari, segnano nel complesso un progresso del 2,9% nel 2023 (rispetto al +4,9% delle economie avanzate).

Buon momento per latte e formaggi italiani ma pesano incognite su energia e clima

Scenario mediamente positivo per il latte e i formaggi italiani: a dirlo è l’Osservatorio di Clal, punto di riferimento per il comparto lattiero caseario e partner di Fieragricola di Verona. Per quanto concerne il latte, i valori alla stalla si stanziano intorno ai 51,50 €/100 kg nella fase attuale, grazie a costi della razione alimentare in parte in flessione (“con i prezzi della soia e della farina di soia che dovrebbero diminuire nei prossimi mesi, mentre i listini del mais potrebbero segnare una tendenza rialzista”, afferma Ester Venturelli di Clal) e a un mercato positivo del Grana Padano anche in chiave di export (+22,67% le esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano nei primi due mesi del 2024). Altrettanto rincuorante l’export dei formaggi italiani, contraddistinto da una crescita delle vendite in volume costante sin dagli anni Novanta, che tra il 2015 e il 2023 ha subito un’accelerazione del 67%.

Le incognite, al momento, restano legate al clima e all’energia, “fortemente connesse allo scenario geopolitico, tuttora instabile a causa della guerra in Ucraina, delle tensioni in Medio Oriente e nello stretto di Hormuz e, in proiezione futura, al possibile ricorso ai dazi come misura protezionistica, elemento che potrebbe complicare l’export agroalimentare” come dichiara Alberto Lancellotti, analista di Clal. A complicare il quadro potrebbero anche essere i cambiamenti climatici. In alcune aree del pianeta infatti, le consegne di latte potrebbero rallentare a causa dell’eccesso di precipitazioni (Nord Europa, Paesi Bassi, Irlanda, Regno Unito, Uruguay e Argentina) o per effetto della siccità (Sicilia, Sardegna, Spagna), influenzando allo stesso tempo le produzioni agricole.

La produzione mondiale di latte, comunque, è in crescita. Secondo le elaborazioni di Clal, le produzioni dei principali Paesi esportatori a livello mondiale (Ue-27, Argentina, Australia, Bielorussia, Cile, Nuova Zelanda, Uruguay, Usa) dovrebbero leggermente aumentare dello 0,39% nel periodo compreso fra aprile e settembre 2024, con una crescita superiore in Unione europea, nell’ordine del +0,44%, trascinata nel Vecchio Continente da Francia, Germania, Polonia, ma anche Italia. Nel contempo però è attesa una polarizzazione della produzione italiana: la nuova geografia delle produzioni che si sta delineando sulla Penisola potrebbe avere effetti in parte destabilizzanti sul mercato del latte spot (il latte in cisterna venduto con contratti di conferimento non superiori ai tre mesi). Se fra gennaio e febbraio di quest’anno le consegne di latte in Italia sono salite dello 0,7% a 2.193.505 tonnellate, il Nord ha segnato un’accelerazione dell’1,6% (con una produzione di 1.921.885 tonnellate), mentre il Centro e il Sud-Isole hanno perso rispettivamente il -4,8% e il -4,7% tendenziale. In termini concreti significa che al Centro-Sud mancano circa 50 cisterne di latte alla settimana rispetto alla domanda 2023, che vengono acquistate dal Nord Italia, innescando rialzi sul mercato del latte spot. Lo conferma il balzo (+6,32%) segnato in Borsa merci a Verona – riferimento su scala nazionale – dal latte spot lo scorso 20 maggio rispetto alla quotazione della settimana precedente, che ha raggiunto i 50,50 €/100 chilogrammi.

La filiera agroalimentare italiana cresce e sfiora i 600 miliardi di euro

Continua a crescere il peso della filiera agroalimentare estesa (che comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione) nell’economia italiana: vale ormai 586,9 miliardi di euro, l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, e genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano. Secondo i dati illustrati da The European House- Ambrosetti durante la presentazione dell’8° edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il food & beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che si terrà Bormio il prossimo 7 e 8 giugno, la filiera agroalimentare estesa nel 2022 ha attirato oltre 25 miliardi di euro di investimenti grazie al lavoro di 3,7 milioni di addetti.

“In un contesto di crisi permanente che ci accompagna dal 2020 tra emergenza sanitaria e tensioni internazionali, è la qualità della produzione agroalimentare Made in Italy il fattore che ha permesso al settore di continuare a crescere: siamo il primo Paese in Unione Europea per prodotti certificati (890 in totale), 326 dal mondo alimentare (valgono 8,9 miliardi di euro) e 564 dal settore vinicolo per oltre 11 miliardi di euro” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti.

Export in crescita
A fine 2023 le esportazioni agroalimentari italiane (agricoltura + prodotto trasformato) hanno raggiunto il valore record di 62,2 miliardi di euro, in media una crescita del 6,4% all’anno dal 2010 ad oggi e un incremento del 69% rispetto al 2015. Il settore del food and beverage contribuisce per 53,4 mld di euro, mentre il comparto agricolo vale 8,8 miliardi di export. “Nel 2010 l’agroalimentare incideva per l’8,2% sul totale delle esportazioni italiane, mentre nel 2023 ha sfiorato il 10% (9,9) in crescita di 1.7 punti percentuali negli ultimi 13 anni” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House-Ambrosetti. Numeri che posizionano oggi l’agroalimentare come primo settore manifatturiero in Italia per valore aggiunto generato con oltre 66 miliardi, più della produzione di macchinari e apparecchiature (43) e prodotti in metallo (37). Rispetto al PIL i 37 miliardi generati dall’agricoltura e i 29 da alimentare e bevande rappresentano il 3,8%, più di Germania (2,6%) e Regno Unito (2,1%), ma meno di Francia (4,5%) e Spagna, il paese con l’incidenza più alta: 5,2%.

Italia prima al mondo per quota castagne
Nonostante un lieve calo delle esportazioni dello 0,8%, il vino si conferma nell’ultimo anno il primo prodotto agroalimentare più venduto all’estero (7,8 mld euro) con una quota del 12,5% sul totale export agrifood. Alle spalle ci sono altri prodotti in buona crescita: i lavorati a base di farine, tra cui la pasta, che valgono 6,9 miliardi di fatturato all’estero, hanno registrato un +7,9% e hanno sorpassato i prodotti lattiero-caseari che si fermano a 6 miliardi (in crescita del 7,1%) oltre che frutta e vegetali trasformati (5,7 miliardi e crescita a doppia cifra nell’ultimo anno:+11,1%). L’export italiano è da primato mondiale per diverse categorie di prodotto: siamo primi per quota di mercato di pasta (45%), amari e distillati (42%), passata di pomodoro (27%), castagne (23%) e verdure lavorate dove l’Italia guida il mercato con il 20% di quota. La Penisola è anche al secondo posto nel mercato globale del vino (20%) dopo la Francia, della farina di riso (20%), delle nocciole (15%), delle mele (13%) e dei kiwi (12%). “L’Italia, oltre a essere tra i maggiori esportatori di prodotti agroalimentari è il primo Paese per valore unitario del prodotto che esporta tra i competitor europei: se nel 2023 il valore medio di un prodotto italiano è di 244 euro per 100kg, i prodotti spagnoli si fermano a 210 euro, quelli tedeschi a 168 euro per quintale e i francesi a 135 euro” ha sottolineato Benedetta Brioschi.

Volano formaggi e carni
Come emerge dai dati TEHA, quella del vino si conferma la filiera di produzione certificata italiana a maggior valore grazie a 11,3 miliardi di euro fatturati nel 2022 (+4,6%) e precede quella dei formaggi (5,2 miliardi) che cresce a doppia cifra: +11,6%. Molto importante anche l’incremento del fatturato di prodotti a base di carne (+7,5% a 2,3 miliardi di euro) così come quello di paste alimentari (+9,2% per 268 milioni in totale), carni fresche (5,0%, 103 milioni) e panetteria e pasticceria (+5,1%, 105 milioni). In negativo, invece, il settore dell’olio d’oliva con un fatturato in diminuzione del 4,0% a 85 milioni di euro e dell’aceto balsamico, in calo del 5,0%, ma a quota 387 milioni di euro.

Lombardia, la regione dei primati
Nel 2022, la filiera agroalimentare lombarda ha raggiunto un fatturato di 48 miliardi di euro, grazie a un aumento del 34% rispetto al 2015, confermandosi la prima regione in Italia per fatturato. Secondo i dati elaborati da The European House-Ambrosetti la regione si distingue anche nel settore delle produzioni certificate, con un fatturato di 2,5 miliardi di euro nel 2022, aumentato del 15% rispetto al 2021. Eccellenza anche nell’export: nel 2023 ha raggiunto vendite all’estero per 10,4 miliardi di euro, registrando un incremento dell’84% rispetto al 2015 e dimostrando la sua capacità di competere su scala globale. L’agroalimentare occupa 126.000 lavoratori in Lombardia e supporta la generazione di un valore aggiunto della filiera sia a monte, con 27,5 miliardi di euro, sia a valle, con 21,5 miliardi di euro, confermando la sua posizione di regione leader nel settore. La regione è anche un punto di riferimento per la qualità delle sue produzioni, essendo la terza in Italia per numero di produzioni certificate, con 75 prodotti DOP e IGP con Mantova, Brescia, Cremona, Sondrio e Lodi classificate tra le prime 20 in Italia per il valore della produzione certificata.

Agroalimentare italiano al top: cresce export per pasta, frutta, salse e formaggi

La qualità e il gusto hanno permesso ai prodotti alimentari italiani di diventare un simbolo del Made in Italy, ampiamente apprezzato e diffuso sulle tavole di tutto il mondo. Non è infatti un caso che le vendite estere di agroalimentare rappresentino oltre il 10% dell’export italiano totale. Ancora più significativa è la performance registrata negli ultimi cinque anni, quando sono cresciute a un tasso annuo composto (CAGR) dell’8,9%, superando il ritmo dell’export italiano nel suo complesso (+6,1%).

Lo scorso anno le esportazioni di agroalimentare hanno registrato ancora una volta un valore record pari a €64,4 miliardi, con un aumento del 6% circa. La spinta è arrivata soprattutto da alimentari e bevande (+6,8%), che compongono circa il 60% delle vendite del settore, ma non è mancato il supporto dei prodotti agricoli (+4,7%). Anche il 2024 è iniziato con un segnale positivo, grazie a un incremento del 12,9% registrato a gennaio rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le prospettive per l’anno completo sono di un’espansione che si attesterà su livelli relativamente e fisiologicamente inferiori se confrontati con quegli degli scorsi anni ma comunque sostenuti.

Le bevande – composte in prevalenza da vino – sono il principale comparto di export con una quota del 19%, malgrado nel 2023 abbiano registrato una crescita sotto la media (+2,5%). A trainare, invece, la performance delle esportazioni di agroalimentare sono stati altri prodotti tipici del Made in Italy tra cui: pasta e (soprattutto) prodotti da forno (+8,6%), latte e formaggi (+10,3%), preparazioni di ortaggi e frutta (+12,5%) e altre preparazioni alimentari (+13%), in cui rientrano salse e conserve (+21,8%). Sono rimaste stabili le vendite di grassi e oli, nonostante il marcato aumento dell’olio di oliva (+14,7%), mentre hanno riportato un rialzo contenuto quelle di frutta (+4,9%) e carni (+2,8%).

Le destinazioni dell’agroalimentare italiano
In termini di geografie di sbocco, le vendite italiane di agroalimentare sono dirette principalmente verso i mercati europei e quello statunitense. Questo aspetto riflette da un lato il brand Made in Italy ormai consolidato in queste geografie, dall’altro l’elevato potere d’acquisto dei consumatori, oltre che – nel caso delle destinazioni europee – fattori di prossimità che favoriscono anche le esportazioni di quei prodotti caratterizzati da difficoltà di conservazione per periodi prolungati quali, ad esempio, i latticini. La Germania si conferma ancora una volta la prima destinazione per il settore, avendo accolto lo scorso anno oltre €10 miliardi di agroalimentare italiano (pari al 16% del totale) e avendo segnato una crescita significativa – seppur leggermente sotto la media – negli ultimi cinque anni (+7,3%). In termini di comparti, il Paese è un grande consumatore di bevande, pasta e prodotti da forno, frutta e ortaggi. In particolare, circa un terzo di tutto l’export italiano di questi ultimi due è destinato al mercato tedesco.

Segue la Francia con un peso dell’11% sul totale del settore e una crescita in linea con quella complessiva dell’ultimo quinquennio (+8,7%). Tra i prodotti maggiormente richiesti da Parigi si segnalano pasta e prodotti da forno, latte e latticini, nonché le bevande. Quasi un quinto di tutti i prodotti delle industrie lattiero-casearie esportati dall’Italia è diretto al mercato francese. Gli Stati Uniti, con €6,7 miliardi di prodotti agroalimentari italiani importati, sono la terza geografia di sbocco per il settore; il comparto di gran lunga più rilevante è quello delle bevande (€2,7 miliardi nel 2023), sebbene risultino significative anche le vendite di pasta e prodotti da forno e oli e grassi. In ottica prospettica, grandi mercati in cui l’export italiano nell’ultimo quinquennio ha registrato buone performance, continuano a mostrare incrementi marcati in termini di spesa delle famiglie per beni alimentari.

È il caso, ad esempio, di Stati Uniti, Cina e Germania, i maggiori importatori al mondo di prodotti agroalimentari (grazie anche, soprattutto per i primi due Paesi, a popolazioni numerose), in cui la spesa per questo tipo di beni è attesa crescere rispettivamente del 4,2%, 6,9% e 4,1% all’anno in media. Vi sono poi mercati ancora relativamente poco presidiati dall’export italiano ma che hanno mostrato grande dinamicità negli ultimi anni e che risultano interessanti in ottica prospettica grazie a una spesa per prodotti agroalimentari attesa in forte incremento. Si tratta ad esempio di Vietnam (+10,2% all’anno in media tra 2024 e 2028), India (+9,3%) e Corea del Sud (+8,4%) in Asia, ma anche del Messico (+8,4%) in America Latina e della Polonia (+8,7%) in Europa.

Le eccellenze regionali
Le peculiarità di ciascuna regione consentono all’Italia di vantare una varietà unica nella produzione di prodotti agroalimentari che si riflette in un’alta qualità, apprezzata e riconosciuta anche oltre confine. Nel 2023 l’Emilia-Romagna si è confermata la principale regione esportatrice di prodotti agroalimentari, con un peso del 18,2% sul totale delle vendite italiane oltreconfine, grazie alla forte vocazione all’export di alimentari e bevande, in particolare dei prodotti delle industrie lattiero-casearie e della carne lavorata e conservata. Seguono Lombardia (16,2%), Veneto (14,9%) e Piemonte (13,8%), grazie a una dinamica positiva delle bevande. Inoltre, contrariamente a quanto avviene per le altre regioni, è interessante sottolineare come le vendite dei prodotti agricoli assumano una particolare rilevanza per la Puglia, la Liguria e la Sicilia, dove raggiungono oltre il 40% sul totale.

Regge l’export del Gorgonzola: nel 2023 crescita in valore del 15,5%

In merito all’export caseario del 2023, il Gorgonzola Dop ha tenuto bene a volume ed è cresciuto a valore. Nel dettaglio le esportazioni sono cresciute dell’1,1% per un totale di 24.982 tonnellate, pari a 2.081.834 di forme esportate, con un incremento a valore di circa 202 milioni di euro in crescita del 15,5% rispetto all’anno precedente (fonte Clal).

Il Gorgonzola DOP rimane così uno dei formaggi italiani più conosciuti all’estero con una diffusione in 91 Paesi in tutto il mondo e una percentuale di prodotto esportato sulla produzione totale 2023 (5 milioni 179mila forme) che, come l’anno precedente, si attesta intorno al 40%.

Con 1.785.167 forme, l’Unione Europea assorbe gran parte dell’export. Sostanzialmente stabile la quota diretta ai primi due Paesi importatori in assoluto, Francia (485.803 forme) e Germania (442.800), seguiti dalla Spagna (155.164) dove si registra una crescita dell’8%. Ottime le performance di Macedonia (+89%), Bosnia-Erzegovina (+51%), Norvegia (+40%), Ucraina (+28%) e Polonia (+15%).

Cresce del 2,9% l’export di Gorgonzola Dop verso il resto del mondo raggiungendo quota 296.583 forme. Lo scorso anno sono andate in Svizzera 85.465 forme. Il Regno Unito, che torna a crescere (+8%) per la prima volta dopo Brexit, è stato destinatario di 44.347 forme. Fuori dai confini fisici del continente europeo il Giappone si conferma per il terzo anno consecutivo primo Paese importatore extra UE (44.482 forme) con una crescita del 15%, seguito dagli USA (32.738, +1,56%). Ottime le performance di Indonesia (+147%), Costa Rica (+48%), Hong Kong (+40%).

Cala l’export del vino italiano: in difficoltà soprattutto Dop, Igp e rossi

L’export di vino italiano ha chiuso il 2023 con una flessione tendenziale dell’1% nei volumi (21,4 milioni di ettolitri) e dello 0,8% nei valori, a poco meno di 7,8 miliardi di euro. Come evidenziato dalle elaborazioni dell’Osservatorio Uiv-Ismea su base Istat, si tratta del terzo bilancio annuale in negativo registrato nel nuovo millennio, dopo la crisi economico-finanziaria del 2009 e l’effetto Covid del 2020. Però, al contrario dei due precedenti, il dato di quest’anno rimarca difficoltà determinate non solo da variabili congiunturali ma anche da fattori di ordine strutturale che sembrano accomunare tutti i principali Paesi produttori. L’Italia conferma comunque la sua leadership nei volumi esportati con la Spagna che scende a poco più di 20 milioni di ettolitri (-4,1%).

Rispetto alla leggera contrazione complessiva, si intensificano le difficoltà di quelle tipologie e aree produttive bandiera del made in Italy enologico. È il caso dei vini fermi a denominazione in bottiglia, con i volumi a -6,2% per le Dop e a -4,3% per le Igp; contrazioni più marcate rispetto alla performance complessiva italiana, ma meno evidenti se rapportate a quelle della Francia, che chiude rispettivamente a -11% e -8%. In particolare, in linea con le tendenze mondiali, soffrono soprattutto i rossi del Belpaese, che scendono dell’8% per le Dop e del 6% nel caso delle Igp, un’impasse evidenziata anche dal calo delle esportazioni di vini comuni in bottiglia (-9%). Evidenze che si riflettono anche a livello regionale: -12,5% (volume) per i rossi Dop veneti, -10,5% per i toscani, -5,5% per i piemontesi. Sul versante bianchi – che vedono i Dop a -4,7% e gli Igp a -1,3% – gli Stati Uniti chiudono a -5%, controbilanciati dal +3% del Regno Unito (dove però fanno malissimo i veneti Dop, a -10%) e dal +2% dei Paesi Bassi. Stazionaria la Germania.

Per contro, il 2023 si è distinto per un forte incremento di vini sfusi (+12%), destinati soprattutto alla Germania, la cui incidenza sulla tipologia pesa per quasi 2/3 delle esportazioni. Il quadro si fa più sfumato per gli spumanti, che dopo anni di crescita inarrestabile (+223% dal 2010 a oggi) cedono in volume il 2,3% (-1,7% per il Prosecco), con una crescita nei valori del 3,3% (Prosecco a +5,4%) in un contesto inflazionistico che ha favorito l’ascesa dei prezzi. Per lo spumante italiano il 2023 ha visto la caduta in volume nei primi due mercati mondiali (Usa a -12%, Uk a -4,4%), ma anche una buona crescita nell’Est Europa e un andamento ancora più sostenuto in Francia, con un più 25%. Un exploit al quale, secondo l’Osservatorio Uiv-Ismea, ha contribuito l’effetto sostituzione dello Champagne con il Prosecco (+21%) anche dettato dal minor potere di acquisto dei consumatori transalpini.

La geografia dell’export vede una divaricazione netta tra i risultati ottenuti nell’Ue (+5,6% volume e +4,1% valore) ed extra-Ue (-7,5% volume e -4% valore). In difficoltà i top 5 buyer fatta eccezione per la Germania che, forte del boom dello sfuso, chiude a +8,4% (volume). Negativo il bilancio delle esportazioni in Usa, con un tendenziale -9,1%, oltre che in Uk (-1,8%), Svizzera (-3,6%) e Canada (-11,3%). Bene l’export in Francia (+6,7%), a fronte di una forte contrazione nei mercati giapponese (-13,4%) e cinese (-22,3%).

Cresce l’export del Prosciutto San Daniele DOP e arriva al 19%

Ben 2.590.000 cosce prodotte, 21,3 milioni di confezioni certificate pari a 407.000 prosciutti per oltre 2 milioni di chilogrammi: sono questi i numeri con cui il Prosciutto di San Daniele DOP archivia il 2023 e si conferma come uno dei prodotti enogastronomici italiani più di successo.

Parte del merito spetta alla quota di export in crescita, che si attesta al 19% rispetto alle vendite totali dell’anno con circa 3 milioni di chilogrammi destinati ai mercati esteri. Il 55% delle quote totali di export è stato destinato all’Unione Europea, il restante 45% è stato esportato invece in Paesi terzi. Le quote più rilevanti, in ordine di volumi, sono detenute da Francia, Stati Uniti, Australia, Germania e Belgio a cui si sommano Svizzera, Austria, Regno Unito, Lussemburgo e Canada. Tra le performance migliori quella negli Stati Uniti (+11%), Australia (+7%), Regno Unito (+30%) e Repubblica Ceca (+18%).

La produzione continua a essere portata avanti nei 31 stabilimenti collocati all’interno della città di San Daniele del Friuli, con carni provenienti dai 3.510 allevamenti certificati situati in dieci regioni del Centro-nord Italia e conferite dai 44 macelli della filiera DOP.

Il fatturato totale, derivante dalle attività di produzione e distribuzione, si mantiene a 360 milioni di euro, in linea con gli anni precedenti, dopo il +14% rilevato nel 2022.

2023 nero per l’export di vino italiano: -4,4% a volume e -7,3% a valore

Un 2023 col freno a mano tirato per l’export di vino italiano nelle cinque principali piazze mondiali: è così che si può sintetizzare la lettura dell’Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) dei dati finali relativi alle importazioni da Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Canada e Giappone, che insieme valgono il 56% dell’export complessivo del Belpaese. Per il vino made in Italy quindi il 2023 si è chiuso con un calo tendenziale del 4,4% nei volumi e del 7,3% nei valori, a 4,45 miliardi di euro. L’analisi, realizzata da Uiv su base doganale, vede decrementi nei volumi in tutti i Paesi della domanda a eccezione della Germania, che chiude l’anno a +7% per effetto del boom di ordini di vino sfuso (+16%).

Particolarmente negativo, anche a causa di un eccesso di scorte detenute dai distributori che hanno condizionato gli ordini di tutto il 2023, il mercato negli Stati Uniti, che totalizzano un -13% a volume, ma anche in Canada e Giappone, entrambe a -11% e in Uk (-9%). In contrazione, nonostante il surplus di costi produttivi per le imprese, il prezzo medio (-3%), per effetto della crescita import di sfusi (+9%, dove però i listini crollano a -11%) e grandi formati (+6%) e al contestuale minore impatto di prodotti imbottigliati (-7%) e spumanti, giù dell’11% nei volumi ma unica tipologia a crescere nel prezzo medio (+5%).

“È innegabile che il 2023 abbia sofferto di fenomeni congiunturali, soprattutto il destocking di prodotto accumulato in eccesso in Nordamerica, ma è altrettanto vero che il nostro Paese ha l’esigenza primaria e non più rinviabile di allargare la propria base clienti: questi cinque Paesi rappresentano quasi il 60% del valore delle esportazioni italiane, contro il 50% della Francia e il 40% della Spagna” ha detto Lamberto Frescobaldi, Presidente UIV, che aggiunge: “Il 2024 si annuncia molto complesso e sfidante: con una produzione italiana ai minimi storici, le nostre imprese avranno l’esigenza vitale di alzare il valore unitario dei propri prodotti, in un contesto macroeconomico che non è dei più favorevoli. Si è visto già l’anno passato, con le difficoltà patite nei circuiti retail dei principali Paesi, dove ad aumenti di prezzo anche limitati sono corrisposti in maniera quasi automatica cali degli acquisti a volume”.

Secondo l’Osservatorio Uiv, l’anno si è però rivelato negativo per tutti i Paesi produttori, complice l’obiettivo destocking degli importatori unitamente alla crisi inflattiva e al conseguente minor potere di acquisto. L’import globale di vino dei 5 top buyer ha chiuso infatti a 16,9 miliardi di euro, il 7,5% in meno sull’anno precedente, con i volumi a -6,7%. Il principale Paese esportatore, la Francia, si è attestata su un trend volumico ancora peggiore rispetto all’Italia (-10%), ma meno deficitario in termini valoriali (-5%).

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