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Intesa Sanpaolo: 120 miliardi per PMI, filiere agroalimentari e turismo

“Il tuo futuro è la nostra impresa”: si chiama così il nuovo programma di Intesa Sanpaolo che mette a disposizione 120 miliardi di euro fino al 2026 per accompagnare la progettualità di PMI e aziende di minori dimensioni, sistema vitale dell’imprenditoria italiana e delle filiere sui territori. L’obiettivo è favorire nuovi investimenti per la competitività italiana accelerando la dinamica di buone performance del sistema produttivo e assicurando l’immediata attivazione di strategie sostenibili e di lungo periodo. Una serie di interventi che si inserisce tra le azioni del Gruppo a sostegno della realizzazione degli obiettivi fissati nel PNRR, per i quali sono stati stanziati complessivamente oltre 410 miliardi di euro, come annunciato dal CEO Carlo Messina.

Con tale programma la Banca intende accelerare i processi di trasformazione necessari per rinnovamento industriale, transizione energetica e digitale delle imprese, facilitando loro l’accesso alle nuove misure del PNRR. Grazie alla rinnovata sinergia con SACE e altri soggetti istituzionali le possibilità di investimento e i vantaggi per le imprese verranno amplificati dalle misure messe in campo da Intesa Sanpaolo. Dopo aver concluso con successo Motore Italia, il piano da 50 miliardi di euro messo a punto nel 2021 per sostenere la ripresa post-pandemica delle PMI, la nuova azione della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo guidata da Stefano Barrese da oggi si focalizza su tre ambiti prioritari:

Transizione 5.0 ed Energia
La cornice normativa del piano Transizione 5.0 garantisce circa 13 miliardi di euro di crediti d’imposta a fronte del raggiungimento di obiettivi di efficientamento energetico. Insieme ai propri partner e Sace, Intesa Sanpaolo ha realizzato soluzioni di finanziamento dedicate e agevolate, consulenza per l’accesso alle agevolazioni fiscali e rilascio delle relative certificazioni e formazione con la finalità di integrare competitività e sostenibilità grazie a nuovi investimenti per lo sviluppo, il risparmio e la produzione energetica volti ad un consumo efficiente. Sempre sul fronte energetico e con riferimento alla misura del PNRR relativa agli incentivi per le Comunità Energetiche Rinnovabili, il primo gruppo italiano mette a disposizione soluzioni dedicate per l’energia condivisa anche nella forma dell’autoconsumo collettivo, con finanziamenti specifici e agevolati, oltre a modelli di advisory per la costruzione di nuovi sistemi innovativi finalizzati al risparmio energetico.

Sviluppo estero e nuovi mercati
La ridefinizione delle geografie dell’export e la situazione geopolitica sono essenziali per accompagnare la spiccata propensione delle imprese ad esportare le eccellenze “Made in Italy”. Intesa Sanpaolo affianca soluzioni finanziarie e competenza delle proprie strutture specializzate. Grazie alla radicata e capillare presenza internazionale, il Gruppo provvede all’individuazione dei migliori settori merceologici e dei nuovi potenziali mercati – in particolare Est Europa, India ed Emirati Arabi Uniti – oltre ad offrire percorsi formativi specifici.

Progresso digitale e Sicurezza
Processi e competenze digitali sono strategici per la competitività, ma sono al contempo indispensabili sistemi di sicurezza adeguati per la tutela del cliente, dell’impresa e della crescita. Per le aziende che guardano a nuovi business la Banca ha messo a punto strumenti di protezione e finanziari, tra cui il nuovo Cyber Loan. Grazie ai propri partner e ai Laboratori ESG presenti in tutta Italia, Intesa Sanpaolo coinvolge le imprese in percorsi di formazione digitale qualificata. Rilevanti risultano in particolare i settori Agribusiness e Turismo, che presentano peculiarità uniche e necessitano di un accompagnamento specifico nella transizione verso modelli più innovativi, profittevoli e sostenibili. All’Agribusiness, in particolare, Intesa Sanpaolo ha dedicato dal 2021 una rete commerciale specialistica in grado di seguire l’intera catena produttiva, dalla produzione alla trasformazione.

Una struttura con oltre 1000 professionisti che ha consentito di supportare il settore con erogazioni per circa 9 miliardi e il sostegno a oltre 180 filiere. Con il nuovo piano nasce Cresci Agri, la nuova linea di finanziamenti con durata fino a 30 anni dedicata allo sviluppo della produzione modulabile sul ciclo produttivo della filiera di appartenenza, oltre a prodotti per la copertura dai rischi sulle materie prime e a soluzioni ad hoc per l’efficientamento energetico e la crescita internazionale. Una attenzione specifica viene infine rivolta al Terzo Settore, che Intesa Sanpaolo supporta attraverso una Direzione dedicata con oltre 600 persone che seguono circa un terzo degli enti no-profit in Italia, affiancando le imprese impact su progetti di sviluppo e interazione costruttiva e integrata con il mondo profit. A questo settore Intesa Sanpaolo ha già concesso finanziamenti per oltre 1,5 miliardi.

“Le imprese che investono oggi possono ritagliarsi un importante vantaggio competitivo nel prossimo futuro. Il nostro ruolo è attivare risorse finanziarie e strumenti dedicati ad accompagnare le scelte di investimento e far cogliere le opportunità del PNRR e della Transizione 5.0. Ci rivolgiamo ad oltre 1,2 milioni di clienti tra PMI e imprese più piccole, per tutti vogliamo stimolare un approccio di rilancio verso la crescita con nuovi mezzi e nuovi obiettivi condivisi. Il mondo delle imprese deve affrontare un riposizionamento tecnologico, digitale, geografico e generazionale in una logica di medio – lungo periodo e Intesa Sanpaolo è pronta a sostenerlo con un piano da 120 miliardi da qui al 2026” ha detto Stefano Barrese, Responsabile Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo.

Intesa Sanpaolo finanzia con 14 mln di euro l’espansione oltreoceano di Roncadin

Intesa Sanpaolo ha siglato con Roncadin, produttore italiano di pizze surgelate, un nuovo finanziamento di 14 milioni di euro per un progetto di internazionalizzazione attraverso la controllata statunitense Roncadin Holding USA Corp. Si tratta dell’acquisto e della ristrutturazione di uno stabilimento a Chicago, oltre alla realizzazione di una nuova linea per produrre e distribuire pizze surgelate al mercato Nordamericano. L’azienda infatti è già presente sul mercato a stelle e strisce da oltre dieci anni, ma potrà così intensificare ulteriormente le relazioni commerciali con le principali catene alimentari locali.

Il finanziamento si inserisce nell’accordo di collaborazione sul tema filiere che consente alle aziende facenti parte del processo produttivo e distributivo di essere accompagnate nei propri progetti di crescita sul territorio, di internazionalizzazione e di rinnovamento delle proprie strutture produttive, anche accedendo a soluzioni finanziarie dedicate. Grazie al Programma Sviluppo Filiere della banca, nel comparto agroalimentare italiano sono già stati attivati 170 contratti di filiera che hanno coinvolto oltre 6.500 fornitori, un giro d’affari complessivo di oltre 22 miliardi di euro e 22.000 dipendenti del capo-filiera.

Attualmente l’azienda è arrivata a occupare circa 780 persone nell’area pedemontana pordenonese e in un anno realizza oltre 100 milioni di pezzi, con un fatturato che nel 2022 ha raggiunto i 155 milioni di euro. Roncadin produce pizze sia a marchio proprio, sia per le private label nazionali e internazionali e recentemente ha ampliato il proprio business affiancando alle pizze surgelate anche gli impasti freschi da banco frigo. L’obiettivo di Roncadin è crescere ancora, investendo sulle persone, sullo sviluppo dello stabilimento, sul rafforzamento del marchio nei mercati italiani e stranieri, nonché sull’acquisizione di piccole e medie imprese operanti nel settore pizza e affini. Una strategia che avrà effetti positivi anche sui 600 fornitori presenti in un’ottantina di province italiane, che Roncadin seleziona con grande cura in base a criteri di qualità, etica e sostenibilità.

“Grazie al finanziamento di Intesa Sanpaolo prende ancora più forza quello che è sempre stato il grande progetto di Roncadin, esportare il meglio dell’agroalimentare italiano in tutto il mondo” dichiara Dario Roncadin, amministratore delegato di Roncadin. “Siamo presenti nel mercato USA dal 2016 e il nostro obiettivo è crescere ancora, cosa non semplice però perché per operare in Nordamerica occorrono grandi investimenti e un lavoro puntuale su ogni aspetto del procedimento produttivo, anche per via delle diverse e stringenti regolamentazioni sanitarie, per esempio quelle sulle carni lavorate. L’accordo raggiunto con Intesa Sanpaolo rappresenta un valore anche per i nostri fornitori, che vedranno così moltiplicarsi le opportunità di business”.

“Siamo orgogliosi di supportare questa realtà di eccellenza del Made in Italy anche sul mercato Nordamericano” aggiunge Massimiliano Cattozzi, responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo. “Il successo dell’export agroalimentare italiano si fonda su prodotti di grande qualità e sulla capacità dei nostri imprenditori di cogliere le opportunità di crescita che si generano in nuove destinazioni. In questo Roncadin è all’avanguardia unitamente al dare attuazione a processi di transizione ambientale, energetica e tecnologica che come Banca siamo impegnati a valutare e sostenere anche per altre realtà, in coerenza con gli interventi del PNRR”.

L’ecosostenibilità alla base della sinergia tra Carrefour e Intesa San Paolo

Intesa Sanpaolo e Carrefour Italia hanno sottoscritto un accordo che prevede l’attivazione di una linea di credito con caratteristiche ESG, destinata all’emissione di garanzie, per complessivi 55 milioni di euro. La linea di credito per il rilascio di garanzie, di cui potranno beneficiare tutte le società controllate da Carrefour Italia, comprende un meccanismo di incentivazione legato al raggiungimento di specifici target in ambito ESG (Environmental, Social and Governance).

L’operazione, strutturata dalla Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo guidata da Mauro Micillo, conferma il sostegno del Gruppo a favore della transizione energetica e a supporto degli investimenti legati al PNRR. Gli obiettivi prevedono la riduzione della quantità di packaging utilizzata nei prodotti a marchio Carrefour di oltre 1.000 tonnellate entro il 2025 e una diminuzione entro il 2025 di oltre il 40% delle emissioni di gas serra rispetto al 2019. Intesa Sanpaolo legherà il pricing delle garanzie rilasciate al raggiungimento dei target identificati. L’accordo si inserisce nella strategia del Gruppo Carrefour che si fonda sulla volontà e l’impegno costante a integrare i pilastri della sostenibilità nelle scelte quotidiane, promuovendo un modello di business capace di generare coerentemente valore economico, sociale ed ambientale.

L’impatto climatico è uno dei principali pilastri della nuova strategia, e gli impegni per ridurlo sono diversi e agiscono sia direttamente sulle emissioni che sui temi ad esso connessi, come la riduzione dei packaging nei punti vendita Carrefour. Un impegno che prevede diverse azioni: un piano di investimenti di oltre 50 milioni di euro al livello Gruppo per installare pannelli fotovoltaici sui tetti e parcheggi di oltre 100 punti vendita, accordi con i top 100 fornitori per rispettare la traiettoria climatica a 1.5 gradi, conversione entro il 2026 di tutti i packaging a marchio Carrefour in materiali compostabili, riciclabili o riutilizzabili e una riduzione di tonnellate di pack fino ad arrivare ad un totale di oltre 1.000 tonnellate rispetto al 2020.

“Siamo molto contenti di aver concluso questo accordo con Intesa Sanpaolo. La sostenibilità è per noi un punto importante della nostra strategia di business e lo dimostrano chiaramente gli obiettivi concreti che stiamo portando avanti” dichiara Luca Mammola, Chief Financial Officer di Carrefour Italia. “I risultati raggiunti saranno pubblici in un’ottica di sempre maggior trasparenza, che siamo convinti sia la strada giusta per aiutare i clienti a fare scelte migliori e sempre più consapevoli”.

“L’operazione con un’eccellenza come Carrefour dimostra come le realtà del settore siano sempre più attente agli impatti della propria attività sul territorio in cui operano e più in generale sull’ambiente” aggiunge Richard Zatta, Responsabile Global Corporate della Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo. “Il nostro Gruppo è da tempo fortemente impegnato nell’accompagnare le aziende verso percorsi di sviluppo che possano coniugare crescita aziendale e sostenibilità ambientale”.

Un plafond da 50 mln di euro per le imprese agroalimentari italiane

Intesa Sanpaolo e l’Associazione Consulta Nazionale dei Distretti del Cibo hanno siglato un accordo col quale la banca ha stanziato un plafond da 50 milioni di euro e definito specifiche misure sotto il profilo del credito per sostenere le imprese associate dell’agroalimentare italiano. Aziende impegnate nella definizione dei progetti di distretto del cibo, come previsto dal decreto del MIFAAF di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, per accedere a importanti agevolazioni statali.

L’accordo nasce dalla comune volontà di sostenere le piccole e medie imprese del territorio legate ai distretti alimentari italiani al fine di superare le attuali difficoltà e accrescere gli sbocchi nei mercati anche internazionali favorendo nel contempo il supporto finanziario agli imprenditori agricoli che intendono realizzare nuovi investimenti e che hanno interesse a ricevere consulenza su temi come il ricambio generazionale, l’aggregazione e l’innovazione.

In tal senso Intesa Sanpaolo metterà a disposizione delle aziende aderenti ai Distretti del Cibo i propri prodotti e servizi tra cui i finanziamenti destinati alla valorizzazione delle filiere produttive italiane, anche attraverso gli accordi di filiera e/o delle reti di imprese, interventi destinati alla digitalizzazione e alla sostenibilità, come lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e dei parchi solari. Interventi che rientrano nelle iniziative che la banca ha messo in atto in coerenza e a supporto degli investimenti legati al PNRR.

“Essere a fianco della Consulta Nazionale dei Distretti del Cibo con un plafond da 50 milioni di euro testimonia la volontà di Intesa Sanpaolo di rappresentare il punto di riferimento per il settore agroalimentare italiano – ha sottolineato Massimiliano Cattozzi, responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo. Stiamo lavorando per valorizzare l’eccellenza della produzione alimentare dei distretti italiani e per supportare le aziende nel superare anche questo delicato periodo affiancando le molteplici realtà produttive nelle transizioni green e digitale e sui mercati esteri grazie ai nostri prodotti finanziari e alla consolidata esperienza dei nostri professionisti, riuscendo ad accompagnare oltre 1700 imprese nell’aggiudicarsi i bandi del PNRR per il settore agroalimentare”.

“Desidero esprimere apprezzamento per la celerità della Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo nel definire questo accordo che favorirà gli investimenti privati delle aziende agricole nei contratti dei distretti del cibo che hanno partecipato all’Avviso n. 10898 del 20.02.2020, finanziati con la scorsa legge di bilancio, e che in questi giorni si stanno sottoscrivendo al MASAF avviando la prima azione sistemica di sviluppo sostenibile e coesione territoriale nel nostro Paese – ha aggiunto il presidente della Consulta, Angelo Barone. I progetti sono finalizzati a rendere più competitive le nostre imprese, rafforzare le filiere produttive, promuovere la produzione agroalimentare di qualità IGP e DOP e il turismo relazionale integrato, fare economia circolare, salvaguardare il territorio e la biodiversità, rendere vivo il paesaggio rurale e sono coerenti con il PSN-PAC e il PNRR nella transizione verso sistemi agroalimentari sostenibili”.

Distretti agroalimentari italiani, export per oltre 12 miliardi di euro

È stato pubblicato il Monitor dei distretti agro-alimentari italiani al primo semestre 2022, curato dalla Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo. Dopo gli ottimi risultati del 2021, le esportazioni dei distretti agro-alimentari continuano a crescere anche nel primo semestre del 2022: i rincari energetici e le tensioni geopolitiche non sembrano avere effetti sulle vendite oltre confine dei prodotti agro-alimentari italiani, sempre più apprezzati all’estero come sinonimo di qualità e sicurezza. Nel complesso, i 51 distretti monitorati hanno totalizzato quasi 12,5 miliardi di export nel primo semestre del 2022, il 15% in più del 2021 e il 32,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. L’evoluzione riflette quella dell’export agro-alimentare italiano nel suo complesso che, dopo il record del 2021 (oltre 50 miliardi di euro di esportazioni), segna nel primo semestre del 2022 una crescita del 18,9%.

Il risultato risente in parte della dinamica inflattiva: l’indice dei prezzi praticati sul mercato estero dall’industria alimentare italiana è cresciuto infatti nel primo semestre del 2022 del 10,8% rispetto allo stesso periodo del 2021, con punte del 22% per oli e grassi, mentre per le bevande l’incremento è stato più contenuto (+3,9%; +4,1% per i vini). Sulla seconda parte dell’anno pesano le incognite relative all’evoluzione dei costi energetici e dei consumi, e agli effetti dei cambiamenti climatici come siccità ed eventi estremi che stanno interessando molti settori produttivi dell’agricoltura e della trasformazione alimentare.

Massimiliano Cattozzi, responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo ha commentato: “Si conferma il successo all’estero dei prodotti agroalimentari italiani, anche in un contesto delicato come quello attuale. In questi mesi stiamo concentrando il lavoro dei professionisti della Direzione Agribusiness nel dialogo attento e continuo con le aziende del comparto agroalimentare proprio per supportarle nel far fronte alla carenza delle materie prime e alle dinamiche inflattive. In parallelo stiamo potenziando anche gli interventi per rendere concrete le transizioni green e digitale cogliendo le opportunità dei bandi del PNRR, così come l’accesso ai mercati esteri grazie ai nostri prodotti finanziari dedicati”.

I distretti della pasta e dolci sono quelli che hanno contribuito maggiormente alla crescita nel primo semestre del 2022, superando 1,9 miliardi di export in valore, (+23,4%), una filiera tra le più energivore che sta risentendo anche degli incrementi di prezzo di molte materie prime agricole (frumento in primis), trasferendo in parte i maggiori costi sostenuti sui listini. Tra i distretti della filiera, si distingue in particolare il comparto pasta dell’Alimentare di Parma, con 119 milioni di euro in più rispetto al primo semestre del 2021 (+27%) con crescite a doppia cifra anche per i Dolci di Alba e Cuneo (+12,7%), i Dolci e pasta veronesi (+16,3%), la Pasta di Fara (+36,5%) e i comparti pasta dell’Alimentare napoletano (+47,4%), dell’Alimentare di Avellino (+23,4%) e dell’Olio e pasta del barese (+40,6%).

Per contributo alla crescita si distinguono i distretti vitivinicoli, che superano i 3,2 miliardi di euro di export in valori correnti, 361 milioni in più rispetto al primo semestre del 2021(+12,6%). Il distretto più importante in termini di valori esportati, con oltre un miliardo nei primi sei mesi del 2022, è quello dei Vini di Langhe, Roero e Monferrato, che ha registrato un progresso del 5,7% rispetto allo stesso semestre del 2021. Registrano un’ottima evoluzione anche i Vini del veronese (+11,6%) e i Vini dei colli fiorentini e senesi (+15,8%), ma la migliore performance viene dal Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene (+32,6%).

La filiera dei distretti agricoli cresce complessivamente del 4,3% nel primo semestre del 2022, con il maggior contributo dal distretto dell’Ortofrutta del Barese, che passa dai 126 milioni del primo semestre del 2021 a 262 milioni dello stesso periodo del 2022. Oltre all’Ortofrutta romagnola soffrono anche le Mele del Trentino, la Nocciola e frutta piemontese e il comparto agricolo dell’Ortofrutta e conserve del foggiano.

Crescite diffuse per i distretti delle conserve: le Conserve di Nocera hanno registrato un +18,9%; per le Marmellate e succhi di frutta del Trentino-Alto Adige +30,1% e per i comparti conserve dell’Alimentare napoletano +32,1% con l’Alimentare di Parma +25,8%. Unica eccezione il comparto conserve dell’Ortofrutta e conserve del foggiano che continua a perdere terreno sui mercati esteri (-6,4% nel primo semestre del 2022). Per i distretti delle carni e salumi, alla forte crescita dei Salumi del modenese (+22,8%) si contrappone il calo delle Carni di Verona (-12,1%) con boom di vendite sui mercati esteri per i Salumi di Reggio Emilia (+49,9%).

Anche tra i distretti del lattiero-caseario si registrano performance altalenanti. Il primo distretto per valori esportati, il Lattiero-caseario della Lombardia sud-orientale, dopo l’ottimo risultato del 2021 (+15,4%), chiude il primo semestre del 2022 con una crescita del 22,9%. Dinamica simile anche per la Mozzarella di Bufala Campana (+27,1%) e per il Lattiero-caseario Parmense (+16,1%) mentre si registra una contrazione per il Lattiero- caseario di Reggio Emilia (-3%) e per il Lattiero-caseario sardo (-5,5%).

Forte accelerazione per la filiera dell’olio (+33,9%), che si accompagna però a un elevato incremento dei prezzi sui mercati esteri per la produzione di oli e grassi (+22%). Il distretto dell’Olio toscano chiude il primo semestre del 2022 con un +32,3%. Molto positivi i risultati anche dell’Olio umbro (+35,9%) e del comparto olio dell’Olio e pasta del barese (+43,4%).

I due distretti del riso si muovono all’unisono: il Riso di Vercelli registra una crescita del 23,5% con stessa dinamica anche il Riso di Pavia (+39,7%).
Nella filiera del caffè, tutti i distretti proseguono il trend positivo del 2021: il distretto del Caffè, confetterie e cioccolato torinese (+22,2%), il Caffè di Trieste (+28,3%) e il Caffè e confetterie del napoletano (+17,2%).

Recupera i livelli pre-pandemia anche il distretto dell’Ittico del Polesine e del Veneziano (+19,1%; +8,4% rispetto al primo semestre del 2019).

Sono in crescita le esportazioni dei distretti agro-alimentari verso tutti i principali mercati di destinazione. Crescono i flussi verso la Germania, primo mercato di sbocco (+7,4% nel primo semestre del 2022), in incremento i flussi verso gli Stati Uniti (+14,7%), buoni risultati anche verso la Francia (+16,7%), riprendono a crescere anche le vendite sul mercato britannico (+15,8%), Continuano a incrementarsi le vendite verso le economie emergenti, che nel complesso raggiungono la soglia del 20% sul totale delle esportazioni distrettuali agro-alimentari.

Roncadin entra nel Programma Sviluppo Filiere di Intesa Sanpaolo

Grazie al Programma Filiere Intesa Sanpaolo e Roncadin, azienda leader nella produzione di pizza surgelata di qualità, hanno sottoscritto un accordo di collaborazione per consentire alle aziende facenti parte del processo produttivo e distributivo, di essere accompagnate nei propri progetti di crescita sul territorio, di internazionalizzazione e di rinnovamento delle proprie strutture produttive, anche accedendo a soluzioni finanziarie dedicate.

L’obiettivo perseguito si prefigge di sostenere congiuntamente le piccole e medie imprese del territorio legate alla filiera afferente al marchio Roncadin per accrescere gli sbocchi nei vari mercati mettendo a disposizione strumenti innovativi. In particolare verrà favorito il supporto finanziario verso gli imprenditori della filiera che intendono realizzare nuovi impianti e/o ampliamenti. Un intervento che rientra nelle iniziative che la banca ha messo in atto in coerenza e a supporto degli investimenti legati al PNRR.

Dal 1992 la passione della famiglia Roncadin diventa un successo in rapida crescita che porta nelle case di tutto il mondo il gusto della vera pizza italiana. Attualmente l’azienda è arrivata a occupare circa 780 persone nell’area pedemontana pordenonese e in un anno realizza oltre 100 milioni di pezzi, con un fatturato che nel 2021 ha raggiunto i 148,5 milioni di euro. Roncadin produce pizze sia a marchio proprio, sia per le private label nazionali e internazionali e recentemente ha ampliato il proprio business affiancando alle pizze surgelate anche gli impasti freschi da banco frigo.

L’obiettivo di Roncadin è crescere ancora, investendo sulle persone, sullo sviluppo dello stabilimento, sul rafforzamento del marchio nei mercati italiani e stranieri, nonché sull’acquisizione di piccole e medie imprese operanti nel settore pizza e affini. Una strategia che avrà effetti positivi anche sui 600 fornitori presenti in un’ottantina di province italiane, che Roncadin seleziona con grande cura in base a criteri di qualità, etica e sostenibilità.

Nell’ambito del Programma Filiere di Intesa Sanpaolo, la banca si propone di agevolare, tra l’altro, l’accesso al credito dei fornitori strategici segnalati dal capofiliera per facilitare gli investimenti, in particolare quelli destinati all’efficientamento energetico, alla transizione ecologica, alla riduzione dei consumi idrici, alla valorizzazione dell’agricoltura biologica, all’ammodernamento delle aziende (Agricoltura 4.0), nonché il supporto per la gestione delle attività correnti e di campagna con specifici prodotti dedicati.

Dario Roncadin, amministratore delegato di Roncadin dichiara: «L’attenzione alla filiera è da sempre un punto cardine dell’attività di Roncadin e l’accordo stipulato con Intesa Sanpaolo ci permetterà di valorizzare ancora di più questo aspetto chiave per la competitività della nostra azienda e di tutto il sistema-Italia. Lavoriamo costantemente per avere una filiera sempre più sostenibile, corta, locale e che favorisce produttori attenti alla qualità, alla sostenibilità e al benessere dei lavoratori. Un impegno in linea con la nostra scelta, compiutasi a fine 2021, di diventare Società Benefit, portatrice di un modello di sviluppo basato sulla responsabilità verso l’ambiente, il territorio e le persone. Grazie al Programma Filiere di Intesa Sanpaolo, dunque, potremo portare nel mondo con ancora maggiore efficacia la bandiera del miglior Made in Italy, quello che è anche sinonimo di sviluppo condiviso e crescita del bene comune».

Massimiliano Cattozzi, responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo spiega: “E’ un piacere stringere un accordo di filiera a fianco del marchio Roncadin dedicato alla pizza, un piatto che distingue l’Italia nel mondo. Proprio l’eccellenza dei prodotti alimentari è al centro del nostro Programma Sviluppo Filiere, con l’intento di sostenere in maniera decisa sia la capofiliera che i fornitori che implementano la catena di produzione. Una filiera quella di Roncadin di grande valore che produce una ricaduta territoriale molto positiva in termini di stabilizzazione degli investimenti e del lavoro, con significativi riflessi anche sociali. A tali finalità si affiancano nell’accordo gli investimenti relativi alla transizione ambientale, energetica e tecnologica in coerenza con gli interventi del PNRR”.

A livello nazionale nel comparto agro alimentare Intesa Sanpaolo ha già avviato 170 contratti di filiera che hanno coinvolto oltre 6.500 fornitori, un giro d’affari complessivo di oltre 22 miliardi di euro e oltre 22.000 dipendenti del capo-filiera.

Lucart ed Intesa Sanpaolo insieme per la sostenibilità

Lucart, uno dei più importanti gruppi cartari europei, conosciuto fra l’altro per i brand Tenderly, Grazie Natural e Tutto Pannocarta, e Intesa Sanpaolo hanno sottoscritto un accordo di finanziamento per un ammontare di 10 milioni di euro assistito da Garanzia Green di SACE.

Il finanziamento è finalizzato a sostenere il piano di crescita e di sviluppo del Gruppo Lucart in ottica ESG (Environmental, Social e Governance) e di economia circolare. La linea di credito, infatti, è caratterizzata da un meccanismo di pricing legato al raggiungimento di precisi target in ambito di sostenibilità. Tali obiettivi prevedono, da un lato, l’ultimazione della linea produttiva di Castelnuovo di Garfagnana (LU) che permetterà alla società di aumentare l’utilizzo di packaging alternativo e, dall’altro, un maggior recupero di cartoni per alimenti poliaccoppiati tipo Tetra Pak nello stabilimento di Diecimo (LU).

L’operazione è stata conclusa dalla Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo guidata da Mauro Micillo con il supporto del Circular Economy Desk di Intesa Sanpaolo Innovation Center, società dedicata all’innovazione e alla diffusione dell’economia circolare. Il finanziamento si inserisce nella strategia del Gruppo Lucart che da anni adotta un modello di sviluppo sostenibile volto a ottimizzare l’utilizzo delle materie prime e a ridurre gli scarti trasformandoli in nuove risorse, in linea con i principi dell’economia circolare. Lucart è infatti l’unica cartiera del settore tissue capace di recuperare tutte le componenti dei cartoni per bevande: sia la parte fibrosa, che viene trasformata in prodotti in carta delle linee Natural, sia quella di alluminio e polietilene, convertita in altri oggetti come i pallet per il trasporto delle merci.

Gli interventi finanziati, grazie all’impatto positivo in termini di mitigazione del cambiamento climatico, rientrano negli obiettivi del Green New Deal, il piano che promuove un’Europa circolare, moderna, sostenibile e resiliente. In questo ambito, SACE riveste un ruolo centrale nell’attuazione del Green New Deal sul territorio italiano, come previsto dal Decreto Legge “Semplificazioni” di luglio 2020 (76/2020). Infatti, la società guidata da Pierfrancesco Latini può rilasciare ‘garanzie green’ su progetti domestici in grado di agevolare la transizione verso un’economia a minor impatto ambientale, integrare i cicli produttivi con tecnologie a basse emissioni per la produzione di beni e servizi sostenibili e promuovere iniziative volte a sviluppare una nuova mobilità a minori emissioni inquinanti.

Dall’entrata in vigore del Decreto è stato istituito un team di specialisti trasversale alle varie funzioni aziendali, che racchiude professionalità diverse e complementari, in grado di rispondere a 360° alle esigenze di questa nuova operatività di SACE. L’intervento a supporto di Lucart si è concluso grazie all’impegno dell’ufficio di Firenze, una delle 14 sedi territoriali di SACE in Italia, e della Task Force Green, istituita per rispondere alle esigenze della nuova operatività legata al Green New Deal.

“Il Gruppo Lucart è un’eccellenza italiana e internazionale che ha saputo abbracciare da tempo i temi della sostenibilità ambientale – dichiara Richard Zatta, Responsabile Global Corporate della Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo. L’operazione conferma l’impegno di Intesa Sanpaolo nel dare impulso e sostegno concreto alla Green e Circular Economy supportando i piani di sviluppo delle aziende in tale ambito”.

“Siamo orgogliosi – ha sottolineato Mario Bruni, Responsabile Mid Corporate di SACE – di continuare a supportare la crescita di un’eccellenza come Lucart e di affiancarla nei suoi piani di sviluppo sostenibile. Grazie al nostro intervento l’azienda potrà perseguire importanti obiettivi di tutela ambientale e di economia circolare in linea con gli obiettivi del PNRR. SACE prosegue così nel suo ruolo di primo piano per la transizione ecologica del Paese”.

“Siamo molto soddisfatti del sostegno che Sace e Intesa Sanpaolo daranno ai nostri progetti. Il loro impegno nell’economia sostenibile si sposa perfettamente con la nostra devozione nell’applicazione di modelli di business circolari attraverso un piano strategico che prevede di aumentare il peso delle materie prime recuperate al 60%.” – dichiara Andrea Fano, Chief Financial Officer del Gruppo Lucart – “Un altro importante obiettivo è arrivare a utilizzare il 100% di imballaggi riciclati e/o compostabili entro il 2030, su tutte le nostre linee di produzione”.

Una pasticceria in una banca? A Milano Iginio Massari apre dentro una filiale Intesa Sanpaolo

Metti una pasticceria, non una qualunque ma firmata dal maestro dei pasticceri italiani, Iginio Massari, dentro la filiale di una banca, di quelle moderne, tutte schermi e poltroncine, bancomat, chioschi e consulenti finanziari.

Doveva debuttare il 14 marzo all’interno della filiale Intesa Sanpaolo di via Marconi angolo Piazza Diaz, a due passi da piazza Duomo a Milano: e invece sabato le porte, a sorpresa, sono già aperte e con il pubblico che sabato affollava il bancone per cornetto e brioche.

Dunque dopo concessionarie auto e negozi di abbigliamento, e naturalmente supermercati, Il food retail approdato anche in un tipo di punto vendita atipico perché legato ai servizi, e che probabilmente non a caso sceglie di legarsi a un nome di altissimo profilo come Massari. Per il gruppo Intesa, la volontà è quella di estendere la fruibilità degli spazi delle filiali al di là dei clienti della banca.

La pasticceria, sviluppata su una superficie di 120 metri quadri, aperta sette giorni su sette con un ingresso indipendente dalla filiale, ma anche un collegamento interno diretto, ha un laboratorio a vista su strada e un dehors da 30 metri quadrati.

«Da tantissimi anni i miei clienti mi chiedevano di aprire una pasticceria a Milano e la proposta di Intesa Sanpaolo è arrivata nel momento giusto – ha detto Massari all’Ansa – . Qui si potrà trovare un’ampia selezione delle mie creazioni: dalle monoporzioni, ai macaron, dalle torte alle praline. In questa nuova avventura avrò al mio fianco i miei figli, Debora nutrizionista ed esperta di pasticceria e Nicola, che da anni lavorano con me».

Tassi bassi e volatilità, si ritorna al mattone

È stata presentata oggi a Torino l’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2016: ‘Tassi bassi e volatilità, si ritorna al mattone’, un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, basato su interviste effettuate da Doxa fra gennaio e febbraio 2016 a 1.011 famiglie detentrici di conto corrente bancario e/o postale; all’interno della famiglia è stato intervistato il principale decisore in merito a risparmio e investimento, ossia la persona più informata e interessata circa gli argomenti trattati nel questionario (nel 77 per cento dei casi, il capofamiglia). Il campione selezionato è rappresentativo per classi d’età, professioni, titoli di studio e zone geografiche. L’Indagine, che permette confronti temporali dal 1983 a oggi, affronta ogni anno un tema monografico: nel 2016 l’attenzione si è concentrata sulle scelte di investimento in condizione di tassi di interesse bassi o nulli. È stato realizzato un campionamento addizionale di 312 interviste su un target di piccoli investitori fra i 29 e 55 anni, poi elaborato mettendo insieme gli intervistati del sovracampionamento con quelli del campione ‘famiglie’ appartenenti a questo stesso target (255), per un totale di 567 capifamiglia, che sono stati sondati sulla reazione al contesto di ‘interessi zero’ e sull’appetibilità dell’investimento immobiliare.
I risultati sono stati analizzati e discussi da Salvatore Carrubba, Presidente del Centro Einaudi, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo e dall’economista Giuseppe Russo, curatore del Rapporto. Le conclusioni sono state affidate a Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo.

Di seguito la sintesi della ricerca:

Famiglie: ripresa lenta, ma aspettative in miglioramento. La crisi appare ormai alle spalle, ma presso le famiglie è diffusa la percezione che la perdita di reddito disponibile non sia stata completamente recuperata: per conseguenza, le spese nel 2015-2016 hanno continuato a essere improntate alla sobrietà. È però importante sottolineare che se la quota delle famiglie del campione che dichiarano un reddito insufficiente si è stabilizzata nel 2016 intorno al 17 per cento senza ridursi, è invece sulle aspettative che si registra il vero miglioramento. Fino al 2015, il 50 per cento degli intervistati giudicava probabile un peggioramento imminente delle proprie condizioni economiche. Nel 2016 le proporzioni sono opposte: il 60 per cento giudica infatti imminente un miglioramento. Non solo: sempre nel 2016 una quota tra il 20 e il 22 per cento del campione pensa non solo di mantenere, ma di aumentare le spese per i figli e di espandere quelle per la salute e per l’acquisto dei beni durevoli, rinviato negli anni passati.

L’evoluzione demografica dell’ultimo decennio stabilizza il risparmio ai livelli del 2012. La crisi economica ha accelerato l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sulla distribuzione del campione per condizione lavorativa: in otto anni, la quota dei pensionati sul campione è aumentata di oltre 10 punti percentuali, con una paritetica riduzione sia dei lavoratori indipendenti che dei dipendenti. Tenendo conto della riduzione, con l’avanzare dell’età, della capacità di risparmiare, il cambiamento demografico impatta negativamente sul risparmio. Quando la crisi iniziò, la numerosa generazione dei baby boomer era in attività, oltre che al culmine di carriere che avevano visto crescere costantemente il reddito. Dopo sette anni, la stessa generazione ha cominciato a lasciare il lavoro, qualche volta con pensioni inferiori alle aspettative; in qualche caso ha perduto l’occupazione senza trovarne un’altra equivalente. Le generazioni di rincalzo, ossia le coorti che avrebbero dovuto entrare nel mondo del lavoro, hanno avuto meno occasioni. Pertanto, nel 2016 si è stabilizzata l’incidenza dei risparmiatori (40 per cento) sul campione, mentre si è lievemente ridotta la quota di reddito risparmiata (9,6 per cento): entrambe le percentuali confermano, nella media campionaria, i livelli sui quali giacevano dal 2012. Lo ‘smottamento economico’ della classe media (ossia della parte centrale della distribuzione del reddito, del risparmio e della ricchezza) che era stato messo in luce nell’Indagine 2015, è un fenomeno strutturale che influenza la parte centrale di tutte le distribuzioni, e quindi incide sia sulla velocità media di ripresa, sia sulla quota media di risparmiatori, sia sul reddito destinato al risparmio, benché in condizioni congiunturali migliorate.

Si risparmia per far fronte alle incertezze. Il risparmio per i figli supera sempre quello per la casa. Le aspettative pensionistiche continuano a ridimensionarsi, ma si risparmia troppo poco per la vecchiaia. La mite ripresa, unita alla volatilità dei mercati finanziari e alla esiguità dei rendimenti, sono alla base della crescente motivazione ‘precauzionale’ del risparmio (58,3 per cento, in aumento di 10 punti). Aumenta un po’ (da 8 a 8,5 per cento) il risparmio per la casa, ma si conferma il superamento del risparmio fatto per i figli (17,1 per cento) rispetto a quello accantonato per il mattone. Il rapporto tra le due motivazioni era invertito prima della crisi, quando il risparmio per la casa precedeva quello per i figli.

Il risparmio previdenziale è ancora insufficiente. È ancora piuttosto bassa, in relazione ai bisogni potenziali, l‘intenzione di risparmiare per la vecchiaia (14,1 per cento). Ciò accade nonostante sia diffusa una corretta percezione della riduzione delle prestazioni pensionistiche future rispetto a quelle godute dalle generazioni precedenti: il saldo tra l’attesa di un reddito sufficiente o insufficiente al momento di andare in pensione scende infatti dal 13 al 6,7 per cento (era pari al 29,8 per cento prima della crisi). Solo l’11 per cento del campione dichiara di avere sottoscritto qualche forma di previdenza integrativa, relativa al II o al III pilastro previdenziale. La percentuale è in particolare piuttosto bassa tra coloro che si trovano all’inizio della carriera contributiva.

La difesa del capitale è sempre la priorità. Nonostante si sia ridotta la preoccupazione di perdere il capitale – segnalata indirettamente dal fatto che la quota di intervistati non interessati all’economia (53,5 per cento) sorpassi nuovamente quella degli interessati (46,5 per cento) – quando investono i capifamiglia riferiscono come priorità assoluta delle scelte la ‘sicurezza’ di non perdere il capitale (58,3 per cento nel 2016, 52 per cento nel 2015 e appena il 23,8 per cento nel 2011). Solo a seguire vengono il rendimento (15 per cento), la liquidità (14 per cento), nonché l’apprezzamento del capitale nel lungo termine (7 per cento).

Il risparmio gestito si fa avanti, sottraendo spazi agli investimenti diretti, sui quali è sempre più complicato assumere decisioni. Il tradizionale investimento con il quale gli italiani hanno difeso i risparmi, traendo peraltro buoni rendimenti, è il titolo obbligazionario, con i titoli di Stato in cima alle preferenze. Tuttavia, da metà del 2015 le condizioni sono cambiate. Con l’obiettivo di contrastare la deflazione, la BCE acquista obbligazioni con operazioni di mercato: ne deriva che questi titoli aumentano di prezzo, mentre scende il loro rendimento. Tale manovra è favorevole ai possessori di obbligazioni comprate in precedenza, ma ha ridotto a circa l’1 per cento o meno ancora il rendimento medio dei rinnovi e dei nuovi acquisti di titoli di Stato. È comprensibile, pertanto, la riduzione del possesso di questi strumenti, che passa dal 21,7 per cento del campione nel 2012 al 14 per cento nella rilevazione dei primi mesi del 2016. A fronte della riduzione dei possessori di obbligazioni, l’Indagine del 2016 segnala un aumento delle preferenze per gli strumenti del risparmio gestito. Nel corso del 2015 i patrimoni complessivamente gestiti passano da 1,59 miliardi di euro a 1,83 miliardi (Assogestioni). Il 24 per cento degli intervistati dichiara di seguire questa opzione per ‘poter affidare i propri risparmi a esperti e non pensarci più, semplificandosi la vita’; per il 21,9 per cento degli investitori, con il risparmio gestito si possono avere rendimenti migliori rispetto al ‘fai da te’. Si riduce nel tempo il fenomeno del via-vai dagli investimenti gestiti, che diventano veri compagni di viaggio di lungo termine. L’incrocio tra la priorità della sicurezza e l’estrema volatilità dei mercati azionari, che in ultima analisi non crescono più e sono privi di una direzione dalla fine del 2014, ha accentuato la disaffezione verso il mercato azionario da parte del campione. Solo il 5,3 per cento dichiara di aver comprato e/o venduto azioni negli ultimi cinque anni, una quota che è in declino costante dal 2003, quando era del 31,9 per cento.

I tassi a zero guidano la preferenza per la liquidità, ma la loro persistenza potrebbe preludere a cambiamenti delle preferenze degli investimenti, sacrificando la liquidità ma non la sicurezza. Poiché i rendimenti delle attività meno liquide sono quasi a zero, la quota di patrimonio detenuto in forma liquida sul conto corrente bancario è alta. Quasi un intervistato su 5 del campione generale (18,4%) mantiene liquide tutte le proprie disponibilità, il 9,1% più della metà e un altro 9% oltre il 30%.
La persistenza dei tassi a zero potrebbe tuttavia preludere proprio al sacrificio della liquidità nella ricerca di investimenti alternativi, come quelli immobiliari.

Tassi bassi e volatilità, si ritorna al mattone.

Un extra sondaggio di 567 piccoli investitori sugli impieghi del denaro quando i tassi sono a zero. Innanzitutto, le condizioni di tassi di interesse nulli appaiono singolari per i piccoli risparmiatori, perché si verificano per la prima volta dal 1959: non c’è quindi memoria né esperienza di questo tipo di mercato. In secondo luogo, la guidance della BCE prevede che il contenimento dei rendimenti durerà fino a quando sarà necessario contrastare la deflazione. In terzo luogo, i tassi a zero e minimi riguardano sia i rendimenti degli attivi finanziari (come obbligazioni e depositi), sia il costo del capitale dei passivi finanziari (come gli interessi sui mutui e sui prestiti in generale). A partire da queste considerazioni, nel 2016 l’Indagine è stata arricchita da un supplemento di campionamento su 567 risparmiatori fra i 29 e i 55 anni che detenessero anche qualche forma di investimento. Attraverso la Doxa, è stato sottoposto loro un diverso questionario, volto a sondare i comportamenti di investimento nella persistenza del clima di deflazione e di interessi nulli o minimali, con particolare riguardo alla propensione al passaggio dagli investimenti finanziari a quelli reali, come le case.

Con i tassi zero, case e depositi liquidi polarizzano gli investimenti. Il campione ha fornito indicazioni chiare. Posti di fronte al caso degli interessi a zero (o quasi) per più anni, gli intervistati hanno risposto con intenzioni di comportamento polarizzate, in quanto concentrate essenzialmente su due scelte: la scelta della liquidità (che riguarderebbe il 32 per cento degli investitori) e la scelta dell’investimento immobiliare (il 29 per cento considererebbe l’acquisto di una casa per sé e il 20 per cento l’acquisto di una casa da dare in affitto). I primi sarebbero mossi dall’intenzione di non perdere né guadagnare denaro con investimenti più rischiosi e dall’aspettativa che i tassi a zero prima o poi finiranno, e quello sarebbe il momento giusto per riprendere a investire. I secondi, invece, manifesterebbero la propria preferenza per un potenziale acquisto immobiliare, mossi però non solo da variabili economiche, ma anche da bisogni rimasti irrisolti o semplicemente dall’ambizione, sempre viva negli italiani, di una casa migliore di quella che si possiede. A differenziare i due gruppi di investitori, ai poli opposti delle possibili scelte (totale liquidità e totale illiquidità), sono prevalentemente l’aspetto del reddito e il possesso di risparmi accantonati superiori a un anno intero di redditi netti. Questi ultimi sono fattori che aumentano la propensione all’investimento reale.

Le scelte più rischiose e alternative sono marginali. Solo una parte ridotta del campione di piccoli investitori, l’8 per cento, reagirebbe ai tassi a zero aumentando l’esposizione rischiosa, ossia comprando azioni, cambi e derivati. Si tratta di un atteggiamento coerente con la teoria economica: infatti, il cambiamento delle combinazioni di rischio e rendimento possibili sul mercato e, in particolare, l’abbassamento dei rendimenti su tutto lo spettro dei rischi non cambia la disponibilità a perdere parte del denaro investito, poiché questa variabile non dipende dal mercato, bensì dal reddito, dal patrimonio e dalla psicologia del singolo investitore. Cambiare ‘habitat’ di rischio solo perché cambiano le condizioni di mercato può facilmente rivelarsi una mossa scorretta, ex post. Infine, il 12 per cento acquisterebbe oro e preziosi e il 4 per cento comprerebbe opere d’arte. La ricerca di rendimenti alternativi in queste classi di investimento è minimale e mossa da contesti economici e comportamentali diversi. Chi si rivolge all’oro evidenzia un fondo, anche se non ben espresso, di paura e sfiducia generale nei mercati finanziari (‘dopo gli interessi a zero, chissà cosa potrà accadere?’). Tra l’altro, questo mood tende a riaffiorare in tutte le classi di risparmiatori, perché alcuni indizi rivelano che, mentre le persone percepiscono il calo dei prezzi (a eccezione dei servizi sanitari e di poche altre cose, come le bollette domestiche), è altresì diffusa la sensazione che i prezzi, quando salgono, lo facciano più di quanto viene misurato dalle statistiche ufficiali. Chi si rivolge all’arte (4 per cento) ha in genere un patrimonio complesso e ben diversificato e coglie l’occasione dei rendimenti a zero per acquistare un’opera d’arte essenzialmente perché il costo opportunità si è momentaneamente ridotto.

Le case: il mercato che gli italiani conoscono meglio. I piccoli investitori si rivolgono alle case anche perché questo è il mercato dei beni di investimento che essi direttamente conoscono meglio, e al quale probabilmente sono più interessati. L’informazione è pur sempre un elemento che mitiga il rischio degli investimenti, visto che rende più consapevoli le scelte in proposito. Ben il 46 per cento degli intervistati dichiara di conoscere il mercato delle case e di informarsi regolarmente sui suoi prezzi. Dietro al mercato immobiliare si collocano, distanziati, il mercato obbligazionario (che è seguito dal 33 per cento del campione), poi la Borsa (24 per cento) e il mercato dell’oro (19 per cento).

La ricerca delle case corrisponde anche a una ricerca di rendimenti. Tornando alla propensione all’acquisto di immobili, chi vi si vorrebbe avvicinare (e non ha ancora deciso) ha un profilo chiaro. In generale, ha da parte investimenti liquidi o liquidabili pari a più di un anno del suo reddito (48 per cento). Ha realizzato, inoltre, che il mercato dei beni d’uso quotidiano è deflattivo, concorrendo a schiacciare i rendimenti di lungo termine del risparmio investito in forme finanziarie. Ciò però non è compatibile con l’aspirazione a ottenere dai propri investimenti, in media, un profitto medio annuo del 2,6 per cento nei prossimi cinque anni. Ecco dunque che tra le motivazioni per cui ‘acquistare un immobile potrebbe essere vantaggioso’ primeggiano considerazioni economiche, ossia la convinzione di investire in un ‘bene di riferimento’, che conserva il suo valore nel tempo (25 per cento), seguito dalla possibilità di ‘approfittare del momento di prezzi bassi’ (17 per cento) e dal fatto che il reddito dell’immobile, ossia l’affitto incassato o risparmiato, è superiore a quanto può offrire la banca o un’obbligazione (13 per cento). Il 19 per cento, inoltre, pensa che i prezzi delle case aumenteranno nei prossimi anni e il 14 per cento mira, così facendo, ad approfittare di buone e singolari condizioni sui mutui.

Gli acquirenti potenziali di una nuova casa sono tra l’11 e il 19 per cento del campione.
Le variabili economiche non esauriscono le ragioni per investire in un immobile. Chi ne sta considerando l’acquisto ha spesso l’ambizione di una casa migliore (43 per cento) o il bisogno effettivo di un’abitazione più grande (29 per cento). Gli acquirenti potenziali nei prossimi tre anni (che sono compresi tra l’11 e il 19 per cento del campione) userebbero prevalentemente la nuova casa per sé, considerandola come un bene da godere e magari da tramandare ai figli. Una quota fino all’8 per cento del campione potrebbe cambiare casa e prenderla in affitto, anche se i giudizi positivi sugli affitti sono un terzo del totale, dunque inferiori ai giudizi negativi. Cosa trattiene gli acquirenti? Per il momento gioca da freno la debolezza convalescente del mercato secondario, ossia il timore o di non riuscire a liquidare l’attuale propria casa o di ricavarne un prezzo insufficiente per fare il salto di qualità. In altri termini, mano a mano che il mercato immobiliare sarà più liquido e si accorceranno i tempi di vendita delle case usate, la domanda potenziale di nuove case si trasformerà in domanda effettiva.

Una seconda casa in vista per il 9 per cento del sovracampionamento. La ripresa in corso del mercato delle abitazioni è reale, ma si sviluppa a ritmo ridotto. Anche per le seconde case il clima starebbe cambiando. Le intenzioni di acquisto nei prossimi tre anni riguardano il 9 per cento degli investitori, consapevoli che la seconda casa non è però quasi mai un buon investimento. Prova ne sia che il 74 per cento di essi ha un’opinione positiva del possesso della seconda casa, ma solo il 22 per cento, ossia meno di uno su tre, la considera vantaggiosa in termini economici.

Investire in case da dare in affitto conviene, ma non troppo. Le case, che la deflazione fa tornare al centro dell’ambizione di una quota significativa di piccoli investitori, sono non solo quelle da abitare, ma anche quelle da dare in affitto. Con la discesa a zero degli interessi, il reddito degli affitti torna competitivo. La quota di investitori propensi a comprare una casa da locare (20 per cento) è inferiore a quella degli investitori propensi a comprare una casa da abitare (29 per cento), ma rappresenta pur sempre un quinto del campione, ossia una quota maggiore di quella degli attuali possessori di obbligazioni. Gli ostacoli alla messa in pratica di quest’ultima idea non mancano e riguardano quasi sempre la selezione degli inquilini, che è ovviamente un’incognita. Secondariamente, vi è la questione fiscale. Le case da locare sono per definizione ‘seconde case’ e ne seguono in larga parte i destini fiscali, dall’imposta di registro piena, all’IMU, alla non deducibilità delle spese di ristrutturazione.

Il ‘fisco sotto l’albero’: il 41 per cento dei piccoli investitori è congelato dalle condizioni fiscali.
Il 59 per cento del campione, se potesse chiedere qualcosa al fisco, propenderebbe per un riequilibrio delle imposte tra quelle sulla casa e quelle gravanti sulle altre forme di patrimonio. Questa propensione, maggioritaria, non è però necessariamente collegata a imminenti operazioni immobiliari e risponde più a una domanda di equità fiscale rispetto alla tassazione del patrimonio. V’è da ricordare che il Governo è già venuto incontro a queste istanze alleggerendo la tassazione per quanto riguarda la prima casa. Sono però da osservare e sottolineare le istanze del restante 41 per cento del campione. Queste istanze, infatti, preluderebbero a operazioni immobiliari e danno un’idea della domanda potenziale ‘congelata’ nel settore delle abitazioni. Il 14 per cento del campione vorrebbe trovare sotto l’albero un abbassamento dell’imposta di registro per case da dare in affitto; il 13 per cento vorrebbe un credito di imposta per vendere e riacquistare una casa, prima o seconda, nel corso dello stesso anno; il 9 per cento vorrebbe dedurre il mutuo sulla seconda casa da dare in affitto; il 6 per cento vorrebbe dedurre il mutuo su una seconda casa da tenere per sé. La propensione all’acquisto di case potrebbe essere decisamente più alta di quella dichiarata (tra l’11 e il 19 per cento), se si alleggerisse il peso fiscale sull’investimento immobiliare”.

(Fonte: www.group.intesasanpaolo.com, “Presentata oggi a Torino da IntesaSanpaolo e dal Centro studi Einaudi l’indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2016”, 21 luglio 2016).

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