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Flettono le vendite di vino in Gdo: in picchiata il rosso, resiste il Prosecco

Come rilevato dall’Osservatorio Uiv-ISMEA su base Ismea-Nielsen-IQ, le bottiglie di vino vendute nei negozi e nella grande distribuzione italiana nel 2023 tornano di poco sotto quota di 1 miliardo, il 3,1% in meno rispetto all’anno precedente per un valore complessivo di poco più di 3 miliardi di euro. Il dato così tira il sipario su un anno molto complicato che da un lato ha amplificato le nuove tendenze al consumo post-Covid ma dall’altro ha determinato più di una sofferenza per un comparto ancora alle prese con rincari generalizzati non ancora assorbiti e ben oltre la timida crescita registrata in valore (+2,6%).

I vini fermi fissano i volumi a -3,6% (con i rossi a -4,9%) e registrano l’11° trimestre consecutivo con il segno meno. Gli spumanti, pur con un azzeramento della crescita dei prezzi nell’ultimo trimestre, rimangono in linea di galleggiamento rispetto ai volumi venduti nell’anno precedente, ma solo grazie ai “low cost” Charmat non Prosecco (+7,1%), senza i quali la tipologia virerebbe in negativo di 2 punti. In generale – evidenzia l’Osservatorio Uiv-ISMEA – l’evoluzione dei consumi di vino da parte degli italiani dal 2019 a oggi è stata significativa e riflette fattori solo in parte specchio dalla congiuntura. Spesso cambiamenti così netti e solo in apparenza repentini sono dettati da modifiche strutturali di una domanda mai così fluida in tema di consumi beverage.

Consumi in calo
Rispetto a cinque anni fa, e dopo le impennate degli anni Covid, tra gli scaffali il calo dei consumi sfiora l’8%, l’equivalente di 100 milioni di bottiglie in buona parte a base di vini fermi (-11%) e liquorosi (-19%). I Dop, con un -2%, sono la categoria che di gran lunga cede meno, con bianchi (+3%) e rosati (+17%) che segnano luce verde. Fanno molto peggio gli Igt (-13%) ma soprattutto i vini comuni, picchiata a -17% e l’equivalente di 64 milioni di bottiglie in meno.

Tendenza spumanti
Da una parte i vini fermi che scendono di 11 punti, dall’altra gli spumanti che in un lustro guadagnano quasi il 19%, oggi a 139 milioni di bottiglie vendute. Merito del mondo Prosecco, che nel periodo sale del 30%, ma anche degli Charmat non Prosecco, a +42% grazie a un’ascesa vertiginosa in particolare nell’ultimo biennio in cui anche il minor potere di acquisto ha giocato un ruolo importante. Una tendenza che da tempo si riflette anche nelle esportazioni, con la tipologia che ha visto triplicare le proprie quote di mercato negli ultimi 10 anni. Lo stesso non si può dire per lo champagne, le cui vendite nel periodo sono scese del 38%.

Sos rossi
Premesso che l’alta gamma dei rossi è di gran lunga maggiormente presente presso i canali Horeca, dove certe denominazioni o prodotti sono diventati ormai intramontabili, è innegabile che, in generale, la tipologia simbolo del vino tricolore sia la più in difficoltà nei consumi casalinghi con una discesa, sempre più ripida negli ultimi anni, del 15%. I rossi cedono il 6% – quasi 3 volte più della media – tra i consumi di prodotti a denominazione, il 19% tra gli Igt, ma il record (negativo) si registra tra i vini comuni, con un -22%. Poche le grandi Dop e Igt che tengono (Dop Montepulciano d’Abruzzo a -2%, Chianti a -3, Rubicone Igt nella tipologia Sangiovese a +7%), tanti i cali in doppia cifra, e spesso oltre il 20% per vini a marchio come la famiglia dei Lambruschi, i pugliesi (Salento Igt, Puglia Igt), i siciliani con Nero d’Avola Dop e Terre Siciliane Igt), il Cannonau della Sardegna, i piemontesi (Barbera e Dolcetto Doc), i veneti (Igt Cabernet e Merlot), i lombardi, con le Doc Oltrepò Pavese Barbera e Bonarda.

E-commerce tra alti e bassi
I lockdown hanno contribuito a far lievitare gli ordini dell’e-commerce, canale storicamente ostico per gli italiani. Oggi gli acquisti online valgono il triplo rispetto al 2019, ma da 2 anni a questa parte gli ordini si sono progressivamente sgonfiati, fino a perdere il 21% sul picco del 2021. Un calo fisiologico per un canale sull’ottovolante che pure ha attuato un significativo ribasso dei listini. Chi ordina online lo fa ricercando ancora di più la qualità – il prezzo medio al litro è superiore del 61% rispetto agli acquisti in corsia –, compra più Dop e Igt (il 75% del totale acquisti dei vini fermi) ma soprattutto ordina più spumanti, che online incidono per il 22% degli acquisti, contro una media complessiva al 13%. Una nicchia – quella dell’e-commerce di vino – che rappresenta appena l’1,5% del totale acquisti in Gdo e retail, su cui molti player fanno affidamento per il futuro.

Festività: immancabili le bollicine italiane ma le Doc frenano a favore delle economiche

Le stime conclusive del 2023 confermano una sostanziale tenuta dei consumi di bollicine made in Italy, a quota 936 milioni di bottiglie. In linea coi volumi dello scorso anno – ma a +24% rispetto al 2019 – si annunciano anche gli acquisti per le prossime feste, durante le quali salteranno circa 333 milioni di tappi tricolori, con oltre 95 milioni di bottiglie consumate solo nel Belpaese. Alle celebrazioni di Natale e Capodanno si aggiungeranno poi gli sparkling esteri, con circa 6 milioni di bottiglie.

Secondo l’analisi di fine anno sui consumi a cura dell’Osservatorio Uiv-ISMEA, durante le feste i consumatori di tutto il mondo non saranno quindi disposti a rinunciare alle bollicine tricolori. A cambiare, piuttosto, sarà la scelta di un prodotto in alcuni casi più accessibile per le tasche di consumatori italiani ed esteri alle prese con un carovita che non allenta la morsa. Da qui, secondo elaborazioni su dati Nielsen, ISMEA e Uiv registrano l’incremento degli acquisti di spumanti più economici come metodo charmat anche varietali e di annata (+7,5% a 206 milioni di bottiglie la stima a tutto il 2023) rispetto a denominazioni “bandiera” italiane come Prosecco (Doc, Conegliano Valdobbiadene, Colli Asolani) e Asti Spumante o ai metodo classico (Trento Doc, Franciacorta, Oltrepò Pavese, Alta Langa, Lessini Durello) che chiudono la stagione con una contrazione del 3% (727 milioni di pezzi). Con un paniere dell’offerta aggiustato quindi grazie all’incremento delle produzioni di spumante non Dop, il computo totale previsto da ISMEA e Unione Italiana Vini (Uiv) a fine 2023 è pari a 936 milioni di bottiglie di spumante italiano, in 7 casi su 10 commercializzate all’estero.

Sotto l’albero le bollicine si presentano quest’anno con un prezzo medio più alto, con i listini cresciuti di oltre il 5% a causa di inflazione e surplus di costi produttivi. In totale produttori e imprese spumantistiche italiane incasseranno durante le festività circa 1 miliardo di euro. Negli ultimi 10 anni le vendite di spumante italiano nel mondo sono praticamente triplicate, con crescite in valore del 351% negli Usa (top buyer), ma anche in altre destinazioni di sbocco come Regno Unito (+350%), Germania, (+42%), Francia (+416%) o nell’emergente Est Europa, con la Polonia a +983%.

Le esportazioni
Le esportazioni nei primi 9 mesi di quest’anno segnano un calo tendenziale del 3,1% per gli spumanti che in valore, per gli effetti inflattivi, virano invece in positivo (+2,5%). A livello complessivo, l’export al terzo trimestre 2023 si ferma a -0,2% nei volumi, mentre il saldo sui valori indica una decrescita, in peggioramento, dell’1,9% (5,65 miliardi di euro). In difficoltà le Dop (volumi a -3,8%), mentre salgono le vendite degli sfusi (+18,9% volume) che, in seguito al calo dei prezzi alla produzione, hanno abbassato il valore medio di circa il 14%. Tra i top mercati, proseguono le difficoltà negli Stati Uniti (volumi a -12,8%, valori a -9,5%), mentre la Germania chiude il periodo a +12,4% nei volumi grazie a maxi-ordini di vino sfuso. Stazionario il Regno Unito e in leggera contrazione la Svizzera. Nel complesso, si allarga la forbice tra domanda Ue (volumi a +9,3%) ed extra-Ue (-9,2%).

Vino Gdo: volano gli spumanti low cost a scapito di Chianti e Prosecco Docg

Si registra un lieve miglioramento delle vendite di vino nella grande distribuzione nei mesi estivi che portano il cumulato dei primi nove mesi di quest’anno, con un tendenziale in volume a -3,4% (nel semestre la perdita era del -3,9%) per un controvalore, sospinto dal caro prezzi, di 2,1 miliardi di euro che lascia la variazione a +3,4%. I vini fermi, rileva l’Osservatorio Uiv-ISMEA su base Ismea-NielsenIQ, segnano un -3,9% nei volumi (+2,6% i valori) mentre risale la tipologia spumanti, a +0,6% nelle quantità e a +6,2% nei valori (a 455 milioni di euro).

Secondo l’analisi dell’Osservatorio, permane un atteggiamento prudente dei consumatori tra gli scaffali, con acquisti “difensivi” che privilegiano i prodotti in promozione o alcune tipologie più convenienti a scapito di altre. È il caso degli spumanti low cost (“Charmat non Prosecco”, con 25 milioni di litri acquistate), che hanno ormai superato nelle vendite in volume anche il Prosecco Doc (24,8 milioni, comunque in risalita) e che si stanno sempre più affermando non più solo nei discount ma anche nei canali iper e super. Oppure denominazioni importanti come il Chianti Classico (volumi a -13,2%), o ancora il Prosecco Docg (-14,5%) che cedono quote a indicazioni geografiche o vini comuni che propongono prezzi più accessibili.

Nel complesso, i listini rimangono alti (+7% sul pari periodo 2022) e non è un caso se in generale si assiste a una maggior tenuta delle vendite laddove i costi sono più limitati. Per esempio, osserva l’analisi, l’unico formato a crescere tra gli scaffali, per i vini a denominazione come per quelli comuni, è quello di plastica e bag in box che in media presentano un prezzo di 1,8 euro/litro. Tra le tipologie, in quantità fanno leggermente meglio della media (-3,9%) i vini bianchi (-3%), i rosati (-3,6%) mentre ancora in difficoltà risultano i rossi (-4,8%). Gli spumanti virano in positivo (+0,6%) ma la crescita riguarda, oltre all’Asti (+4,5%), solo i già citati “Charmat non Prosecco”, senza i quali anche il comparto bollicine pagherebbe un -3,6% nei volumi.

Nel segmento IG, ancora segni meno per le principali tipologie; tra i primi 10, solo il Vermentino di Sardegna, il Puglia Igp e il Cannonau in dinamica positiva (+4%, +2% e +3% rispettivamente in volume). Chianti in regressione (-4.4%), mentre migliora leggermente la situazione del Montepulciano d’Abruzzo, che da -14% di marzo è arrivato a -9% a giugno per risalire a -6.6% di settembre. In forte discesa il Nero d’Avola siciliano, a -12%, così come la pattuglia dei Salento Igt (-9%), i Lambruschi emiliani (-11%), le Bonarde oltrepadane (-15%) e il Verdicchio di Jesi (-18,9%). Tra i veneti, Valpolicella a -2% e Bardolino a -3.4%, mentre il Soave continua a essere positivo, chiudendo il conto dei nove mesi a +5%. Tra i canali, oltre la media il gap nei discount, specie per il segmento Dop e Igp (-6,8%), segno che le tensioni sul carrello della spesa sono maggiormente percepite dai consumatori.

A un mercato interno debole – conclude l’Osservatorio Uiv-ISMEA e ai costi produttivi ancora alti, non fanno da contraltare le esportazioni: il dato Istat di oggi sui primi 7 mesi dell’anno evidenzia infatti una contrazione tendenziale sia nei volumi (-1,5%) che nei valori (-1,2%, a 4,45 miliardi di euro). Un peggioramento anche rispetto all’export del semestre – che segnava rispettivamente -1,4% e -0,4% – per effetto delle difficoltà nell’extra-Ue (volumi a -8,5%) non del tutto controbilanciato dalla domanda comunitaria (+5,4%). Tra i prodotti, è forte la domanda di sfusi (+13,1%) mentre sono in contrazione sia gli spumanti (-3,2%) che i vini imbottigliati (-4,9%), dove pesano le forti difficoltà dei rossi (-10%).

Segno rosso per l’export di vino italiano, battuta d’arresto per lo spumante

Per le vendite del vino italiano all’estero si chiude un primo trimestre complicato, con volumi piatti (+0,1%) e una performance tendenziale in valore a +3,8% (1,8 miliardi di euro). A rilevarlo è l’Osservatorio Uiv-Ismea-Vinitaly che ha elaborato gli ultimi dati Istat sul commercio estero.

I volumi commercializzati sono tenuti a galla dall’exploit di vendite di vino sfuso (+13,4%) – che registrano però una forte contrazione dei listini (-9,2%) – e dei comuni, a +12,8%. In sofferenza, sempre nei volumi, i prodotti bandiera del made in Italy, a partire dai vini fermi Dop imbottigliati, che si scendono del -5,3% (+2,5% il valore) con i rossi a -6,6%. Giù anche gli Igp (-2,5%), dove la crescita dei bianchi (+8,3%) non è bastata calmierare la perdita dei rossi (-7,5%) e dove il segno rosso si evidenzia anche nei valori. Tra le tipologie, si conferma l’avvio difficile per gli spumanti (-3,2% volume e +7,3% valore), complice la contrazione dei volumi esportati di Prosecco (-5,5%), mentre prosegue la buona stagione dell’Asti Spumante (+9,1%) e degli sparkling comuni (+4,4%).

“In questo primo trimestre la coperta troppo corta è sempre più evidente: la crescita in valore è infatti insufficiente per far fronte al surplus di costi dettato da materie prime ed energetici, che influisce per circa il 12% su un prezzo medio aumentato di appena il 3,7%” ha detto il segretario generale di Unione Italiana Vini (Uiv), Paolo Castelletti. “Permangono le notevoli difficoltà dei rossi, in particolare quelli Dop e Igp, a cui si aggiunge la battuta d’arresto dello spumante. Più in generale, l’attuale congiuntura impone alla domanda scelte low cost, e per questo in termini volumici fanno meglio prodotti base che hanno ritoccato poco i listini. Ma a che prezzo?”.

“Il mercato mondiale del vino sta mandando segnali di cambiamento che sembrano favorire al momento i vini di fascia più bassa” ha aggiunto Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di ISMEA. “Guardando alle dinamiche dell’export dei nostri principali competitor, la Francia appare particolarmente penalizzata dall’attuale orientamento del mercato, e registra una riduzione dei flussi in quantità del 7,5% (+3,4% gli incassi). I vini spagnoli, al contrario, sono favoriti da un prezzo più competitivo e spuntano delle progressioni sia in volume (+3,8%) che in valore (+11,4%). Per quanto riguarda il nostro export, siamo lontani dai tassi di crescita a cui settore ci aveva abituati negli ultimi anni. A complicare il quadro anche l’evidente rallentamento delle vendite alla distribuzione sul mercato interno e i quasi 53 milioni di ettolitri di vino stoccati negli stabilimenti che, sebbene in riduzione sui valori record dei mesi scorsi, fanno registrare una crescita di oltre il 4% sullo scorso anno”.

Sul fronte dei mercati, cresce in volume la piazza Ue (+7,3%) e si contrae quella extra-Ue (-7,7%); tra i top buyer gli Usa rimangono in terreno positivo (+0,4% volume, +10,8% valore) cresce, grazie agli sfusi, la Germania (+6,2% in volume e +5,6 in valore) mentre il Regno Unito cede il 13,5% (-7% il valore). In contrazione, nei volumi, mercati di sbocco ed emergenti come Canada (-24%), Svizzera (-8,4%), Giappone (-22,9%) e si conferma in caduta libera il mercato cinese (-43,7%). Volano gli ordini dalla Russia: +33,0%. Tra le regioni, rallentano i valori export per le top 3, con il Veneto a +3%, il Piemonte a +0,2% e la Toscana a +0,6%. Sopra la media gli incrementi di importanti regioni produttrici, come il Trentino-Alto Adige, l’Emilia-Romagna, la Lombardia.

Spumanti low cost, unica categoria tra i vini in crescita nella Gdo nel 2022

Si chiude un anno di riposizionamento per le vendite dei vini in grande distribuzione (e retail) in Italia. Nel 2022, l’unica voce chiaramente positiva – rileva l’Osservatorio Uiv-Ismea su base Osservatorio Ismea-Nielsen IQ – è relativa alla categoria “Altri spumanti Charmat” (diversi dal Prosecco), che ha archiviato il 2022 con una crescita tendenziale in volume del 13% (+22% nei discount), a fronte di un calo generale degli acquisti allo scaffale che supera il 6% con perdite sopra la media per la tipologia dei vini fermi (-7%) e in particolare per le Doc rosse che scendono in doppia cifra (-11%).

L’exploit degli spumanti low cost – il cui prezzo medio a 4,4 euro/litro registra un aumento molto più contenuto dei listini rispetto ai competitor – è lo specchio del limitato potere di acquisto degli italiani nell’ultimo anno (i più costosi spumanti a Metodo classico chiudono – dopo un 2021 da incorniciare – a -9%, gli Champagne a -25%, anche per effetto delle limitate disponibilità) ma allo stesso tempo evidenzia tutta l’ormai irrinunciabile centralità raggiunta dalle bollicine anche tra le mura domestiche. Il saldo 2022 delle vendite in grande distribuzione chiude in passivo anche sul fronte dei valori (-2%, a 2,94 miliardi di euro).

Focus 2022 vs 2019
Secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini e Ismea, dal 2019 al 2022 le bollicine hanno registrato un incremento nei volumi commercializzati in Gdo del 17%, con crescite ancora più nette per il Prosecco (+31%) e per gli “Altri spumanti Charmat”, che chiudono il triennio a +32% (34 milioni di bottiglie nel 2022). Per il segretario generale di Unione Italiana Vini, Paolo Castelletti: “Il divario tra le performance degli spumanti e il resto del mercato è sempre più evidente e l’effetto non è stato affatto neutro. A pagare le spese di un carrello che vede gli spumanti protagonisti dei consumi quotidiani, è probabilmente il vino fermo (-8%) e in particolare i rossi, che nel periodo considerato scontano una contrazione dell’11%”.

Per il responsabile Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale di Ismea, Fabio Del Bravo: “Quello che osserviamo dall’immediato pre-Covid a oggi è un cambiamento con pochi precedenti delle abitudini al consumo degli italiani, che considerano ormai gli spumanti un vino a tutto pasto, svincolato da ricorrenze e festività e a cui non si è disposti a rinunciare neanche di fronte all’erosione del potere d’acquisto”.

Le Do
Se ovviamente il saldo dell’ultimo anno delle principali denominazioni e indicazioni geografiche segue l’andamento generale negativo, uno sguardo in prospettiva di medio termine aiuta a inquadrare meglio quali sono i vini che strutturalmente hanno imboccato una fase involutiva e quali invece stanno ripiegando sui valori pre-Covid dopo la fiammata 2020/21. Fra i primi, vanno annoverati alcuni rossi Igt sia che provengano da vitigni autoctoni che da vitigni internazionali. Tra le Dop le battute d’arresto sono numerose e spaziano dal Piemonte alla Sicilia. Quelli in fase di rientro verso la “normalità” sono invece Montepulciano d’Abruzzo, Chianti, Salento (quindi Negroamaro), Lambrusco Emilia e Rubicone Trebbiano. Poi ci sono anche quelli (pochi a dir la verità fra i big seller) in fase positiva, nonostante volumi negativi nell’ultimo anno: Sangiovese Rubicone, Vermentino di Sardegna, Verdicchio, Castelli Romani, Valpolicella.

E-commerce
Il saldo negativo in volume più pesante (2022 vs 2021) lo si ritrova nell’e-commerce, con -15% cumulato tra vini e spumanti e picchi maggiori per le tipologie più pregiate, come per esempio gli spumanti metodo classico (-21%). Il canale, al contrario del retail fisico, ha sperimentato diffusi segni negativi sui prezzi, con listini in media a -10%. Dopo aver sperimentato un vero e proprio boom delle vendite nel 2020 (da 2,6 a 8 milioni di litri) e un ulteriore incremento nel 2021 (9 milioni), il segmento pare destinato ad assestarsi sui livelli dell’anno pandemico, e quindi aver interrotto la crescita.

Vino in Gdo, -7% di bottiglie vendute nei primi 9 mesi dell’anno

Salgono i prezzi e scendono i consumi di vino nella grande distribuzione italiana. Secondo l’Osservatorio del vino Uiv-Ismea su dati Ismea-Nielsen, nei primi 9 mesi di quest’anno, gli acquisti sugli scaffali di Gdo e retail rispetto al pari periodo del 2021 sono scesi in volume del 6,9% (a 5,6 milioni di ettolitri, sotto anche i livelli pre-Covid), l’equivalente di 55 milioni di bottiglie in meno. In ribasso anche il saldo del valore (-3,5% a 2 miliardi di euro), nonostante il prezzo medio sia progressivamente lievitato del +7% nel secondo e terzo trimestre. Ed è proprio questa crescita dei prezzi, dettata esclusivamente da una spinta inflazionistica comunque ancora sottostimata rispetto al reale surplus di costi accusati dalle imprese del vino, che – secondo l’Osservatorio – sta zavorrando le vendite, in attesa di un autunno-inverno ancora più difficile per gli italiani.

Se poi fino a oggi il segmento della ristorazione con il boom del turismo dall’estero è riuscito a trainare anche il mercato dei vini, l’off trade comincia a mostrare i primi segni di difficoltà, a partire dai propri prodotti enologici più rappresentativi.

Le vendite presso la Gdo evidenziano un calo dei volumi di tutte le tipologie di vini, con i fermi a -7,5% mentre gli spumanti pagano meno (-2,2%) grazie alla crescita in doppia cifra del sempre più significativo segmento degli spumanti secchi “low cost”, che ha mantenuto invariato un prezzo medio del 30% inferiore rispetto alla media di categoria. Tra i vini fermi, le elaborazioni Uiv-Ismea evidenziano picchi negativi a volume per i rossi (-9,2%), mentre i bianchi si fermano a -6% e i rosati a -3,8%. I più colpiti dalle riduzioni di consumo risultano i vini Dop, che chiudono i primi nove mesi a -8,7% (-che diventa -11,5% per i rossi), contro il -8,1% per gli Igt, mentre i vini comuni chiudono il saldo a -6%. Pochissime le denominazioni a luce verde tra le vendite in volume, non a caso quelle che hanno mantenuto sostanzialmente invariati – o addirittura diminuiti – i propri listini (Castelli Romani, Oltrepò Pavese Barbera, Nobile di Montepulciano, Vermentino di Sardegna). Cali oltre la media invece sui volumi di vendita per alcune tra le più importanti denominazioni italiane, come il Prosecco (-8,5%) gli spumanti Metodo classico (-10,4%), il Chianti Docg (-11,5%) il Montepulciano d’Abruzzo (-9,7%), la Barbera (-15,9) e i Lambruschi. Tra le Indicazioni geografiche tipiche, riduzioni significative anche per Puglia Igt, Terre Siciliane, Lambrusco Emilia, Rubicone Trebbiano.

In calo anche la nicchia dei i vini biologici (incidono in volume poco più dell’1% sul totale), non solo in termini di bottiglie consumate (-2,3%), ma soprattutto di valore generato (-5,9%), nonostante una limatura dei listini del 4% (5,19 euro al litro). Giù anche l’e-commerce, la cui spinta si è fermata sia nei volumi (-15%) che nei valori (-23%, a 34,7 milioni di euro).

“I dati sulle vendite – ha sottolineato Fabio Del Bravo, Responsabile servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – ci dicono che la reattività degli acquisti di vino al prezzo si è fatta elevata, mentre il sentiment rilevato dall’Ismea nell’ambito dell’indagine trimestrale sul clima di fiducia tra gli operatori della filiera vitivinicola evidenzia un peggioramento dei giudizi sull’evoluzione futura dell’economia e anche sulla tenuta degli ordinativi futuri. Se la pressione lato costi non dovesse allentarsi, nell’impossibilità di trasferire a valle i rincari, la filiera potrebbe per la prima volta dopo anni entrare in difficoltà sul fronte domestico”.

Per il segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti: “Fino a oggi la filiera è riuscita a tenere per quanto possibile sotto controllo le dinamiche dei prezzi, e va dato atto alla distribuzione di aver fatto la sua parte. Sarebbe più che mai auspicabile mantenere in equilibrio i listini anche nei prossimi mesi, quando il potere di acquisto delle famiglie sarà ulteriormente ridotto a causa di costi energetici, dei beni alimentari e di prima necessità”.

Made in Italy e denominazioni: ne parliamo con Mauro Rosati

Quando Mauro Rosati, nella sua introduzione al XVI Rapporto Ismea-Qualivita sulle In­dicazioni Geografiche, parla di consolidamento della #DopEconomy lo fa a ragione veduta. In qualità di direttore generale della fondazione Qualivita, infatti, gode di un osservatorio privilegiato sul comparto e – negli anni – ha potuto costatarne l’evoluzione. Oggi, spiega dunque, le IG – oltre che volàno dei principali di­stretti agroalimentari italiani (valgono alla produzione 15,2 miliardi e pesano per il 18% sul valore totale agroalimentare) – svolgono pure un ruolo culturale, come megafono del nostro “gastronazionalismo” e come punto di sintesi nei vari distretti sia in termini di promozione, sia in termini di esperienze di viaggio.

A lui abbiamo chiesto quali siano le denominazioni con le migliori prospettive di crescita.

“Diciamo che sono tante le “promesse” nel settore delle IG. Tra le produzioni con le prospettive migliori mi piace ricordare la pasta di Gragnano che attraverso l’IGP ha avuto un rilancio dei volumi. Bene anche l’aceto balsamico, che cresce su tutti i mercati e ha conquistato l’estero, divenendo un prodotto globale. E ottimi risultati pure per il cioccolato di Modica, il primo certificato in Italia e in Europa. Restando in tema dolci, infine, è giusto evidenziare la crescita di prodotti secchi come Cantucci, Panforte e Ricciarelli.

Sempre più apprezzati sono prodotti di nicchia come la burrata di Andria IGP o la Piadina romagnola, prodotto ricercatissimo, quasi iconico, ma con una struttura produttiva ancora fragile e un brand ancora non pienamente utilizzato. Se poi guardiamo all’ortofrutta vediamo un consolidamento delle mele (Valtellina e Val di Non) e delle Arance di Ribera.”

Fonte: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita

Cosa può dire delle IG nei trasformati?

E’ un settore ampio, che sta muovendo adesso i primi passi decisivi e che potrebbe dare ancora tantissimo. Penso, per esempio, al segmento delle creme spalmabili, che oggi vede in competizioni tre grandi attori. Se solo si utilizzasse materia prima certificata (e penso alle nocciole), si potrebbe aprire un ulteriore importante sbocco per questa denominazione che fa già registrare una crescita al consumo del 29%. Un po’ come è successo per il pistacchio di Bronte che continua a crescere da anni e che nel 2017 ha segnato +11% sull’anno precedente.

Sempre a proposito di trasformati, voglio ricordare come nuovi lanci nel settore dei minestroni surgelati con cipolla di Tropea IGP, abbiano aperto nuove vie alle denominazioni. Un po’ come è successo con il Radicchio di Treviso in IV gamma: in questo caso l’elevato contenuto di servizio ha contribuito a portare al successo il prodotto.

Quali, invece, i prodotti in crisi?

Tra questi (e purtroppo è storia recente) ricordiamo il Pecorino Romano, consumato prevalentemente in America e utilizzato per il 90% nella trasformazione.

In calo anche il pane tradizionale certificato, penalizzato dalla richiesta sempre maggiore di pane con farine speciali e grani antichi come il Senatore Cappelli. Ed infine l’Olio Extra Vergine di Oliva ad Indicazione Geografica che nonostante un consumatore sempre di più alla ricerca di prodotto italiano non riesce a crescere e trovare un proprio spazio di mercato.

Quali le IG che vanno più forte in horeca?

In primis tutte quelle che possono essere ingredienti per la pizza, oggi piatto sempre più gourmet. Penso per esempio ai Pomodoro del Piennolo del Vesuvio DOP, al Parma o al San Daniele DOP, ma anche allo Speck Alto Adige IGP e alla Mozzarella di Bufala Campana DOP.

E poi, ovviamente, gli hamburgher con chianina IGP, che per i giovani sono un po’ come la fiorentina al ristorante. E sempre in horeca vanno alla grande affettati e salumi e aceti balsamici come condimento: tanto appeal e forte leva di marketing.

Quindi il cibo di qualità ha vinto?

Diciamo che è sulla buona strada: i presupposti perché arrivi nel piatto del consumatore ci sono, anche se è indispensabile rafforzare e rendere costante il connubio tra produzione e distribuzione. Un’alleanza tra industria e ristorazione potrebbe dare ancora tanto di più all’alimentare di qualità.

DOP e IGP: il Rapporto Ismea-Qualivita conferma il primato italiano

DOP IGP: con 818 Indicazioni Geografiche registrate a livello europeo si rafforza il primato mondiale dell’Italia per numero di prodotti. Ottimi risultati non solo sul fronte meramente numerico, ma anche su quello produttivo: 14,8 miliardi di valore alla produzione e 8,4 miliardi di valore all’export. Dati che testimoniano una crescita del +6% su base annua. In crescita anche i consumi nella GDO del +5,6% per le vendite Food a peso fisso e del +1,8% per il Vino.
Il settore Food

Nel 2016 conta 83.695 operatori (+5% sul 2015), vale 6,6 miliardi di euro alla produzione e 13,6 miliardi al consumo, cresce del +3% sul 2015, facendo registrare, pe quanto concerne l’export, un +4,4%.

Il comparto Wine

Con oltre 3 miliardi di bottiglie, vale 8,2 miliardi di euro alla produzione, cresce del +7,8% e sfiora i 5 miliardi di valore all’export (su un totale di 5,6 miliardi del settore).

Il trend degli ultimi 10 anni

Da due lustri a questa parte si segnala una crescita continua del sistema DOP IGP che ha così affermato il proprio peso economico nel Paese fino a rappresentare l’11% dell’industria alimentare e il 22% dell’export agroalimentare nazionale (nel 2015 era il 21%). Il Sistema delle DOP IGP in Italia garantisce qualità e sicurezza anche attraverso una rete che, alla fine del 2017, conta 264 Consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf e oltre 10mila interventi annui effettuati dagli Organismi di controllo pubblici.

Uno sguardo ai vari comparti

Il settore dei Formaggi, che conta su 27.933 operatori, è la principale categoria delle DOP e IGP in termini di volume d’affari, con un valore alla produzione che supera i 3,7 miliardi di euro per un’incidenza del 57% sul totale del comparto Food.
Continua a crescere la quantità certificata (+2,9%). La quantità esportata, pari al 34%
della produzione certificata complessiva, mostra risultati che migliorano quelli già eccellenti del 2015: con quasi 1,65 miliardi di euro, l’export cresce del +3,3% e rappresenta il 49% del totale delle esportazioni del comparto Food. Buoni risultati a livello di export per i quattro prodotti che guidano la classifica del valore alla produzione, in ordine: Grana Padano DOP (+4%), Parmigiano Reggiano DOP (+9%), Mozzarella di Bufala Campana DOP (+11%), Gorgonzola DOP (+7%). Tra i prodotti principali, sui fronti produzione certificata e valore al consumo si segnalano trend positivi per Pecorino Romano DOP (+18% e +25%), Pecorino Toscano DOP (+32% e +10%) e Provolone Valpadana DOP (+12% e +9%).

I Prodotti a base di carne rappresentano la seconda categoria delle DOP e IGP per giro d’affari, con un valore alla produzione superiore ai 2 miliardi di euro per un’incidenza del 30% sul totale del comparto Food. Il settore, che conta 4.014 operatori, mostra trend positivi rispetto
al 2015 sia a livello di produzione certificata (+3,2%) che di valore (+10,7% alla produzione, +4,5% al consumo). L’export, che copre una quota del 17% della produzione, riporta ottimi risultati. Il Prosciutto di Parma DOP traina la filiera con oltre il 40% della categoria per quantità e valore alla produzione e quasi il 50% per valore all’export. Le altre grandi produzioni della categoria sono Mortadella Bologna IGP, Prosciutto di San Daniele DOP e Bresaola della Valtellina IGP che, ancora una volta sul fronte export, hanno riportato crescite
in doppia cifra rispetto al 2015. In crescita i valori relativi a Prosciutto Toscano DOP e Prosciutto di Norcia IGP.


Con 111 riconoscimenti i prodotti ortofrutticoli sono la categoria leader per numero di denominazioni. Il primato riguarda anche le quantità certificate – circa 600mila tonnellate. La categoria che vede impiegati 18.829 operatori, registra nel 2016 una flessione del -12% delle quantità certificate rispetto all’anno precedente e una battuta d’arresto ancora maggiore in termini di valore della produzione (-25%). Si evidenzia il ruolo di assoluto rilievo che ricoprono le esportazioni, che assorbono ben il 40% della produzione certificata complessiva del settore. Trainano la categoria i trend della Mela Alto Adige IGP (-15% volume e -33% valore rispetto al 2015) e della Mela Val di Non DOP (-14% volume e -33% valore), che rappresentano da sole l’80% della produzione certificata e il 67% del valore alla produzione.
Tra le altre denominazioni crescite consistenti su base annua per Melone Mantovano IGP (+250% in quantità e +170% in valore), Pistacchio Verde di Bronte DOP (+54% in quantità e +51% in valore) e Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP (+19% in volume e +34% in valore).

La categoria degli Aceti balsamici – che può contare su 650 operatori – mostra nel 2016 dinamiche positive, sia in volume sia in valore.  È l’Aceto Balsamico di Modena IGP a caratterizzare il comparto, rappresentando circa il 99% dei volumi certificati, dei valori alla produzione e dell’export.

Ai 43 Oli di Oliva del 2015 si aggiungono 2 nuove IGP regionali nel 2016 e una nel 2017, con la categoria che raggiunge complessivamente 46 riconoscimenti (42 DOP e 4 IGP). Il settore degli oli extravergini IG risulta fortemente collegato per quantità e valori ai primi tre prodotti della
graduatoria, rispettivamente Toscano IGP, Terre di Bari DOP, e Val di Mazara DOP. Seguono, con una crescita sostenuta, altre due denominazioni storiche: Riviera Ligure DOP e Umbria DOP.

Il valore alla produzione per la categoria delle Carni fresche DOP e IGP nel 2016 supera gli 86 milioni di euro mentre il valore al consumo sfiora i 200 milioni di euro. Le esportazioni di carni fresche certificate rappresentano una ristrettissima nicchia (meno dell’1% del totale della produzione DOP IGP destinata ai mercati esteri), mentre oltre il 40% delle carni fresche DOP IGP è immesso nel mercato nazionale attraverso i canali “Horeca” e “Dettaglio tradizionale” (per le altre categorie del Food IG non si raggiunge il 10% su questi canali). Continua a crescere la grande filiera del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP sia per quantità certificata che per risultati di mercato con un valore al consumo che supera i 134 milioni di euro (+5,1%). Dinamiche altalenanti per i volumi certificati del comparto ovino, cresce l’Agnello di Sardegna IGP (+13%), diminuiscono Abbacchio Romano IGP (-26%) e Agnello del Centro Italia IGP (-6%).

Carne di pollo, un settore che cresce da 5 anni

In controtendenza rispetto a molte altre filiere zootecniche, quella avicola, dal 2012 al 2016, ha fatto registrare segnali di crescita costante.

Secondo le rilevazioni Ismea il settore, infatti, vale alla produzione oltre 2,7 miliardi e incide sul fatturato agricolo per il 7,9% e per il 4,1% su quello industriale.

In termini di domanda interna, il pollo ricopre la quota più importante tra i prodotti carnei consumati nel 2016: 30%, mentre i consumi pro capite sono passati da 19,5 nel 2012 a 20,4 Kg nel 2016, superando il consumo pro capite dei carne bovina che si attesta a 17,1Kg.

Nell’ambito dei consumi domestici delle famiglie nell’arco del quinquennio ‘12/’16 la carne di pollo è l’unico prodotto a segnare un incremento dei volumi e della spesa.

Fonte Ismea

I consumi domestici analizzati per aree geografiche evidenziano andamenti positivi per le aree del Centro e del Nord, meno bene quelle meridionali, dove si registra una contrazione sia della spesa che dei volumi, ma probabilmente il dato è “viziato” dal fatto che in queste aree sono molto diffusi gli allevamenti amatoriali e l’autoconsumo, fenomeni che sfuggono alla rilevazione degli acquisti.

L’identikit del consumatore

Chi acquista di più carne di pollo?

Una rilevazione in base alle fasce di età ha dimostrato che i consumatori tra i 45 e i 54 anni mantengono stabili gli acquisti di prodotti avicoli sia in termini di volume che di spesa.

Aumentano invece i volumi del 7% tra i giovanissimi (sotto i 34 anni) e del 9% tra i consumatori over 64.

A tentennare sono invece gli acquisti effettuati da categoria con responsabile acquisti in fascia 34/44 anni (-8%).

I canali distributivi

Oltre 70% degli acquisti di carni avicole avviene negli iper/super mercati; in espansioneespansione anche i discount che stanno acquistando la loro fetta di consumatori (20% in quota con un trend nel quinquennio del +57%).

 

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