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Inflazione in calo ma occorre sostenere i consumi per salvaguardare il Made in Italy

I dati diffusi da Istat relativi ai prezzi al consumo del mese di febbraio evidenziano un’inflazione in rallentamento rispetto a quella del mese precedente: l’indice generale segna +9,2%, mentre il carrello della spesa registra un +13%.

“Nonostante si inizino a rilevare i primi segnali di un rallentamento dell’aumento generalizzato dell’inflazione, per effetto del sostanziale calo dei costi dei beni energetici, permane un sentiment diffuso di incertezza sul piano economico e servirà ancora diverso tempo per attenuare gli effetti dell’aumento dei prezzi, che resta tra le preoccupazioni principali delle famiglie italiane” ha commentato Carlo Alberto Buttarelli, Direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione.

“Il potere d’acquisto è stato fortemente messo sotto pressione in questi ultimi mesi e oggi continuiamo a registrare una contrazione dei consumi nel comparto del food, con un calo a volume tra i 4 e i 5 punti percentuali rispetto a un anno fa. È una situazione alla quale si deve porre la massima attenzione, con l’obiettivo di sostenere i consumi ed evitare impatti significativi sulle tante filiere agroalimentari di qualità ed eccellenza del Made in Italy.

Nel corso dell’ultimo anno le aziende della distribuzione moderna hanno fatto uno sforzo economico significativo, assorbendo parte degli aumenti generalizzati sui beni di consumo, per attenuare l’impatto sui prezzi e tutelare il potere di acquisto degli italiani. Oggi da parte delle nostre aziende non ci sono le condizioni per assorbire nuovi incrementi dei prezzi, ci auguriamo che i chiari segnali di rallentamento sui costi dell’energia e delle materie prime di queste settimane portino anche il sistema industriale ad agire in questo senso e porre un freno alla spinta agli aumenti che ha caratterizzato il mercato in questi mesi”.

Agroalimentare italiano, in aumento i prodotti riconosciuti dalla Ue

Prosegue la crescita delle eccellenze nel settore agroalimentare di qualità del cibo. Nel 2021 il settore si arricchisce di tre prodotti food: Olio di Roma di Indicazione geografica protetta (Igp) nel Lazio, la Pesca di Delia (sempre Igp) e il Pistacchio di Raffadali di Denominazione di origine protetta (Dop) le cui zone di produzione, in questi ultimi due casi, si estendono tra diversi comuni in Provincia di Caltanissetta e Agrigento in Sicilia.

Ma è nel 2020 che si è registrata un’impennata nelle certificazioni, quando nel mercato sono entrati 12 prodotti di cui: uno di Specialità tradizionale garantita, Stg (l’Amatriciana tradizionale), cinque prodotti Dop (Mozzarella di Gioia del Colle, Provola dei Nebrodi, Cappero delle Isole Eolie, Pecorino del Monte Poro e Colatura di Alici di Cetara) e sei Igp (Südtiroler Schüttelbrot/Schüttelbrot Alto Adige, Rucola della Piana del Sele, Limone dell’Etna, Pampepato di Terni/Panpepato di Terni, Olio lucano e Mele del Trentino).

Si conferma la predominanza del settore degli Ortofrutticoli e cereali che, di fatto, rimane quello con il maggior numero di riconoscimenti: nel 2021 si attestano a 118, di cui 38 Dop e 80 Igp. Segue il settore dei Formaggi con 56 prodotti e l’Olio extravergine di Oliva con 49 prodotti. A livello territoriale l’Emilia-Romagna è la regione con il maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, seguita dal Veneto, dalla Sicilia e dalla Lombardia.

In crescita gli operatori del food di qualità
Nel 2021 si registra rispetto al 2020 un aumento degli operatori soprattutto tra i produttori (+1,9%), i trasformatori restano invece pressoché stazionari (+0,2%). La crescita interessa soprattutto le regioni del Mezzogiorno (+2,8% per gli operatori e +2,9% per i produttori). Al Nord la variazione è di +1,6% sia per i produttori che per gli operatori, che al Centro hanno invece una situazione più stazionaria (entrambi +0,8%).

Più variegato è lo scenario dei trasformatori che comunque raggiungono l’incremento maggiore sempre nel Mezzogiorno (+2%), all’opposto nel Nord la variazione è negativa (-2%). Ad incidere positivamente sui risultati del Mezzogiorno troviamo il settore delle Carni fresche, dei Formaggi e dell’Olio extravergine di Oliva. A livello regionale, nelle aree meridionali del Paese si colloca il 40,5% dei produttori, di cui la quota più alta (19%) nella sola Sardegna, seguita dalla Sicilia (7,4%). Nel Nord opera il 37,7% dei produttori presenti in Italia (il 14,3% nel solo Trentino-Alto Adige), mentre nel Centro (21,8%) è particolarmente attiva la Toscana (14,3%).

Il forte legame tra il territorio di origine e i prodotti agroalimentari di qualità certificati dall’Unione europea si traduce nella tipicità e specializzazione del territorio stesso oltre che nella sua valorizzazione in determinati settori. È così che in Sardegna è presente soprattutto una tradizione lattiero casearia, con il 66,7% dei produttori che operano in questo settore e gestiscono il 67,2% degli allevamenti certificati della regione. Analogo discorso vale per la Valle D’Aosta-Vallée d’Aoste, dove tutti i produttori sono attivi nel settore dei Formaggi, che vede in Lombardia una quota del 66% e in Emilia Romagna del 52,5%.

La Toscana ha una spiccata vocazione nell’attività olivicola-olearia: l’86,2% dei produttori e il 96,5% della superficie investita coinvolta. La specializzazione olivicola-olearia è forte anche in Liguria e in Puglia (la quota di produttori del settore è, rispettivamente, del 94,3% e dell’87,4%), così come in Sicilia (59,8%), anche se in quest’ultima regione è rilevante anche la produzione ortofrutticola (38,8%). In Trentino Alto-Adige quasi il 90% dei produttori lavora nel settore ortofrutticolo al quale è dedicata quasi tutta la superficie certificata nella regione. Nel 2021 il 41,2% dei trasformatori si ripartisce tra l’Emilia-Romagna (18%), la Toscana (13,8%) e la Campania (9,4%). In Emilia-Romagna il 19,7% dei trasformatori è attivo nella Preparazione di carni, il 33,4% nel settore lattiero-caseario, mentre il 33,7% opera nel comparto degli ‘Altri settori’. In Toscana si conferma la forte specializzazione nel settore olivicolo-oleario anche per l’attività di trasformazione (molitore e/o imbottigliatore) svolta dal 62,7% delle imprese della regione. In Campania il 46,5% dei trasformatori opera nel settore delle Carni fresche.

Carni fresche: un settore in crescita
Con 10.177 operatori presenti il settore delle Carni fresche segna nel 2021, rispetto al 2020, una crescita (+2,3%) che interessa sia i produttori (+2,1%) che i trasformatori (+2,6%). Tra la Sardegna e il Lazio si concentra il 61,3% degli operatori. Questo valore aumenta se si considerano i soli produttori che, in queste regioni, rappresentano il 67,1% del totale nazionale del settore e conducono il 66,8% degli allevamenti. Più varia è la situazione per i trasformatori articolati diffusamente sul territorio, in particolare tra la Campania (29,4%), la Toscana (16,6%) e le Marche (11,4%). Nel complesso, i trasformatori si attestano a 1.130 unità e gestiscono 2.311 impianti (con un rapporto medio di circa due impianti per impresa). In ordine per numero di produttori al primo posto troviamo l’Agnello di Sardegna, seguito dal Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale.

In calo la Preparazione di carni
La Preparazione di carni opera in una logica di filiera ramificata in cui lo stesso operatore può partecipare alla realizzazione di uno o più prodotti. Le aziende di questo comparto segnano una flessione rispetto al dato del 2020 (-4,5% per gli operatori) che, in misura variabile, interessa quasi tutti i prodotti di qualità del settore. Questa flessione diventa ancora più evidente se si guarda ai produttori (-6,6%). I prodotti a base di carne contano, nel 2021, 3.010 produttori con 3.620 allevamenti localizzati prevalentemente in Lombardia (40,9% dei produttori e 41,8% degli allevamenti), in Piemonte (23,6% e 22,7%) e in Emilia-Romagna (14,6% e 15,7%). Oltre il 40% delle imprese di trasformazione e degli impianti si concentra in Emilia-Romagna.

In lieve flessione il settore dei Formaggi
Come per la Preparazioni di carni, anche il settore dei Formaggi si sviluppa lungo un’articolata e densa rete di rapporti tra gli allevatori e i trasformatori in quanto il latte di un medesimo allevamento può essere destinato alla preparazione di formaggi diversi. Nel 2021 il settore può contare su 24.637 operatori, 23.644 produttori e 1.436 trasformatori. I primi prodotti di qualità per numero di operatori sono: Pecorino Romano, Pecorino Sardo e il Grana Padano. Rispetto al 2020 il settore segna una flessione dello 0,7% (sia per i produttori che, più in generale, per gli operatori) in tutte le ripartizioni geografiche considerate, con la sola eccezione delle Isole. Ed è proprio nelle Isole che si localizza il maggior numero di produttori (43,6% nella sola Sardegna) e di allevamenti. Seguono la Lombardia (con il 13,5% dei produttori) e l’Emilia-Romagna (11%). In quest’ultima regione, inoltre, è presente il maggior numero di trasformatori del settore (31,5% del totale nazionale) pari, in valore assoluto, a 453 imprese che, in media, gestiscono ognuna 1,5 impianti.

Forte dinamismo dei produttori nell’Ortofrutticolo e dei cereali
Caratterizzato dal maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, tra il 2020 e il 2021 il settore degli Ortofrutticoli e dei cereali segna un’importante crescita: gli operatori, infatti, registrano un incremento del 5,6% grazie al forte dinamismo dei produttori (+5,9%), mentre la superficie investita aumenta dell’8,2%. La dimensione media delle aziende agricole è di circa 4,6 ettari per unità produttiva. In calo, invece, i trasformatori (-2,1%), che subiscono una flessione più accentuata nelle aree del Nord-est (-4,9%) e del Sud (-4,4%). Oltre la metà dei produttori del settore si colloca nel Trentino-Alto Adige (51,4%), a seguire l’11,5% della Sicilia. Tra i prodotti più tipici del Trentino-Alto Adige si ricordano la Mela dell’Alto Adige o Südtiroler Apfel, le Mele del Trentino, la Mela della Val di Non, oltre che la Susina di Dro.

Oli extravergine di oliva: in aumento i soggetti della filiera
Nel confronto con l’anno precedente, il settore olivicolo oleario segna una crescita del 2,9% sia in termini di produttori che, più in generale, di operatori. I trasformatori (nel ruolo di molitori e/o imbottigliatori) aumentano del 3,4%, mentre gli impianti segnano una crescita del 5,3%: in media ciascun trasformatore gestisce 1,5 impianti. Considerata la lunga tradizione geografica di alcuni territori specializzati nella coltivazione dell’olivo e nella produzione olearia, la Toscana si conferma, anche nel 2021, la regione con il maggior numero di operatori presenti nel settore (42%), seguita dalla Puglia (16,3%) e dalla Sicilia (15,6%). La quota femminile interessa il 33% dei produttori e il 20,1% dei trasformatori.

In flessione i produttori del comparto ‘Altri settori’
Questo comparto è costituito dall’aggregazione di più settori: Altri prodotti di origine animale, Aceti diversi dagli aceti di vino, Prodotti di panetteria, Spezie, Oli essenziali, Prodotti ittici, Sale e Paste alimentari e vede la presenza di una pluralità di prodotti di nicchia, che coinvolgono 2.564 operatori tra coltivatori, allevatori e pescatori, oltre che trasformatori. Questi ultimi sono 926, con 1.331 impianti. Rispetto al 2020, si assiste ad una flessione del 3,2% dei produttori, mentre tengono i trasformatori (+0,5%). Oltre il 45% dei produttori si localizza in Campania, segue il 27,4% del Lazio. Le aziende di trasformazione si concentrano, invece, tra l’Emilia-Romagna (49,4%) e l’Abruzzo (10,8%).

Crisi e pandemia: la risposta delle imprese nel Rapporto Istat

È stata pubblicata la nona edizione del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, alla luce dei condizionamenti dell’emergenza sanitaria.

Lo scenario macroeconomico, affrontato nel Capitolo 1, evidenzia come tutte le principali economie (con la sola eccezione della Cina, che nel secondo semestre ha registrato una crescita pari al +2,3 per cento su base annua) sono state interessate da una fase recessiva. La crisi ha avuto un impatto immediato e dirompente anche sui flussi di commercio estero, con flessioni significative in media d’anno sia dell’import sia dell’export. La flessione delle esportazioni del 2020, ha colpito comparti rilevanti del modello di specializzazione italiano: macchinari (-12,6 per cento), tessile abbigliamento e pelli (-19,5 per cento), mezzi di trasporto (-11,6 per cento). Esportazioni in controtendenza, invece, per settori come farmaceutica (+3,8 per cento) e agroalimentare (+1,0 per cento per alimentari, bevande e tabacco, +0,7 per cento per l’agricoltura).

Il calo sensibile della domanda, interna ed estera, ha sottratto liquidità alle imprese: da qui l’introduzione di misure governative di sostegno ai margini di liquidità delle imprese, per fronteggiarne gli effetti sulla gestione finanziaria e creare le condizioni per rilanciare l’attività alla fine dell’emergenza.

Le conseguenze della crisi sui settori produttivi sono analizzate nel Capitolo 2. L’impatto è stato estremamente eterogeneo: più accentuato per i servizi (-12,1 per cento) rispetto all’industria (-11,1 per cento).

È proprio il  terziario la principale vittima della pandemia, in particolare nei comparti legati al turismo (agenzie di viaggio, trasporto aereo, alloggio e ristorazione, con cadute comprese tra il 40 e il 75 per cento).

Sul fronte turismo, in Italia i dati provvisori relativi al 2020 hanno registrato un calo del 59,2 per cento per gli arrivi totali e del 74,7 per cento per i turisti stranieri, interrompendo la tendenza positiva in atto da diversi anni e culminata nel 2019 nel record di presenze negli esercizi ricettivi italiani. La capacità di ripresa di questo settore che, considerando le componenti dell’indotto, nel 2018 rappresentava il 15 per cento del totale delle imprese, il 12,8 per cento degli addetti e il 5,8 per cento del fatturato, appare cruciale.

Il fronte microeconomico, è affrontato nel Capitolo 3 del Rapporto. La crisi pandemica ha innescato un crollo della domanda, ma come hanno reagito le imprese? In ordine sparso e in modo molto differenziato- spiega il Rapporto. Circa il 30 per cento è rimasto “spiazzato”, un quarto ha reagito attraverso l’introduzione di nuovi prodotti, la diversificazione dei canali di vendita e di fornitura (anche attraverso il passaggio a servizi on line e e-commerce), un quinto ha intrapreso misure di profonda riorganizzazione dei processi e degli spazi di lavoro, orientandosi verso la transizione digitale o l’adozione di nuovi modelli di business.

L’effetto della crisi a livello territoriale viene infine trattato nel Capitolo 4. Se sul piano strutturale emerge un chiaro dualismo tra le regioni settentrionali e meridionali del Paese è anche vero che la realtà è molto più sfaccettata. Infatti i risultati confermano come in Italia la crisi tenda ad accentuare il divario tra le aree geografiche: delle sei regioni il cui tessuto produttivo risulta ad alto rischio combinato, cinque appartengono al Mezzogiorno, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro Italia (Umbria), mentre le sei regioni classificabili a rischio basso si trovano tutte nell’Italia settentrionale (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia. Tuttavia esistono elementi di vulnerabilità anche in territori del Centro (Toscana, Lazio e Umbria) e del Nord (Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano) nei quali, sono più rilevanti le attività maggiormente colpite dalla pandemia.

Analisi metodologica

Tra le diverse iniziative dell’Istat finalizzate a raccogliere le informazioni necessarie all’analisi degli effetti della crisi sanitaria sull’economia e sulla società, nei mesi di maggio e novembre 2020 sono state realizzate due indagini specifiche volte a comprendere come le imprese italiane abbiano vissuto una fase così drammatica, con particolare riferimento all’impatto economico, finanziario e occupazionale. Tali indagini costituiscono un elemento fondante per le analisi proposte in questo Rapporto.

Fase 2 e 3: la paura del contagio condiziona il LCC

Il Covid 19 sta avendo l’effetto di uno shock sull’universo del largo consumo non alimentare, come emerge dall’analisi dell’Osservatorio Non Food 2020 di GS1 Italy, la cui edizione completa sarà pubblicata a settembre[1].

Da questo studio – che comprende l’analisi micro e macro economica svolta da REF Ricerche, le previsioni delle vendite per canale e la ricerca sul punto di vista del consumatore svolte da Metrica/TradeLab – emerge una situazione molto critica che avrà un impatto pesante sui consumi non food e sulla rete commerciale: il 2020 sarà un anno con vendite in forte calo in tutti i 13 comparti merceologici analizzati (con la sola esclusione dei prodotti di automedicazione), e che colpirà soprattutto i prodotti di cancelleria (-32/40%), l’abbigliamento e le calzature (-30/39%), il bricolage (-18/25%) e l’edutainment (-15/22%).    

Entrando nell’analisi dei canali commerciali, l’Osservatorio Non Food di GS1 Italy stima che il calo delle vendite previsto per tutto il 2020 colpirà soprattutto le grandi catene e le superfici specializzate, mentre si assisterà a una forte accelerazione dell’e-commerce, che farà aumentare il numero di comparti non alimentari in cui  l’e-commerce supererà il 10% di incidenza. 

Per arrivare a delineare questo scenario l’Osservatorio Non Food di GS1 ha analizzato e combinato molti fattori. Il primo è la mancata ripartenza dei consumi durante la fase 2. Infatti, tra maggio e giugno il recupero della domanda è stato solo parziale e limitato ad alcuni settori, come arredamento e auto. Altri – come l’abbigliamento e la pelletteria – sono ancora fermi. A complicare la situazione per le imprese c’è l’attenzione ai prezzi: l’attesa di vederli ridotti si scontra con l’aumento dei costi di produzione, che sta acutizzando la crisi in molti settori extra-alimentari. 

Alla criticità dello scenario delineato dall’Osservatorio Non Food analizzando i dati di vendita nel bimestre maggio/giugno, si aggiungono le previsioni negative per i mesi a venire così come emergono dal sondaggio condotto da Metrica intervistando 1.000 persone, che nell’ultimo anno hanno acquistato prodotti non food.

Se durante il lockdown il 75% ha effettuato almeno un acquisto non alimentare (in particolare libri, prodotti per il giardinaggio e il bricolage) e per il 90% l’ha effettuato online (soprattutto articoli di arredamento e attrezzature sportive), a tre settimane dalla fase 2 solo il 60% degli intervistati era tornato in uno store fisico non alimentare.  

Tornare a visitare i punti vendita del non food è stata soprattutto una necessità legata a esigenze di acquisto (55% delle risposte), ma anche la dinamica sociale e psicologica ha avuto il proprio peso: il 33% aveva voglia di tornare a fare la vita di sempre, mentre il 27% ha dichiarato di voler tornare a fare shopping. Il 70% dei reticenti ha dichiarato di non essere tornato nei punti vendita per mancanza di necessità, ma non va sottovalutata l’attenzione all’aspetto sanitario: il 26% non si sentiva sicuro e il 21% non voleva frequentare posti affollati.

La paura del contagio continuerà a influire in modo importante sia sulla frequenza di visita dei punti vendita, sia sulle scelte degli store da visitare, e potrebbe determinare anche nuovi comportamenti strutturali di visita e acquisto. A rischio appaiono soprattutto i centri commerciali: solo il 29% dei loro frequentatori abituali dichiara di non voler cambiare le proprie abitudini contro il 68% che prevede di andarci di meno, principalmente per il timore di dover fare troppe file a causa dei protocolli di sicurezza.

Se gli italiani sono tiepidi verso grandi store e centri commerciali, sembrano invece bendisposti nei confronti dell’e-commerce: dal 15% al 25% dei consumatori intervistati dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy dichiara di voler sostituire gli acquisti fatti nei negozi fisici con quelli realizzati via web

Il lockdown ha indubbiamente giovato alla vendita online: ha generato un’esperienza d’acquisto giudicata più che soddisfacente nel 70-80% dei casi e ha avvicinato anche nuovi consumatori, soprattutto in alcuni comparti. Spiccano giardinaggio e ottica dove circa un terzo di coloro che ha hanno acquistato online lo hanno fatto per la prima volta tra marzo e maggio 2020. Dal 60% all’80% di questi consumatori, a seconda delle categorie acquistate, esprime la volontà di continuare ad acquistare articoli sul web anche nella seconda parte del 2020. Anche estendendo l’arco temporale l’intenzione non cambia e anzi, in questo caso l’interesse a fare acquisti sul web si estende anche all’abbigliamento e alle calzature, ossia ai due settori che generano il maggior fatturato di tutto il mondo del non food. 

La grande incognita di questo scenario è la ripresa economica, che condizionerà in modo decisivo l’andamento degli acquisti non alimentari. Il 45% degli intervistati si è detto abbastanza preoccupato per il futuro e, per questo, intenzionato a comprare solo i beni non alimentari necessari, rimandando o evitando gli acquisti giudicati superflui. Un 23% è più preoccupato e, in un caso su tre, preferisce rinviare gli acquisti al 2021. A farne le spese saranno soprattutto articoli di arredamento e grandi elettrodomestici.

[1] L’Osservatorio Non Food di GS1 Italy raccoglie informazioni su 13 comparti: abbigliamento e calzature, elettronica di consumo, mobili e arredamento, bricolage, articoli per lo sport, prodotti di profumeria, casalinghi, automedicazione, edutainment, prodotti di ottica, tessile casa, cancelleria, giocattoli. L’Osservatorio viene aggiornato annualmente coinvolgendo partner riconosciuti come TradeLab per l’elaborazione dei risultati finali che si basano sui dati rilevati dalle più note e affidabili fonti informative (Istat, Iri, Sita Nielsen, Gfk).

 

Istat, dall’inizio dell’anno vendite ferme e il +1% di maggio non fa cambiare rotta

Possiamo parlare di stagnazione delle vendite a questo punto: i dati Istat sul commercio al dettaglio relativi al mese di maggio 2017 registrano un aumento del +1,0% rispetto a maggio 2016 nelle vendite a valore, con l’alimentare a +1,1% e il non alimentare a +0,9%. Dall’inizio dell’anno però l’Istat evidenzia una variazione pari al +0,1% a valore e al -0,9% a volume.

«Il 2017 non si manifesta come un periodo di ripresa delle vendite al dettaglio – è il commento di Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione –. Nei primi cinque mesi dell’anno i volumi sono in calo (-0,9% a livello complessivo) e la lievissima ripresa a valore (+0,1%) è frutto esclusivamente dell’aumento dei prezzi del settore alimentare. Le famiglie mantengono un atteggiamento prudente nei consumi. Preoccupate dalle incertezze del quadro politico, economico e sociale direzionano l’accresciuto potere d’acquisto degli ultimi anni verso un recupero dello stock di risparmio e un consumo di beni e servizi (auto, cultura e intrattenimento, ristorazione) alternativi ai prodotti di più generale e largo consumo. Un quadro non favorevole per le imprese del commercio, costrette ad affrontare un ulteriore periodo di domanda stagnante e una ripresa che continua ad allontanarsi nel tempo».

Secondo Federalimentare, è il mondo food che continua a destare preoccupazione, visto che la crescita (esigua) del mese (+1,0%) è attribuibile “a un “effetto trascinamento” dovuto all’aumento dei prezzi che, sebbene in riduzione, hanno avuto una forte impennata nei primi mesi dell’anno”. Il dato a volume segna infatti un calo del -1,0%. Questa tendenza si evidenzia in modo ancor più chiaro nei dati cumulati dei primi 5 mesi del 2017, che indicano una crescita del +0,6% a valore ma un calo a volume del -1,9%”. E se a maggio è andato meglio il non food, con una crescita sia a valore (+0,9%) sia a volume (+0,8%), nel periodo gennaio-maggio complessivamente abbiamo un calo, sia a valore sia a volume del -0,2%.

Il Codacons parla di un maggio “freddo” per le vendite aò dettaglio. «In realtà le vendite non stanno affatto crescendo, e rimangono stazionarie rispetto allo scorso anno – spiega il presidente Carlo Rienzi – È evidente come tali dati siano del tutto insufficienti ai fini di una ripresa dei consumi. Nonostante i numeri positivi registrati a maggio, le vendite in Italia sono sostanzialmente ferme, confermando i tanti allarmi lanciati dal Codacons e la mancanza di misure per sostenere il commercio interno».

 

Avanzano ancora i discount, soffrono i piccoli esercizi

“Un dato poco rassicurante” anche se si tratta a volume della prima variazione tendenziale positiva dell’anno emerge dalle rilevazioni Istat  secondo l’Ufficio Studi Confcommercio, visto che l’indice destagionalizzato si posiziona sui livelli più bassi degli ultimi anni. “Dalla debolezza della ripresa – fanno sapere dall’Ufficio Studi – restano più colpiti i negozi con meno di cinque addetti, che registrano una riduzione delle vendite in valore del 2,5%, mentre appare meno difficile la congiuntura delle imprese più grandi. La fiducia delle famiglie continua ad essere precaria, comprimendo la propensione al consumo”. 

Se le vendite di alimentari salgono a maggio 2017 rispetto a un anno prima in ipermercati (+0,2%) piccole botteghe alimentari (+0,3%) e supermercati (+0,4%) sono ancora i discount che fanno registrare l’incremento di gran lunga più significativo, del 3,2%.

Coldiretti evidenzia come sia proprio il settore alimentare a far registrare i risultati migliori con una media del +1,1%. “L’aumento della spesa alimentare su base annua è un segnale positivo poiché si tratta della seconda voce del budget familiare dopo l’abitazione. L’auspicio è che ora gli aumenti di spesa nella distribuzione alimentare si trasferiscano anche al settore agricolo dove – commenta Coldiretti –i compensi riconosciuti per molti prodotti non coprono neanche i costi di produzione”.

Marzo Istat stabile ma il commercio premia solo i discount

Discount +1,2% Gdo -1,2%: lo dice l’Istat, che rileva come le vendite al dettaglio sono state stabili a marzo rispetto al mese precedente, con invariate sia la componente alimentare sia la non alimentare (rispettivamente -0,1% e +0,0%). La situazione è negativa però su marzo 2016, con una diminuzione dello 0,4% in valore e dell’1,4% in volume. Per i prodotti alimentari si rileva una diminuzione dell’1,8% in valore e addirittura del 4,5% in volume. Le vendite di prodotti non alimentari sono in aumento dello 0,3% in valore e dello 0,6% in volume. Negativa la situazione della Gdo, che rispetto a marzo 2016 perde l’1,1% mentre restano sostanzialmente stabili le imprese di piccola superficie.

 

Discount ancora premiati

Il quadro non è roseo, si va dal pesante -3,2% degli ipermercati al -1,2% dei supermercati. Positivi solo i Discount (+1,2%).

Arretrano dell’1,4% gli esercizi non specializzati e aumentano dello 0,4% quelli specializzati. Tra i primi, diminuisce il valore delle vendite degli esercizi a prevalenza alimentare (-1,6%) mentre aumenta lievemente quello degli esercizi a prevalenza non alimentare (+0,1%). 

Accanto ad una situazione di difficoltà economica va segnalata – commenta i dati la Coldiretti – “la tendenza alla ricerca di canali di acquisto alternativi al dettaglio tradizionale con la crescita dell’online, degli acquisti a domicilio e della vendita diretta”. 

Delusione anche dal Codacons che parla di “situazione di grave stallo”.

«Gli analisti avevano previsto una ripresa delle vendite nei primi mesi del 2017, ma il commercio a marzo non solo risulta fermo rispetto al mese precedente, ma addirittura registra un calo delle vendite su base annua – dice il presidente Carlo Rienzi –La corsa dell’inflazione registrata in Italia negli ultimi mesi è assolutamente “falsata”, perché non attribuibile ad un incremento della spesa delle famiglie ma solo a fenomeni esterni come il caro-benzina e l’incremento delle tariffe energetiche».

«Difficile commentare i dati di marzo – ha detto Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – perché l’effetto calendario della Pasqua ( il 27 marzo nel 2016 e il 17 aprile nel 2017) ha giocato un ruolo fondamentale nel dato negativo dei prodotti alimentari. Resta comunque il fatto che siamo di fronte a un quadro di consumi deboli. Questa dinamica delle vendite rende difficile prevedere quella ripresa dei consumi che avrebbe potuto sostenere la crescita del Paese».

 

 

Istat, clima di fiducia dei consumatori stabile, in calo per le imprese

“A novembre 2016 il clima di fiducia dei consumatori rimane sostanzialmente stabile attestandosi a quota 107,9 (108,0 a ottobre); l’indice composito del clima di fiducia delle imprese scende lievemente, da 101,7 a 101,4.

Tra le componenti del clima di fiducia dei consumatori, il clima economico si mantiene sostanzialmente stabile (da 127,3 a 127,2) mentre la componente futura registra una diminuzione riportandosi sul livello medio del periodo luglio-agosto (da 114,3 a 113,7). Dopo i cali registrati negli ultimi tre mesi, in novembre sia il clima personale sia quello corrente migliorano: la componente personale aumenta da 100,5 a 101,3 e quella corrente passa da 102,8 a 103,7.

I giudizi dei consumatori riguardo la situazione economica del Paese scendono lievemente (il saldo passa da -52 a -53) così come le aspettative il cui saldo si attesta sul valore più basso registrato da marzo 2014 (il saldo passa da -19 a -20). Le opinioni sull’andamento dei prezzi al consumo, espresse su un arco temporale di 12 mesi (giudizi sui 12 mesi passati e aspettative per i prossimi 12 mesi), sono orientate alla diminuzione: per i giudizi, il saldo passa da -30 a -34 e per le aspettative da -25 a -28. Infine, diminuiscono le aspettative sulla disoccupazione: il saldo raggiunge il valore più basso dallo scorso giugno (da 31 a 28).

Con riferimento alle imprese, nel mese di novembre si registra un peggioramento della fiducia diffuso in tutti i comparti tranne nel commercio: nella manifattura l’indice passa da 102,9 a 102,0, nei servizi di mercato da 106,6 a 105,2, nelle costruzioni da 125,8 a 124,2; nel commercio al dettaglio l’indice sale da 101,6 a 106,5.

Per quanto riguarda le componenti dei climi di fiducia, nel comparto manifatturiero peggiorano i giudizi sugli ordini (il saldo passa da -11 a -14) mentre aumentano le attese sulla produzione (da 9 a 10). Il saldo dei giudizi sulle scorte rimane stabile. Nel settore delle costruzioni, migliorano i giudizi sugli ordini (da -27 a -25) mentre si segnala un diffuso peggioramento delle aspettative sull’occupazione (da -7 a -11 il saldo).

Nei servizi, si deteriorano i giudizi sul livello degli ordini (da 8 a 6 il saldo) e le attese sull’andamento generale dell’economia (da 5 a 3); il saldo delle attese sugli ordini rimane stabile a quota 5. Nel commercio al dettaglio migliorano sia i giudizi sulle vendite correnti (il saldo passa da -1 a 7) sia le attese sulle vendite future (da 23 a 29); il saldo dei giudizi sulle scorte di magazzino diminuisce da 10 a 9”.

(Fonte: www.istat.it, “Fiducia dei consumatori e delle imprese”, 28 novembre 2016)

Istat, vendite al dettaglio in netta diminuzione

“A settembre 2016 le vendite al dettaglio registrano una diminuzione congiunturale, pari a -0,6% sia in valore sia in volume, confermando le tendenze negative registrate nei mesi precedenti. Le vendite di prodotti alimentari diminuiscono dello 0,3% in valore e risultano stazionarie in volume; quelle non alimentari calano dello 0,8% sia in valore sia in volume.

Nella media del trimestre luglio-settembre 2016, l’indice complessivo del valore delle vendite al dettaglio diminuisce dello 0,4% rispetto al trimestre precedente. L’indice in volume diminuisce, nello stesso arco temporale, dello 0,6%.

Rispetto a settembre 2015, le vendite diminuiscono complessivamente dell’1,4% in valore e dell’1,7% in volume. La flessione più marcata riguarda i prodotti non alimentari: -1,6% in valore e 1,9% in volume.

Tra i prodotti non alimentari si registrano variazioni negative per quasi tutti i gruppi di prodotti. Le diminuzioni più marcate si rilevano per i gruppi Cartoleria, libri, giornali e riviste (-4,1%) e Calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-3,9%).

Rispetto a settembre 2015 si osserva una contenuta flessione del valore delle vendite per la grande distribuzione (0,2%), mentre il calo risulta molto più marcato per le imprese operanti su piccole superfici (-2,5%)”.

(Fonte: www.istat.it, 25 novembre 2016)

Istat, la soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita

“Per la prima volta dopo 5 anni, nel 2016, migliorano le stime relative al giudizio delle famiglie sulla soddisfazione per le condizioni di vita.

Rispetto al 2015, inoltre migliorano i dati campionari sulla percezione della situazione economica di famiglie e individui, mentre è stabile la soddisfazione per gli aspetti relazionali (famiglia e amici), la salute e il tempo libero. In lieve aumento anche la soddisfazione degli occupati per il lavoro.

Notevole è l’incremento della quota di persone di 14 anni e più che esprimono un’alta soddisfazione per la propria vita nel complesso: dal 35,1% del 2015 al 41% del 2016.

La soddisfazione per la propria vita diminuisce all’aumentare dell’età: risultano altamente soddisfatti il 54,1% dei giovani tra 14 e 19 anni e il 34,4% degli ultra 75enni. Fanno eccezione i ‘giovani adulti’ e i ‘giovani anziani’ (rispettivamente 35-44 e 65-74 anni): in entrambi i casi la quota di coloro che indicano punteggi più alti è superiore rispetto alla classe di età che li precede. Non si rilevano invece nei livelli di soddisfazione significative differenze di genere.

La quota di persone di 14 anni e più soddisfatte della propria situazione economica aumenta dal 47,5% del 2015 al 50,5% del 2016.

Nel 2016, aumenta anche la quota di famiglie che giudicano la propria situazione economica invariata (dal 52,3% del 2015 al 58,3%) o migliorata (dal 5,0% al 6,4%) e le proprie risorse economiche adeguate (dal 55,7% al 58,8%)”.

(Fonte: www.istat.it, “La soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita”, 22 novembre 2016).

Istat, le prospettive per l’economia italiana nel 2016-2017

 “Nel 2016 si prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) italiano pari allo 0,8% in termini reali, cui seguirebbe una crescita dello 0,9% nel 2017.

In entrambi gli anni, la domanda interna al netto delle scorte contribuirebbe in misura significativa alla crescita del Pil: 1,2 punti percentuali nel 2016 e 1,1 punti percentuali nel 2017; la domanda estera netta e la variazione delle scorte fornirebbero un contributo lievemente negativo.

Nel 2016 la spesa per consumi delle famiglie in termini reali è stimata in aumento dell’1,2%, alimentata dall’incremento del reddito disponibile e dal miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro. La crescita della spesa proseguirebbe ad un ritmo analogo nel 2017 (+1,1%).

Nell’anno in corso si prevede un rafforzamento degli investimenti (+2,0%) e una successiva accelerazione nel 2017 (+2,7%). Oltre che al miglioramento delle attese sulla crescita dell’economia e sulle condizioni del mercato del credito, gli investimenti beneficerebbero delle misure di politica fiscale a supporto delle imprese.

L’occupazione aumenterebbe nel 2016 (+0,9% in termini di unità di lavoro) congiuntamente a una riduzione del tasso di disoccupazione (11,5%). I miglioramenti sul mercato del lavoro proseguirebbero anche nel 2017 ma a ritmi più contenuti: le unità di lavoro sono previste in aumento dello 0,6% e la disoccupazione si attesterebbe all’11,3%.

Una ripresa più accentuata del processo di accumulazione del capitale potrebbe rappresentare un ulteriore stimolo alla crescita economica nel 2017. Tuttavia le incertezze legate al riaccendersi delle tensioni sui mercati finanziari potrebbero condizionare il percorso di crescita delineato. Le previsioni incorporano le misure descritte nel disegno di legge sul Bilancio di previsione dello Stato”.

(Fonte: www.istat.it, “Le prospettive per l’economia italiana nel 2016-2017”, 21 novembre 2016).

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