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Sostenibilità: il parere dei consumatori. L’analisi di Kantar

Sostenibilità come tema di sviluppo e di creazione di valore: se ne è parlato al webinar di Kantar “Sostenibilità: da dove partire e come attivarsi per costruire valore e crescere” che ha evidenziato come oggi il tema possa essere valorizzato all’interno dell’azienda per costituire un elemento di competitività e differenziazione, costruendo valore di marca e sviluppo di business.

La Sostenibilità diventa quindi uno dei temi centrali nelle attività di sviluppo e crescita del Brand.

La conferma dei consumatori

Diversi studi Kantar rilevano questa aumentata sensibilità: i consumatori già eco-active1 (coloro che, sempre o frequentemente si attivano per migliorare l’ambiente) sono cresciuti significativamente nel 2020, passando dal 16% al 20%. Inoltre, quasi un cittadino su 3 – per la precisione il 27% – pensa che in questo momento i problemi ambientali siano più importanti che mai (Kantar Covid Barometer 2020)​. Consideriamo anche che il 58% dei Millennials e Centennials si dichiara disposto a pagare di più per prodotti eco-friendly così come il 51% dei più maturi3 evidenziando quindi una grande sensibilità verso questi temi.

​E infatti, le cifre del World Business Council for Sustainable Development4 ci confermano stime da capogiro (che potrebbero generare opportunità economiche per un valore di almeno 12 trilioni di dollari all’anno entro il 2030) se si riuscissero a perseguire modelli di business basati sulla sostenibilità anche solo in 4 comparti economici – l’energetico, l’agroalimentare, la mobilità e la salute ed il benessere.

I Brand si sentono sollecitati su ogni fronte: dai consumatori, ai dipendenti, dai regolatori, ai media, dalle banche centrali e agli investitori. ​

Cristina Colombo, Chief Impact Officer di Kantar, ha così commentato: “La cosa interessante è che non stiamo parlando solo di reputazione: la capacità di lavorare in modo sostenibile è appunto una grande opportunità commerciale. I trend legati ad uno stile di vita sostenibile sono diventati evidenti a cavallo di questa decade e sono oggi un punto di attenzione per le aziende. Certo, la sostenibilità è un imperativo scomodo, perché richiede che le aziende reinventino il loro approccio al mercato, le modalità di comunicazione con i consumatori, i prodotti che offrono. ​In una parola: i business dovrebbero chiedersi come rendere la sostenibilità parte integrante ed organica della catena del valore”.

E’ infatti necessaria una visione sistemica, aziendale nel suo complesso, perché bisogna integrare e rendere coerenti i vari flussi di attivazione interna: un percorso orchestrato e coordinato che trasformi progressivamente l’azienda. Il rischio altrimenti è quello di mettere in atto azioni che risultino giustapposte, di green o social washing, che i consumatori spesso scoprono e puniscono severamente. Un vero pericolo per la Reputation della marca. Secondo i dati di BrandZ4, la piattaforma di Kantar di analisi dei Brand, la Responsabilità percepita impatta oggi sulla Corporate Reputation per il 49%: 3 volte di più di 10 anni fa. Un contributo importante alla forza della marca, che non può essere sottovalutato né messo a rischio.

Se dunque la Sostenibilità può diventare un obiettivo strategico per la crescita, si attiva un vero e proprio journey per la marca, che inizia con l’infondere la sostenibilità nel Brand Purpose. Questo dovrà diventare ispirazione ed il nutrimento per guidare il percorso di Innovazione di prodotti e servizi che siano naturalmente sostenibili, “sustainable native”. Inoltre, dovremo essere molto attenti a “come” comunichiamo quanto fatto. La Comunicazione legata alla sostenibilità è un’area sovraffollata: per essere efficaci è vitale trovare e diffondere un punto di vista distintivo per la marca, coerente ed allineato con la personalità finora proposta al mercato. Occhio, quindi, ai passi falsi.

Inoltre, last but not least, per essere portata in vita in modo credibile, la sostenibilità deve essere abbracciata ed adottata nei comportamenti dai dipendenti dell’azienda. Qui la sfida è in primo luogo diffondere la strategia e permetterne una piena introiezione e rielaborazione personale: per i dipendenti, il Brand Purpose è un driver chiave di motivazione, soddisfazione e performance.

Una volta attivato il processo, sarà indispensabile avere a disposizione strumenti di misurazione e verifica dell’aderenza delle leve di marketing all’obiettivo di sostenibilità prima della fase di go to market e successivamente a questa sarà funzionale avere un feedback loop attivo e costante con i consumatori per eventualmente ritarare le iniziative implementate.​

“La Sostenibilità quindi può e deve essere oggi un valido e concreto strumento di trasformazione, un’opportunità per costruire valore. Richiede però un percorso orchestrato, pensato e guidato, un framework di trasformazione sostenibile che supporti i brand in modo coordinato e sistemico” – ha concluso Cristina Colombo.

 

Le vie del nuovo marketing: il parere di Kantar

In un momento particolare dal punto di vista sanitario, personale ed economico, di grande difficoltà ed incertezza, è importante focalizzarci su quanto accade oggi, per attivare fin da subito comportamenti virtuosi che proiettino le nostre marche e le nostre aziende verso un futuro solido. Ne ha parlato Federico Capeci, CEO Italy, Greece & Israel – Insights Division – Kantar in conferenza plenaria allo IAB Forum.

“Come in un viaggio, sappiamo che tutto questo avrà una fine – ha aperto Federico Capeci. Ci sentiamo impotenti… ma possiamo fare molto: guardare all’oggi, focalizzandoci su quello che sta cambiando ora: il Consumatore, e come sta vivendo questo periodo di pandemia, i Marketer, e le Aziende, che reagiscono alla crisi pandemica in modalità diverse, le percezioni e le attitudini verso il Media. Avere una visione chiara del contesto in cui operiamo, ci aiuta a fare scelte più oculate per costruire valore per noi stessi, a livello personale, per le nostre famiglie e per le Aziende e marche per cui abbiamo responsabilità operative”.

La preoccupazione è l’elemento costante, per i Consumatori, così come per le Aziende, preoccupazione che si riflette negli impatti sulle top lines, così come sulle profittabilità per le Aziende e sulle riduzioni del reddito personale e famigliare, per i Consumatori.

“Su una cosa si è tutti d’accordo – ha continuato Federico Capeci: il consumatore, tutti noi, saremo diversi, dopo la crisi. Abitudini e comportamenti, attitudini e percezioni saranno fortemente impattate dalle emozioni, dall’insicurezza, dalle restrizioni che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo”.

Se ci si focalizza su quanto rilevato in cambiamento, lo studio Kantar Covid-19 Barometer ha evidenziato cinque aree importanti di evoluzione del consumatore:

  • un focus sul miglioramento personale che diventa opportunità di empowerment, in diverse aree (lavoro, società, salute, wellnes, mindfulness)
  • una richiesta di presa in carico da Governi, Aziende, Marche da cui il Consumatore si aspetta una visione chiara e un’attivazione decisa
  • una maggior sensibilità sociale
  • l’attenzione alla “prossimità”, emozionale e fisica, anche in ambito di scelte d’acquisto
  • la diffusione del digitale e la permeabilità di questo in ogni ambito della quotidianità: la necessità di spostare le esperienze ed i momenti relazionali, ma anche di acquisto, dal fisico al digitale, ha accelerato la transizione di tutti i gruppi sociali verso un’adozione completa del digitale stesso.

Le Aziende hanno risposto a questa pandemia in modo negativo, in forte prevalenza (85%**), con blocchi di assunzioni, congelamenti e tagli di budget, blocco o dilazione nel tempo degli investimenti.

“Solo un 32%** delle Aziende intervistate nel nostro studio COMPASS** – ha spiegato Federico Capeci – ha attivato azioni in ottica proattiva, adattandosi velocemente al nuovo contesto e preparandosi a navigarlo al meglio, fin da subito, con focalizzazione chiara sulle aree di business che potevano giocare un ruolo cruciale, con miglioramenti nell’e-commerce e investimenti in marketing ed innovazione”.

Fra queste, le aziende che hanno saputo cavalcare meglio l’onda, in questo frangente critico, hanno sfruttato 3 leve principalmente:

  • Un grande attenzione al digitale in ogni sua declinazione, a partire dagli investimenti subito spostati sui canali online, previsti crescere ancora da tutta la community dei Marketers sia a livello Globale che Locale, su questi media, a scapito dei media più tradizionali, soprattutto della Stampa e del Cinema. TV e Radio sembrano evidenziare un saldo netto pressochè stabile dalle stime dei Marketers. Ma anche dal focus sull’e-commerce, come canale addizionale, alla capacità di operare in smartworking con la stessa (o con maggior) efficacia rispetto alle modalità tradizionali in ufficio.
  • La capacità di focalizzarsi sugli elementi chiave nelle proprie strategie (rivisitate) di Marketing: valutare su quali touchpoint concentrarsi, sapendo che il 20% dei touchpoint porta l’80% di impatto, individuando le creatività più adatte al nuovo contesto, così come i più adeguati piani media per garantire reach, frequency e sinergie e andare a parlare ai segmenti che anche in contesti più difficili potevano considerarsi attrattivi e potenziali. Un grande #focus quindi sugli elementi chiave, in grado di portare ritorno
  • La generazione di #valore nel breve e nel lungo termine, costruendo sul #brand. I Touchpoint hanno caratteristiche diverse e possono contribuire diversamente al raggiungimento degli obiettivi della marca. Con un mercato che stima di avere un peso della TV simile a quello del Online*** si apre oggi uno scenario in cui dobbiamo ripensare veramente al ruolo che vogliamo dare al Digitale, se (solo) di push sulle performance o anche con la possibilità di impattare in modo più importante anche sul Brand, lavorando quindi per attivare predisposizione alla marca e costruire opportunità di crescita futura. Ma questo implica un atteggiamento diverso verso il mezzo e verso la creatività che utilizziamo nei diversi contesti.

“Quello che rimane, dunque è la necessità di lasciare per un attimo lo scenario “pre-COVID” e anche quello “post-COVID” – ha concluso Federico Capeci – per concentrarsi sull’oggi, sul “durante” che sta dilatandosi come non avremmo voluto e che può rivelarsi, come le aziende più performanti ci stanno insegnando, foriero di opportunità e nuovi stimoli. Bisogna però imparare ad essere più #agili, #focalizzati, #digitali”, ad #agire rapidamente, come le aziende più performanti e rivolte al futuro stanno già facendo”.

Pubblicità digitale? Vince quella su Tik Tok. Lo studio di Kantar

Come reagiscono i consumtaori alla pubblicità declinata nei vari canali? Ce lo illustra Kantar, el suo primo Global Ad Equity* ranking, disponibile all’interno del report Media Reactions. TikTok, la piattaforma di social media al centro dell’attenzione globale, è in cima alla classifica inaugurale.

Ecco alcune delle principali evidenze dello studio.

Divario online-offline

I consumatori apprezzano i canali offline per la pubblicità, che tendono a considerare di migliore qualità, più affidabili, meno invadenti e privi dell’eccessiva targetizzazione caratteristica dei canali online. Nel complesso, i canali in cui i consumatori dichiarano di preferire la pubblicità, sono:

Canali pubblicitari preferiti dai consumatori a livello globale –

                                                            

– Il Cinema è in cima alla classifica in 4 dei 7 paesi misurati (Australia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti), mentre gli Eventi Sponsorizzati guidano la classifica in Brasile e Cina. Anche Stampa ed Annunci Digitali OOH si collocano tra i primi posti per i consumatori, in alcuni Paesi.

– Mentre i formati online sono generalmente meno apprezzati dei formati offline, emergono atteggiamenti più favorevoli nei confronti di attività brandizzata con influencer, annunci nei podcast e all’interno di TV streaming.

– Tra tutti i formati, la pubblicità televisiva ed i formati video in generale continuano a dominare i livelli di esposizione. Lo studio ha esplorato una varietà di ambienti evidenziando valutazioni molto diverse tra i formati: alcuni sono considerati divertenti, di buona qualità, pertinenti e affidabili, mentre altri non vengono apprezzati per l’elevato numero di annunci e per la ripetizione.

– Nonostante la preferenza dei consumatori per gli annunci offline, l’attenzione della comunità dei marketer rimane focalizzata sul digital engagement. Le priorità delle piattaforme di marketing sono quindi disallineate rispetto alle preferenze dei consumatori. Le piattaforme pubblicitarie preferite dagli operatori del settore sono (nell’ordine) i video online, gli annunci TV, le pubblicità nei social media, gli annunci TV in streaming e le “stories” sui social media.

Classifica globale delle piattaforme digitali

Kantar ha anche misurato il punto di vista dei consumatori sulla pubblicità nei social media e nelle piattaforme di contenuto digitale. Sulla base di 11 variabili, TikTok ha conquistato la prima posizione nella classifica globale. I primi cinque media brand digitali per la pubblicità sono:

Piattaforme pubblicitarie digitali a livello globale preferite dai consumatori

 

Nel contesto digitale, consumatori e marketer concordano nelle valutazioni di piattaforme digitali consolidate come Google, Instagram e Twitter; i consumatori sono invece generalmente più positivi nei confronti della pubblicità su piattaforme più recenti come TikTok, mentre i marketer preferiscono player più affermati come YouTube.

In contrasto con la classifica generale dei canali, l’ad equity è generalmente più elevata per i media brand digitali globali che per i media brand locali (offline heritage). Sembra che i “limiti” degli annunci online siano meno problematici per la maggior parte degli ecosistemi digitali di elevato profilo inclusi nel nostro studio.

Parlando del successo nella classifica Ad Equity, Jorge Ruiz, responsabile del dipartimento di Marketing Science di TikTok, ha commentato: “Siamo onorati di aver primeggiato in questa nuova classifica sull’ Ad Equity di Kantar, che offre importanti stimoli di riflessione sul contesto media.  Siamo molto orgogliosi di aiutare gli inserzionisti a trasmettere i messaggi del loro brand alla comunità TikTok in un modo coinvolgente ma rispettoso, che riflette l’autentica content experience della nostra piattaforma.  Ci auguriamo che questo riconoscimento contribuisca a dare ulteriore energia ai nostri partner creativi nel percorso  per rendere ancora più sorprendenti i contributi su  TikTok“.

Prospettive per la spesa pubblicitaria

Durante la pandemia COVID-19, il 60% delle aziende dichiara di aver ridotto la propria spesa di marketing, con il 30% che dichiara di averla ridotta addirittura di molto. La pandemia si è tradotta in una maggiore attenzione al Brand Purpose e alla trasformazione digitale. Forse questo porta oggi i marketers a considerare elementi come la coerenza con il messaggio e la predisposizione a ricevere pubblicità (ad receptivity), prima del ROI o dei costi.

Le variazioni negli investimenti sono state in gran parte in linea con i cambiamenti delle fruizioni media dei consumatori, che durante la pandemia hanno apprezzato il canale online più di quanto facessero precedentemente. L’allocazione di budget e risorse ai canali digitali è aumentata a seguito di COVID-19. Gli investimenti nei media offline sono diminuiti in risposta al blocco della maggior parte delle principali aziende. 

I cambiamenti del 2020 sembrano destinati ad accelerare ulteriormente nel 2021, soprattutto per quanto riguarda i video online. Le piattaforme globali che più probabilmente ne trarranno vantaggio sono YouTube, Instagram, TikTok e Google. Si prevede che la TV si riprenderà insieme alle Affissioni Digitali/Schermi OOH. Per la maggior parte degli altri media offline, il difficile contesto economico del 2020 sembra destinato a continuare anche nel 2021.

“È sempre più importante capire dove possono essere valorizzati al meglio i messaggi pubblicitari”, ha commentato Roberto RossiHead of Media, Kantar – Insights Division. “La nostra ricerca evidenzia che i consumatori hanno un diverso grado di receptivity alla pubblicità in funzione dei canali, delle piattaforme e dei formati “. La corsa al digitale è comprensibile per via delle capacità di targeting e di misurazione, ma la saturazione, la ripetizione e l’eccesso di targeting in alcuni ambienti possono rendere queste decisioni poco efficaci. Gli inserzionisti e le agenzie devono sviluppare una comprensione più approfondita del mezzo e dell’impatto che i diversi canali media e le scelte di piattaforma possono avere sui loro obiettivi di branding. Le piattaforme media devono gestire l’equity della loro offerta pubblicitaria tenendo conto sia dei consumatori che dei marketer. Ciò significa offrire un’innovazione continua dei formati pubblicitari per soddisfare le esigenze dei marketer, mantenendo al tempo stesso l’intrattenimento e l’attenzione dei consumatori”.

Per saperne di più, scarica il Report Digitale Media reactions – Where great ads thrive!

 

*L’indice internazionale di ‘Ad Equity’ fornito da Media Reactions combina le risposte dei consumatori sulla receptivitiy all’advertising con dieci metriche diagnostiche. Mette a confronto il numero di persone che hanno un atteggiamento positivo sulla pubblicità in un determinato canale o in un media brand con il numero di persone che sono negative, creando un punteggi di  “Net Promoter” per i diversi media.

 

 

Metodologia

Lo studio Media Reactions, che ha intervistato 4.000 consumatori e oltre 700 esperti di marketing, fornisce una metrica globale di ‘ad equity’ per canali media, social media e media brand basati sui contenuti. Una diagnostica dettagliata permette inoltre agli investitori di comprendere l’impatto che le diverse piattaforme avranno sui loro annunci e sui loro brand.

 

Post Covid-19 secondo BrandZ Top 75: ascoltare e supportare il consumatore

Il terzo annual BrandZ Top 75 Most Valuable Global Retail Brands Ranking, presentato da WPP e Kantar e lanciato in collaborazione con il World Retail Congress, rivela che il i 75 principali marchi di vendita al dettaglio a livello mondiale sono cresciuti a valore del 12%, arrivando a toccare, lo scorso anno, i 1,5 trilioni di dollari.

Il rapporto fornisce anche un’indicazione sui marchi che hanno le maggiori probabilità di avere il sopravvento in un mercato post-coronavirus sia sulla base dei rispettivi fondamenti finanziari, sia valutandone la loro risposta alla mutata domanda dei consumatori.

“La crisi del coronavirus sottolinea il ruolo essenziale del retail nella vita quotidiana e nell’economia globale; stiamo assistendo ad alcuni esempi di retailer che si sono adoperati per soddisfare le esigenze dei consumatori continuando a 2far girare il mondo”. Tramite il rapòporto vogliamo dimostrare alle aziende che chi ha investito nel diventare un marchio forte, è oggi potenzialmente in grado di resistere allo shock attuale.

La classifica dei gruppi più inclini e ricettivi ai mutamenti dettati dalla pandemia vede al primo posto Amazon ($ 415,9 miliardi) che ha saputo gestire la domanda e  ridurre la sua velocità di consegna per dare la priorità ai prodotti chiave; secondo posto per Alibaba (n. 2, $ 152,5 miliardi) che ha utilizzato la sua esperienza di intelligenza artificiale per aiutare i medici in Cina a ridurre significativamente i tempi di diagnosi del coronavirus; 5° posto per Louis Vuitton (n. 5, 51,8 miliardi di dollari), che ha impiegato solo 72 ore per convertire le sue linee di produzione per disinfettare le mani; 13° il marchio di e-commerce cinese JD (n. 13, $ 25,5 miliardi) che ha consegnato forniture mediche e cibo utilizzando la sua vasta rete di distribuzione.

 Buone pure le performance della azienda di abbigliamento sportivo Lululemon (n. 25, $ 9,7 miliardi, cresciuta del 40% e che ha attivato l’offerta di programmi di formazione online e una tattica di marketing mirata adottata da Adidas (n. 18, $ 14,8 miliardi).Accanto ai nativi digitali, buoni risultati sono stati ottenuti anche dai retail tradizionali come Costco,(n. 11 $ 28,7 miliardi) cresciuto del 35%, Target (n. 23, $ 10,6 miliardi) aumentato del 27%, Walmart (n. 8, $ 45,8 miliardi) aumentato del 24% e Sam’s Club (n. 36, $ 6,8 miliardi) cresciuto del 19%. I rivenditori intelligenti e lungimiranti hanno resistito anche alla tentazione di ridurre gli investimenti pubblicitari, apprendendo lezioni dalla Cina in cui i marchi che “si sono oscurati” stanno lottando per riconnettersi durante le prime fasi della ripresa mentre i consumatori optano per quelli che hanno continuato a fornire un supporto e far sentire la loro vicinanza in maniera continuativa. Graham Staplehurst, Global Strategy Director di BrandZ presso Kantar, ha commentato così questo aspetto: “Il valore del marchio non è determinato solo dalla performance finanziaria, ma anche dalla reputazione agli occhi dei consumatori. Il modo in cui i rivenditori si comportano ora in termini di assistenza alle persone durante la crisi, nonché il modo in cui trattano il loro personale e in cui si rivelano rispettosi dei consigli del governo per il mantenimento della sicurezza e della salute pubblica, saranno importanti per la loro sopravvivenza. Coloro che hanno attivamente dimostrato la loro rilevanza e utilità e continuano a farlo mentre la vita dei consumatori inizia a tornare alla normalità, saranno nella posizione migliore per rafforzare le relazioni con i clienti sia nella fase di recupero che a lungo termine “.

Alcune evidenze

I più forti si sono rafforzati: i primi 10 marchi in classifica hanno superato il resto del settore, registrando un aumento medio del valore del marchio del 16,4%. Amazon rappresenta il 27% del valore totale del marchio dei Top 75, mentre le solide prestazioni di altri 10 marchi come Alibaba mostrano che i marchi forti possono fare di più che cavarsela.    

I leader del settore hanno continuato a dominare: McDonald’s (n. 3, 129,3 miliardi di dollari) è di gran lunga il marchio Fast Food più prezioso al mondo, anche se altri hanno registrato una rapida crescita, grazie in gran parte alla consegna e ad altre innovazioni di servizio.

Louis Vuitton è il marchio di lusso più prezioso, con un nuovo flagship store globale a Seul e collaborazioni creative con importanti artisti, mentre Nike (n. 6, $ 50,0 miliardi) guida la categoria Abbigliamento con e-commerce, personalizzazione del prodotto e collaborazioni che guidano forti vendite.    

Cinque nuovi concorrenti: tre marchi giapponesi fanno il loro debutto nella classifica di quest’anno; il negozio di moda online Zozotown (n. 52, $ 4,5 miliardi), la rete di vendita al dettaglio Aeon (n. 64, $ 2,9 miliardi) e la società di storia di convenienza Family Mart (n. 75, $ 2,4 miliardi). La piattaforma di e-commerce cinese Pinduoduo (n. 26, $ 9,4 miliardi) è la nuova entrata più alta, dopo il successo del suo modello di acquisto di gruppo online; e poi ecco la catena hardware Bunnings dall’Australia (n. 69, $ 2,7 miliardi.

Covid-19: la percezione dei cittadini dei Paesi G7 secondo Kantar

Calano nei paesi del G7 i livelli di soddisfazione per l’operato dei governi: i risultati i merito emergono dall’analisi di Kantar, giunta al secondo step della sua rilevazione.

Quello che sta succedendo è che i livelli di soddisfazione e di insoddisfazione  praticamente si pareggiano (rispettivamente 42% e 44%), evidenziando che l’opinione pubblica nei G7 è equamente divisa su questo tema. E in in Italia? Qui però la situazione sembra essere più chiara per i cittadini: il 62% sembra soddisfatto del Governo, mentre solo un 30% non lo è.

La ricerca, che si è svolta tra il 9 e il 13 aprile, ha indagato l’atteggiamento personale, l’influenza del Covid nel contesto finanziario e domestico, la comprensione e l’accettazione delle indicazioni del governo, l’approvazione delle misure del governo, la fonte di informazioni più attendibile e la percezione dei potenziali interventi di contrasto al virus.

E’ emerso che nei paesi del G7, l’approvazione della risposta del governo alla pandemia è scesa di 4 punti percentuali (arrivando al 50% – fortemente/abbastanza approvato). In Italia il 71% (-5 rispetto a Marzo) approva l’operato del Governo. L’approvazione è più bassa negli Stati Uniti (46% -7), Francia (43%  -18) e Giappone (30%  -5). Inoltre il 72% (+ 1 rispetto a Marzo) delle persone nel G7 afferma che il proprio reddito personale è stato o sarà influenzato dal Coronavirus. I dati sono più alti in Italia (85%), Canada (77%) e USA (75%). Tra coloro che dichiarano che i propri redditi sono già stati colpiti (37% – in Italia il 46%), il 44% dichiara di averne perso la metà o anche di più (in Italia il 48%). Ciò equivale al 16% delle persone nel G7 (in Italia equivale al 22% dei cittadini italiani). Nei paesi del G7, solo il 21% pensa che ci sarà un ritorno alla vita normale in aprile, maggio o giugno 2020, mentre il 72% pensa che ci vorrà più tempo.

Inoltre, alla domanda riguardo la fiducia nel proprio governo di prendere le giuste decisioni per il futuro, il 54% (-5) delle persone afferma di fidarsi, rispetto al 40% (+5) che non lo fa. Il 6% non sa cosa rispondere. Sembra che la fiducia si stia erodendo: anche in Italia, che registra un 61% (nella prima wave avevamo però il 67% di cittadini che riponeva fiducia nel Governo per il futuro).

Le persone continuano a considerare più rilevante la salute pubblica rispetto all’economia, nonostante gli impatti economici personali siano stati evidenti in tutto il G7, evidenziando che i Governi sembrano mediamente troppo focalizzati sugli aspetti economici. Oltre un terzo dei cittadini del G7 (36%, +7) pensa ancora che il proprio governo stia dando troppa attenzione all’economia del paese e non stia facendo ancora abbastanza per garantire la salute delle persone. Il 19% (nessun cambiamento rispetto a Marzo) ritiene che invece si stia ponendo troppa enfasi sull’aspetto sanitario e non abbastanza su quello economico. Un terzo (33%, -4) ritiene che ci sia un giusto equilibrio e il 13% (-2) non lo sa.

In Italia però i numeri sono un po’ diversi (pressochè invertiti): il 18% pensa che il Governo sia troppo focalizzato sugli aspetti economici, il 31% (+8 punti) troppo focalizzato sugli aspetti sanitari, con un 41% (-4) che considera ci sia un giusto equilibrio fra i due aspetti nelle politiche del governo.

Il 48% dei cittadini del G7 (il 38% in Italia) ritiene che il sostegno fornito dal governo per fronteggiare la perdita economica sia molto o comunque abbastanza buono. Il 46% tuttavia (il 58% in Italia), lo ritiene scarso o del tutto inefficace. Le valutazioni sono state più positive in Canada (77%) e nel Regno Unito (70%).

Allo stesso modo, il 45% degli intervistati nel G7 (ed il 65% in Germania ma solo il 32% in Italia) valuta le azioni del governo per tutelare le aziende chiuse o in perdita come molto o abbastanza buone, contro un 47% che le considera insufficienti.

E sul futuro? Una persona su 4 nei paesi del G7 (26%) pensa che quando il dilagarsi della pandemia sarà finito, il modo di vivere delle persone sarà del tutto diverso. Questo dato è molto alto soprattutto in Italia (34%) e negli USA (29%).Quasi 4 persone su 10 (38%) pensano che la propria economia nazionale, una volta conclusa l’emergenza, sarà completamente diversa. Coloro che ne sono più convinti sono gli italiani, al 55%. Una persona su 4 (24%) pensa che il proprio sistema di previdenza e tutela sociale sarà completamente nuovo/diverso quando la pandemia finirà. Anche qui, i dati più alti riguardano l’Italia (30%) e gli USA (29%)

 

Coronavirus: impatto sul reddito e distanza sociale. Lo studio Kantar

Lockdown causa Coronavirus: cosa ne pensano i cittadini?

In generale emerge un livello molto alto di supporto alle azioni intraprese dal proprio Governo, ma preoccupazione per la sanità pubblica e una elevata comprensione delle diverse precauzioni da prendere per limitare la diffusione del virus.

Queste le evidenze principali del  uno studio realizzato (rigorosamente online) da Kantar nei Paesi del gruppo dei G7, tra il 19 e il 21 marzo.

Scendendo nel dettaglio emerge che 7 cittadini su 10 (71%) nei paesi del G7 dichiarano che il Coronavirus ha già impattato sul loro reddito, con l’Italia all’85, US e Canada (75%).Quasi i tre quarti degli intervistati (73%) sono (molto o abbastanza) preoccupati per la propria salute. Ma ancora di più, 8 persone su 10 (82%) si dichiarano preoccupate per l’eventuale contagio di famigliari ed amici, con una percentuale che arriva al 93% degli intervistati in Italia.

Sul fronte della comunicazione, i notiziari TV sono considerati la fonte più affidabile per quanto riguarda le informazioni relative al virus in paesi quali Italia, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito, mentre per i canadesi è il Governo e per gli Stati Uniti il medico/operatori sanitari. 

E del servizio pubblico, cosa si pensa? I cittadini di Canada, Germania e Gran Bretagna sono più propensi a pensare che i servizi pubblici nel loro paese siano pronti a far fronte all’epidemia e alle sue conseguenze. In Francia sono i più scettici, gli italiani hanno una posizione intermedia:

  • Il 65% in Canada afferma che il servizio pubblico è preparato molto/abbastanza bene
  • 57% in GB
  • 56% in Germania
  • 47% negli Stati Uniti
  • 44% in Italia
  • 43% in Giappone
  • 33% in Francia

Mentre per quanto riguarda l’operato dei Governi, l’Italia è d’accordo (76%), il Canada piuttosto (66% molto o abbastanza) e anche la Francia (61%). Ma purtroppo la lezione di paesi più in difficoltà come il nostro o la Cina (e ora anche la Spagna) non sembrano essere utili: negli USA solo il 53% approva le misure prese dal Governo ed in Giappone addirittura solo il 35%.

“Gli Italiani – ha commentato Federico Capeci, CEO Italy, Greece & Israel, Insights Division – Kantar – hanno compreso l’importanza delle misure prese dal Governo per arginare la diffusione del virus e le stanno implementando come richiesto: il sentimento comune è quello di voler fare il proprio compito per riuscire a superare l’emergenza e poter ritornare alla normalità. Kantar è impegnata su diversi fronti per comprendere il nuovo contesto, in ambito politico sociale ma anche economico, con studi come questo che servono da bussola per poter navigare attraverso i grandi rischi ma anche le opportunità che nasceranno da questo momento: spesso sono infatti proprio i nostri cittadino, gli utenti, i consumatori che con il loro senso comune illustrano la strada alle istituzioni e alle aziende”.  

 

Natale e saldi: l’identikit del consumatore secondo Google

Come si comportano gli italiani in fase di acquisti natalizi e/o in saldo?

Ce lo racconta Google con il suo primo Global Retail Study, ricerca commissionata a Ipsos con l’obiettivo di analizzare l’evoluzione del percorso di acquisto tra l’online e l’offline in Italia e nel mondo. Il risultato? Gli italiani spendono metà del proprio tempo online e l’altra metà in negozio. Anche nei casi in cui l’acquisto non viene finalizzato online tramite piattaforme di e-commerce, gli italiani considerano internet una componente fondamentale nel loro processo di acquisto. Il 96% ha infatti dichiarato di aver usato il web in una o più fasi dell’acquisto: per cercare informazioni su un prodotto, l’indirizzo di un negozio o per guardare un video. Il dato è in linea con quello degli altri paesi europei.

Il consumatore è omnichannel

Il consumatore italiano si muove con facilità da una ricerca online a una passeggiata fra le vetrine, cercando un’esperienza fluida in cui trovare sempre maggiori informazioni, soddisfare la propria curiosità e infine trovare il prodotto che maggiormente risponde alle proprie esigenze. Il percorso di acquisto non è prevedibile e diretto, perché le persone continuano ad ampliare e restringere le opzioni: cercano informazioni, confrontano le offerte di più retailer e passano dall’offline all’online in maniera totalmente spontanea. Il 36% degli italiani intervistati dichiara infatti di fare ricerche online mentre si trova in un punto vendita; in generale, le persone intervistate dichiarano di usare internet principalmente per cercare un nuovo prodotto (46%) o un nuovo brand (49%) o un oggetto che hanno già visto da qualche parte (44%). Inoltre, leggono recensioni e raccomandazioni utili (46%) e controllano la disponibilità di un prodotto prima di recarsi in negozio (33%).

 

Cosa si aspettano i consumatori dai retailer
L’esperienza di acquisto passa ovviamente anche da quanto i retailer sono capaci di soddisfare le esigenze espresse dai consumatori, relativamente al processo di acquisto online. A questo proposito Google, per il secondo anno, ha commissionato a Kantar una ricerca su questo tema, che ha analizzato le risposte di 35.500 consumatori in 17 paesi EMEA.

Dallo studio emerge che, sebbene ci sia stato un generale miglioramento delle caratteristiche degli e-commerce, è ancora ampio il margine di miglioramento in termini di offerta e per incontrare i bisogni dei consumatori. Il 72% degli italiani intervistati dichiara di essere molto soddisfatto dall’esperienza di acquisto online, sebbene il 60% si aspetti un più rapido tempo di caricamento del sito in questione, e quasi la metà dei consumatori intervistati vorrebbe avere a disposizione un numero maggiore di metodi di pagamento, nonché essere certo dei tempi di spedizione.

I consumatori di oggi sono più curiosi, esigenti e soprattutto alla ricerca di un’esperienza di shopping integrata, sia che scelgano di comprare su una piattaforma e-commerce, sia che si trovino in un negozio fisico. Più della metà degli intervistati dichiara infatti di cercare online informazioni prima di effettuare un acquisto e il 42% visita diversi siti internet prima di decidere cosa comprare e da quale retailer. Allo stesso tempo, i consumatori sono impazienti: infatti, quasi il 60% si aspetta di consultare un sito che si carichi velocemente e il 57% ritiene  importante che esso abbia un processo di pagamento semplice e veloce, mentre per il 45% è rilevante tracciare i tempi di consegna e avere la consegna garantita entro una certa data.

Gli italiani che acquistano online sono mediamente più fidelizzati rispetto ai consumatori di altri mercati: solo il 12% infatti decide di non tornare a fare acquisti da quello che definisce il suo rivenditore preferito, contro una media globale del 22%. Gli italiani sono quindi fedeli, ma anche molto esigenti. Fra le aspettative prioritarie spiccano: la necessità un sito e-commerce semplice da navigare e facile nella ricerca di prodotti (60%), con descrizioni dettagliate, nonché la presenza di foto e video dei prodotti (56%) e infine la presenza di recensioni di altri utenti che hanno già acquistato il prodotto (42%).

Metodologie delle ricerche Ipsos e Kantar

Global Retail Study, Ipsos ha realizzato per conto di Google un sondaggio online nel Marzo 2019 su più di 500 consumatori in Italia e quasi 8.000 consumatori in 27 paesi nel mondo, 18+ in merito agli acquisti della settimana precedente al sondaggio (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Emirati Arabi, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Russia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Sud Africa, Sud Corea, Turchia, Ucraina, Vietnam).

CX Retail Research, Kantar ha realizzato per conto di Google un sondaggio in merito all’esperienza di acquisto online dei consumatori, su 35.500 intervistati in 17 paesi, di cui 2.000 in Italia (Arabia Saudita, Danimarca, Emirati Arabi, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia, Portogallo, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Ucraina, Turchia, Russia). Gli intervistati hanno risposto alle domande facendo riferimento alle ultime 3 esperienze di acquisto dei settori Abbigliamento, Arredamento, Elettronica, Generi Alimentari e multicategoria.

Fashion & Lifestyle volano negli acquisti on-line

Foto di Free-Photos da Pixabay

Sono il Fashion & Lifestyle le categorie più acquistate online: a dirlo è lo studio netRetail, condotto da Kantar in collaborazione con Netcomm. Sul tema si sono espressi Federico Capeci, CEO Italy, Greece & Israel – Insights Division – Kantar e Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, al Netcomm FOCUS Fashion & Lifestyle, evidenziando come i Brand siano oggi in una fase critica di definizione della loro vision in relazione alla presenza online.

Il Fashion Consumer Journey vede fra i touchpoint più utilizzati le Online Reviews, seguono le visite nei punti vendita ma anche le properties dei Brand. Quello che colpisce, è che poi gli acquisti effettivi avvengano prevalentemente sui Marketplace, mentre gli ambienti di Brand non riescono (dove presenti) a convertire. Solo il Beauty riesce a valorizzare la forza del Brand, capitalizzandone il valore con conversion sui Brand Asset decisamente più elevato rispetto alla categoria Fashion.

Spazio alla personalizzazione

“Oggi, e sempre più in futuro, la chiave della competitività per le aziende che operano nel commercio digitale sta nel rendere sempre più personalizzata l’esperienza di acquisto dei consumatori. I giovani italiani che acquistano online sono infatti sempre più esigenti e attenti al tema ecologico: il 53% dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni dichiara di voler ricevere pacchi con incluso il materiale per effettuare il reso e il 39% degli stessi preferisce spedizioni ecosostenibili per ricevere i propri acquisti.” Commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm. “In questo scenario le tecnologie stanno già ridisegnando tutta la filiera dell’industria dell’abbigliamento: il punto di partenza è la previsione della domanda e l’intelligenza artificiale è tra le tecnologie più impattanti nell’industria del fashion retail, grazie alla possibilità di disegnare collezioni e nuovi prodotti sulla base dei dati di tendenze del settore, proponendo un’offerta sempre più personalizzata.”

Le reason why d’acquisto

Ma quali sono le motivazioni effettive, i benefit percepiti dell’e-shopping? Attualmente il prezzo, fondamentalmente, poi a seguire l’ampiezza della gamma, la purchase experience.

Il Marketplace facilita l’incontro Brand-Consumer, rende disponibili esperienze estremamente customer-centriche e coinvolgenti, facilita acquisti cross-border, offre volumi, razionalizza l’acquisto, riducendo l’impatto della Brand Equity e dunque indebolendo la relazione Brand-Consumer.

“Siamo oggi, nel contesto eCommerce, in una situazione simile a quella già vista, anni fa, con lo sviluppo della Grande Distribuzione nel Grocery – ha commentato Federico Capeci, CEO Italy, Greece & Israel – Kantar, Insights Division. La piramide motivazionale sembra essersi spostata verso aree prettamente razionali dell’acquisto, ma il lavoro del Marketing è proprio quello di saper costruire quel legame emozionale, quella distintività, in grado di sostenere un “premio” per il nostro prodotto, premio che nel Fashion, nel Beauty, nel Design, e ancor più nel Luxury è fondamentale nella costruzione del valore della marca.”

“I Brand sono oggi nella condizione di dover trovare l’equilibrio adeguato – ha continuato Federico Capeci – fra un approccio di breve termine, chiaramente focalizzato sulle performance di vendite nei marketplace, ed un ruolo più alto dell’eCommerce, integrato con asset più focalizzati sul Brand, dove lo storytelling può sostenere un posizionamento strategico della marca, una vision di medio-lungo termine e costruire Brand Equity e valore per il Consumatore. I Brand più sensibili sono già attivi in questa direzione, per costruire un Marketing integrato che nell’eCommerce può veramente vedere collassare stores, product information, packaging, demand generation ed experience tutto in uno stesso momento di contatto.”

Amazon in vetta al Most Valuable Global Retail Brand. Ma Alibaba lo tallona

E parliamo di Most Valuable Global Retail Brand: a chi va quest’anno l’ambito titolo?

Ce lo dicono il ranking ed il report dello studio BrandZ Top 75 Most Valuable Global Retail Brands, che analizzano i brand di distribuzione con focus moda, lusso e fast-food, brand che raggiungono un valore di 1.400 miliardi di dollari, con una crescita di 339 miliardi (+24%).

In pole position (e non sorprende) svetta Amazon (315.5 miliardi di dollari), che  rappresenta circa un quarto (23%) del valore totale dei Top 75 Global Retail Brands. Occhio però: il gigante cinese dell’e-commerce, Alibaba, lo tallona al secondo posto, offrendo più elementi innovativi di Amazon. Un esempio? L’attivazione di partnership con Starbucks (n.7 nel ranking) che gli permette di averlo appunto in tutte le properties Alibaba, innovando in modo dirompente il modello logistico per offrire consegne super-veloci. Il valore del suo brand è cresciuto del 48% raggiungendo i 131.2 miliardi di dollari, permettendogli di superare McDonald’s (terzo in classifica). Il colosso dei fast food, nonostante il sorpasso, è ancora il retailer food di maggior valore a livello globale. E’ riuscito a rispondere con successo alla domanda crescente di cibo più salutare e packaging più sostenibile per il pianeta. Migliorando la consegna inoltre, con una partnership con Uber Eats, ha sostenuto la crescita di quest’ultimo (+18%) e gli ha permesso di raggiungere un valore di brand pari a 130.4 miliardi di dollari.

Se guardiamo all’abbigliamento, vediamo che Nike è il primo retailer nel comparto (n.5 nel ranking retailer globale) con un valore di 47.4 miliardi di dollari, mentre Adidas (n.20) è cresciuto comunque del 13% ed ha raggiunto i 13.4 miliardi di dollari. Levi’s – che ha rifocalizzato negli ultimi anni il proprio posizionamento sulle donne, con una decisa crescita in mercati, come Italia e Cina – entra nel ranking alla 74^ posizione, con un valore di 2.4 miliardi di dollari.

Interessanti anche la performance del discount ALDI (n.19 ranking), che sta modificando il format distributivo altamente standardizzato dei propri punti vendita verso proposte, come l’offerta di cibo pronto a consumatori in mobilità, nei loro viaggi giornalieri da e per il luogo di lavoro, proposte innovative per il proprio modello di business che offrono maggior flessibilità per i clienti e miglior servizio nella soddisfazione della shopping trip mission.

La brand equity condiziona in positivo il posizionamento di IKEA (n.15) che vede una crescita del proprio brand value nel 2019, pur con una proposizione di basso prezzo, attraverso la costruzione di brand forti e l’offerta di un’esperienza d’acquisto positiva e coinvolgente. Mentre la consapevolezza del consumatore sui costi ambientali del fast fashion inizia ad avere impatto sui retailer – Zara (-10% oggi a 22.6 miliardi di dollari) ed H&M (-39% a 6.4 miliardi di dollari) stanno accusando il colpo della crescita recente della preoccupazione dell’opinione pubblica sui temi ambientali, come il costo di produzione, trasporto e vendita dei prodotti usa e getta.

Metodologia

Ranking BrandZ™ Top 75 Most Valuable Retail Brands è lo studio(report e ranking) commissionato da WPP, che Kantar effettua a livello mondiale ormai da 3 anni grazie alla competenza specialistica degli esperti in brand equity.

Si tratta di uno studio sulla Brand Equity e la valutazione del Brand volto ad evidenziare la forza dell’asset intangibile “marca” nel produrre crescita e valore finanziario. La metodologia, unica nel suo genere, rispecchia quella usata per calcolare il ranking annuale BrandZ Top 100 Most Valuable Global Brands

È Coca-Cola il marchio più scelto del mondo per Kantar, Mulino Bianco vince in Italia

Per il sesto anno consecutivo. è Coca-Cola il marchio più scelto dai consumatori nel mondo: lo stabilisce l’edizione 2018 del rapporto di Kantar Worldpanel Brand Footprint. Altri 16 marchi sono stati scelti più di un miliardo di volte dai consumatori nell’anno passato.

La globalizzazione dei marchi e delle merci corre strane vie, e il rapporto di Kantar fotografa le affinità che corrono nei mercati apparentemente più lontani. Ad esempio Colgate, il secondo marchio più scelto dai consumatori globali, è l’unico scelto da più di metà della popolazione mondiale: ha infatti una penetrazione mondiale del 62%.
Il terzo in classifica, Maggi è quello che ha registrato la crescita maggiore nella Top 50, con il 14% di Consumer Reach Points (CRPs)
Però non si può non sottolineare come la globalizzazione impera sì, ma i marchi local incalzano, erodendo quote alle multinazionali: nel 2017 si sono portate a casa il 64,6% degli acquisti di marca, mentre la quota dei marchi globali è del 35,4%.

Secondo il rapporto 2018 di Kantar Worldpanel ci sono 17 marchi di beni di largo consumo che vengono scelte più di un miliardo di volte all’anno in tutto il mondo, e sei di questi sono proprietà di Unilever (Lifebuoy al quarto posto, Sunsilk e Knorr nella Top 10 e Dove, Lux e Sunlight). Il rapporto stabilisce proprio quali beni sono acquistati più spesso e dal maggior numero di consumatori. Coca-Cola ad esempio è stata presa dagli scaffali ben 5,8 miliardi di volte in un anno. 

“Si è parlato molto di un mercato dei beni di largo consumo sempre più competitivo, ma nonostante ciò nell’ultimo anno 22 delle 50 marche globali sono riuscite a farsi scegliere dai consumatori più che nei 12 mesi precedenti – ha detto Josep Montserrat, Ceo di Kantar Worldpanel -. Le opportunità di crescita ci sono, e le marche dovranno andare più a fondo per coglierle perch<è potrebbero non trovarsi dov’erano in passato. I nostri dati mostrano che il fuoricasa e canali in crescita come l’e-commerce, i discount, i cash and carry e i convenience store avanzano più velocemente del mercato dei beni di largo consumo totale, ed è ora di investire in modo più deciso in ciò che stanno che chiedono i consumatori”.

Quanto ai settori, le marche globali guadagnano quote, da tre anni, sono nel beverage (38,3% contro il 61,7% delle locali nel 2018 contro il 38,1% e 61,9% del 2015) e sono più forti ma perdono quote nella casa, bellezza e igiene personale (47% e 58,4% delle vendite globali rispettivamente). 

Guardando ai mercati locali, in Italia la marca più forte è Mulino Bianco.

Un quadro decisamente differente emerge dalla classifica delle marche online.

 

Il rapporto annuale di Kantar Worldpane Brand Footprint si basa su ricerche dal 73% della popolazione mondiale, con un miliardo di famiglie in 43 Paesi nei cinque continenti, e copre il 75% del PIL mondiale. Nello studio sono coperti oltre 18mila marche nei settori beverage, alimentari, latticini, salute, bellezza e cura della casa. I Consumer Reach Points (CRP) considerano non le attitudini di spesa ma gli acquisti reali delle famiglie per penetrazione e frequenza.  

Il rapporto è scaricabile a questo link.

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